Tempo di lettura: 5 minutiL’Italia fa un significativo passo in avanti nella lotta alle malattie rare. Oggi, tra i vari aspetti che negli anni sono cambiati, nel nostro Paese si trovano molti più farmaci orfani, a dimostrazione di come l’industria bio-farmaceutica sia in prima fila nella battaglia contro queste malattie. Questo e molto altro è emerso dalla presentazione di MonitoRare, III Rapporto sulla condizione delle persone con Malattia Rara in Italia, realizzato dalla Federazione Italiana Malattie Rare UNIAMO F.I.M.R. onlus.
Focus Italia/Europa
Novità di quest’anno è il quadro della situazione italiana nel contesto europeo, dove l’eccellenza dei diversi Centri di Competenza nazionali è confermata dai dati sulla partecipazione agli ERN (European Reference Networks), network europei che riuniscono i Centri di expertise per malattie rare e complesse: l’Italia è presente in 23 ERN su 24, con il maggior numero di Health Care Providers rispetto agli altri Paesi, 189 su 942 (20,1% del totale). Anche in termini di rappresentatività dei pazienti negli ePAGs (membri dell’European Patient Advocacy Groups) collegati agli ERN la presenza italiana è rilevante: 25 su 142 (17,6%).
Approccio integrato
Per Tommasina Iorno, Presidente di UNIAMO FIMR onlus, «le malattie rare sono una importante sfida di sistema , sono ad alta complessità assistenziale e l’impatto nella vita delle persone non tocca solo il piano della salute, ma quello psico-sociale dell’intero nucleo familiare: isolamento, discriminazione, povertà accompagnano spesso il percorso di vita di chi convive con queste patologie. C’è bisogno di un approccio comune in tutti i territori per dare un supporto a queste famiglie che includa anche l’aspetto socio-assistenziale e strumenti di integrazione scolastica e lavorativa. MonitoRare vuole essere uno strumento di crescita collettiva promosso dalle associazioni pazienti per scegliere – insieme con le rappresentanze della comunità dei pazienti – le azioni migliori da mettere in campo per arrivare ad un’equità di trattamento in tutto il Paese». MonitoRare è una fotografia aggiornata sul tema delle malattie rare, che fa il punto sul quadro nazionale e quello europeo, basandosi sulla presentazione di dati, sull’analisi della responsabilità sociale, della ricerca e dell’assistenza. «Assobiotec, Associazione di Federchimica, – dice Ugo Capolino Perlingieri (componente Comitato di Presidenza Assobiotec) – ha voluto confermare per il terzo anno il proprio supporto ad UNIAMO FIMR onlus nel progetto MonitoRare, convinta che un rapporto di questo tipo possa rappresentare un punto di riferimento dettagliato e aggiornato per tutti i portatori di interesse degli sviluppi ma anche delle aree di miglioramento di questo settore di valenza sociale ancor prima che industriale».
Politiche sanitarie e socio-sanitarie
Stando al rapporto negli ultimi anni l’evoluzione delle politiche sanitarie è stata sostanzialmente caratterizzata da una contrazione delle risorse disponibili) mentre per le politiche socio-sanitarie si segnalano alcune interessanti novità. Il rapporto evidenzia anche come la situazione italiana nel contesto europeo confermi diversi punti di forza, anche se spesso caratterizzati da evidenti disomogeneità territoriali soprattutto sul versante assistenziale. Nella terza sezione del rapporto c’è una focalizzazione più specifica sul contesto nazionale e regionale approfondito, mentre l’ultima sezione è dedicata all’aggiornamento dei dati sullo stato di implementazione delle azioni previste dal Piano Nazionale Malattie Rare 2013-2016.
Punti di forza e criticità.
Tra le positività si può annoverare la Ricerca, con l’aumento degli studi clinici autorizzati sulle malattie rare: dai 117 del 2013 (20,0%) ai 160 del 2016 (24,6%), fatto a cui si aggiunge che i gruppi di ricerca italiani sono sostanzialmente presenti in 1 progetto su 5 (20,6%) relativi alle malattie rare che sono inseriti nella piattaforma Orphanet, con un leggero aumento rispetto agli ultimi anni (nel 2015 erano il 19,3% e nel 2014 il 18,3%). Inoltre secondo i primi risultati di una ricerca UNIAMO F.I.M.R. Onlus in collaborazione con il Ministero della Salute – Direzione Generale della ricerca e dell’innovazione in sanità alla quale hanno risposto ad inizio luglio 2017 37 IRCCS su 49 (75,5%), nel 2016 i 346 progetti sulle malattie rare (12,0% del totale) hanno assorbito il 12,4% delle risorse complessivamente investite nell’anno in progetti di ricerca corrente (per un valore di oltre 15 milioni di euro). Notevole anche la relativa produzione scientifica come risulta dal contributo della Società Italiana di Ricerca Pediatrica: oltre 500 pubblicazioni all’anno.
I Registri
Positivo ciò che accade in questo ambito. Continua a migliorare la copertura dei Registri Regionali delle Malattie Rare e i più recenti dati disponibili consentono di affinare la stima sul numero di persone con malattia rara nel nostro paese quantificabile nell’intervallo compreso tra 370.000 e 860.000 con una prevalenza tra lo 0,61% e l’1,45% sulla popolazione. Anche screening neo-natali estesi stanno dando risultati positivi con un trend di crescita decisa della copertura dello screening neo-natale esteso per le malattie metaboliche ereditarie, aumentato di più di 20 punti percentuali nel biennio 2012-2014 (dal 29,9% del 2012 al 50,4% del 2015), ancorché il numero di patologie presenti nel pannello di screening nelle diverse Regioni riporti ancora rilevanti differenze. La situazione più critica è relativa alle Regioni dell’Italia meridionale (con qualche eccezione) (Fonte: Rapporto Tecnico SIMMESN);
Laboratori
Per i Laboratori clinici il trend è in crescita sia per il numero di laboratori clinici considerati nel database di Orphanet (+1,8% 2016), che, soprattutto, per il numero di malattie testate (+28,2%). Negli ultimi 5 anni, per l’Italia si passa da 264 a 279 laboratori censiti (+5,7%), nei quali le malattie testate quasi raddoppiano, passando da 794 a 1.497 (+88,5%). Aanche per i farmaci orfani (come detto) si registra un aumento sia nel numero dei farmaci disponibili che, ovviamente nel consumo. La spesa per i farmaci orfani passa dai 917 milioni di € del 2013 ai 1.393 milioni di € del 2016 (+52%). Si conferma anche il trend delle richieste di riconoscimento di utilizzo off-label di farmaci per malattie rare: 15 nel 2016 (un terzo delle quali accolte). Le criticità persistono, creando molto disagio alla comunità dei pazienti, nella disomogeneità territoriale che vede una disparità di trattamento sia nell’assistenza che nell’erogazione dei trattamenti disponibili. In particolare nei Centri di Competenza si evidenzia questa situazione ancora abbastanza diversificata nelle diverse Regioni, soprattutto in relazione ai criteri operativi utilizzati per la definizione dei centri e alle relative modalità di individuazione. Una conferma a questa diversità è data anche dalla disequità della distribuzione geografica degli ospedali italiani che partecipano agli ERN: il 66,7% degli ospedali che partecipano ad almeno una ERN si trova nelle regioni settentrionali, il 19,7% al centro e appena il 13,6% nel mezzogiorno. Lluce rossa per gran parte del Paese per quanto riguarda la regolamentazione delle terapie farmacologiche e non in ambito scolastico, una misura importante per la piena inclusione sociale dei malati rari. Sul fronte dei Servizi socio-assitenziali e del lavoro, infatti, ancora si fatica a comprendere che la presenza di una malattia rara è da considerarsi come un potenziale fattore di rischio di esclusione sociale del nucleo familiare e l’assistenza territoriale per la persona con malattia rara personalizzata potrebbe fare una grande differenza in termini di inclusione e raggiungimento di autonomie.
Gioco di squadra
Monitorare è stato presentato oggi (27 luglio) nell’Aula dei gruppi parlamentari di Montecitorio ed è stato realizzato grazie al contributo non condizionato di – Associazione Nazionale per lo Sviluppo delle Biotecnologie (FEDERCHIMICA) e con la collaborazione del Ministero della Salute, dei Centri di coordinamento regionale per le MR, AIFA, CNMR-ISS, Orphanet, Telethon, TNGB, dello Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare e di alcune Società Scientifiche che offre una fotografia aggiornata sul tema delle malattie rare, facendo il punto sul quadro nazionale e quello europeo, presentando dati, analizzando l’ambito della responsabilità sociale, della ricerca e quello dell’assistenza. Il rapporto, insieme alla sua sintesi è scaricabile dal sito della Federazione.
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Antibiotico, il ciclo completo potrebbe essere dannoso
FarmaceuticaL’antibiotico va preso fino alla fine, anche se l’infezione è passata. Probabilmente tutti se lo sono sentito dire almeno una volta nella vita, ma se non fosse così. Anzi, se questa «regola» fosse addirittura dannosa per la salute? La domanda è lecita alla luce di uno studio molto recente che arriva dal Regno Unito, uno studio per il quale portare a temine il ciclo di cura stabilito dal medico anche se «dopo i primi giorni di assunzione del farmaco i sintomi iniziano a ridursi o scompaiono» non sarebbe la scelta giusta.
Cambio di prospettiva
Molto presto questa regola potrebbe diventare un ricordo, come detto secondo un articolo sul British Medical Journal non vi sono evidenze scientifiche a sufficienza su cui fondare l’attendibilità di tale raccomandazione clinica. Anzi, secondo gli autori dell’articolo, Martin Llewelyn presso la Brighton and Sussex Medical School e colleghi, potrebbe addirittura essere vero il contrario, e cioè potrebbe essere più sano per il singolo e per la comunità interrompere la terapia prima del termine della prescrizione, non appena i sintomi dell’infezione sono scomparsi. Inoltre, sempre secondo la lettera sul BMJ, aumentano le evidenze scientifiche secondo cui più sicuri cicli brevi di terapia (3 giorni) che non cicli lunghi come oggi spesso è prescritto (5-7 giorni o multipli di questi).
Antibiotico-resistenze
La raccomandazione del medico curante che sicuramente ognuno si sarà riportato a casa insieme a una ricetta per antibiotici è quella di finire la cura anche se a metà del ciclo si avverte un miglioramento. Il monito è che terapie interrotte possono causare l’insorgenza di resistenze. Eppure quando Llewelyn è andato alla ricerca delle motivazioni che storicamente hanno portato a radicare nella pratica clinica questa raccomandazione ha avuto difficoltà a trovarne. Poche evidenze scientifiche la corroborano, anzi studi recenti – ad esempio uno del 2010 pubblicato sempre sul BMJ e basato sull’analisi di migliaia di pazienti con infezioni del tratto urinario e respiratorio – sempre più spesso dimostrano il contrario e cioè che terapie di 1-2 settimane danno luogo più spesso a infezioni antibiotico-resistenti nei pazienti cui sono prescritte.
Digital detox per godersi a pieno la vita o almeno la vacanza
PsicologiaPer ritrovare il benessere serve la digital detox, ossia la disintossicazione digitale, per godersi a pieno i momenti con familiari e amici, soprattutto in vacanza.
Da un’indagine di Booking.com, svolta su 18mila persone provenienti da più di 25 Paesi del mondo, è emerso che quasi il 50% di loro reputa cruciale il primo giorno di vacanza e, non appena si arriva nella destinazione prescelta, tra le prime attività da fare, si sceglie di scattare le foto più belle per postarle sui social network e di controllare le mail. Insomma, si pensa prima alla tecnologia e dopo al resto, tipo ad esempio fare un tuffo.
Inoltre, nelle prime 24 ore del viaggio, ma spesso già in fase di prenotazione, il 32% dei viaggiatori ci tiene a controllare la disponibilità di una connessione wifi potente tanto che, tra i principali timori, c’è la preoccupazione di non riuscire a connettersi o ad essere online, che interessa il 40% delle persone, e non parliamo di adolescenti, ma di giovani e adulti.
Inoltre, un aspetto che è emerso e che conferma la propensione alla tecnologia è il voler condividere con gli altri, sui social o sulle chat di messaggistica istantanea, le esperienze che si vivono in vacanza. Ma secondo i viaggiatori, il mondo social non avrebbe le giuste emoji per esprimere nel migliore dei modi lo stato di euforia da vacanza e molti vorrebbero che siano inserite emoji più specifiche, come qualcuno che guarda una mappa, qualcuno vestito da turista e chi si scatta un selfie.
Non a caso una delle patologie dei nostri tempi, sempre più diffusa, è la cosiddetta Nomofobia o Sindrome da Disconnessione.
Non bisogna poi dimenticare che gli adulti sono un esempio per i più piccoli, i quali crescendo prenderanno le loro orme, quindi i genitori sono avvisati: è inutile lamentarsi se i propri figli sono sempre attaccati alla tecnologia.
Adroterapia, la nuova frontiera della lotta al cancro
Ricerca innovazioneSi chiama adroterapia ed è una delle ultime frontiere nella lotta al cancro. Riconosciuta da pochissimo dal Sistema sanitario nazionale, l’adroterapia utilizza fasci di protoni e ioni carbonio per curare i tumori non operabili e resistenti alla radioterapia tradizionale che usa raggi X e fotoni. Protoni e ioni carbonio sono efficaci contro queste neoplasie perché, grazie alle loro caratteristiche fisiche, possono colpire in modo mirato le cellule tumorali e ridurre molto gli effetti collaterali sui tessuti sani.
Intesa d’eccellenza
In questo contesto è nata un’intesa tra il Centro nazionale di adroterapia oncologica di Pavia (uno dei 6 centri al mondo e unico in Italia in grado di effettuare l’adroterapia sia con protoni che con ioni carbonio) e il GSI, il centro di ricerca tedesco di Darmstadt che per primo ha portato in Europa l’adroterapia con ioni carbonio alla fine degli anni ’90. Gli scienziati del Cnao e dello GSI lavoreranno per rendere ancora più preciso il fascio di ioni carbonio per poterlo utilizzare in modo ancora più efficace contro i tumori situati in organi che si muovono a causa della respirazione, come quelli al polmone, al fegato e al pancreas.
Tecnologie d’avanguardia
Al Cnao il fascio di ioni carbonio è generato da un acceleratore di particelle che sfrutta la stessa tecnologia del Cern di Ginevra e che accelera le particelle fino a una velocità pari al 60% della velocità della luce. Questo fascio è estratto dall’acceleratore attraverso un complesso sistema di computer e algoritmi, gestito dagli ingegneri e dai fisici del Cnao, e indirizzato alle sale dove il paziente riceve il trattamento. L’intensità e la direzione del fascio sono definite in modo preciso a seconda dei diversi casi clinici e sono monitorate da rilevatori collocati nelle sale di trattamento. Il progetto si concluderà alla fine del 2018, l’obiettivo è quello di aumentare di molto la velocità di rilascio del fascio attraverso l’uso di nuovi algoritmi e rivelatori. Allo stesso tempo, questo permetterà una maggiore accuratezza nel trattamento dei tumori in movimento. Sulla base della tecnologia collaudata dal Cnao e della perizia del GSI nel campo delle strategie di mitigazione di movimento, un sistema aggiornato di rilascio della dose sarà installato nell’ambiente sperimentale dell’ex struttura di trattamento medico «Cave M» di GSI, fungendo da banco di prova per i primi test. La stretta collaborazione con CNAO faciliterà la rapida transizione dei nuovi sviluppi a un ambiente clinico per il diretto beneficio dei pazienti colpiti da tumore.
Seguire il tumore
Grazie a questo nuovo progetto verrà creato un sistema che potrà colpire il tumore anche mentre si muove, seguendo ad esempio le oscillazioni dovute alla respirazione del paziente, senza mai interrompere il flusso di particelle durante il trattamento. Una vera e propria rivoluzione nel trattamento di queste neoplasie, e una nuova possibilità per chi combatte contro queste malattie terribili.
Da due mesi carenza sangue. Grave emergenza in tutte le regioni
News PresaGiugno e luglio sono stati caratterizzati da una carenza cronica di sangue in molte Regioni, che hanno messo a rischio terapie salvavita e interventi chirurgici programmati e in emergenza.
Se non verranno accolti gli appelli a donare fatti dalle associazioni di volontari, anche nelle prossime settimane, la rete trasfusionale nazionale non sarà in grado di soddisfare i Livelli Essenziali di medicina trasfusionale. Lo rilevano i dati preliminari raccolti dal Centro Nazionale Sangue, secondo cui in alcuni giorni si sono superate le 1100 unità mancanti su tutto il territorio nazionale.
I dati vengono dal sistema informativo SISTRA, dove le Regioni carenti o con una eccedenza inseriscono ogni giorno il proprio fabbisogno e le unità eventualmente disponibili. Il 4 luglio si è registrata la carenza maggiore, con richieste inserite per 1130 unità, ma in molti altri giorni si è superata quota 1000, compreso lo scorso sabato, mentre oggi ne mancano 900; di contro, le eccedenze non hanno mai superato quota 160.
Lazio, Abruzzo e Basilicata sono le Regioni che hanno segnalato le maggiori criticità insieme a Sicilia e Sardegna che hanno un fabbisogno elevato per i molti pazienti, soprattutto talassemici, bisognosi di sangue per le terapie. “A rischio – sottolinea il direttore del Centro Nazionale sangue Giancarlo Maria Liumbruno – ci sono terapie salvavita, considerando ad esempio che per un paziente leucemico servono otto donatori a settimana o che le talassemie e le altre emoglobinopatie assorbono circa il 10% delle unità raccolte sul territorio nazionale, ma anche gli interventi chirurgici, se si pensa che ad esempio per un trapianto cuore-polmoni possono essere usate fino a 30-40 sacche di sangue. In questi ultimi mesi in diverse occasioni – continua Liumbruno – le Regioni con capacità di produzione maggiore non sono riuscite a rispettare gli accordi programmati all’inizio dell’anno per fornire sangue a quelle con carenze croniche. È importante che tutte le Regioni cerchino di contribuire il più possibile al sistema di compensazione nazionale e che incrementino la raccolta. Per questo all’appello ai donatori si aggiunge quello alle Regioni, affinché consentano alle Strutture Trasfusionali da loro dipendenti una maggiore flessibilità nei giorni e negli orari di apertura, anche dotandole delle necessarie risorse umane, in modo da consentire, anche nel periodo estivo, la donazione non solo nei giorni feriali e negli orari canonici del primo mattino”.
Le Associazioni e Federazioni nazionali dei donatori di sangue (AVIS, Croce Rossa Italiana, FIDAS e FRATRES), sottolinea il loro coordinamento, sollecitano i volontari affinché donino il sangue per rispondere alla grave carenza. “Le recenti situazioni di maxi-emergenza hanno dimostrato come i cittadini sappiano rispondere consapevolmente e responsabilmente agli appelli. Tuttavia è importante che i cittadini comprendano che la vera sfida del sistema è assicurare quotidianamente e in ogni periodo dell’anno le disponibilità di sangue ed emocomponenti che garantiscono gli oltre ottomila eventi trasfusionali ogni giorno effettuati nel Paese. I donatori e i pazienti non vanno in ferie”.
#promuoviamosalute
Charlie, il giudice ordina di “staccare la spina”
News PresaLa decisione sulla sorte del piccolo Charlie Gard è presa, verrà trasferito in un hospice dove sarà interrotta la respirazione artificiale. La notizia è arrivata nella serata di ieri dalla Bbc e da altri siti britannici a poca distanza dell’ultimatum dato dal giudice. Ed è una notizia che ha straziato cuore delle centinaia di migliaia di persone che hanno seguito le sorti di Charlie Gard sin dal principio. Al di là dell’aspetto clinico e delle possibilità di trattare il piccolo con terapie sperimentali o meno, resta la triste consapevolezza di come la giustizia, o per dirla con le parole di Connie Yates, «il Great Ormond Street Hospital ha negato il nostro ultimo desiderio» a proposito del mancato accordo con la struttura ospedaliera che ha reso inevitabile il suo imminente trasferimento – deciso dal giudice – in un hospice dove la sua morte è ritenuta «inevitabile». L’ultimo desiderio si riferisce alla possibilità di mantenere in vita il piccolo per alcuni giorni prima della morte.
Non abbassare la guardia
Mantenere alta l’attenzione sui pazienti colpiti da malattie mitocondriali, come la patologia da cui è affetto Charlie Gard, e sensibilizzare i cittadini. Con questo obiettivo, l’Associazione Mitocon – Insieme per lo studio e la cura delle Malattie Mitocondriali – Onlus, lancia una campagna on line attraverso l’hashtag #ioxmitocon. Grazie alle testimonianze di chi vive combattendo le malattie mitocondriali, dicono dall’associazione «è possibile rompere il muro del silenzio che troppo spesso ha circondato queste patologie. Per troppo tempo queste malattie sono state trascurate da media e opinione pubblica».
La campagna social
L’hashtag #ioxmitocon farà da apripista agli eventi promossi dall’Associazione durante il mese di settembre: in occasione dell’inizio della Settimana Mondiale di Sensibilizzazione sulle Malattie Mitocondriali 2017 (dal 17 settembre sino al 23 settembre), la notte tra il 16 settembre e il 17 settembre, 55 monumenti in tutto il mondo saranno illuminati di verde nel cinquantacinquesimo anniversario della scoperta di queste patologie. A chiusura della Settimana, dal 22 settembre al 24 settembre, avrà luogo inoltre a Milano il settimo Convegno Nazionale sulle malattie mitocondriali. Si tratta della seconda tipologia di malattia genetica rara più diffusa al mondo, dopo la fibrosi cistica. In Italia si stima che ci siano oltre 15mila malati e, accanto a loro, conclude la onlus, «altrettante famiglie che affrontano quotidianamente una sfida fatta di fatica e solitudine, ma anche di amore e grande speranza».
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Diabete, un sensore sottopelle lo tiene a bada
Ricerca innovazioneTra fantascienza e realtà, la terapia contro il diabete si calibra ormai grazie ad un pc e ad un sensore sottocutaneo che tiene costantemente sotto controllo la glicemia. Questo innovativo strumento di controllo si chiama «Eversense» ,è permette alle persone co diabete di riconquistare, almeno in parte, una buona qualità di vita. Grazie al chip è infatti possibile gestire al meglio la malattia. Il primo è stato impiantato questa mattina a due giovani diabetici presso l’ambulatorio dedicato alle Tecnologie per la Gestione e Cura del Diabete dell’Azienda Ospedaliera Universitaria dell’ Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”. dai dottori Michela Petrizzo e Maurizio Gicchino, con la collaborazione dell’intero team diabetologico, coordinato da Katherine Esposito.
Controllo dinamico
«Il monitoraggio in continuo della glicemia – spiega Katherine Esposito – descrive in maniera dinamica il comportamento delle glicemie tramite un sensore sottocutaneo, da sostituire ogni 7 giorni, che rileva in continuo i valori di glucosio. Questo sistema migliora il controllo glicemico grazie alla possibilità di fornire letture di glucosio in tempo reale e informazioni sulla tendenza del glucosio. Anche le ipoglicemie inavvertite dai pazienti vengono prontamente segnalate, permettendone la correzione estemporanea».
A portata di App
Grazie a questo sistema viene offerta ai pazienti la possibilità di usufruire di un CGM per 90 giorni consecutivi senza dover sostituire il sensore, con il vantaggio in più di visualizzare tutti i dati direttamente su un’App semplice e intuitiva che può essere scaricata sullo smartphone. In questo modo il paziente riceve allarmi per il rilevamento e la previsione di episodi di ipoglicemia e di iperglicemia. «Questo sistema – conclude la professoressa Esposito – rappresenta un’innovazione terapeutica importante per la cura del diabete, con significativi risvolti sulla qualità di vita delle persone con diabete che ne sono candidati all’utilizzo».
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Giovani oggi, tra Dca, chirurgia, modelli social e cyberbullismo
Nuove tendenzeIl rapporto con il proprio corpo e con il cibo in adolescenza è connesso dal punto di vista psicologico e fisico. Attraverso il corpo vengono espressi i propri vissuti interiori e i disagi emotivi (così nascono i dca). Il 32% degli adolescenti ha ridotto drasticamente il cibo con l’intento di dimagrire. Il 50% dichiara di aver avuto episodi in cui si è abbuffato intenzionalmente di cibo fino a stare male e il 32% ha provato disgusto verso se stesso, depressione e senso di colpa dopo essersi abbuffato. I disturbi alimentari (dca) possono anche non portare ad un drastico calo o incremento di peso, per cui per i genitori diventa difficile accorgersi dei problemi del figlio. Il cibo viene usato anche come uno sfogo, soprattutto dai più piccoli, tant’è che quasi 8 adolescenti su 10 si sfogano con il cibo quando sono arrabbiati, percentuale che aumenta drasticamente dagli 11 ai 13 anni (89%).
Il 40% dichiara di aver mangiato grandi quantitativi di cibo, anche senza avere fame e quasi 2 adolescenti su 10 si sono provocati il vomito dopo mangiato. I dati allarmanti dei Dca sono stati diffusi dall’Osservatorio Nazionale Adolescenza.
Circa 4 adolescenti su 10 stanno anche attenti alla qualità del cibo che ingeriscono e mangiano solo cibi biologici e sani.
La drunkoressia: abuso di alcol con disturbi della condotta alimentare. La correlazione tra condotte alimentari sregolate e abuso di bevande alcoliche in adolescenza è molto frequente e viene chiamata Drunkoressia, da drunk (ubriaco) e anorexia (anoressia). La pressione sociale (e dei social network), l’apparire, la ricerca di omologazione e del magro, sono tutti fattori che influenzano il comportamento dei più giovani e li spingono a non mangiare, a indursi il vomito o ad assumere lassativi e diuretici, pur di compensare le quantità di calorie assunte durante le grandi “abbuffate alcoliche” (binge drinking) per non aumentare il peso corporeo (dca). Lo scopo è quello di ubriacarsi velocemente, senza assumere calorie e senza rinunciare allo “sballo” dato dall’alcol. Circa 1 adolescente su 10 mette in atto questi comportamenti di restrizione del cibo e di abuso di alcol di cui il 64% sono femmine.
Immagine corporea e chirurgia estetica. Il 64% degli adolescenti tra i 14 e i 19 anni, dichiara di sentirsi più sicuro quando è più magro e quando riesce a raggiungere il peso ideale. Il peso e l’immagine corporea condizionano profondamente l’autostima e l’umore dei ragazzi che vivono in funzione dell’accettazione del gruppo. Il problema riguarda maggiormente il genere femminile (il 76% sono ragazze). Oltre 6 adolescenti su 10 sostengono anche che la donna più magra è più accettata e riconosciuta da un punto di vista sociale, tant’è che la taglia ideale per il 63% del campione, si aggira tra la 38 e la 40. Questo porta indubbiamente alla ricerca di corpi perfetti e statuari anche seguendo i modelli di riferimento e la macchina dei like e follower. Infatti, il 15% ha seguito una dieta per piacersi di più nei selfie, di cui il 75,5% sono femmine. Questo atteggiamento porta ad una rischiosa esposizione social che, se non corrisponde al proprio immaginario di approvazione e riconoscimento, può avere delle profonde ripercussioni sull umore. Poi ci sono le challenge legate alla Thin Inspiration, a cui partecipano spesso le ragazze per dimostrare la loro magrezza, come per esempio la Ribcage Bragging Challenge (la nuova moda di fotografare le costole sporgenti). Il 42% dichiara di aver seguito una dieta almeno una volta nella vita e il 35% degli adolescenti segue una dieta “fai da te” e circa 1 su 10 si affida a quelle trovate in rete o ai consigli delle app. 5 adolescenti su 100 prendono anche farmaci e altre sostanze chimiche per perdere peso. Oltre 2 adolescenti su 10, se i genitori glielo permettessero, ricorrerebbero alla chirurgia plastica per essere più belli da un punto di vista estetico, non per correggere un difetto o un problema fisico oggettivo, di cui il 79,5% sono femmine. 1 adolescente su 10 ha già fatto trattamenti estetici, dimagranti e anticellulite solo per sembrare più bella.
Gli influencer lanciano le mode che condizionano gli adolescenti. Il 55% degli adolescenti dai 14 ai 19 anni, di cui il 70% sono femmine, sostiene che vedere corpi magri e perfetti in tv e su internet gli faccia venire voglia di essere come loro e si senta influenzato dai modelli lanciati dagli influencer. “Questo non è un fenomeno da sottovalutare perché gli influencer condizionano anche da un punto di vista psicologico e comportamentale i ragazzi” afferma la prof.ssa Maura Manca, presidente dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza. “Fashion blogger e youtubers sono ormai la realtà di riferimento degli adolescenti, soprattutto dei più piccoli, che crescono fin dall’infanzia con la compagnia dei video dei loro idoli senza un minimo di filtro e di controllo genitoriale. Infatti, il loro desiderio più grande sarebbe quello di seguire il loro stesso percorso: diventare ricchi, famosi, popolari e seguitissimi, facendo un lavoro divertente e che apparentemente non costi particolare fatica”. Sono 4 adolescenti su 10 dai 14 ai 19 anni che vorrebbero diventare uno youtuber di successo, rispetto ai 6 su 10 dagli 11 ai 13. La prima adolescenza è quindi quella più a rischio e maggiormente influenzabile. Oggi sempre più si fa strada una cultura incentrata sul cibo sano, sull’estetica, sull’apparenza, dove viene sempre meno l’aspetto emotivo e di personalità e, l’adolescente che non è alla moda viene isolato dalla massa e, spesso, bullizzato o preso di mira su chat e social network, ha rischio maggiore di dca.
Se sei in carne non piaci ai bulli. Il bullismo e il cyberbullismo rivolti ai coetanei in sovrappeso sono estremamente frequenti. Vengono derisi per le loro dimensioni, per i chili in eccesso, per come mangiano, per le prestazioni sportive o perché non sono agili fisicamente. Il 22% degli adolescenti dai 14 ai 19 anni ammette, infatti, di aver preso in giro un compagno o un amico solo perché in sovrappeso, di cui il 65% sono maschi, rispetto al 18% dagli 11 ai 13 anni.
“Essere vittime di prevaricazioni, offese e minacce da parte di un coetaneo per il proprio peso e la propria estetica, influenza negativamente il benessere fisico e psicologico dei ragazzi, determinando in particolare una minore autostima, scarsa considerazione di se stessi, maggiore vulnerabilità e sensibilità ai commenti, giudizi e critiche, uno stato ansioso, paura del confronto con gli altri e inibizione da un punto di vista relazione, aumentando così il desiderio di ricorrere alla chirurgia estetica, magari per eliminare o modificare proprio quelle caratteristiche fisiche che li rendono oggetto di derisioni o prese in giro”, sottolinea Manca.
Il 26% delle vittime di bullismo ricorrerebbe alla chirurgia sia estetica che plastica per migliorare il proprio corpo, rispetto al 34% delle vittime di cyberbullismo; inoltre il 13% delle vittime di bullismo ha già effettuato trattamenti estetici per sembrare più bello esteticamente, rispetto al 19% delle vittime di cyberbullismo. Le prevaricazioni che avvengono nei social e nelle chat, che raggiungono un numero maggiore di persone, che espongono in una vetrina e in una sorta di gogna social, come dimostrano i dati, feriscono maggiormente, hanno degli esiti psicopatologici più gravi, intaccano maggiormente l’immagine corporea e l’autostima. Si tratta di ragazzi che non accettano il proprio aspetto, non si piacciono, non si riconoscono, non sono sereni e hanno una bassa stima di sé e l’essere oggetto di prevaricazioni e derisioni costanti distrugge la loro psiche e genera un dolore profondo e una sofferenza notevole che può avere dei risvolti non solo nell’immediato (rischi maggiori di Dca), ma anche più a lungo termine e portare ad un isolamento e chiusura, fino a vissuti ansiosi e depressivi.
*I dati su Dca, alcol e tendenze tra i giovani, sono raccolti dall’Osservatorio Nazionale Adolescenza, presidente Prof.ssa Maura Manca, nel corso dell’anno scolastico 2016/17 su un campione di circa 8.000 adolescenti di età compresa tra gli 11 e i 18 anni su tutto il territorio nazionale.
Maggiore aumento di peso, maggiore rischio di morte prematura
PrevenzioneRispetto alle persone che riescono a mantenere il proprio peso stabile, coloro che, tra i 18 e i 55 anni, ingrassano da due a dieci chili, aumentano il rischio di contrarre malattie croniche, anche fatali. È il risultato di un nuovo studio dell’Università di Harvard, durato 36 anni e condotto su 118mila persone. Secondo i ricercatori della Harvard TH Chan School of Public Health: maggiore è l’ aumento di peso in età adulta e maggiore è il rischio di morte prematura.
Lo studio è stato pubblicato il 18 luglio sulla rivista scientifica Journal of American Medical Association e mette in guardia sul peggioramento delle abitudini alimentari e sulla poca attenzione alla linea. Un problema maggiormente diffuso in America, ma che riguarda le persone di tutto il mondo. “Il nostro studio è il primo del suo genere a esaminare sistematicamente l’associazione di un aumento del peso corporeo tra la prima età adulta e la mezza età con i maggiori rischi sanitari che possono svilupparsi nella vecchiaia”, ha affermato Frank Hu, professore di epidemiologia e presidente del Dipartimento di nutrizione dell’Università di Harvard.
“I risultati mostrano che anche un modesto aumento di peso può avere importanti conseguenze sulla salute”, ha aggiunto Hu. La maggior parte delle persone ingrassa durante l’età adulta, ma poiché la quantità di peso aumentata ogni anno può essere relativamente piccola, può passare inosservata alle persone e ai loro medici. Tuttavia la somma di tutti questi piccoli aumenti di peso può risultare importante con il passare del tempo.
Per questo studio, i ricercatori hanno analizzato dati sanitari provenienti da oltre 118mila partecipanti, tra cui più di 92mila donne e oltre 25mila uomini. Gli intervistati sono stati invitati a registrare il loro peso a partire dall’età adulta, 18 anni per le donne e 21 per gli uomini, fino al compimento del 55esimo anno di età. La ricerca è stata condotta tra il 1976 e il 2012. I risultati mostrano che le donne, in media, hanno aumentato il proprio peso di quasi 10 chili, mentre gli uomini di poco più di 8.
Rispetto a coloro che hanno mantenuto stabile il proprio peso, non aumentando né perdendo più di due chili tra i 18 e i 55 anni, quelli che sono ingrassati, anche moderatamente, presentano un rischio maggiore di morte prematura. Facendo una meta-analisi dei dati dei partecipanti, ogni aumento di peso di 5 chili è associato a un aumento del 30 per cento del rischio di contrarre il diabete di tipo 2, del 14 per cento del rischio di ipertensione, dell’8 per cento del rischio di contrarre una malattia cardiovascolare e del 6 per cento di sviluppare un tumore correlato all’obesità.
Se le fake news ci rovinano anche la colazione
AlimentazioneAllarme “fake news” anche per la prima colazione. Sembra infatti che anche il nostro modo di mangiare al mattino sia messo in discussione dalle informazioni, non sempre attendibili, che circolano online. Ecco allora che il 61% degli italiani ritiene (a torto) che sia migliore una colazione super proteica mentre il 40% pensa sia corretto eliminare i carboidrati dal primo pasto del mattino (mentre dovrebbero essere, spiegano i nutrizionisti, l’ingrediente principale). Per 1 italiano su 5 – circa 10 milioni di italiani – dovremmo addirittura dire addio al nostro modello, tradizionalmente dolce, per preferire una colazione salata, da loro considerata, sbagliando, più salutare. Si rileva inoltre un forte pregiudizio nei confronti dei grassi: per il 73% degli italiani quelli presenti nei prodotti per la prima colazione (biscotti, dolci da forno) sarebbero da eliminare. È quanto emerge da un’indagine realizzata dall’Osservatorio Doxa – AIDEPI “Io comincio bene” su un campione rappresentativo di 1000 italiani.
La colazione rimane per fortuna una solida certezza per gli italiani e si conferma un pasto fondamentale (la fa ogni giorno il 93% della popolazione).
Uno scenario che preoccupa i nutrizionisti. “Si tratta – commenta Michelangelo Giampietro, nutrizionista e medico dello sport– di un insieme di convinzioni sbagliate che rischiano di mandare in fumo anni di lavoro di informazione fatto sul consumatore da esperti qualificati. Il consiglio è che ogni pasto sia il più completo possibile e che apporti tutti i nutrienti (carboidrati, proteine, grassi, acqua, fibra, sali minerali e vitamine). La ripartizione più corretta è data dal 70% di carboidrati, il 20% di proteine e il 10% di grassi. Tradotto in un menù un buon mix è dato da una porzione (50 grammi) di pane, oppure tre fette biscottate (30 grammi) o quantità equivalenti di altri prodotti da forno, cereali (30 grammi), muesli o biscotti; una tazza (125 ml) di latte o uno yogurt; e un frutto. Non c’è motivo di rinunciare alla colazione dolce, tipica del nostro Paese.”
Ma se diverse false credenze iniziano a far breccia tra gli italiani, l’importanza della prima colazione non sembra fortunatamente essere messa in discussione e 9 italiani su 10 dichiarano di farla ogni giorno, tendenzialmente a casa (93%). Si conferma un trend positivo: i cosiddetti “breakfast skipper”, chi salta abitualmente la colazione o la fa occasionalmente, sono oggi il 7% della popolazione.
Latte ‘vegetale’ più salutare del latte vaccino? Non sono comparabili (ma lo pensa 1 italiano su 2) e 3 su 10 ritengono (sbagliando) che ‘senza glutine’ sia meglio per tutti.
Tra le altre credenze che sembrano riscuotere un alto grado di apprezzamento c’è la convinzione, per 1 italiano su 2 che le bevande a base vegetale, spesso impropriamente definite “latte” (sul tema si è espressa recentemente la Corte di Giustizia europea), siano più salutari del latte vaccino. “Non sono equivalenti o comparabili – spiega Giampietro – il latte ha sostanze specifiche che le bevande ottenute dai vegetali non hanno, non vanno considerate un’alternativa, ma una scelta diversa, dettata dal gusto o da specifiche e comprovate necessità. Il latte è da escludere solo nella dieta di chi ha un’allergia alle proteine del latte vaccino, mentre chi è intollerante può usare un latte delattosato o lo yogurt.”
Anche il “senza glutine” sembra far presa tanto che 1 italiano su 3 ritiene utile eliminarlo a colazione per tutti: “Comportamento, non ci stancheremo di ripeterlo, sbagliato. Il glutine è un componente naturale del grano e di altri, ma non tutti, i cereali. I processi di eliminazione comportano, inevitabilmente, l’aumento di altre componenti e il rischio è di avere una dieta più ricca in grassi. Non ci sono al momento studi che documentino i benefici di una dieta senza glutine per chi non è celiaco o non manifesti un’ipersensibilità a certi alimenti ” – spiega il dott. Giampietro.
Con i super food si inizia la giornata com sprint e con acqua e limone si dimagrisce? Non è vero, ma ci credono 6 italiani su 10.
Zenzero e bacche di gojii al mattino per avere più energia e iniziare la giornata con sprint: è un’altra convinzione che accomuna il 60% degli italiani, che dimostrano un’incrollabile fiducia nei cosiddetti “super food”. Ma non è l’unica tendenza salutista che si evince dalla ricerca, tanto che il 55% del campione reputa acqua e limone un espediente utile per dimagrire al mattino, mentre quest’abitudine non ha alcun fondamento oggettivo. Mode passeggere per la scienza della nutrizione, ma come si spiega questo successo?
“Queste risposte rispecchiano dei trend che si sono affermati da tempo a livello sociale: la ricerca di benessere e naturalezza – spiega Ariela Mortara, sociologa dei consumi e docente presso lo Iulm di Milano – I super food sono legati intrinsecamente alla promessa di benessere, sono alimenti che vengono reputati in grado di produrre un effetto superiore a quello tipicamente legato al cibo. Il limone, invece, è spesso protagonista di tante diete, è un frutto, e quindi percepito come salutare, ma meno piacevole di altri, come arance o kiwi, e a livello psicologico il fatto che sia poco gradevole e aspro può portare a pensare che faccia anche dimagrire.”
Colazione: nel tempo è stata sopravvalutata? No, è una buona abitudine da non mettere in discussione, risponde (correttamente) l’83% degli italiani.
Se dagli ingredienti e dalla composizione della colazione ci spostiamo sull’importanza del primo pasto della giornata, il numero di chi “crede” alle informazioni, non sempre attendibili, in circolazione, si abbassa, per fortuna, sensibilmente. Ecco allora che solo il 17% non ritiene un problema saltare la prima colazione e il 15% che sia controproducente per chi sta dieta: “è un ottimo risultato – commenta il nutrizionista – fare colazione è una buona abitudine che gli italiani, nel tempo, hanno faticosamente acquisito e i benefici sono indubbi: contribuisce a mantenere l’equilibrio metabolico e a favorire il buon funzionamento dei nostri organi e apparati. E la mole di studi che riscontrano gli effetti positivi della prima colazione per chi deve perdere peso è cospicua, non c’è motivo, al momento, di dubitarne.”
Cosa piace di più agli italiani? Da un’altra recente indagine dell’Osservatorio Doxa-Aidepi “Io Comincio bene”, tra i prodotti più amati si confermano negli anni al primo posto i biscotti (scelti dal 58%), seguiti da fette biscottate, con o senza marmellata, miele e creme spalmabili alla nocciola o al cacao (19%). A seguire, più o meno a pari merito (tra il 7% e il 9% dei consensi), 3 gruppi di alimenti: cereali/muesli; merendine/brioches/cornetti confezionati e yogurt.
Malattie rare, ecco la foto della situazione italiana
News PresaL’Italia fa un significativo passo in avanti nella lotta alle malattie rare. Oggi, tra i vari aspetti che negli anni sono cambiati, nel nostro Paese si trovano molti più farmaci orfani, a dimostrazione di come l’industria bio-farmaceutica sia in prima fila nella battaglia contro queste malattie. Questo e molto altro è emerso dalla presentazione di MonitoRare, III Rapporto sulla condizione delle persone con Malattia Rara in Italia, realizzato dalla Federazione Italiana Malattie Rare UNIAMO F.I.M.R. onlus.
Focus Italia/Europa
Novità di quest’anno è il quadro della situazione italiana nel contesto europeo, dove l’eccellenza dei diversi Centri di Competenza nazionali è confermata dai dati sulla partecipazione agli ERN (European Reference Networks), network europei che riuniscono i Centri di expertise per malattie rare e complesse: l’Italia è presente in 23 ERN su 24, con il maggior numero di Health Care Providers rispetto agli altri Paesi, 189 su 942 (20,1% del totale). Anche in termini di rappresentatività dei pazienti negli ePAGs (membri dell’European Patient Advocacy Groups) collegati agli ERN la presenza italiana è rilevante: 25 su 142 (17,6%).
Approccio integrato
Per Tommasina Iorno, Presidente di UNIAMO FIMR onlus, «le malattie rare sono una importante sfida di sistema , sono ad alta complessità assistenziale e l’impatto nella vita delle persone non tocca solo il piano della salute, ma quello psico-sociale dell’intero nucleo familiare: isolamento, discriminazione, povertà accompagnano spesso il percorso di vita di chi convive con queste patologie. C’è bisogno di un approccio comune in tutti i territori per dare un supporto a queste famiglie che includa anche l’aspetto socio-assistenziale e strumenti di integrazione scolastica e lavorativa. MonitoRare vuole essere uno strumento di crescita collettiva promosso dalle associazioni pazienti per scegliere – insieme con le rappresentanze della comunità dei pazienti – le azioni migliori da mettere in campo per arrivare ad un’equità di trattamento in tutto il Paese». MonitoRare è una fotografia aggiornata sul tema delle malattie rare, che fa il punto sul quadro nazionale e quello europeo, basandosi sulla presentazione di dati, sull’analisi della responsabilità sociale, della ricerca e dell’assistenza. «Assobiotec, Associazione di Federchimica, – dice Ugo Capolino Perlingieri (componente Comitato di Presidenza Assobiotec) – ha voluto confermare per il terzo anno il proprio supporto ad UNIAMO FIMR onlus nel progetto MonitoRare, convinta che un rapporto di questo tipo possa rappresentare un punto di riferimento dettagliato e aggiornato per tutti i portatori di interesse degli sviluppi ma anche delle aree di miglioramento di questo settore di valenza sociale ancor prima che industriale».
Politiche sanitarie e socio-sanitarie
Stando al rapporto negli ultimi anni l’evoluzione delle politiche sanitarie è stata sostanzialmente caratterizzata da una contrazione delle risorse disponibili) mentre per le politiche socio-sanitarie si segnalano alcune interessanti novità. Il rapporto evidenzia anche come la situazione italiana nel contesto europeo confermi diversi punti di forza, anche se spesso caratterizzati da evidenti disomogeneità territoriali soprattutto sul versante assistenziale. Nella terza sezione del rapporto c’è una focalizzazione più specifica sul contesto nazionale e regionale approfondito, mentre l’ultima sezione è dedicata all’aggiornamento dei dati sullo stato di implementazione delle azioni previste dal Piano Nazionale Malattie Rare 2013-2016.
Punti di forza e criticità.
Tra le positività si può annoverare la Ricerca, con l’aumento degli studi clinici autorizzati sulle malattie rare: dai 117 del 2013 (20,0%) ai 160 del 2016 (24,6%), fatto a cui si aggiunge che i gruppi di ricerca italiani sono sostanzialmente presenti in 1 progetto su 5 (20,6%) relativi alle malattie rare che sono inseriti nella piattaforma Orphanet, con un leggero aumento rispetto agli ultimi anni (nel 2015 erano il 19,3% e nel 2014 il 18,3%). Inoltre secondo i primi risultati di una ricerca UNIAMO F.I.M.R. Onlus in collaborazione con il Ministero della Salute – Direzione Generale della ricerca e dell’innovazione in sanità alla quale hanno risposto ad inizio luglio 2017 37 IRCCS su 49 (75,5%), nel 2016 i 346 progetti sulle malattie rare (12,0% del totale) hanno assorbito il 12,4% delle risorse complessivamente investite nell’anno in progetti di ricerca corrente (per un valore di oltre 15 milioni di euro). Notevole anche la relativa produzione scientifica come risulta dal contributo della Società Italiana di Ricerca Pediatrica: oltre 500 pubblicazioni all’anno.
I Registri
Positivo ciò che accade in questo ambito. Continua a migliorare la copertura dei Registri Regionali delle Malattie Rare e i più recenti dati disponibili consentono di affinare la stima sul numero di persone con malattia rara nel nostro paese quantificabile nell’intervallo compreso tra 370.000 e 860.000 con una prevalenza tra lo 0,61% e l’1,45% sulla popolazione. Anche screening neo-natali estesi stanno dando risultati positivi con un trend di crescita decisa della copertura dello screening neo-natale esteso per le malattie metaboliche ereditarie, aumentato di più di 20 punti percentuali nel biennio 2012-2014 (dal 29,9% del 2012 al 50,4% del 2015), ancorché il numero di patologie presenti nel pannello di screening nelle diverse Regioni riporti ancora rilevanti differenze. La situazione più critica è relativa alle Regioni dell’Italia meridionale (con qualche eccezione) (Fonte: Rapporto Tecnico SIMMESN);
Laboratori
Per i Laboratori clinici il trend è in crescita sia per il numero di laboratori clinici considerati nel database di Orphanet (+1,8% 2016), che, soprattutto, per il numero di malattie testate (+28,2%). Negli ultimi 5 anni, per l’Italia si passa da 264 a 279 laboratori censiti (+5,7%), nei quali le malattie testate quasi raddoppiano, passando da 794 a 1.497 (+88,5%). Aanche per i farmaci orfani (come detto) si registra un aumento sia nel numero dei farmaci disponibili che, ovviamente nel consumo. La spesa per i farmaci orfani passa dai 917 milioni di € del 2013 ai 1.393 milioni di € del 2016 (+52%). Si conferma anche il trend delle richieste di riconoscimento di utilizzo off-label di farmaci per malattie rare: 15 nel 2016 (un terzo delle quali accolte). Le criticità persistono, creando molto disagio alla comunità dei pazienti, nella disomogeneità territoriale che vede una disparità di trattamento sia nell’assistenza che nell’erogazione dei trattamenti disponibili. In particolare nei Centri di Competenza si evidenzia questa situazione ancora abbastanza diversificata nelle diverse Regioni, soprattutto in relazione ai criteri operativi utilizzati per la definizione dei centri e alle relative modalità di individuazione. Una conferma a questa diversità è data anche dalla disequità della distribuzione geografica degli ospedali italiani che partecipano agli ERN: il 66,7% degli ospedali che partecipano ad almeno una ERN si trova nelle regioni settentrionali, il 19,7% al centro e appena il 13,6% nel mezzogiorno. Lluce rossa per gran parte del Paese per quanto riguarda la regolamentazione delle terapie farmacologiche e non in ambito scolastico, una misura importante per la piena inclusione sociale dei malati rari. Sul fronte dei Servizi socio-assitenziali e del lavoro, infatti, ancora si fatica a comprendere che la presenza di una malattia rara è da considerarsi come un potenziale fattore di rischio di esclusione sociale del nucleo familiare e l’assistenza territoriale per la persona con malattia rara personalizzata potrebbe fare una grande differenza in termini di inclusione e raggiungimento di autonomie.
Gioco di squadra
Monitorare è stato presentato oggi (27 luglio) nell’Aula dei gruppi parlamentari di Montecitorio ed è stato realizzato grazie al contributo non condizionato di – Associazione Nazionale per lo Sviluppo delle Biotecnologie (FEDERCHIMICA) e con la collaborazione del Ministero della Salute, dei Centri di coordinamento regionale per le MR, AIFA, CNMR-ISS, Orphanet, Telethon, TNGB, dello Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare e di alcune Società Scientifiche che offre una fotografia aggiornata sul tema delle malattie rare, facendo il punto sul quadro nazionale e quello europeo, presentando dati, analizzando l’ambito della responsabilità sociale, della ricerca e quello dell’assistenza. Il rapporto, insieme alla sua sintesi è scaricabile dal sito della Federazione.
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