Fumo e inquinanti modificano geni per oltre 30 anni
Il fumo lascia segni genetici anche decenni dopo l’ultima sigaretta. È il risultato di uno studio condotto da ricercatori della Harvard School of Public Health e pubblicato sul Journal of Cardiovascular Genetics. Secondo questa ricerca, i marcatori epigenetici, veri e propri “interruttori” dei geni, non tornano mai più alle condizioni precedenti, nemmeno dopo 30 anni dalla cessazione del fumo.
Gli effetti dannosi del fumo si riflettono così a lungo termine sulla salute, contribuendo all’insorgenza di malattie cardiovascolari anche negli ex fumatori. Questo studio, presentato di recente alla prima conferenza internazionale di medicina ambientale, organizzata dalla Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA) presso l’Università Gabriele D’Annunzio di Chieti-Pescara, fa luce sui danni epigenetici legati al tabacco.
Il rischio di infarti e ictus resta elevato anche decenni dopo l’ultima sigaretta. I marcatori genetici che regolano l’espressione dei geni non tornano alla normalità. Questo significa che le cellule conservano memoria del danno, e ciò può tradursi in un aumentato rischio di malattie gravi, soprattutto cardiovascolari. La ricerca, durata 30 anni, ha coinvolto migliaia di persone e ha dimostrato come il fumo agisca sui geni in modo permanente, con conseguenze anche a lungo termine.
Gli inquinanti ambientali modificano il DNA prima della nascita
Non solo il fumo. Anche l’inquinamento ambientale incide in modo rilevante sul patrimonio genetico. Studi condotti su placente umane, come ha spiegato Liborio Stuppia, rettore dell’Università di Chieti e esperto di epigenetica, mostrano alterazioni genetiche differenti a seconda della tipologia di inquinanti presenti nelle città.
Sia le emissioni da traffico che quelle industriali, come quelle delle acciaierie, lasciano segni indelebili sui geni del nascituro già nel grembo materno. Questi cambiamenti genetici sono stati collegati all’aumento globale di malattie come l’obesità e il calo della fertilità. Le continue interazioni tra i contaminanti ambientali – metalli pesanti, bisfenolo, microplastiche – e il DNA umano cominciano già durante la gravidanza o addirittura prima, nelle cellule germinali dei futuri genitori.
Asma, diabete e il peso dei metalli pesanti
Gli inquinanti ambientali non si limitano a modificare i geni. Tra gli effetti più rilevanti ci sono i 3,5 milioni di casi di asma che, secondo il professor Prisco Piscitelli, vicepresidente di SIMA, sono causati dall’esposizione agli interferenti endocrini. Il problema non riguarda solo l’asma: anche il diabete è in aumento. Le previsioni parlano di una crescita esponenziale. Dai 463 milioni di diabetici oggi, si passerà a 578 milioni nel 2030 e a 700 milioni nel 2050, un incremento del 51%. Numeri allarmanti, che rendono chiaro il peso dell’inquinamento sui sistemi sanitari.
Tra i principali responsabili di queste modifiche genetiche ci sono i metalli pesanti. Piombo, mercurio, cadmio e altri inquinanti derivati da pesticidi e polveri sottili, soprattutto provenienti dal traffico urbano e dall’industria, giocano un ruolo determinante nell’aumento di malattie croniche. Il legame tra esposizione a questi agenti tossici e il rischio di cancro, malattie cardiovascolari e neurodegenerative è ormai noto. Le città più industrializzate, in particolare, vedono un’impennata di questi rischi.
Un cambio di rotta: prevenzione primaria
Il presidente di SIMA, Alessandro Miani, durante la conferenza dal titolo “Minacce ambientali alla salute umana: dalla genetica all’epigenetica”, ha lanciato un appello alla comunità scientifica. Le evidenze scientifiche spingono verso una nuova visione della medicina, che deve puntare alla prevenzione primaria. Non si tratta solo di curare le malattie, ma di eliminare o ridurre il più possibile le cause ambientali che le scatenano. Miani ha sottolineato come l’attenzione deve spostarsi dai sintomi alle cause, soprattutto nelle malattie pediatriche, in cui il ruolo degli inquinanti ambientali è sempre più evidente.