Tempo di lettura: 5 minutiQuale destino per la sanità Campana? Se lo chiedono da tempo i sindacati medici e a quanto pare se lo chiedono ora anche i direttori generali di tutte le aziende sanitarie regionali. Il nodo della questione riguarda il commissariamento, e il lavoro dei commissari, che con anni di tagli alla spesa e blocco del turnover ha stremato le risorse (umane e strumentali) con pesantissime ricadute sul piano dell’assistenza. Se è vero che tutto è nato dall’incapacità della politica e della classe dirigente della Campania di contenere le spese del sistema sanitario regionale, arrivando ad un disavanzo da far accapponare la pelle, altrettanto vero è che il commissariamento sta assumendo le fattezze di una cura che rischia di far moire il paziente. Se il debito della sanità campana è il cancro da estirpare, il lavoro dei commissari inviati dal Governo sta diventando una chemioterapia tanto indiscriminata e insensata da risultare letale.
La querelle politica
Uno dei grandi nodi da affrontare è quello politico. Da un lato c’è il presidente della Regione Vincenzo De Luca che è ormai ai ferri corti con il ministro della Salute, dall’altro c’è un mandato politico di chi al momento decide cosa fare e cosa no che blocca ogni possibile ragionevole incontro. I commissari producono ogni giorno atti e decreti che non tengono conto delle situazioni reali nelle quali versa il sistema, la Regione chiede ai sui direttori di raggiungere risultati e obiettivi. Nel mezzo ci sono i direttori generali che cercano di tenere il passo, presi in mezzo tra l’incudine e il martello. Non meraviglia che a rompere questo eterno braccio di ferro siano stati proprio loro, i Dg. Nei giorni scorsi con una lettera al vetriolo i direttori generali, tutti uniti come non si era mai visto prima, hanno fatto sentire la loro voce. Una sorta di insurrezione generale contro i commissari. Chissà che ora non arrivi anche una sfiducia formale del lavoro dei commissari e magari ci si riesca a proiettare verso un nuovo capitolo della sanità, nell’interesse della salute dei cittadini.
La lettera aperta dei Dg
Egregio Direttore,
dicono i Commissari “La Campania è ospedalocentrica”. Siamo d’accordo ma cosa è cambiato dal 2009, quando iniziò il commissariamento della sanità campana da parte del governo?
“Sono necessarie le case della salute” dicono ancora i Commissari. È una diagnosi che in otto anni abbiamo ascoltato dai diversi commissari, senza che poi seguisse una cura. Spesso, poi ci hanno additato gli esempi delle regioni virtuose, come se non fossimo passati anche noi per qualche aula in Bocconi o non avessimo vissuto esperienze nelle regioni “virtuose”.
Gli otto anni di commissariamento hanno generato solo una riduzione di 15.000 (quindicimila!!) professionisti nel nostro sistema Sanitario Regionale, portandoci così facilmente ad una virtuosità finanziaria che ha causato un drastico calo della capacità di assistere i cittadini. Quello ottenuto è stato un puro “lifting” finanziario, realizzato a scapito della salute di milioni di campani. In questi anni, infatti, non si è mai intervenuti sui reali meccanismi di formazione della spesa.
Eppure al vertice della Sanità Campana, da otto anni, si sono succeduti superesperti nominati direttamente dal Ministero della Salute e dal Ministero dell’Economica.
Tant’è che la programmazione dal 2009 si fa producendo un valzer di piani ospedalieri e territoriali. Tutti inapplicati perché inapplicabili e nessuno realmente realizzato confrontandosi quotidianamente e concretamente con l’organizzazione della sanità regionale.
Le prove di ciò sono nei fatti. In ciascuna delle nostre Azienda Sanitarie e Ospedaliere, dopo anni di commissariamento, ci siamo ritrovati con specialisti ambulatoriali chiamati a eseguire interventi di alta specialità, infermieri costretti a fare il lavoro degli inesistenti Operatori Socio Sanitari e un’età media dei professionisti tra le più alte d’Italia.
Il piano ospedaliero 2016-2018, invece, varato con Decreto Commissariale a maggio del 2016 prevede la realizzazione in un anno e mezzo di interventi edilizi che – tra l’altro – dovrebbero garantire l’entrata in operatività di padiglioni da oltre 100 posti letto anche in aree dove non c’è la possibilità di costruire neppure una tettoia. Neanche le regioni più virtuose d’Italia potrebbero riuscire in quest’impresa. Il risultato è che la Campania continua ad avere l’indice di posti letto ospedalieri per abitante più basso in Italia.
Altrettanto vale per il piano territoriale 2016-2018, varato a settembre 2016 e da realizzarsi entro il 31 dicembre 2018. In questo caso si parla di Case della Salute, Unità complesse di Cure Primarie, Continuità assistenziale pediatrica, senza che vi sia la valutazione di quali risorse economiche, professionali e strutturali siano necessarie.
Sul fronte amministrativo, invece, abbiamo trovato gare sospese , appalti in proroga da decine di anni, figure contrattuali inesistenti che si perpetuano da un decennio, centri privati che lavorano tra continue incertezze normative.
In questo quadro, meno di sei mesi fa il Presidente De Luca si è assunto la diretta responsabilità di nominare nuovi Direttori Generali, mettendo fine alla lunga stagione dei commissari che ha interessato anche le singole aziende sanitarie e ospedaliere. Anche in questo caso gli effetti di questo lungo intermezzo di gestione ordinaria sono stati devastanti.
Ora i Commissari sostengono che la colpa di ciò sia nella mancata applicazione di taumaturgici decreti da parte della “Regione” e quindi, in buona parte, dai Direttori Generali. Forse qualcuno dimentica che, nelle regioni “virtuose” i decreti non sono esercizi tipografici calati da segrete stanze senza consultare le direzioni generali sulle specificità dei territori. Il piano territoriale, ad esempio, di recente pubblicazione, non ha visto la partecipazione di nessun direttore di azienda sanitaria locale.
L’elenco potrebbe continuare. La sanità non funziona per magia, perché qualcuno scrive un improbabile rifacimento di ricette che altrove hanno funzionato. La sanità funziona se ci si confronta sui problemi, se si cercano soluzioni insieme, se si attivano concreti processi di rete.
La sanità non ha bisogno di forbiti burocrati, ma di indirizzi politici e di management. Ed è questa la linea del Presidente De Luca. Non è mai successo prima che un Governatore fosse tanto coinvolto dalle problematiche e dagli accadimenti in sanità. Ci incontriamo con cadenza al massimo bisettimanale per verificare senza sconti tutti gli accadimenti aziendali: dai profili economici, alla griglia LEA, ai livelli organizzativi, alle liste di attesa, al personale, alle apparecchiature. Analisi puntuali, precise e puntigliose che, siamo certi, alle prossime verifiche daranno risultati in controtendenza.
Perché, è utile ricordarlo, i parametri in cui la Regione Campania risulta non performante sono tutti riferibili a prima del nostro insediamento: nelle organizzazioni complesse l’inerzia degli effetti di quello che si fa, o che non si fa, si scarica nel lungo periodo, e la relativa analisi pertanto non si presta a fotografie che non incorporano il fattore tempo. Non tenerne conto, è segno di inadeguatezza o di sterile strumentalizzazione o, peggio, di scarica barile.
Noi siamo consapevoli delle nostre responsabilità e le assumiamo ogni giorno, mettendoci il cuore, il cervello, e la faccia. Così come il Presidente. Ci piacerebbe, che invece di pontificare su improbabili encicliche, così facessero tutti calandosi nella trincea del mondo reale, della sofferenza e dell’assistenza.
Elia Abbondante, Asl Napoli 1 Centro
Antonio d’Amore, Asl Napoli 2 Nord
Antonietta Costantino, Asl Napoli 3 Sud
Mario de Biasio, Asl Caserta
Maria Morgante, Asl Avellino
Antonio Giordano, Asl Salerno
Franklin Picker, Asl Benevento
Ciro Verdoliva, AORN A Cardarelli
Giuseppe Longo, AO Ospedali dei Colli
Anna Maria Minicucci, AO Santobono Pausilipon
Attilio Bianchi, IRCSS Fondazione G. Pascale
Angelo Percopo, AO Giuseppe Moscati
Nicola Cantone, AO Ruggi d’Aragona
Vincenzo Viggiani, Policlinico Federico II
Maurizio di Mauro, Policlinico Luigi Vanvitelli
Cancro, il mondo si mobilita: è il World Cancer Day
News Presa, PrevenzioneDomani in tutto il mondo ricorre la giornata contro il cancro.
Volti e messaggi si diffondono per spingere a riflettere su cosa ognuno di noi possa fare contro il cancro. Gli specialisti dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena e dell’Istituto Dermatologico San Gallicano hanno pensato di metterci la faccia e inviare messaggi alla popolazione per il World Cancer Day, suggerendo azioni comuni.
Il motto infatti della giornata è “Noi possiamo. Io posso”, non solo però il 4 febbraio….
Occorre chiedersi come ci si può impegnare in prima persona e tutti insieme per prevenire e curare il cancro e soprattutto contribuire alla riduzione dell’impatto globale prodotto dalla patologia sulla persona, la famiglia, la società ed il lavoro.
La giornata mondiale contro il cancro, istituita con la Carta di Parigi di cui l’Italia è firmataria e promossa dall’Union for International Cancer Control – UICC è proprio l’occasione per riflettere ed impegnarsi su stili di vita più salutari e ricordare a tutto il mondo che occorre sostenere la ricerca scientifica. Si può inoltre promuovere l’adesione a strategie di prevenzione, offrire supporto durante e dopo le terapie, promuovere azioni di sensibilizzazione e molto altro ancora.
I messaggi, racchiusi in 11 cartoline, dei ricercatori, oncologi e chirurghi dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena e dell’Istituto Dermatologico San Gallicano rispondono a una domanda precisa: cosa possiamo fare tutti noi? Infine invitano all’azione, utilizzando tutti gli strumenti in possesso per esplicitare al meglio i messaggi: condividendoli sui propri portali, blog, profili di pagine social, insieme all’hashtag #WorldCancerDay #WeCanICan #IFOrlove
Le 11 cartoline al completo
La scuola, un sistema di relazioni
Psicologiadi Giulia Liperini*
I cambiamenti e le trasformazioni della scuola hanno portato inevitabilmente alcune incertezze. Il cambiamento come “evento critico, inteso come un qualsiasi evento perturbante in grado di provocare un cambiamento nel sistema (Scabini, 1995).
La dottoressa Giulia Liperini
Ideare e condurre progetti nelle scuole è un intervento che dev’essere finalizzato a gestire le difficoltà che si sviluppano sia dentro sia fuori le aule. E’ senz’altro vero che fattori familiari o sociali influenzano il comportamento degli allievi (e dei docenti) a scuola e che i ragazzi “importano” nella classe regole di comportamento e abitudini apprese e vissute in famiglia (o nel quartiere, o nel gruppo). La scuola non è impermeabile a quanto succede nel contesto sociale a cui appartiene. Tuttavia docenti e specialisti che hanno il mandato di intervenire a scuola non hanno nessuna presa su questi fattori extra-scolastici.
Un intervento focalizzato esclusivamente su questi fattori può essere destinato a fallire. Da qui l’importanza di identificare i fattori contestuali legati alle dinamiche relazionali all’interno della classe: i soli sui quali le risorse e le competenze dei diversi attori del sistema scolastico (docenti, docenti di sostegno, allievi, direzione, ma anche specialisti chiamati a rinforzo) possono agire con efficacia.
La scuola resta il luogo di trasmissione di saperi e di valori, anche se tende a conservare la propria identità e le proprie caratteristiche nel tempo.
L’ottica sistemica
E’ uno strumento pertinente e utile in questo contesto, perché propone di riconsiderare un eventuale disagio scolastico secondo una diversa chiave di lettura. Il sistema scuola è molto complesso, l’approccio sistemico propone di passare da una definizione in termini parcellizzati: individuali, familiari, o socio-culturali, o in riferimento a cause generali situate all’esterno della scuola, ad una lettura delle condizioni legate a processi specifici di interazione. In particolare tra allievo e docente, o tra allievo e compagni di classe, o nel gruppo-classe preso nel suo insieme, o anche tra scuola e famiglia.
In quest’ottica, si passa quindi dalla ricerca di cause come la storia del ragazzo, la famiglia, l’ambiente di vita, all’identificazione e all’analisi dei processi interazionali e dei meccanismi in atto all’interno della classe o dell’istituto che possono favorire lo sviluppo di situazioni di malessere, o anche contribuire a renderle croniche.
Il processo educativo coinvolge direttamente o indirettamente più attori, lo studente si trova al centro di diversi agenti in rapporto asimmetrico, che può emergere tra la famiglia, la scuola (preside, docenti, personale ata, istituto), i servizi esterni (educatori socio-sanitari, psicoterapeuti, etc.) o anche amici e compagni. Assumere uno sguardo sistemico permette di inquadrare fenomeni dove le variabili sono sostanzialmente indefinite o indefinibili. Questo ci permette di sostenere che la teoria sistemica si presta ad affrontare tematiche complesse, come può essere quella dei sistemi educativi.
A questa inquadratura corrispondono modi di pensare e di agire che possono contribuire a realizzare lo “star bene a scuola”, vale a dire favorire condizioni relazionali che garantiscono un “benessere” sufficiente per docenti e allievi. Il benessere a scuola si costruisce a scuola.
L’importanza della “rete”
Un elemento di fondamentale importanza è quello di creare una rete; una rete dei servizi costruita sulle caratteristiche di ogni studente e sui bisogni della sua famiglia, perché la famiglia deve essere riconosciuta come interlocutore privilegiato. In conclusione, approcciarsi alla scuola secondo l’ottica sistemico-relazionale significa guardarla contemporaneamente sia come sovrasistema (apparato burocratico, differenze gerarchiche e generazionali), sia come sottosistema (la vasta rete di relazioni) nel quale ogni individuo (insegnante, allievo, genitore) è considerato come membro di uno o più sistemi di relazioni. In questi termini la scuola è un ambito in cui l’approccio sistemico relazionale può essere assunto come una chiave di lettura e di intervento non psicoterapeutico, ma come orientamento per l’operatività quotidiana (I.Genovesi, G.Liperini 2016).
*Socio ordinario della Società Italiana di Psicologia e Psicoterapia Relazionale
Antibiotici, OCSE lancia l’allarme : troppe prescrizioni inappropriate
News Presa, PrevenzioneI farmaci vanno assunti quando servono, altrimenti non aiutano a stare meglio. Secondo gli ultimi dati dell’Ocse, l’antibiotico potrebbe essere dannoso o inutile nel 50% dei casi; una volta su due, insomma, non farebbero bene. Le percentuali di prescrizioni inappropriate variano a seconda degli specialisti. Il più allarmante, con picchi del 90% di prescrizioni inadeguate, si riscontra nel caso dei medici di famiglia: sono questi ultimi i professionisti che secondo l’Ocse prescrivono, più spesso, e nel modo più inadeguato. L’Ocse evidenzia che l’inappropriatezza per la medicina generale va da un minimo del 45% fino a picchi del 90%.
Tra i rischi di questa tendenza, ci sono: da un lato i malati che assumono medicine inadeguate, dall’altro c’è un’intera popolazione che, negli anni, sta aumentando la resistenza agli antibiotici. Il rischio è serio: per alcune malattie, in futuro, potrebbero non esserci più le cure adeguate di cui disponiamo attualmente.
I numeri mettono in luce una situazione non omogenea in tutte le branche della Sanità. Ci sono, specialisti che sembrano fare un uso più accorto degli antibiotici, ed altri meno. L ‘uso più oculato di antibiotici è stato riscontrato tra i servizi di dialisi dove l’inappropriatezza varia tra il 12 e il 37%. A seguire, ci sono i pediatri : le prescrizioni risultano inadeguate tra il 4% ma con punte che sfiorano i 47 punti. Va peggio nei reparti di terapia intensiva, dove l’inapproriatezza varia tra il 14% ma può arrivare anche al 60%. Spostandosi verso gli ambulatori, lo stesso rischio aumenta: da un dato minimo del 10% si arriva anche ad indici di inappropriatezza del 70%. In generale, negli ospedali si va da un livello minimo del 14% ad un picco del 79%. I penultimi in classifica sono gli specialisti che lavorano nelle strutture di lungodegenza: si oscilla da un minimo del 21% di prescrizioni inutili ad un massimo del 73%.
Il rapporto dell’Ocse, si conclude con una riflessione sui rimedi: un consumo di antibiotici più razionale potrà essere ottenuto soltanto con interventi che mirino a modificare il comportamento delle singole persone. Medici e pazienti devono essere, quindi, educati alla gestione e all’uso appropriato di questi particolari medicinali. L’Ocse suggerisce di rendere obbligatorio l’uso di test diagnostici rapidi, perché una corretta diagnosi non lascia dubbi sull’antibiotico adeguato da prescrivere. La risposta a chi teme che questi test possano gravare sulla spesa sanitaria è che il numero di antibiotici prescritti diminuirebbe, facendo sì che il costo degli esami sia ammortizzato.
Piercing e tatuaggi, il Bambino Gesù detta le regole. E i consigli
News Presa, PrevenzionePiercing e tatuaggi sono un tema controverso per adolescenti e genitori. La moda del piercing coinvolge circa il 30% dei giovani europei. In Italia emerge che circa il 20,3% dei ragazzi di età compresa tra i 12 e i 18 anni ha applicato un piercing, con maggiore incidenza nel sesso femminile (Indagine Eurispes su 3800 ragazzi). I tatuaggi sono tornati di moda dopo essere stati dimenticati per un lungo periodo, ma ci sono molte cose da sapere. Il loro uso risale alla preistoria e accompagna la storia dell’uomo fin dalla civiltà egizia. Ma la scelta di tatuarsi o di applicare un piercing va affrontata con molta serietà per almeno due ragioni: perché il tatuaggio che facciamo oggi resterà dov’è e com’è per tutta la vita e perché sia piercing che tatuaggi comportano rischi, anche gravi, per la salute. A mettere in guardia sono gli esperti dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma forniscono indicazioni sul nuovo numero di “A scuola di salute”.
In particolare, con il tatuaggio e con il piercing si possono trasmettere infezioni batteriche della pelle che qualche volta possono entrare nel sangue e coinvolgere anche il cuore. Si possono trasmettere anche i virus dell’epatite B e C e, in misura minore, il virus dell’AIDS.
Un rischio aggiuntivo è rappresentato dalle reazioni allergiche agli inchiostri utilizzati per il tatuaggio e ai metalli del piercing. Particolarmente temibile è l’allergia al cosiddetto “hennè nero” ottenuto aggiungendo all’hennè un composto molto pericoloso, la parafenilendiamina (PPD). Il piercing può causare, oltre alle infezioni acute, anche anche infiammazione cronica che può favorire infezioni ricorrenti. La formazione di cicatrici o di cheloidi (lesioni cicatrizali, di dimensioni abnormi e sfiguranti) è un rischio concreto sia del tatuaggio che del piercing.
Le infezioni sono la complicazione più frequente sia del tatuaggio che del piercing. Ecco cosa bisogna controllare: l’ambiente deve avere le stesse caratteristiche igieniche dello studio del dentista.
– Il professionista deve lavarsi accuratamente le mani e indossare un paio di guanti di latice sterili (aperti di fronte a voi!).
– Aghi e tubi devono essere usa e getta oppure sterilizzati in autoclave, quindi in confezione sigillata, aperta di fronte a voi.
– L’inchiostro deve essere nuovo (non riutilizzato rimboccando la bottiglia).
– Se qualcosa non va o non convince, meglio salutare e cercare un professionista serio: ce ne sono molti.
A tatuaggio completato è necessario evitare il nuoto e i bagni con acqua calda o comunque prolungati per almeno qualche settimana.
Piercing e tatuaggi sono particolarmente pericolosi, quindi controindicati, nei portatori di vizi valvolari cardiaci, negli affetti da immunodeficit o patologie croniche, a chi assume farmaci antiaggreganti come l’aspirina, immunosoppressori o anticoagulanti, nei ragazzi con cheloidi e nelle donne in gravidanza
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E SE VOGLIAMO LIBERARCENE?
Più facile per il piercing, purché ci si faccia seguire da un dermatologo esperto per evitare cicatrici sfiguranti e per accelerare la chiusura del foro.
Ben più difficile per i tatuaggi. La tecnica che dà oggi i risultati migliori, nelle mani di un dermatologo esperto, è il laser che tuttavia può non essere in grado di rimuovere tutto il tatuaggio e può causare la formazione di croste che talvolta esitano in cicatrici permanenti (oltre ad essere molto costoso).
Altre tecniche come la dermoabrasione, l’asportazione chirurgica, talvolta con autotrapianto di pelle, la criochirurgia possono venir prese in considerazione da un dermatologo esperto ma spesso danno risultati meno soddisfacenti della tecnica laser e causano problemi estetici analoghi.
Diventare mamma, nonostante il cancro
News Presa, Ricerca innovazioneEssere madri nonostante un cancro. Oggi è possibile grazie a nuove terapie e farmaci a bersaglio molecolare. Il dubbio di molte donne è che la gravidanza possa aumentare il rischio che la malattia ritorni. Argomento del quale è bene parlare con il proprio oncologo. «Il modo migliore per fugare dubbi e timori – spiega Stefano Greggi, che assieme Fabio Ghezzi presiede il congresso della Società Italiana di Chirurgia Ginecologica in svolgimento a Napoli – è condividere con i medici (oncologo e ginecologo), possibilmente esperti nella gestione dei problemi di fertilità nelle pazienti oncologiche, il desiderio di avere un figlio dopo la guarigione. In questo modo sarà possibile ricevere informazioni corrette ed esaurienti per compiere scelte consapevoli, sicure ed efficaci».
La situazione
In Italia ogni anno oltre 60mila donne sono colpite da un tumore genitale o alla mammella. Il rischio per molte di loro è di non sentirsi più come prima, “normali”. Vivere una vita soddisfacente per molte donne significa anche avere dei bambini. Il carcinoma ovarico è il sesto tumore più diffuso tra le donne ed è il più grave con il 50 per cento di mortalità, rientrando tra le prime 5 cause di morte a causa di un cancro tra le donne di età compresa tra i 50 e i 69 anni. In Italia circa 37.000 donne convivono con questo tumore, ogni anno si diagnosticano 6.000 nuovi casi (10.2 casi per 100mila pazienti/anno) e, secondo il Registro tumori, il numero delle nuove diagnosi è in crescita. La ginecologia oncologica si occupa sempre più anche di chirurgia conservativa e ricostruttiva nel trattamento della patologia dell’apparato riproduttivo femminile e della mammella.
La stria di Rosalia
Rosalia ha 31 anni, ne aveva 25 quando le sono state asportate entrambe le ovaie e le tube. Si era da poco sposata quando il suo progetto di costruirsi una famiglia ha iniziato a frantumarsi. E invece oggi è mamma di Francesco, un meraviglioso bambino di 2 anni. «Nel 2013 – racconta Rosalia – quando la situazione si è stabilizzata mi sono rivolta al mio medico. Per farmi impiantare un ovulo sono andata a Siviglia. Il primo tentativo di inseminazione è fallito, al secondo sono rimasta incinta e da allora è iniziata per me una nuova vita».
La storia di Fulvia
Fulvia ha 43 anni e da 3 è mamma di Rita Letizia. Nel 2012, in seguito alla scoperta di un cancro, le è stato asportato una parte del collo dell’utero. Lei nemmeno ci pensava più ad avere un figlio e in verità non era nemmeno sposata. E invece, senza ricorrere ad alcuna inseminazione assistita, è rimasta incinta. «All’epoca avevo un compagno, ora vivo sola con Letizia che è diventata la mia grande ragione di vita e soprattutto la mia forza per andare avanti».
Cancro del polmone, una nuova cura meno tossica
Ricerca innovazionePer il cancro del polmone arriva un’importante conferma dalla 27sima “World Conference on Lung Cancer”. Durante la manifestazione dell’International Association for the Study of Lung Cancer tenutasi a Vienna sono stati presentati i dati del programma di studi clinici “Abound” sulla terapia per il trattamento del tumore del polmone non a piccole cellule. Un tumore che, semplificando, riguarda soprattutto i pazienti oltre i 70 anni. In particolare, i risultati emersi confermano la sicurezza, l’efficacia e la tollerabilità di quella che in gergo scientifico viene definita terapia di combinazione carboplatino con nab-paclitaxel.
Regressione in un paziente su tre
«Possiamo dire – spiega Cesare Gridelli, direttore del dipartimento di onco-ematologia del Moscati di Avellino – che i primi dati relativi all’attività antitumorale con questa terapia confermano la riduzione del tumore in un paziente su tre la buona tollerabilità del farmaco, la riduzione dei sintomi e il miglioramento della qualità di vita».
Minore tossicità
Intanto i dati riguardanti la sopravvivenza sono attesi entro la prima metà del 2017. Al momento è molto utile considerare che l’associazione del carboplatino con nab-paclitaxel ha dimostrato nella popolazione generale di avere la stessa efficacia ma una minore tossicità, soprattutto a livello del sistema nervoso e del midollo, rispetto alla combinazione tra carboplatino e taxolo. Questi dati di migliore tollerabilità e di conferma dell’attività vengono ribaditi anche nell’analisi del sottogruppo dei pazienti anziani. Anche se per dati più completi servirà ancora qualche tempo, già questa è una buona notizia per centinaia di pazienti anziani colpiti da questo tipo di carcinoma.
Sanità, l’Italia fanalino coda per la soddisfazione dei pazienti. Siamo al 22esimo posto in Ue
Economia sanitaria, News Presa, Prevenzione, Ricerca innovazioneL’Italia si conferma al 22° posto in Europa nell’ultima indagine annuale di Health Consumer Powerhouse che valuta i sistemi sanitari sulla base dei dati statistici sanitari ufficiali e del livello di soddisfazione dei cittadini. Il nostro sistema sanitario resta, dunque, al 22° posto in Europa anche nel 2016, seppur con un piccolo miglioramento nel punteggio rispetto all’anno scorso.
L’Euro Index Consumer Health 2016 (EHCI), pubblicato dalla Health Consumer Powerhouse, dal 2005 valuta i sistemi sanitari di 35 paesi del continente europeo ed è il risultato di un’analisi che in base a 48 indicatori suddivisi in 6 aree (Diritti dei pazienti e informazione, accesso alle cure, risultati trattamenti, gamma servizi,prevenzione e l’uso di prodotti farmaceutici) analizza i dati statistici sanitari ufficiali e il livello di soddisfazione dei pazienti.
La sanità europea è in costante miglioramento, secondo l’indice, su: mortalità infantile, tasso di sopravvivenza malattie cardiache, ictus e cancro. E dal rapporto emerge un potenziamento del coinvolgimento dei pazienti.
In troppi paesi, però, persistono le inefficienze. Nel rapporto si legge: “Se tutti copiassero i sistemi europei di maggior successo si potrebbero risparmiare risorse da investire per salvare vite umane e migliorare le prestazioni”.
Al top della classifica si trovano i Paesi Bassi(927) seguiti dalla Svizzera (904). Per la prima volta due paesi superano la soglia di eccellenza. Al terzo posto si trova la Norvegia (865) seguita da Belgio (860)e Islanda (854). Al sesto posto il Lussemburgo (851) che precede Germania (849) e Finlandia (842). La Francia è undicesima e il Regno Unito al quindicesimo posto.
L’Italia conferma la posizione del 2015, ma registra un lieve miglioramento di 15 punti (dai 667 del 2015 si è arrivati a 682 nel 2016).
“L’Italia – si legge nell’indagine – ha la più grande differenza riferita al pro capite tra le regioni di qualsiasi paese europeo. Il PIL della regione più povera è solo 1/3 di quello della Lombardia (la più ricca). Anche se in teoria l’intero sistema sanitario opera sotto un ministero centrale della salute, il punteggio dell’Italia è un mix tra il verde (livello alto) da Roma in su e il rosso (livello più basso) per le regioni meridionali e per questo su molti indicatori i punteggi sono gialli”.
“A dispetto di un miglioramento generale – rileva l’indagine – permane il divario tra i top performer (Nord Europa e Svizzera) e quelli meno sviluppati (Sud-Est europeo)”.
“L’Italia come la Spagna forniscono servizi di assistenza sanitaria di eccellenza in molti luoghi. Ma l’eccellenza reale nel sud europeo sembra essere un po’ troppo dipendente dalla capacità dei consumatori di permettersi la sanità privata come supplemento alla sanità pubblica. Inoltre, sia la Spagna e l’Italia mostrano grande variabilità regionale che tende a tradursi in molti punteggi gialli per questi paesi”.
“Anche se l’EHCI mostra progressi costanti nel settore sanitario europeo, molto di più deve essere fatto. I governi la smettano di voler reinventare la ruota e mutuino dai paesi migliori le best practice” sottolinea il professor Arne Björnberg, capo della ricerca EHCI.
La classifica EHCI dei servizi sanitari riporta anche una graduatoria in base all’efficienza economica evidenziando la relazione tra il denaro speso per l’assistenza pubblica e le prestazioni dei sistemi di assistenza sanitaria. Il sistema più efficiente è quello della Macedonia. Italia in zona retrocessione al 29° posto.
Sigarette, mai più fumo in auto. Dal 2 febbraio scatta la multa: 500 euro
News Presa, PrevenzioneArriva il divieto di fumo al volante, con multe fino a 500 euro. Ma in futuro le sigarette faranno scattare anche la sospensione della patente.
Dal 2 febbraio 2016, infatti, entrano ufficialmente in vigore i nuovi divieti sul fumo, frutto di un iter destinato a recepire quanto stabilito nella direttiva 2014/40/UE relativa alla lavorazione, alla presentazione e alla vendita dei prodotti del tabacco e dei prodotti correlati. L’art. 51 della legge 3/2003, destinato alla tutela della salute di non fumatori, prevede il divieto di fumare nei locali chiusi, ad accezione di quelli privati non aperti ad utenti o al pubblico e quelli riservati ai fumatori e come tali contrassegnati. Un divieto esteso in seguito anche alle aree all’aperto di pertinenza delle istituzioni del sistema educativo di istruzione e di formazione ed anche alle pertinenze esterne delle strutture universitarie ospedaliere, presidi ospedalieri e IRCCS pediatrici e alle pertinenze esterne dei reparti di ginecologia e ostetricia, neonatologia e pediatria delle strutture universitarie ospedaliere e dei presidi ospedalieri e degli IRCCS. Iniziative, queste, messe in atto per tutelare la salute dei cittadini (fumo passivo e incolumità sulle strade) e frutto di un naturale adeguamento alla normativa europea.
Nel mondo i fumatori sono circa 650 milioni. Secondo l’OMS, le sigarette sono “la prima causa al mondo di morte evitabile”. Ogni anno 5 milioni di persone in tutto il mondo muoiono per cancro, malattie cardiovascolari e respiratorie.
Tagli su braccia e gambe. Allarme giovani: 200 mila vittime del cutting
PsicologiaLe stime sono preoccupanti: in Italia sarebbero almeno 200mila i ragazzi che praticano il cutting, ossia hanno l’abitudine di praticarsi tagli sul corpo, soprattutto su braccia e gambe.
Di questi, molto pochi arrivano a chiedere aiuto: questo accade perché il ricorso a comportamenti automutilanti rappresenta l’estremo tentativo di rendere tangibili sensazioni ed emozioni indefinite e angoscianti.
Nell’impossibilità di trovare “le parole per dirlo”, il ricorso a un’azione concreta, ancorché dolorosa e incomprensibile per un osservatore esterno, è comunque preferibile all’angoscia di qualcosa che non si riesce a capire e nemmeno controllare.
Al dolore fisico, così ben identificabile e condivisibile, è riconosciuta una dignità che al dolore mentale è ancora negata, essendo questo troppo spesso associato ora alla debolezza, ora alla psicopatologia.
La sofferenza psichica, in vero, non si identifica necessariamente né nell’una né nell’altra cosa, ma nel vissuto comune persiste l’abitudine ad associarlo a imbarazzo e persino vergogna; qualcosa da respingere, nascondere e, se proprio non c’è altro da fare, da sostituire con un dolore fisico, afferrabile e controllabile.
Scrive Marilee Strong nel suo “Un urlo rosso sangue”: «[Tagliarsi] è un meccanismo per affrontare i problemi […]. Mi aiuta a gestire le forti emozioni che non so gestire».
Al contrario di quanto si possa credere, tagliarsi non ha nulla a che fare con il suicidio. In chi pratica il cutting la morte, nei rari casi in cui essa si verifica, è per lo più un incidente, dovuto a tagli involontariamente troppo profondi.
Il desiderio di chi si taglia è anzi opposto alla morte: è l’estremo tentativo di recuperare il controllo sulla propria vita.
Tagliarsi ha a che fare con il desiderio di liberarsi del dolore. Nell’impossibilità di farlo, si cerca almeno di trasformarlo nella forma di dolore più gestibile e controllabile. Così tutte quelle emozioni e angosce che non trovano forma a parole, trovano forma di ferita e in quanto tali sono persino medicabili, quasi curabili, almeno per un poco.
Gli adolescenti che si tagliano non sono necessariamente afflitti da qualche disturbo mentale, anzi questi sembrano essere una minoranza.
Il cutting, semmai, apre la strada ad altre forme disfunzionali e pericolose di gestione dei propri stati emotivi, come l’isolamento, la depressione, il cercare rifugio nell’uso di sostanze, avviando un circolo vizioso che si aggrava e cronicizza nel tempo.
Per questa ragione l’intervento precoce è fondamentale ed è importante che un genitore presti attenzione ad alcuni comportamenti dei propri figli, come l’indossare abiti inappropriati alla stagione, soprattutto in estate, il ritrovamento di macchie di sangue sui vestiti di cui non ci siano ragioni plausibili, il possesso di oggetti taglienti come temperini o coltellini, l’abitudine a isolarsi in casa, in particolar modo in bagno.
Soprattutto è importante che un genitore non reagisca giudicando oppure manifestando rabbia, paura o disgusto. E’ necessario che tenga a mente che, per quanto gli appaia incomprensibile, questo è l’unico modo che il figlio o la figlia hanno trovato per fronteggiare un periodo difficile.
Alternative più funzionali al ferirsi, naturalmente, esistono: ma la loro costruzione non è una ricetta preconfezionata e il loro utilizzo di certo non scontato o immediato.
Per questo la strada da intraprendere prevede che a mettersi in gioco sia tutta la famiglia e non solo chi è diventato portatore esplicito della sofferenza.
Lo psicologo può aiutare la famiglia a trovare le parole per il dolore del giovane sofferente e può aiutare la famiglia a proteggere chi è in un momento di fragilità dai fattori di rischio a cui è esposto e dal pericolo della cronicizzazione.
Un percorso familiare, soprattutto, mette tutta la famiglia in condizione di trovare nuove letture, nuovi equilibri e soprattutto una nuova resilienza per affrontare le sfide della vita.
Di Ada Moscarella, Psicologa e psicoterapeuta, Socio clinico SIPPR (Società Italiana di Psicologia e Psicoterapia Relazionale.
Se la Campania insorge contro i commissari
News PresaQuale destino per la sanità Campana? Se lo chiedono da tempo i sindacati medici e a quanto pare se lo chiedono ora anche i direttori generali di tutte le aziende sanitarie regionali. Il nodo della questione riguarda il commissariamento, e il lavoro dei commissari, che con anni di tagli alla spesa e blocco del turnover ha stremato le risorse (umane e strumentali) con pesantissime ricadute sul piano dell’assistenza. Se è vero che tutto è nato dall’incapacità della politica e della classe dirigente della Campania di contenere le spese del sistema sanitario regionale, arrivando ad un disavanzo da far accapponare la pelle, altrettanto vero è che il commissariamento sta assumendo le fattezze di una cura che rischia di far moire il paziente. Se il debito della sanità campana è il cancro da estirpare, il lavoro dei commissari inviati dal Governo sta diventando una chemioterapia tanto indiscriminata e insensata da risultare letale.
La querelle politica
Uno dei grandi nodi da affrontare è quello politico. Da un lato c’è il presidente della Regione Vincenzo De Luca che è ormai ai ferri corti con il ministro della Salute, dall’altro c’è un mandato politico di chi al momento decide cosa fare e cosa no che blocca ogni possibile ragionevole incontro. I commissari producono ogni giorno atti e decreti che non tengono conto delle situazioni reali nelle quali versa il sistema, la Regione chiede ai sui direttori di raggiungere risultati e obiettivi. Nel mezzo ci sono i direttori generali che cercano di tenere il passo, presi in mezzo tra l’incudine e il martello. Non meraviglia che a rompere questo eterno braccio di ferro siano stati proprio loro, i Dg. Nei giorni scorsi con una lettera al vetriolo i direttori generali, tutti uniti come non si era mai visto prima, hanno fatto sentire la loro voce. Una sorta di insurrezione generale contro i commissari. Chissà che ora non arrivi anche una sfiducia formale del lavoro dei commissari e magari ci si riesca a proiettare verso un nuovo capitolo della sanità, nell’interesse della salute dei cittadini.
La lettera aperta dei Dg
Egregio Direttore,
dicono i Commissari “La Campania è ospedalocentrica”. Siamo d’accordo ma cosa è cambiato dal 2009, quando iniziò il commissariamento della sanità campana da parte del governo?
“Sono necessarie le case della salute” dicono ancora i Commissari. È una diagnosi che in otto anni abbiamo ascoltato dai diversi commissari, senza che poi seguisse una cura. Spesso, poi ci hanno additato gli esempi delle regioni virtuose, come se non fossimo passati anche noi per qualche aula in Bocconi o non avessimo vissuto esperienze nelle regioni “virtuose”.
Gli otto anni di commissariamento hanno generato solo una riduzione di 15.000 (quindicimila!!) professionisti nel nostro sistema Sanitario Regionale, portandoci così facilmente ad una virtuosità finanziaria che ha causato un drastico calo della capacità di assistere i cittadini. Quello ottenuto è stato un puro “lifting” finanziario, realizzato a scapito della salute di milioni di campani. In questi anni, infatti, non si è mai intervenuti sui reali meccanismi di formazione della spesa.
Eppure al vertice della Sanità Campana, da otto anni, si sono succeduti superesperti nominati direttamente dal Ministero della Salute e dal Ministero dell’Economica.
Tant’è che la programmazione dal 2009 si fa producendo un valzer di piani ospedalieri e territoriali. Tutti inapplicati perché inapplicabili e nessuno realmente realizzato confrontandosi quotidianamente e concretamente con l’organizzazione della sanità regionale.
Le prove di ciò sono nei fatti. In ciascuna delle nostre Azienda Sanitarie e Ospedaliere, dopo anni di commissariamento, ci siamo ritrovati con specialisti ambulatoriali chiamati a eseguire interventi di alta specialità, infermieri costretti a fare il lavoro degli inesistenti Operatori Socio Sanitari e un’età media dei professionisti tra le più alte d’Italia.
Il piano ospedaliero 2016-2018, invece, varato con Decreto Commissariale a maggio del 2016 prevede la realizzazione in un anno e mezzo di interventi edilizi che – tra l’altro – dovrebbero garantire l’entrata in operatività di padiglioni da oltre 100 posti letto anche in aree dove non c’è la possibilità di costruire neppure una tettoia. Neanche le regioni più virtuose d’Italia potrebbero riuscire in quest’impresa. Il risultato è che la Campania continua ad avere l’indice di posti letto ospedalieri per abitante più basso in Italia.
Altrettanto vale per il piano territoriale 2016-2018, varato a settembre 2016 e da realizzarsi entro il 31 dicembre 2018. In questo caso si parla di Case della Salute, Unità complesse di Cure Primarie, Continuità assistenziale pediatrica, senza che vi sia la valutazione di quali risorse economiche, professionali e strutturali siano necessarie.
Sul fronte amministrativo, invece, abbiamo trovato gare sospese , appalti in proroga da decine di anni, figure contrattuali inesistenti che si perpetuano da un decennio, centri privati che lavorano tra continue incertezze normative.
In questo quadro, meno di sei mesi fa il Presidente De Luca si è assunto la diretta responsabilità di nominare nuovi Direttori Generali, mettendo fine alla lunga stagione dei commissari che ha interessato anche le singole aziende sanitarie e ospedaliere. Anche in questo caso gli effetti di questo lungo intermezzo di gestione ordinaria sono stati devastanti.
Ora i Commissari sostengono che la colpa di ciò sia nella mancata applicazione di taumaturgici decreti da parte della “Regione” e quindi, in buona parte, dai Direttori Generali. Forse qualcuno dimentica che, nelle regioni “virtuose” i decreti non sono esercizi tipografici calati da segrete stanze senza consultare le direzioni generali sulle specificità dei territori. Il piano territoriale, ad esempio, di recente pubblicazione, non ha visto la partecipazione di nessun direttore di azienda sanitaria locale.
L’elenco potrebbe continuare. La sanità non funziona per magia, perché qualcuno scrive un improbabile rifacimento di ricette che altrove hanno funzionato. La sanità funziona se ci si confronta sui problemi, se si cercano soluzioni insieme, se si attivano concreti processi di rete.
La sanità non ha bisogno di forbiti burocrati, ma di indirizzi politici e di management. Ed è questa la linea del Presidente De Luca. Non è mai successo prima che un Governatore fosse tanto coinvolto dalle problematiche e dagli accadimenti in sanità. Ci incontriamo con cadenza al massimo bisettimanale per verificare senza sconti tutti gli accadimenti aziendali: dai profili economici, alla griglia LEA, ai livelli organizzativi, alle liste di attesa, al personale, alle apparecchiature. Analisi puntuali, precise e puntigliose che, siamo certi, alle prossime verifiche daranno risultati in controtendenza.
Perché, è utile ricordarlo, i parametri in cui la Regione Campania risulta non performante sono tutti riferibili a prima del nostro insediamento: nelle organizzazioni complesse l’inerzia degli effetti di quello che si fa, o che non si fa, si scarica nel lungo periodo, e la relativa analisi pertanto non si presta a fotografie che non incorporano il fattore tempo. Non tenerne conto, è segno di inadeguatezza o di sterile strumentalizzazione o, peggio, di scarica barile.
Noi siamo consapevoli delle nostre responsabilità e le assumiamo ogni giorno, mettendoci il cuore, il cervello, e la faccia. Così come il Presidente. Ci piacerebbe, che invece di pontificare su improbabili encicliche, così facessero tutti calandosi nella trincea del mondo reale, della sofferenza e dell’assistenza.
Elia Abbondante, Asl Napoli 1 Centro
Antonio d’Amore, Asl Napoli 2 Nord
Antonietta Costantino, Asl Napoli 3 Sud
Mario de Biasio, Asl Caserta
Maria Morgante, Asl Avellino
Antonio Giordano, Asl Salerno
Franklin Picker, Asl Benevento
Ciro Verdoliva, AORN A Cardarelli
Giuseppe Longo, AO Ospedali dei Colli
Anna Maria Minicucci, AO Santobono Pausilipon
Attilio Bianchi, IRCSS Fondazione G. Pascale
Angelo Percopo, AO Giuseppe Moscati
Nicola Cantone, AO Ruggi d’Aragona
Vincenzo Viggiani, Policlinico Federico II
Maurizio di Mauro, Policlinico Luigi Vanvitelli