La salute nasce a tavola e il rischio di diete sbagliate incide sulla spesa sanitaria generando una contrazione del PIL europeo del 33%. Questo dato emerge dallo studio della Fondazione Aletheia “Malattie, cibo e salute”, realizzato con il patrocinio del ministero della salute.
Diete sbagliate pesano sulle tasche degli italiani
Diete e modelli nutrizionali errati costano a ogni italiano circa trecento euro in più̀ all’anno e incidono sulla probabilità̀ di insorgenza di malattie determinando un duplice rischio: in termini di impatto sulla salute e, più̀ in generale, incrementando i costi economico- sociali.
Le evidenze di questa correlazione sono state presentate di recente dalla Fondazione Aletheia – primo think thank scientifico italiano – con il patrocinio e nelle sedi del Ministero della Salute alla presenza del Ministro Orazio Schillaci. “Malattie, Cibo e Salute” è il titolo del rapporto illustrato dal Comitato Scientifico della Fondazione, presieduta da Stefano Lucchini e diretta da Riccardo Fargione, con il coordinamento delle attività̀ scientifiche del professore Antonio Gasbarrini, Preside della Facoltà̀ di Medicina e chirurgia dell’Università̀ Cattolica del Sacro Cuore.
Nonostante l’Italia presenti valori migliori per quanto riguarda il tasso di obesità (tra le principali malattie correlate agli stili nutrizionali errati incardinati spesso su prodotti cosiddetti ultra-processati con l’aggiunta di una molteplicità di additivi chimici) nel 2023 l’eccesso di peso ha interessato il 46,4% della popolazione di maggiore età̀, rilevando una crescita nell’ultimo ventennio dell’7,1% delle persone in sovrappeso e del 36,4% di quelle affette da obesità. A questo si aggiunge anche un aumento dell’incidenza di diabete che passa dal 6,3% nel 2021 al 6,6% nel 2022 con una crescita negli ultimi venti anni del 65%.
Il prezzo delle diete dannose, compresi costi economici e sociali
I costi sanitari legati a queste malattie comportano oggi – secondo quanto rilevato dal rapporto – una contrazione annua del Pil europeo del 3,3%. Entrando nel dettaglio, l’incremento del sovrappeso legato a stili nutrizionali errati rappresenta il 9% della spesa sanitaria nazionale e ad ogni italiano costa un’extra “tassa” annuale di 289 euro.
In tal senso la dieta mediterranea, iscritta nella lista del patrimonio culturale immateriale dell’Unesco ingloba ed esprime differenti valori di contrasto a questo fenomeno.
“La Dieta Mediterranea – ha specificato il prof. Claudio Franceschi (professore emerito di immunologia all’Università̀ di Bologna, tra gli autori della ricerca) – rappresenta indiscutibilmente un elemento cardine per la salute dei cittadini poiché́ ha una serie di effetti favorevoli sulla composizione corporea, lo stato infiammatorio cronico caratteristico dell’invecchiamento (“inflammaging”) ed anche su tutta una serie di parametri cognitivi”.
Da qui, dunque, i rischi di consumi elevati di cibi ultra-processati. Il rapporto evidenzia, infatti, come una riduzione del 20% delle calorie assunte da alimenti ad alto contenuto di zucchero, sale e grassi saturi potrebbe prevenire in Italia 688mila malattie croniche entro il 2050 e far risparmiare 278 milioni di euro l’anno di spesa sanitaria: circa 7 miliardi nei prossimi 25 anni.
Rendere il cittadino informato
“L’evento – spiega Riccardo Fargione, Direttore di Aletheia – consolida un percorso avviato con il Ministero della Salute. Assistiamo spesso a disinformazione e strumentalizzazioni che spingono verso modelli di consumo dannosi per i cittadini. Non possiamo permetterlo in una Paese, come l’Italia, che vanta una cultura ed un patrimonio enogastronomico di assoluta eccellenza. Ma non possiamo permetterlo neanche a livello globale, per il bene dei cittadini e dei nostri figli. Ed è per questo che con la Fondazione Aletheia ci siamo dotati di un team di medici e scienziati di altissimo profilo per provare a scardinare falsi miti e mettere ordine su un tema delicatissimo”.
La ricerca focalizza inoltre la garanzia del controllo di qualità̀ dei prodotti assunti sia in termini di composizione nutrizionale sia sotto l’aspetto della sicurezza alimentare. I prodotti italiani risultano infatti i più controllati dalle autorità̀ europee (oltre 11,3mila campioni analizzati), seguono quelli francesi (circa 10mila) e tedeschi (poco meno di 8,7 mila). Nel confronto circa il 10,3% dei campioni di origine extra Ue ha registrato livelli di contaminazione da fitofarmaci superiori ai limiti di legge, ben 5 volte superiore a quelli di origine Ue (2%).