Tempo di lettura: 4 minutiRitardo di diagnosi per patologie gravi, terapie interrotte e accessi al pronto soccorso pediatrico ridotti in media del 40%. Sono alcune delle conseguenze della pandemia Covid sulla salute dei bambini secondo la Società Italiana di Pediatria (Sip).
“Di per sé il virus ha colpito l’età pediatrica meno e in maniera meno grave rispetto agli adulti”, afferma il Presidente SIP Alberto Villani. Tuttavia, l’impatto improvviso e violento del virus sul sistema sanitario non preparato a questa emergenza e la conseguente necessità di dirottare il personale medico nei reparti Covid-19 ha generato dei danni indiretti sulla prevenzione in età pediatrica.
Covid, i danni sui bambini più fragili
“A farne le spese sono soprattutto i bambini più fragili”, spiega Giovanni Corsello Past-President SIP, “ovvero quel milione di bambini con patologie croniche complesse che durante le fasi più acute della pandemia si sono trovati nella impossibilità di seguire i controlli previsti, di raggiungere i centri ospedalieri e spesso anche gli ambulatori dei pediatri di famiglia, con conseguenze negative sia sul piano clinico e sia sul piano psicologico”. Secondo una survey condotta da SIMGePed, Uniamo e Associazioni amiche di Telethon circa il 40% dei bambini “fragili” ha interrotto i controlli spesso su indicazione stessa dei centri di riferimento, controlli spesso decisivi per evitare complicanze della patologia. Circa una famiglia su tre di fronte a un evento critico acuto del bambino (come una crisi epilettica) ha deciso di non accedere a un servizio di Emergenza, ma di gestirlo in proprio, correndo rischi. A livello complessivo secondo stime Simeup (Società Italiana di Medicina Emergenza Urgenza Pediatrica) durante la pandemia il calo medio dell’utenza pediatrica nei Pronto Soccorso è stato del 40%, con punte dell’80% in alcuni territori. Il minor accesso ai servizi sanitari ha influito sul ritardo diagnostico anche per patologie in cui la tempestività della diagnosi può essere decisiva per evitare complicanze anche fatali. “Il caso più eclatante è quello dei bambini con diabete 1 per i quali una diagnosi tardiva significa correre il rischio della chetoacidosi, condizione potenzialmente fatale, e del coma”, aggiunge Corsello. Secondo la SIEDP (Società Italiana Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica) il numero di chetoacidosi gravi riscontrate all’esordio del diabete è passato dal 36% del totale nel periodo pre Covid al 44% durante il lockdown: quasi in un caso su due quindi l’accesso del paziente al pronto soccorso è stato tardivo, esponendolo a un rischio molto elevato. E ancora, AIEOP (Associazione Italiana Ematologia Oncologia Pediatrica) fa sapere che nel periodo marzo-maggio 2020 a causa del Covid-19 le diagnosi di tumore pediatrico si sono ridotte rispetto al corrispondente periodo dello scorso anno”.
Vaccinazioni: per la prima volta dopo 28 ani cala copertura DTP3 – Sul fronte delle vaccinazioni si è assistito soprattutto nella prima ondata a una calo delle coperture vaccinali generalizzato. Secondo un’indagine condotta da SIP e Pazienti.it oltre 3 genitori su 10 hanno rinviato le sedute vaccinali dei propri figli per paura del contagio o per la chiusura dei centri vaccinali, con il rischio di una possibile ripresa di patologie infettive prevenibili, quali pertosse, morbillo, meningiti menigococciche. Un problema non solo italiano, perché sono molti gli Stati che a causa della pandemia hanno interrotto le vaccinazioni. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’UNICEF e il Gavi hanno stimato che almeno 80 milioni di bambini siano a rischio di contrarre malattie prevenibili con le vaccinazioni in seguito alla pandemia. Secondo i dati preliminari OMS-Unicef relativi ai primi 4 mesi dell’anno, per la prima volta dopo 28 anni, si è verificato a livello globale un calo sostanziale del numero di bambini che hanno completato le 3 dosi di vaccino contro difterite, tetano e pertosse (DTP3).
Effetto Covid-19 su alimentazione, stili di vita e disparità sociali – Tra i principali determinanti di salute vi sono alimentazione e stile di vita. “Epidemia da SARS-Cov-2 e epidemia di obesità, all’apparenza così distanti, sono in realtà strettamente connesse: l’isolamento, la noia, la sedentarietà spingono a un maggior consumo di alimenti calorici favorendo il sovrappeso e l’obesità che a sua volta è un fattore di rischio per il COVID-19”, spiega Annamaria Staiano, Vicepresidente SIP. Uno studio condotto a Verona su 41 bambini affetti da obesità ha evidenziato, durante il lockdown, un incremento significativo del numero di pasti giornalieri e dell’assunzione di patatine fritte, carne rossa e bevande zuccherate, rispetto al periodo precedente la pandemia. Inoltre, è stato descritto un aumento significativo del tempo trascorso davanti allo schermo, associato ad una significativa riduzione dell’attività fisica (Pietrobelli A et al., Obesity 2020). A risultati simili è giunto un lavoro condotto su 298 bambini spagnoli normopeso che ha anche messo in luce come la riduzione dell’attività fisica era più marcata nei figli di madre straniera o con titolo di studio inferiore (Medrano M et al., Ped Obes 2020). “La pandemia si sta drammaticamente rivelando un acceleratore delle diseguaglianze. Fattori etnici, stato socio-economico, e livello culturale possono determinare una disparità di accesso ad una alimentazione salutare esponendo il soggetto al rischio di patologie croniche e obesità, che sono correlate anche ad una peggiore prognosi in caso di COVID-19.”, aggiunge Annamaria Staiano.
Se nel 2019 si stimavano circa 1 milione e 137 mila bambini in condizioni di povertà, con la pandemia la situazione si è aggravata perché l’emergenza sanitaria si è rapidamente trasformata in un’emergenza sociale, con la perdita del lavoro di milioni di persone. Secondo Save the Children entro la fine dell’anno, 1 milione di minori in più potrebbero scivolare nella povertà assoluta, il doppio rispetto a quelli del 2019. “L’aumento drammatico della povertà notoriamente si associa anche nell’età infantile ad una ridotta qualità della vita, un aumento delle malattie e a disturbi e difficoltà nella sfera fisica, affettiva, emotiva, cognitiva, linguistica e relazionale”, spiega Mario De Curtis, componente del Comitato per la Bioetica della SIP. “La chiusura delle scuole – aggiunge – ha fatto emergere nuove criticità perché molti sono stati gli studenti esclusi da videolezioni per la mancanza di computer, di connessioni e per la condivisione dello stesso dispositivo fra più fratelli o familiari. L’ISTAT ha certificato che durante il confinamento 1 studente su 8 non possedeva un laptop per la didattica a distanza e più di 2 minori su 5 vivevano in case prive di spazi adeguati per studiare”.