Tempo di lettura: 2 minutiLe epidemie di tubercolosi nel mondo sono più gravi di quello che sembra. Lo scrive il The Guardian, riportando i dati del nuovo rapporto dell’Organizzazione mondiale della sanità. Nel 2015, secondo l’Oms, 104,4 milioni di persone sono state infettate, in un momento in cui la ricerca di un vaccino non riceve abbastanza finanziamenti. Solo in India il numero di nuovi contagi è salito dai 2,2 milioni di casi del 2014 a 2,8 milioni nel 2015. Nel rapporto annuale sulla Tbc si legge che sei paesi da soli ospitano il 60% dei casi: si tratta di India, che porta il peso maggiore, Indonesia, Cina, Nigeria, Pakistan e Sud Africa.
In Italia i casi notificati nel 2015 sono 3.769 (oltre 10 al giorno), 120 di Tbc multiresistente. Il 50 per cento dei pazienti è italiano, in gran parte anziani, e il 50 per cento straniero. Le stime sulla mortalità nel nostro Paese parlano di oltre 350 decessi all’anno, uno al giorno.
La malattia, quindi, è ancora diffusa e mortale: sono state 1,8 milioni le vittime nel mondo lo scorso anno, 400 mila dei quali avevano l’Hiv, mentre si stima che 3 milioni di persone siano state salvate. Il dato preoccupante è che dei 10,4 milioni di casi stimati (5,9 milioni tra gli uomini, 3,5 milioni tra le donne e 1 milione tra i bambini), solo 6,1 milioni hanno ricevuto una diagnosi, mentre il tasso di cura per le forme resistenti è fermo al 52%. In altre parole: piu’ di 4 milioni di persone nel mondo sono malati ma non lo sanno.
Entro il 2030, l’obiettivo della comunità internazionale è di ridurre del 90 per cento il numero dei morti. “Siamo di fronte a una battaglia in salita per raggiungere gli obiettivi globali contro la tubercolosi”, ha detto Margaret Chan, Direttore Generale dell’Oms. “Ci deve essere una pianificazione massiccia di sforzi, o molti paesi continueranno a subire gli effetti di questa epidemia mortale”. La tbc, malgrado le sue vittime siano scese del 22% in 15 anni, rimane una delle prime 10 casi di morte nel mondo, piu’ di Aids e malaria.
Sul fronte degli investimenti c’e’ da fare di più, avverte l’Oms: i paesi colpiti sono quelli a medio e basso reddito e i fondi complessivi stanziati per combattere la tubercolosi ammontano a neanche 2 miliardi di dollari (la stima della quota minima necessaria e’ pari a 8,3 miliardi). Circa il 84% dei finanziamenti disponibili nei paesi a basso e medio reddito nel 2016 proviene da fonti nazionali, ma questo dato riguarda solo i cosiddetti BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa), mentre gli altri, piu’ poveri, continuano ad affidarsi prevalentemente al finanziamento internazionale dei donatori, in particolare (per il 75%) dal Fondo globale contro Aids, tbc e malaria. Per l’Oms servirebbe anche un extra di almeno un miliardo di dollari l’anno per accelerare lo sviluppo di vaccini, diagnostica e farmaci. “Le risorse impiegate contro la tubercolosi, il principale killer infettivo nel mondo, sono in calo”, ha ammonito Ariel Pablos-Me’ndez, amministratore assistente per Global Health,dell’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID) – il principale finanziatore bilaterale per la lotta alla tbc. “Ognuno ha un ruolo da svolgere per colmare il divario. Abbiamo bisogno di una copertura sanitaria universale, meccanismi di protezione sociale, e il finanziamento della salute pubblica nei paesi ad alta incidenza”.
Virus dell’influenza: previsti 7 milioni di casi. I sintomi
Associazioni pazienti, News Presa, PrevenzioneL’influenza, secondo le previsioni, metterà a letto sette milioni di italiani, due in più dell’anno scorso. Da pochi giorni fino ad aprile 2017 andrà avanti il protocollo di monitoraggio InfluNet, gestito dall’Istituto Superiore di Sanità, per raccogliere le segnalazione dei casi da parte di medici di famiglia e pediatri. Secondo gli esperti, mentre la scorsa stagione l’influenza è stata relativamente lieve e solo l’ 8% della popolazione ha contratto l’infezione, quest’anno sarà più severa. Secondo gli infettivologj dell’Amcli – Associazione microbiologi clinici italiani – i due virus (A/Hong Kong e B/Brisbane) hanno subito mutazioni rispetto ai ceppi che circolavano l’anno scorso e l’immunità nei loro confronti è bassa.
I sintomi saranno i più comuni: infezioni alla vie respiratorie, con tosse e mal di gola, febbre anche alta, mal di testa e dolori alla articolazioni. Ogni anno, secondo stime dell’Iss, l’influenza provoca la morte di ottomila persone, soprattutto anziani, per le complicazioni, come polmonite e broncopolmonite, insorte dopo aver contratto il virus. “Per questo – invita Tommasa Maio, responsabile area vaccini dell’associazione Medici di famiglia – quest’anno è più che mai necessario vaccinarsi per tempo, soprattutto se si appartiene a una categoria a rischio: ultrasessantacinquenni, diabetici, immunodepressi, cardiopatici, malati oncologici, donne al secondo e terzo trimestre di gravidanza, solo per citare quelle più numerose”.
Ma non c’é solo il virus influenzale: il fatto di essere vaccinati non esclude che nei mesi freddi si possa incorrere in infezioni respiratorie anche gravi in quanto altri agenti patogeni respiratori (virali e batterici) sono i responsabili di oltre il 30% degli eventi, soprattutto tra i bambini. Per la terapia dei pazienti e ai fini epidemiologici, auspicano i microbiologi, è importante che si arrivi alla precisione diagnostica che viene condotta nei laboratori di Microbiologia clinica. Da alcuni lavori di ricerca condotti presso le Microbiologie degli ospedali di Torino, Napoli, Milano, e Roma, che saranno presentati a Rimini in occasione del XLV Congresso nazionale Amcli in programma dal 6 al 9 novembre, emergono dati interessanti. Si conferma una notevole presenza di Virus respiratorio sinciziale nei bambini sotto i 5 anni (Milano e Roma); sono in crescita le infezioni causate da Metapneumovirus (Napoli); frequenti le confezioni con due virus diversi o con un virus e un batterio e purtroppo spesso ad un agente virale si associa Bordetella pertussis sia negli adulti che nei bambini (Torino, Napoli, Milano, e Roma).
“Questi studi confermano l’assoluta necessità di sottoporre a vaccinazione antipertosse i nostri bambini” ricorda Pierangelo Clerici presidente Amcli e direttore di Microbiologia dell’azienda sanitaria Ovest Milanese. “Per definire con precisione quale agente patogeno è il responsabile di una infezione respiratoria, è indispensabile ricorrere ai laboratori di microbiologia clinica che hanno a disposizione metodi sempre più accurati e a largo spettro per poter arrivare rapidamente ad una diagnosi. Una diagnosi etiologica accurata è importante non solo per la cura del paziente ma anche per sorvegliare la diffusione di questi agenti nel nostro Paese” conclude Clerici. “L’identificazione di Bordetella pertussis nei materiali di origine respiratoria prevenienti da pazienti con gravi infezioni respiratorie, che era rarissima fino a non molti anni fa, sta aumentando esponenzialmente. Si tratta di una diagnosi da fare con la massima urgenza, soprattutto se sono coinvolti bambini piccoli, per permettere la corretta terapia farmacologica” ha spiegato Tiziana Lazzarotto, docente di microbiologa a Bologna e componente del Direttivo Amcli.
Italia: 500 milioni destinati ai nuovi farmaci anti-cancro
Associazioni pazienti, Economia sanitaria, News Presa, Ricerca innovazioneCinquecento milioni di euro saranno destinati ai farmaci innovativi per la cura del cancro. Si tratta, in particolare, di 7 nuovi farmaci che verranno introdotti sul mercato nell’ambito di un fondo ad hoc istituito dal governo. Le nuove terapie contro i tumori stanno cambiando la storia di molte neoplasie, garantendo ai pazienti la guarigione o sopravvivenze a lungo termine. “Si tratta di una scelta importante nella lotta contro i tumori, per dare risposte immediate e garantire l’acceso ai migliori trattamenti per i tutti nostri pazienti – spiega Carmine Pinto, presidente nazionale Aiom (Associazione italiana di oncologia medica). Il commento arriva dopo l’annuncio del governo non solo di aumentare con la prossima Legge di Bilancio lo stanziamento del Fondo Sanitario Nazionale da 111 a 113 miliardi di euro, ma di vincolarne una parte, 500 milioni, alle cure anticancro.
“Da tempo – spiega Pinto – la nostra associazione sostiene con forza la necessità di individuare risorse dedicate per garantire a tutti i pazienti oncologici l’accesso alle molecole per cui è riconosciuto il carattere di ‘innovatività’. Armi efficaci, come la chemioterapia più attiva e meglio tollerata, le terapie a bersaglio molecolare e ora l’innovazione nel campo dell’immuno-oncologia determinano un allungamento della sopravvivenza con una buona qualità di vita”.
Negli ultimi mesi la proposta di finanziare le terapie innovative era stata accolta in modo positivo da Aifa (Agenzia italiana del farmaco), dai rappresentati delle istituzioni alle associazioni dei pazienti, fino al ministro della Salute. Un progetto che si inserisce nel ‘Patto contro il cancro’, un’alleanza tra oncologi, governo e istituzioni, capace di mobilitare risorse e di dare una risposta concreta alle richieste dei pazienti, sul modello di programmi già lanciati negli Stati Uniti.
“Nel 2016 nel nostro Paese sono stimate complessivamente più di 365.000 nuove diagnosi. Il ‘Patto contro il cancro’ costituirebbe in sanità pubblica la risposta politica alla sfida del secolo: curare i malati di tumore garantendo loro l’assistenza e le cure migliori, in un’unica strategia dalla ricerca, alla prevenzione primaria, alla diagnosi precoce fino alle fasi terminali di malattia – conclude Pinto – . Un’unica regia contro il cancro. Nel 2015 il Presidente Barack Obama ha lanciato la ‘Precision Medicine Initiative’, che vede al centro l’Oncologia, con un finanziamento di 215 milioni di dollari per il 2016. A giugno2016 il vicepresidente Joe Biden ha rilanciato con il progetto ‘Cancer Moonshot’ volto ad accelerare le ricerche in questo settore. Ora è tempo che anche il nostro Paese si impegni, per questo abbiamo chiesto un incontro al Premier Renzi per lo sviluppo di questo progetto”.
Per 6 donne italiane su 10 la vita peggiora dopo i 50 anni
Associazioni pazienti, News Presa, Prevenzione, Psicologia, SportI chili di troppo sono una delle conseguenze più temute della menopausa ma solo il 24% delle donne italiane afferma di praticare regolarmente sport. Mentre il 32% sostiene di seguire una dieta regolare ed equilibrata. Anche gli esami tipici di questa fase della vita non sempre vengono scrupolosamente eseguiti. Una donna su tre non controlla annualmente la pressione arteriosa e il livello di colesterolo nel sangue. Il 29% non svolge ogni 24 mesi la mammografia per la diagnosi precoce del tumore del seno.
Insomma, la menopausa per molte italiane e ancora considerata una fase negativa della vita.
Il numeri del recente sondaggio di SIGO parlano chiaro. Il 61% afferma di sentirsi peggio di prima della fine del ciclo mestruale. Il 76% lamenta un aumento di peso, il 68% presenta disturbi urinari, irritazione e secchezza vaginale. E il 31% soffre di sbalzi d’umore. Oltre il 50% delle donne non sa che aumenta il rischio oncologico e cardiovascolare. Otto su dieci però vorrebbero ricevere maggiori informazioni su prevenzione, pericoli per la salute e possibili terapie. Sono solo alcuni dei dati emersi dal sondaggio “Come Vivi la Menopausa” condotto dalla Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (SIGO) il mese scorso su 2.037 italiane d’età compresa tra i 40 e i 60 anni e presentato oggi nella penultima giornata del congresso della Società Scientifica dal titolo La Salute al Femminile tra Sostenibilità e Società Multietnica. “La menopausa non deve essere più considerata un periodo grigio e di decadenza – ha detto il prof. Paolo Scollo, Presidente Nazionale della SIGO – L’aspettativa di vita femminile è, infatti, di 84 anni nel nostro Paese. Significa che dopo la fine della fertilità una donna ha quasi 30 anni di vita attiva di fronte a sé e almeno 15 di vita sessuale. I disturbi legati ai cambiamenti psico-fisici sono spesso sottovalutati e ritenuti, in modo errato, inevitabili. Nella maggior parte dei casi invece basta correggere gli stili di vita per migliorare i sintomi e, quando serve, ricorrere alle terapie più innovative”. Riguardo agli obiettivi di SIGO, il prof. Enrico Vezza ha ribadito: “Vogliamo promuovere a livello nazionale una nuova cultura della prevenzione e combattere vecchi stereotipi”.
L’indagine fa parte della campagna Menopausa Meno…Male lanciata dalla SIGO con l’obiettivo di aiutare a vivere questa fase della vita con maggiore consapevolezza e serenità. Il progetto è stato realizzato grazie a un educational grant di MSD.
“La menopausa è ancora vissuta come un tabù ed è un argomento di cui si parla molto poco nel nostro Paese – ha spiegato il prof. Giovanni Scambia, Direttore del Dipartimento Tutela della Salute della Donna della Cattolica di Roma e Presidente del Congresso di Roma -. Appena il 31% delle italiane riesce a comunicare i suoi problemi, dubbi e ansie con il proprio marito o partner. Una su due preferisce confidarsi con amiche e parenti. Nelle prossime settimane distribuiremo in tutti gli ambulatori di ginecologia materiale informativo. Proseguiremo poi con altre iniziative nazionali per fornire a tutte le donne gli strumenti formativi e i rimedi più adatti a preservare il benessere psico-fisico anche dopo i 50 anni”.
HappyAgeing: accordo per favorire turismo over 65
Associazioni pazienti, Economia sanitaria, News Presa, PrevenzioneL’Unione Europea ha individuato cinque pilastri per l’invecchiamento attivo: alimentazione, stili di vita, consumo corretto di farmaci, campagne di screening e vaccinazioni. “Come HappyAgeing – sottolinea Marco Magheri, Direttore dell’Alleanza italiana per l’invecchiamento attivo – abbiamo ritenuto strategico aggiungere un sesto pilastro: contribuire a coltivare negli italiani over 65 e in tutti gli anziani nel mondo il valore della bellezza dello straordinario complesso di opportunità culturali, naturalistiche e di tradizioni di cui l’Italia è ricca”.
“La nostra mission è dare valore al tempo delle persone che, dopo aver lavorato per una vita, desiderano trovare nuovi stimoli culturali, di intrattenimento e di socialità” sottolinea Massimiliano Monti, Presidente di Happy Age ed unico rappresentante per l’Italia all’interno di EULSTIB – European Union Low Season Tourism Initiative Board, l’Ufficio composto da 15 massimi esperti europei di turismo senior, istituito nel 2014 presso la Commissione Europea.
Stando ai dati forniti da Eurostat, la sola Unione Europea conta attualmente più di 128 milioni di cittadini di età compresa tra i 55 e gli 80 anni, pari a circa il 25% della popolazione totale. In Italia i cittadini over 60 sono circa 16 milioni, con tendenza in crescita.
Ma non solo: i “nonni” d’Europa sono oggi sempre più social e digitali. Secondo un recente studio dell’Osservatorio del Politecnico di Milano, in Italia ben l’86% (pari a ca. 4 milioni) degli over 50 utilizza assiduamente i social network, con una particolare predilezione (88% del totale) per facebook.
“In tal senso – prosegue Monti – Happy Age si è sempre posta come pioniera nella battaglia contro gli stereotipi legati alle vecchie generazioni, anticipando i cambiamenti del mercato ed offrendo soluzioni innovative e dinamiche. Oggi gli over 65 chiedono prodotti e servizi rivolti alla nuova immagine di persone dinamiche, al passo con i tempi, attive”.
Da qui la volontà di avviare la collaborazione con HappyAgeing a sostegno dell’invecchiamento attivo. “Non è un caso – conclude Monti – che la Commissione Europea abbia deciso di abbassare a 55 anni l’età per l’ingresso ufficiale nella silver generation: oggi più che mai essere attempato non equivale ad essere vecchio. E i viaggiatori Happy Age sono l’emblema di come il viaggio, la scoperta, la conoscenza siano tanto strumenti per invecchiare attivamente, quanto obiettivi di chi è già anziano attivo”.
Happy Age ed HappyAgeing lavoreranno quindi congiuntamente allo sviluppo di progetti ed iniziative per fare dell’Italia “la migliore destinazione per i Senior” in Europa, giocando la carta della cultura, della buona tavola, dei servizi alla persona e di un territorio unico al mondo.
BaSCO, da Napoli l’unica speranza per un bimbo americano
News Presa, Ricerca innovazionePer il piccolo Mike (nome di fantasia) la speranza di vincere la malattia ha la luminosità del sole di Napoli. Il bimbo americano è affetto da una rarissima malattia genetica, chiamata adrenoleucodistrofia. Di questa malattia qualcuno ne avrà sentito parlare perché è la stessa trattata nel celebre film L’Olio di Lorenzo (del 1992 diretto da George Miller con Nick Nolte e Susan Sarandon). Una malattia terribile, guaribile solo cellule staminali estratte da un cordone ombelicale compatibile. La cosa incredibile è che quel cordone i medici statunitensi lo hanno rintracciato a migliaia di chilometri di distanza, nella Banca del Sangue Cordonale dell’ospedale pediatrico Pausilipon di Napoli. Per i genitori del piccolo Mike la notizia è sembrata un miracolo, il cordone ombelicale (donato da una donna campana nel 2006) è stato già inviato negli Usa e grazie a un trasporto garantito alla temperatura di -186 gradi centigradi è arrivato intatto a destinazione.
Un database mondiale
A rendere possibile quello che potrebbe essere un miracolo per il piccolo bambino americano, è stata una specifica rete di comunicazione che consente di accedere a un corposo data-base dove sono state catalogate le caratteristiche genetiche di 13 milioni di donatori adulti e 6-700mila cordoni ombelicali.
La Banca del Sangue cordonale (BaSCO) del Pausilipon
E’ una struttura pubblica fondata nel 2003 e l’unica autorizzata dalla Regione Campania – convergono le donazioni provenienti da tutto il territorio regionale, che successivamente vengono messe a disposizione dei pazienti. Dal 2010 la BaSCO è inserita nel network nazionale composto dalle 18 banche cordonali pubbliche, istituito dal Centro Nazionale Trapianti e coordinato dal Registro italiano Ibmdr. Rappresenta l’interfaccia per la organizzazione mondiale Bmdw (Italian Bone Marrow Registry), che raccoglie più di 50 Registri nazionali i dati genetici necessari per la compatibilità di milioni di donatori e unità cordonali. La Banca del Cordone, dove sono conservate più di 2.500 unità di sangue di cordone, ha eseguito rilasci per pazienti sia italiani che esteri (Usa e Francia per esempio) affetti da patologie ematologiche e genetiche. Ad occuparsi delle analisi che consentono di estrapolare le caratteristiche delle cellule staminali è il Laboratorio di tipizzazione del Pausilipon, coordinato dalla dottoressa Caterina Fusco: «La donazione allogenica del cordone ombelicale – dice Caterina Fusco – è un gesto sicuro e gratuito, che non comporta alcun rischio per la mamma e per il bambino ma che può contribuire a salvare tante vite. È un gesto di grande solidarietà, – aggiunge la dottoressa – di crescita civile e di elevato valore sociale e tutti gli operatori dell’ospedale Pausilipon sono impegnati a sostenere il valore etico della donazione quale patrimonio collettivo irrinunciabile per la salute dei cittadini». Sono numerosi i rilasci di “staminali” eseguiti dall’ospedale napoletano: poche settimane fa, infatti, un altro cordone, raccolto e “crioconservato” dalla BaSCO, è stato inviato a un paziente francese
Settimana del Dietista, internauti pronti a sfidarsi a colpi di like
Alimentazione, News PresaFino a domenica 23 ottobre si celebra La Settimana del Dietista©, lo scopo è quello di favorire, attraverso manifestazioni e incontri con i cittadini, l’adozione di una corretta alimentazione e la tutela della salute nutrizionale. Non a caso l’appuntamento è promosso dall’Associazione Nazionale Dietisti. «Il 2016 – spiega Ersilia Troiano, presidente Andid – è l’anno internazionale dei legumi. Con le attività di quest’anno vogliamo favorire una maggiore consapevolezza del ruolo fondamentale che i legumi svolgono nell’ambito di una dieta sana e sostenibile». Tra i progetti premiati, sono in programma eventi in collaborazione con medici di medicina generale e pediatri di libera scelta, percorsi di valutazione nutrizionale e attività originali per richiamare all’attenzione ai propri stili di vita fasce giovani e giovanissime della popolazione.
La battaglia delle ricette
Ma la vera novità di quest’anno è una gara tra internauti a colpi di ricette in cui protagonisti principali sono fave, lupini, ceci, fagioli, lenticchie e piselli. In pieno stile web 2.0, l’iniziativa è gestita attraverso una pagina Facebook dedicata. Ogni giorno, per i sette giorni de “La Settimana del Dietista”, sarà eletta vincitrice la ricetta che riceverà il maggior numero di like e che avrà meglio celebrato i legumi, a disposizione per gli autori della ricette migliori, un consulto gratuito presso un dietista Andid, sul territorio nazionale. «Le ricette raccolte in tutta la settimana – continua la Troiano – saranno valutate successivamente da una commissione di qualità. Le migliori saranno raccolte in un pamphlet che sarà scaricabile gratuitamente on line con l’obiettivo di promuovere il binomio gusto e salute per garantire una sempre maggiore adesione a sane abitudini alimentari».
I dati dell’OMS
La Settimana del Dietista si inserisce in un contesto in cui gli interventi di prevenzione sono ritenuti, dalle politiche comunitarie, particolarmente strategici. Il Rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità mostra, infatti, che le patologie cardiovascolari, i tumori, le patologie respiratorie croniche ed il diabete, rappresentano circa il 75% delle cause di morte in Europa. In Italia, il 92% dei decessi totali sono riconducibili a patologie croniche non trasmissibili; le malattie cardiovascolari sono la prima causa di morte in assoluto (37%), seguite dai tumori (29%). Alla base della quasi totalità delle patologie croniche ci sono fattori di rischio modificabili, quali la scorretta alimentazione, la ridotta o mancata attività fisica, il fumo di tabacco ed il consumo di alcol. I fattori di rischio più fortemente correlati all’insorgenza delle patologie croniche non trasmissibili sono, quindi, legati allo stile di vita. Tali fattori sono modificabili grazie ad appropriati ed efficaci interventi di promozione della salute, finalizzati a rendere più consapevoli i cittadini delle proprie scelte di consumo e del proprio stile di vita. La prevenzione delle patologie croniche non trasmissibili rappresenta, quindi, un potente strumento per contribuire alla salute globale della popolazione e ridurre i costi sanitari e sociali per la collettività.
Batteria del cellulare scarica: provoca ansia a 9 su 10
News Presa, Prevenzione, PsicologiaL’azienda coreana LG l’ha definito «Low Battery Anxiety»: si tratta dell’ansia da batteria scarica, la “patologia” che interessa il 90 per cento degli utenti. Quando il livello della batteria del telefonino arriva sotto il 20 per cento scattano comportamenti poco razionali. Non bastava quindi la “cellulare-mania” (come è stata definita dagli psicologi), cioè la dipendenza di avere sempre lo sguardo sullo schermo in attesa della prossima notifica o messaggio di WhatsApp. A soffrire di ansia da batteria scarica sono 9 persone su 10 e colpisce soprattutto quando ci si trova lontani da una presa elettrica. In questi casi il 61 per cento spegne del tutto lo smartphone; il 60 per cento rifiuta chiamate o messaggi ai propri cari per non consumare la batteria e una persona su tre ha avuto litigi con i propri partner o colleghi di lavoro per questo motivo. Può portare persino i più timidi (46 per cento degli utenti secondo lo studio) a rivolgersi a perfetti sconosciuti per chiedere di poter fare una chiamata o mandare un messaggio. E c’è chi arriva a prendere “segretamente in prestito” il caricatore di qualcun altro.
Finché la tecnologia non inventerà una batteria che duri all’infinito, ci sono comunque alcuni accorgimenti che suggerisce LG per prolungarne la durata e diminuire il rischio disagio:
Se tutto questo non dovesse bastare e il telefonino arrivasse a spegnersi, allora si potranno riscoprire le relazioni face to face, tornando a guardare l’interlocutore negli occhi e non attraverso un dispositivo.
In particolare è importante capire se si è interessati da una dipendenza dal cellulare che va differenziata dall’uso e anche dall’abuso. In questi casi è opportuno tenere d’occhio la quantità giornaliera di tempo dedicato allo smartphone, incluso il semplice giocare con lo schermo. Il rischio di abuso cresce ancor di più in età adolescenziale.
Maura Manca, psicoterapeuta e presidente dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza mette in guardia i ragazzi, ma anche gli adulti, da alcuni comportamenti: “È importante che riflettiate su cosa possa generare in voi la batteria scarica, l’assenza della linea, il non poter usare il cellulare perché ormai è entrato talmente tanto nell’uso comune e quotidiano, ci affianca in tutte le nostre azioni, che non facciamo più caso a tutto questo”. La specialista fa una lista di atteggiamenti, e stati interni a cui bisogna fare particolare attenzione, tra cui:
“Ragazzi – conclude la psicologa –state attenti perché uno dei rischi principali in cui si può incorrere è che il mondo virtuale possa prendere il sopravvento sul mondo reale rischiando di rimanere incastrati nella Rete”.
BraDay, vite da “ricostruire”
News Presa, PrevenzioneMercoledì (19 ottobre) si celebra il BraDay, vale a dire la giornata internazionale per la consapevolezza sulla ricostruzione mammaria. Lo scopo di questa giornata è informare e far capire alle donne che hanno lottato o stano lottando contro il cancro al seno che oggi è possibili, anzi è un diritto, veder “ricostruita” la propria femminilità. Basti pensare che solo il 22% delle donne conosce la qualità dei risultati ottenibili mediante un intervento di ricostruzione del seno e solo il 19% delle donne comprendono che la tempestività del trattamento del cancro al seno e della loro decisione di sottoporsi alla ricostruzione ha un grande impatto sulle opzioni disponibili e sui risultati di queste operazioni. Tra le regioni più attente all’esigenza di informare c’è la Campania, Napoli in particolare grazie alla sensibilità del professo Francesco D’Andrea (direttore dell’Unità di Chirurgia Plastica della Federico II).
Visite gratuite alla Federico II
Proprio nel capoluogo partenopeo l’appuntamento con le visite mediche gratuite e l’informazione è per mercoledì 19 ottobre (dalle 9.00 alle 14.00) all’edificio 5 del Policlinico Federiciano.
Il professor Francesco D’Andrea
«Come direttore dell’Unità di Chirurgia Plastica – dice il professor Francesco D’Andrea – ho accolto favorevolmente l’iniziativa. Negli ultimi anni la ricostruzione della mammella è entrata a far parte a pieno titolo della cura del cancro al seno, la donna oltre che guarire può, anzi deve, riprendere una vita del tutto normale, praticare sport, mostrarsi in costume da bagno, sentendosi a proprio agio in ogni situazione, garantendo un senso di benessere dopo le durissime prove affrontate per combattere la malattia». La giornata sarà l’occasione per fornire un’adeguata informazione anche sulle nuove tecniche di cui si sente molto parlare, come il lipofilling (tecnica di trapianto di grasso corporeo), che si è mostrata molto efficace. Insomma un appuntamento da non mancare, perché oltre alla competenza di medici specializzati che effettueranno le visite al seno, lo screenig messo in campo, sarà veloce e senza liste di attesa, un male questo si, ancora “incurabile” della sanità pubblica.
Donne medico, in Campania sono costrette a scegliere tra lavoro e famiglia
News PresaSi parla molto di pari opportunità e di favorire l’inserimento lavorativo delle donne. Belle parole e tante buone intenzioni che troppo spesso non si traducono in fatti concreti. L’esempio, negativo, arriva dalla Campania e in particolare dal mondo della medicina. Stando ai dati emersi da uno studio del Gruppo Donne Anaao Campania, presentato nel corso del convegno dal titolo «Precarietà lavorativa: ipotesi di guida per la tutela dei diritti negati della donna lavoratrice», sono quasi 600 le donne medico che in regione sono costrette a vivere nel precariato e obbligate a scegliere tra carriera e lavoro. In altre parole, le donne che indossano il camice sono spesso costrette a scegliere tra il lavoro e la famiglia, e anche quando scelgono il lavoro vivono condizioni di forte disagio.
Donne medico. I dati
Scioccanti i dati emersi. L’indagine, svolta sulle donne medico e più in generale sulle donne che lavorano nel comparto della sanità (quindi anche biologhe, farmaciste, psicologhe e così via) ha censito ben 576 donne costrette a vivere di precariato. Un numero enorme se si considera che questa condizione riguarda in Campania il 47% circa del totale dei precari della sanità. «Dalle indagini condotte – spiega Marlene Giugliano, Responsabile del Gruppo Donne Anaao Campania – abbiamo scoperto che addirittura il 24% delle iscritte Anaao vive questa difficoltà e che l’85% delle intervistate riesce a malapena a conciliare lavoro e vita privata». Dramma nel dramma è che si parla di donne che in media hanno 50 anni e che non possono contare su alcun aiuto concreto da parte delle istituzioni pubbliche, tantomeno su un sistema di welfare che in Campania non prevede strutture idonee per le lavoratrici della sanità, quali ad esempi gli asili nido aziendali. Un tema molto caro al segretario regionale Anaao Bruno Zuccarelli. «Garantire pari opportunità alle donne – dice – è prima di tutto una questione di civiltà. La sanità campana purtroppo è strangolata da anni da tagli lineari e solo ora si inizia ad intravedere una via d’uscita. Per l’Anaao sostenere l’impegno e la professionalità dei medici è un impegno imprescindibile, ancor più quando questa professionalità è legata al contributo di valenti professioniste. Non è tollerabile che nel 2016 queste donne debbano ancora scegliere se seguire la passione per la professione medica o se costruire una famiglia».
Donne medico. Le azioni da mettere in campo
«Per far fronte a questa emergenza – dice la dottoressa Giugliano – è determinante arrivare al più presto allo sblocco del turnover e quindi alla stabilizzazione dei precari. Solo così si potrà adeguare le dotazioni organiche ai carichi di lavoro. E’ necessario anche garantire la sostituzione dei dirigenti durante il periodo di astensione obbligatoria per maternità o paternità (come avviene per gli insegnanti) e poi si dovrebbero applicare le norme già esistenti come la flessibilità oraria, tutoring ed accorpamento delle ore, adeguamento della normativa sul part-time. Per non parlare dell’esigenza di creare asili nido aziendali per consentire la conciliazione dei tempi casa lavoro».
Tubercolosi più diffusa del previsto. Oms: scorso anno 10,4 mln di casi
Economia sanitaria, Farmaceutica, News Presa, PrevenzioneLe epidemie di tubercolosi nel mondo sono più gravi di quello che sembra. Lo scrive il The Guardian, riportando i dati del nuovo rapporto dell’Organizzazione mondiale della sanità. Nel 2015, secondo l’Oms, 104,4 milioni di persone sono state infettate, in un momento in cui la ricerca di un vaccino non riceve abbastanza finanziamenti. Solo in India il numero di nuovi contagi è salito dai 2,2 milioni di casi del 2014 a 2,8 milioni nel 2015. Nel rapporto annuale sulla Tbc si legge che sei paesi da soli ospitano il 60% dei casi: si tratta di India, che porta il peso maggiore, Indonesia, Cina, Nigeria, Pakistan e Sud Africa.
In Italia i casi notificati nel 2015 sono 3.769 (oltre 10 al giorno), 120 di Tbc multiresistente. Il 50 per cento dei pazienti è italiano, in gran parte anziani, e il 50 per cento straniero. Le stime sulla mortalità nel nostro Paese parlano di oltre 350 decessi all’anno, uno al giorno.
La malattia, quindi, è ancora diffusa e mortale: sono state 1,8 milioni le vittime nel mondo lo scorso anno, 400 mila dei quali avevano l’Hiv, mentre si stima che 3 milioni di persone siano state salvate. Il dato preoccupante è che dei 10,4 milioni di casi stimati (5,9 milioni tra gli uomini, 3,5 milioni tra le donne e 1 milione tra i bambini), solo 6,1 milioni hanno ricevuto una diagnosi, mentre il tasso di cura per le forme resistenti è fermo al 52%. In altre parole: piu’ di 4 milioni di persone nel mondo sono malati ma non lo sanno.
Entro il 2030, l’obiettivo della comunità internazionale è di ridurre del 90 per cento il numero dei morti. “Siamo di fronte a una battaglia in salita per raggiungere gli obiettivi globali contro la tubercolosi”, ha detto Margaret Chan, Direttore Generale dell’Oms. “Ci deve essere una pianificazione massiccia di sforzi, o molti paesi continueranno a subire gli effetti di questa epidemia mortale”. La tbc, malgrado le sue vittime siano scese del 22% in 15 anni, rimane una delle prime 10 casi di morte nel mondo, piu’ di Aids e malaria.
Sul fronte degli investimenti c’e’ da fare di più, avverte l’Oms: i paesi colpiti sono quelli a medio e basso reddito e i fondi complessivi stanziati per combattere la tubercolosi ammontano a neanche 2 miliardi di dollari (la stima della quota minima necessaria e’ pari a 8,3 miliardi). Circa il 84% dei finanziamenti disponibili nei paesi a basso e medio reddito nel 2016 proviene da fonti nazionali, ma questo dato riguarda solo i cosiddetti BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa), mentre gli altri, piu’ poveri, continuano ad affidarsi prevalentemente al finanziamento internazionale dei donatori, in particolare (per il 75%) dal Fondo globale contro Aids, tbc e malaria. Per l’Oms servirebbe anche un extra di almeno un miliardo di dollari l’anno per accelerare lo sviluppo di vaccini, diagnostica e farmaci. “Le risorse impiegate contro la tubercolosi, il principale killer infettivo nel mondo, sono in calo”, ha ammonito Ariel Pablos-Me’ndez, amministratore assistente per Global Health,dell’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID) – il principale finanziatore bilaterale per la lotta alla tbc. “Ognuno ha un ruolo da svolgere per colmare il divario. Abbiamo bisogno di una copertura sanitaria universale, meccanismi di protezione sociale, e il finanziamento della salute pubblica nei paesi ad alta incidenza”.