Il 90% della letalità del cancro è dovuto alla formazione di metastasi. Si tratta di cellule tumorali che, spostandosi dalla sede primaria, attaccano anche altri organi. Le metastasi al fegato da tumore del colon-retto ad esempio si sviluppano nel 50% dei pazienti. La rimozione chirurgica, però, è idonea solo per il 10%-20% dei pazienti.
Oggi le cellule tumorali senescenti nelle metastasi epatiche colorettali potrebbero essere nuovi bersagli terapeutici per bloccarne la progressione. Lo rivela uno studio realizzato dal team di ricerca del CNR-Irgb di Milano, in collaborazione con Humanitas. Gli scienziati hanno indagato il processo di invecchiamento cellulare, noto come senescenza cellulare, su biopsie di metastasi epatiche in pazienti con tumore primario al colon.
Lo scopo dello studio, pubblicato su Aging Cell, è quello di indagare questo fenomeno nella fase avanzata del cancro. Dai risultati sono stati identificati due tipi di cellule tumorali senescenti con ruoli opposti, uno benigno e uno maligno, in termini di impatto sulla sopravvivenza dei pazienti e sul tempo che intercorre prima della ricomparsa della recidiva dopo la rimozione chirurgica.
Nuovi bersagli contro le metastasi
“La metastasi epatica è una sfida clinica per il cancro del colon-retto”, spiega Francesca Faggioli, ricercatrice del Cnr-Irgb, “Il 90% della letalità del cancro è dovuto alla formazione di metastasi, cellule tumorali che dalla sede primaria colonizzano altri organi. Le metastasi al fegato da tumore del colon-retto non fanno eccezione. Si sviluppano infatti nel 50% dei pazienti. La rimozione chirurgica dopo chemioterapia neo-adiuvante è il trattamento terapeutico di riferimento, ma solo il 10%-20% dei pazienti è valutato idoneo. La mancanza di efficaci approcci terapeutici risiede nella scarsa conoscenza dell’evolversi della patologia e di quello che effettivamente accade negli organi secondari”.
Il gruppo di ricerca si è chiesto quale fosse il ruolo di queste cellule invecchiate nelle metastasi. “Per rispondere a questa domanda”, afferma Faggioli, “abbiamo applicato lo spatial transcriptomics, una nuova tecnologia in grado di visualizzare sull’area della metastasi l’espressione genica di tutte le cellule che la compongono. Con questo approccio, abbiamo stabilito il tipo di azioni di cui sono capaci le cellule tumorali e quelle che le circondano, incluse le cellule immunitarie e quelle di supporto strutturale. L’esperimento è stato condotto su cinque biopsie metastatiche di pazienti affetti da tumore primario al colon”.
Il ruolo delle cellule senescenti
L’impatto che deriva dalla presenza di cellule senescenti dipende dal contesto patologico. Spesso, la loro presenza in stadi preneoplastici è interpretata in maniera positiva perché, non proliferando più, rappresentano una barriera fisica alla disseminazione del tumore. Tuttavia, in alcuni casi sviluppano proprietà accessorie con le quali manipolano l’ambiente circostante, promuovendo l’avanzamento e l’aggressività delle cellule tumorali. “I risultati sono stati validati in una corte retrospettica di settanta pazienti metastatici randomizzati in due categorie a seconda del trattamento chemioterapico subito”, prosegue la ricercatrice.
“Le cellule senescenti maligne sono sensibili alla chemioterapia e contribuiscono a instaurare un ambiente immunologico permissivo per la crescita tumorale. Un maggiore accumulo di cellule senescenti benigne invece corrisponde a parametri di sopravvivenza positivi e a un ambiente immunitario efficiente con azione antitumorale. Questo studio stabilisce che la direzione in cui evolverà la metastasi è da attribuire al tipo di cellula metastatica senescente che prevale sulle altre. Paradossalmente il ruolo chiave in questo processo è determinato, in ogni caso, da cellule che hanno perso la capacità di dividersi e riprodursi”.
I risultati fanno luce sui meccanismi alla base della crescita metastatica e aiutano a comprendere i limiti delle terapie standard basate esclusivamente sul targeting di cellule proliferanti. Inoltre, aprono la strada all’applicazione di agenti senolitici, in grado cioè di eliminare le cellule senescenti. La ricerca condotta è stata finanziata dal Ministero della Salute.