Chiazze rosso-violacee sulla pelle e sulle mucose, una forte anemia e un calo vertiginoso delle piastrine. Il più delle volte anche sintomi neurologici, cardiaci e renali correlati ad un’ischemia. È la firma, spesso molto difficile da individuare, di una malattia ultra-rara (l’incidenza è di 1-6 casi su un milione ogni anno) chiamata porpora trombotica trombocitopenica PTT, o anche sindrome di Moschcowitz. «La forma acquista riguarda il 95% dei pazienti, solo il 5% restante manifesta una forma ereditaria», spiega Mariano Carafa, direttore dell’U.O.C. di Medicina Interna del Dipartimento Emergenza e Accettazione del Cardarelli di Napoli.
Anticorpi fuori controllo
«Si tratta di una malattia autoimmune che favorisce la formazione incontrollata di trombi nel microcircolo e colpisce prevalentemente le donne giovani, l’età media alla diagnosi è di circa 40 anni». Ma cos’è che innesca questa malattia? Il dottor Carafa spiega che all’origine della patologia c’è un’alterazione del sistema immunitario. Il paziente produce anticorpi che attaccano l’enzima ADAMTS13 e inibiscono così la sua capacità di tagliare una macromolecola, il fattore di von Willembrand, rendendola inadatta a fissare le piastrine circolanti per formare il trombo piastrinico. «Semplificando – dice Carafa – si formano dei trombi che ostruiscono i piccoli vasi del microcircolo che irrorano i diversi organi. Questo porta a condizioni quali trombocitopenia grave e anemia emolitica microangiopatica (distruzione meccanica dei globuli rossi). Nei casi più gravi a conseguenze che spesso si rivelano fatali, quali insufficienza renale, ictus o infarto».
Patologia tempo-dipendente
Ecco perché è fondamentale, Carafa lo ribadisce più volte che si tratta di una patologia tempo-dipendente, riuscire a diagnosticare la malattia nelle sue fasi iniziali. L’Azienda Ospedaliera Cardarelli di Napoli affronta la questione a partire dal Pronto soccorso. Grazie ad un PDTA specifico, i pazienti che arrivano in Ps con una diagnosi, o quelli per i quali si ha un sospetto diagnostico, vengono trasferiti in reparto dove sono trattenuti sino a che le condizioni sono ormai stabili. «Affrontiamo la malattia con tre linee d’attacco: immunosoppressione a base di cortisone, plasmaferesPi (sostituzione del plasma del paziente con quello di soggetto sano) e terapia con anticorpi monoclonali».
Cambio di paradigma
Ed è proprio quest’ultima la novità che ha cambiato il paradigma della malattia: ora è possibile mettere in sicurezza il paziente in tempi molto rapidi somministrando una molecola che consente a immunosoppressori e plasmaferesi di agire. L’anticorpo monoclonale impedisce che le piastrine aderiscano ai recettori del fattore di von Willembrand e quindi evita la formazione e l’accumulo dei micro-coaguli nel microcircolo. Una volta stabilizzato, il paziente è affidato al setting ambulatoriale ematologico, dove si prosegue la terapia sia immunosoppressiva con l’anticorpo monoclonale fino ad una decisa remissione con il ripristino dell’attività fisiologica dell’ADAMTS 13.
Arrivare ad una diagnosi
Breve parentesi, nella gestione successiva al ricovero resta da affrontare in Campania il tema di un esame necessario alla verifica dell’attività dell’enzima ADAMTS13, esame che a quanto pare non sempre è possibile eseguire nel pubblico o in regime di convenzione. Al di là di questo, resta un fattore critico la capacità stessa dei clinici, in particolare nelle piccole strutture periferiche che non sempre possono contare su un reparto di Ematologia, di individuare i segnali della malattia. «Ogni paziente con PTT acquisita è diverso e può manifestare una vasta gamma di sintomi, non specifici e non chiaramente indicativi di una forma di microangiopatia trombotica», chiarisce Carafa.
Indicatori di malattia
«Anche le alterazioni di laboratorio sono varie e per molti versi non specifiche (anemia, piastrinopenia, aumento LDH, aumento creatinina). Nel corso della vita gli episodi di PTT possono essere singoli oppure ripetuti: circa il 30-35% dei pazienti sperimenta nuovi episodi, che possono verificarsi anche dopo anni dall’evento precedente. Il nostro obiettivo è, e deve sempre essere, quello di individuare la malattia precocemente, solo così si può evitare che si producano dei danni che altrimenti diventano irreversibili».
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Articolo pubblicato su IL MATTINO il giorno 14 luglio 2024 a Firma di Marcella Travazza con la collaborazione del network editoriale PreSa – Prevenzione Salute