Sclerosi multipla, la speranza delle staminali cerebrali
Un trapianto di cellule staminali cerebrali umane potrebbe dare nuove speranze nell’affrontare la sclerosi multipla secondaria progressiva. L’annuncio arriva a pochi giorni dalla Giornata mondiale sulla Sclerosi Multipla, che si celebra il 30 maggio, e parte Pontificia Accademia per la Vita dello Stato Vaticano. Si è infatti conclusa la fase I di una sperimentazione che di fatto è un primo passo verso la creazione di un nuovo protocollo.
OLTRE IL COVID
Uno dei risultati più importanti è stato quello di riuscire a portare avanti questa sperimentazione nonostante il Covid. Tutto è iniziato a gennaio 2018 con il ricovero del primo paziente, l’ultimo paziente è stato invece trattato il 20 maggio 2020. Si punta, come detto, alla creazione di un protocollo per trattare i pazienti con sclerosi multipla grazie ad un trapianto di cellule staminali cerebrali umane di grado clinico. Scopo del trial è verificare la sicurezza del trattamento e le possibili azioni neurologiche. I quindici pazienti previsti nel protocollo sono stati suddivisi in quattro gruppi e trapiantati con dosi crescenti di cellule, gli ultimi sei hanno ricevuto il dosaggio più elevato (24 milioni di cellule).
ECCELLENZA ITALIANA
Le cellule staminali usate in questo studio, sottolineano dalla Pontificia Accademia per la Vita sono scevre da qualsivoglia problematica etica legata alla loro origine, poiché derivate da gestazioni che si sono interrotte per cause naturali e prelevate attraverso biopsia cerebrale, in accordo alle stesse regole che disciplinano la donazione degli organi. La tecnica, per l’isolamento delle cellule staminali cerebrali umane è estremamente complessa e tutta italiana e permette di ottenere da un frammento di tessuto cerebrale una quantità pressoché illimitata di queste preziose cellule, sempre uguali negli anni per qualità e proprietà. È questo l’unico esempio al mondo di cellule staminali che sono divenute un vero e proprio farmaco cellulare stabile, riproducibile e con un comportamento prevedibile, che quindi permette interventi clinici che non sono possibili con cellule sempre diverse perché ogni volta isolate da diversi donatori – peraltro da materiale da aborto procurato – e quindi potenzialmente differenti nelle loro azioni biologiche e terapeutiche. La speranza è che risultati possano portare presto a nuovi scenari di cura per una malattia progressiva e molto invalidante.