Tempo di lettura: 3 minutiSe negli ultimi 15 anni si è riusciti a far passare il concetto che prevenire il tumore al senso significa salvarsi la vita, non altrettanto si può dire del cancro alla prostata. «Sulla prostata, purtroppo, non c’è ancora quell’attenzione che ci consentirebbe di risolvere chirurgicamente la malattia nella maggior parte delle diagnosi», spiega il chirurgo specialista in Uro-Oncologia Giovanni Di Lauro. Un paragone, quello tra il carcinoma prostatico e quello del seno, che aiuta a comprendere come queste due patologie abbiano molto in comune. «Sono entrambi tumori endocrino sensibili» prosegue Di Lauro, che è anche primario di Urologia all’Ospedale Santa Maria delle Grazie di Pozzuoli. «Hanno meccanismi d’azione simili e simili approcci terapeutici». Ciò che differisce, avverte l’esperto, è la mancanza di un marcatore tumorale specifico. In altre parole, il PSA non può essere considerato un marker tumorale per il cancro della prostata, in diversi casi si può avere un carcinoma prostatico anche in assenza di elevati livelli di PSA. Di Lauro fa poi risuonare un campanello d’allarme. «Negli ultimi anni – dice – stiamo assistendo in Campania ad un aumento dei casi di tumore alla prostata e ci imbattiamo sempre più spesso in carcinomi di alto grado. Troviamo neoplasie aggressive e già ad uno stadio avanzato, la qual cosa rende spesso il PSA inefficace, perché si ha una minore rappresentazione ematologica». Un meccanismo che è più semplice di quanto si possa credere, chiarisce lo specialista. Semplificando un po’ si può dire che il PSA non è un marcatore oncologico, bensì un marcatore d’organo; in tumori di alto grado le cellule oncologiche sono altamente indifferenziate, non assomigliano più alle cellule originarie, dunque non c’è produzione di PSA e questo può trarre in inganno. Non a caso ricercatori di tutto il mondo stanno cercando di identificare un marcatore specifico, che possa aiutare ad individuare precocemente la malattia.
CAMBIO DI PROSPETTIVA
«La diagnosi precoce – ricorda Di Lauro – è l’unica arma veramente efficace». La battaglia contro il tumore della prostata va però inquadrata nel contesto di un cambiamento inarrestabile. La vita media si è infatti allungata e spesso l’età anagrafica non corrisponde più a quella biologica. «Agli uomini di 70 anni con diagnosi di tumore della prostata si consigliava, e ancora oggi in moltissimi casi si consiglia, di portare avanti una vigilanza attiva della malattia, senza operare. Ma, se il paziente è in buona salute e ha possibilità di guarire questo limite andrebbe spostato almeno a 75 anni». Ciò che allarma è che sempre più spesso i pazienti che arrivano ad una diagnosi di tumore della prostata sono giovanissimi. «Anche 45enni, uomini colpiti dalla malattia e a volte già in stadio avanzato». Ad incidere, secondo l’urologo, è il contesto ambientale nel quale si vive, ma soprattutto l’alimentazione. «Uno dei dati oggettivi che ci spinge a credere che l’ambiente e l’alimentazione siano fattori determinanti è il cosiddetto “caso cinese”. I cinesi hanno lo 0,1% di incidenza del tumore della prostata. Quando però si trasferiscono a vivere in Occidente l’incidenza della patologia a 20 anni dal trasferimento sale all’8%. I cinesi di seconda generazione, nati e vissuti in Occidente, presentano addirittura un’incidenza del 20%, quindi come la nostra». Alcuni ritengono che un numero di diagnosi più alto sia determinato dalla maggior capacità di eseguire esami accurati, cosa che è certamente vera, ma che non spiega il fatto che molte diagnosi riguardino tumori già in fase avanzata. Ma come si interviene una volta intercettata la patologia? Di Lauro ricorda che in una fase precoce l’unica soluzione definitiva è l’intervento. «Oggi le tecniche di chirurgia robotica consentono di preservare le strutture che circondano la prostata, evitando problema di disfunzione erettile o incontinenza. E’ chiaro che la chirurgia è tanto più efficace quanto più è circoscritto il tumore. Ma rispetto al passato esiste ormai un abisso e le possibilità di intervento sono veramente avanzate. Anche per questo, mi sento di consigliare a tutti gli uomini che hanno ormai superato i 40 anni di sottoporsi annualmente ad una visita specialistica. Una piccola attenzione che può evitare problemi anche molto seri».