Tempo di lettura: 3 minutiIn Europa i dati personali viaggiano nel 71 per cento dei casi su internet e quelli sulla salute nel 22 per cento. Tuttavia l’Italia si ferma al 52 per cento, ma in generale, gli accorgimenti per la sicurezza non sono sufficienti.
Insomma, oltre un quinto ha fornito dati relativi alla sua salute nel 2016. Eurostat ne ha valutato la sicurezza e lo ha fatto non solo per la salute, ma anche e soprattutto per le attività online che richiedono, ad esempio, l’inserimento dei dettagli della carta di credito, i dati personali o coordinate di posizione.
L’Italia è tra i Paesi che di meno hanno utilizzato la rete e si assesta al 52 per cento, contro la media Ue del 71 per cento. A fornire più facilmente informazioni personali in rete sono le fasce più giovani: più di tre quarti (78%) degli utenti di Internet ha dai 16 ai 24 anni e ha condiviso informazioni personali online, rispetto al 57% degli utenti di 65-74 anni.
C’è da dire che la rivoluzione digitale ha un rovescio della medaglia, se da un lato promette vantaggi tangibili nelle terapie e nell’assistenza, dall’altro però espone chiunque a rischi potenziali notevoli.
Oggi, i dati sanitari protetti sono oggetto d’attenzione dei cyber criminali e il 2016 è stato l’anno peggiore.
Sembrerà strano, eppure potrebbe capitare che i risultati degli esami del sangue, l’esito di una Tac, i farmaci prescritti, il referto di un intervento chirurgico o di una visita specialistica finiscano nelle mani dei “cyber ladri”. Negli Stati Uniti, il 26 per cento dei consumatori ha subito furti di informazioni mediche personali inserite nei sistemi informativi sanitari. Lo ha messo in luce uno studio su un campione di duemila intervistati, presentato dalla multinazionale Accenture al congresso annuale organizzato dall’associazione HiMSS (Healthcare Information and Management Systems Society) a Orlando. Metà delle vittime aveva dovuto pagare di tasca propria per ovviare all’incidente. L’identità rubata era stata utilizzata per comperare oggetti (37%), pagare prestazioni mediche (37%) o acquistare farmaci (26%).
Nella maggioranza dei casi, i cyber criminali vogliono soldi, quindi chiedono un riscatto. Oppure rivendono i dati al mercato nero del “deep web”. Il problema non è solo americano: nessuno è escluso dal mirino dei cyber criminali, come hanno sottolineato gli esperti di Clusit, Associazione Italiana per la Sicurezza Informatica, in occasione della presentazione del Rapporto Clusit 2017, giunto all’undicesima edizione.
Ma nel mirino degli hacker non ci sono solo i dati sanitari, ma anche i dispositivi medici controllabili da remoto attraverso la rete. Secondo il report Fortinet (che ha raccolto i dati di 450 fornitori di programmi di sicurezza informatica nel mondo) , nell’ultimo trimestre del 2016 ci sono stati più di 700mila attacchi al minuto contro le organizzazioni sanitarie. Gli esperti del FortiGuard Labs global threat research team hanno registrato l’intensificarsi degli attacchi soprattutto contro il cosiddetto “Internet delle cose” (IoT, Internet of things) cioè l’estensione di Internet al mondo degli oggetti e dei luoghi concreti.
Tuttavia ci sono azioni semplici che può fare qualsiasi utente per mettersi al riparo il più possibile, come ad esempio modificare le impostazioni del browser per impedire o limitare la quantità di cookie sul computer/dispositivo, per utilizzare il software anti-tracciamento o per limitare l’accesso alle informazioni personali in linea.
Secondo Eurostat (dall’ultima rilevazione), tra gli Stati membri dell’Ue, la quota degli utenti di Internet che hanno cambiato le impostazioni del browser per prevenire o limitare la quantità di cookie è stato più alto in Lussemburgo (54%) e in Germania (49%), mentre la quota di coloro che hanno utilizzato il software anti-tracciamento era il più alto in Estonia (31%).
Queste azioni erano più elevate per gli utenti di Internet più giovani di età compresa tra i 16 ei 24 anni rispetto ai soggetti anziani di età compresa tra i 65 ei 74 anni. Quasi il 40% degli utenti Internet più giovani ha limitato o impedito la quantità di cookie e il 19% ha utilizzato il software anti-tracciamento, rispetto a quasi un quarto degli utenti di Internet più anziani che hanno modificato l’impostazione del browser nei cookie (24%) e nel 14% tracciamento software.
La quota degli utenti di Internet di età compresa tra i 65 ei 74 anni dell’Ue che non hanno avuto problemi di sicurezza (80%) è leggermente superiore a quella degli utenti di Internet di età compresa tra i 16 ei 24 anni (72%). Tra i due gruppi di età, il problema più comune di sicurezza era l’eliminazione di un virus informatico o di un’altra infezione (24% dei giovani e il 16% degli utenti di Internet più anziani).
Per quanto riguarda le aziende, quasi tutte (98% dell’Ue) utilizzano computer e tra queste, solo il 32% dispone di una politica di sicurezza ICT formalmente definita. Per le grandi imprese , questa quota ha raggiunto il 72%, mentre è inferiore a un terzo per le PMI (31%).
Adottare una politica di sicurezza ICT significa che un’azienda è consapevole dei rischi a cui i propri sistemi ICT sono esposti. Questo consente una strategia per salvaguardare i dati e le infrastrutture, eppure solo 3 su 10 PMI dell’Ue adottato questo tipo di politica.
Promuoviamo salute
Successo per l’Atelier della salute, tra visite mediche gratuite e sport
PrevenzioneCon 2300 visitatori partecipanti attivi alle diverse iniziative proposte, di cui circa 400 studenti provenienti da licei e istituti superiori; 660 prestazioni mediche effettuate in collaborazione con Campus Salute Onlus e Fondazione PRO l’Atelier della salute: esperienze, percorsi, soluzioni per vivere… meglio!” è stata un grande successo. Organizzata dalla Scuola di Medicina e Chirurgia e Federico II nel cuore del Policlinico federiciano, l’iniziativa ha messo assieme le due anime, «Scuola» e «Azienda», con il comune obiettivo di promuovere sani stili di vita, aprendo le porte della cittadella universitaria con un programma ricco di proposte su alimentazione, attività fisica, benessere psicologico e pratiche di prevenzione.
Vicini ai cittadini
Un successo che Luigi Califano, presidente della Scuola di Medicina e Chirurgia, sottolinea con orgoglio. «Sono state proposte attività che hanno coniugato rispetto per la scienza ed esigenza di divulgazione, concentrando l’attenzione sulle molteplici declinazioni dei concetti di salute e benessere. Ai cittadini è stata offerta l’opportunità di raggiungere una maggiore consapevolezza per prendersi cura di sé, con pochi semplici attenzioni quotidiane. La grande affluenza di pubblico e l’ampio gradimento manifestato, ci consentono di dire che abbiamo raggiunto, con grande soddisfazione, l’obiettivo». Stesso entusiasmo anche da parte del direttore generale Vincenzo Viggiani, per il quale «La commissione scientifica che ha curato l’evento ha ricreato un’agorà, un’allegra ed elegante piazza, in cui i cittadini hanno potuto incontrare i professionisti della salute. Una cornice nuova in cui comunicare dubbi e curiosità e avvicinarsi a semplici e replicabili soluzioni per vivere meglio. Un’esperienza unica che, visto il gradimento e la partecipazione ottenuto, auspico diventi un appuntamento fisso».
Tra visite e workshop
Numerose le iniziative proposte: 15 workshop interattivi, in cui i professori della Scuola di Medicina e i professionisti dell’Azienda hanno incontrato i cittadini per affrontare insieme i falsi miti in tema di stili di vita; 30 stand esperienziali, per scoprire le novità sui grandi temi che riguardano la gestione della propria salute; 5 show cooking, allestiti nei locali della mensa aziendale e frutto della collaborazione tra esperti di nutrizione della Federico II, chef internazionali e chef campani per favorire una maggiore consapevolezza nella scelta degli alimenti e nelle modalità di cottura; 10 diverse attività, ripetute in più sessioni, per l’area benessere sul prato centrale, dove si sono alternate performance sportive, tecniche di rilassamento, sessioni di Tai-chi, preparazione atletica ed appuntamenti per passeggiate nelle aree verdi del complesso ospedaliero, accompagnati da esperti di medicina dello sport e agronomi, 3 seminari sulle esperienze della Regione Campania in Europa, nell’ambito dell’innovazione a supporto della salute e circa 20 diverse tipologie di visite mediche specialistiche gratuite offerte alla cittadinanza. Tra le visite più richieste, gli screening dermatologici, ben 120 eseguiti in una sola giornata. Visite che hanno portato ad intercettare precocemente alcuni problemi. Su tutti una lesione fortemente sospetta per melanoma localizzata al dorso, regione difficilmente esplorabile autonomamente, ad un uomo di 70 anni per il quale è stato avviato un percorso con la struttura federiciana per programmare esame stereomicroscopico ed escissione chirurgica; un nevo di Spitz in un adulto di 40 anni, per il quale è stato programmato lo stesso iter e 4 nevi atipici per i quali è stato già programmato un follow up presso la Dermatologia del Policlinico Federico II. Il successo dell’Atelier della Salute – conclude Alessandra Dionisio, coordinamento scientifico-organizzativo dell’evento – è il risultato di un efficace lavoro di squadra e la dimostrazione che è possibile e necessario fare rete.L’atmosfera che abbiamo condiviso in questi giorni offre un chiaro segnale dell’esigenza che hanno cittadini e professionisti della salute di nuovi spazi di comunicazione, per costruire insieme una nuova idea di salute e prevenzione».
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Inps, il polo unico che stanerà i «furbetti»
News Presa, PartnerDal primo settembre è iniziata quella che in molti hanno definito la “rivoluzione” per le visite di controllo sulle malattie dei lavoratori del settore pubblico. Il polo unico della medicina fiscale è partito estendendo alla pubblica amministrazione la competenza dell’Inps. Si va, insomma, verso una normativa che mira a stanare e sanzionare i tristemente noti “furbetti”, quelli che si assentano dal lavoro per malattia e poi magari sono in giro a fare shopping o peggio. A discutere di questo scottante argomento, ai microfoni di Radio Kiss Kiss, sabato mattina, ci sarà il dottor Raffaele Migliorini (dirigente presso il Coordinamento generale medico legale dell’Inps). L’appuntamento è come sempre alle 11 circa con Good Morning Kiss Kiss, nell’approfondimento realizzato in partnership con il Network PreSa – Prevenzione e Salute.
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Istat. italiani: più longevi sì, ma con più dolori
AnzianiGli italiani sono il popolo più longevo d’ Europa, ma dopo i 75 anni vivono in condizioni peggiori rispetto agli altri europei. Dall’ultima indagine ISTAT emerge la situazione di molti anziani sofferenti a causa di qualche malattia cronica o con dolori fisici che ne limitano la qualità della vita. Questo riguarda più le donne che gli uomini. L’ultimo rapporto Istat sulla salute in Italia e nell’Unione Europea non lascia dubbi. La speranza di vita a 65 anni (18,9 anni per gli uomini e 22,2 per le donne nel 2015) è più elevata di un anno rispetto alla media Ue, ma un anziano su due soffre di almeno una malattia cronica grave. Più di un terzo degli anziani, esattamente il 37,7%, riferisce di aver provato dolore fisico, da moderato a molto forte, nelle quattro settimane precedenti l’intervista, un valore che tuttavia è inferiore alla media Ue e simile a quanto rilevato per la Spagna.
Il 23,1% degli anziani italiani ha gravi limitazioni motorie, con uno svantaggio di soli 2 punti percentuali sulla media Ue, principalmente dovuto alla maggiore quota di donne molto anziane. Inoltre tra gli anziani con grave riduzione di autonomia nelle attività di cura della persona, il 58,1% dichiara di aver bisogno di aiuto o di averne in misura insufficiente. La quota di aiuto non soddisfatto è superiore al Sud (67,5%) e tra gli anziani meno abbienti (64,2%). Oltre un anziano su quattro (25,9%) dichiara di poter contare su una solida rete di sostegno sociale, il 18% su una debole e uno su due si colloca in una situazione intermedia. E poi c’è un ultimo dato che richiede attenzione. Nonostante le precarie condizioni di salute, in Italia sono 1 milione e 700 mila (pari al 12,8%) gli anziani in grado di offrire cure almeno una volta a settimana a familiari e non familiari con problemi di salute. Ma qui forse entra in gioco qualcosa che va oltre la sola capacità fisica.
Epilessia, arriva Trenta ore per la Vita
Eventi d'interesse, News PresaRiuscire a trovare una terapia efficace per l’epilessia è l’obiettivo con il quale torna quest’anno la campagna «Trenta ore per la Vita» che sarà ospitata dal 2 all’8 ottobre sulle reti Rai e dal 9 al 15 ottobre su La7 per proseguire, fino al 30 aprile 2018, con varie iniziative e con il volto di una madrina d’eccezione, Lorella Cuccarini.
Un nemico insidioso
Ogni anno in Italia vengono diagnosticati tra 29.500 e 32.500 nuovi casi di epilessia. Questo significa che una persona ogni 17 minuti scopre di soffrire di questa malattia neurologica caratterizzata da crisi con episodi di perdita di coscienza, alterazioni motorie e sensoriali, caduta o stato di assenza che possono manifestarsi a qualunque età ma, in oltre il 60% dei casi, l’esordio avviene in età pediatrica. Secondo i dati riportati dal ministero della Salute nella «Relazione sullo Stato Sanitario del Paese 2009-2010», in Italia sono circa 500mila i pazienti affetti da epilessia, di cui circa 125mila con forme resistenti alla terapia farmacologica. In età pediatrica l’epilessia rappresenta la principale malattia neurologica e in Europa circa 5 bambini su 1.000 sono affetti da una forma di questa patologia.
I progetti
Visite mediche gratuite da fare in piena notte
PrevenzioneVisite mediche gratuite e notturne. Con la notte bianca organizzata dall’Azienda ospedaliera universitaria Vanvitelli non ci sono più scuse: a ciascuno il percorso di prevenzione più appropriato. Divisi per colori, i percorsi clinici sono sei, 33 gli stand per le visite e sette le ore di apertura straordinaria degli ambulatori. Oltre a tutto questo anche artisti e performance tra musica e arte. L’appuntamento è negli spazi del Policlinico di Piazza Miraglia a Napoli nella notte di sabato 30, dalle 19 alle 2 del mattino.
I sei percorsi
Medici, infermieri e specializzandi saranno per tutta la notte a disposizione dell’utenza, gratuitamente. I percorsi clinici previsti, cui sono stati abbinati diversi colori, sono: Benessere donna, Nascere e crescere nel centro storico, Prevenzione dell’obesità infantile e dell’adulto, Prevenzione delle malattie cardiovascolari e metaboliche, Mantenersi in forma dopo i 60 anni e infine Spazio giovani. «Un’occasione importante per aprire il nostro Policlinico alla città e ai cittadini – ha detto il Rettore dell’Università Vanvitelli, Giuseppe Paolisso – e per continuare a ribadire l’importanza della prevenzione. Questo è soprattutto il senso di questa Notte bianca e il senso di tenere tanti percorsi clinici con professionisti a disposizione dell’utenza gratuitamente». Nessuna prenotazione preventiva, per accedere ai percorsi sarà sufficiente scegliere il proprio e farsi consegnare il «biglietto» nell’apposito stand allestito in prossimità dell’ingresso.
Arte e musica
Il programma della Notte bianca prevede inoltre la presenza di numerosi artisti, da Vincenzo Danise a Gigi Finzio e Maria Nazionale e un’esposizione del Maestro Lello Esposito. Ad aprire la serata ci sarà un dialogo con Tonino Palmese e Enzo Avitabile su «Il Corpo e lo Spirito». «Speriamo di poter dare un contributo importante ai cittadini – spiega il direttore generale dell’Azienda policlinico, Maurizio di Mauro – che semplicemente seguendo il percorso che maggiormente gli interessa, potranno essere guidati e assistiti da personale medico e paramedico specializzato. E dobbiamo ringraziare anche tutti gli artisti che verranno, anche loro a titolo gratuito, che potranno far coesistere un momento di leggerezza con l’attenzione necessaria alla cura del proprio corpo».
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Terreni persi per il deserto. Oltre 1mld persone costrette a spostarsi
PrevenzioneOggi un terzo del pianeta è degradato e ogni anno 15 miliardi di alberi e 24 miliardi di tonnellate di terreno fertile vengono persi.
È quanto emerge dal rapporto The Global Land Outlook presentato dalla Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta contro la desertificazione (UNCCD).
Il vice segretario esecutivo Pradeep Monga ha spiegato che la deforestazione, lo sfruttamento, le inondazioni e la siccità, fanno sì che i terreni diventino meno produttivi, costringendo le persone ad abbandonare le zone rurali per migrare nelle città o all’estero, il che rappresenta un duro colpo per le economie dei Paesi.
Nel mondo, più di 1,3 miliardi di persone vivono su terreni agricoli che si stanno deteriorando e sarebbero a rischio di soffrire di fame, carenza d’acqua e povertà. Secondo le dichiarazioni di Monga, diffuse su Thomson Reuters Foundation, risolvere il problema della degradazione del terreno significa uscire dal circolo vizioso che porta le persone a perdere i propri mezzi di sussistenza, le proprie case e i propri campi. In particolare, se la quantità di terreni produttivi si riduce, diventano meno disponibili anche le terre da coltivare per alimentare la popolazione mondiale, che si prevede aumenterà a più di nove miliardi di persone entro il 2050, dai sette miliardi attuali.
Negli ultimi trent’anni, l’uso delle risorse naturali sarebbe raddoppiato. Il cambio di rotta parte dalle piccole scelte quotidiane, spiega l’Unccd, come ridurre i rifiuti alimentari, migliorare lo sfruttamento del suolo, gestire in modo intelligente le fattorie e adottare politiche nazionali per fermare il degrado. La Cina, per esempio, che ha introdotto la prima legge mondiale per prevenire e contrastare la desertificazione nel 2002, è riuscita a rendere verdi migliaia di ettari di deserto nella Mongolia Interna, con il risultato di avere più cibo, più posti di lavoro e una vita migliore per le popolazioni locali.
“La siccità degrada la terra, ma se i Paesi hanno buoni programmi e agiscono per contrastarla, allora per persone possono essere protette”, ha concluso Monga. La United Nations Convention to Combat Desertification (Unccd), che si occupa di promuovere una buona gestione del suolo, ad oggi è l’unico accordo internazionale vincolante che riguarda i terreni.
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Il Pascale come mai sino ad oggi con la notte della ricerca
Ricerca innovazioneL’Europa festeggia la notte della ricerca, Napoli affida al Pascale e al Cnr il compito di aprire le porte ai cittadini per fare spazio a prevenzione e informazione. Dal tardo pomeriggio alla notte, l’appuntamento è per tutti: bambini, giovani, adulti. Ci saranno incontri, laboratori, mostre, dimostrazioni di esperimenti, seminari divulgativi e molto altro, secondo il filo conduttore del «Made in science», per una scienza intesa come vera e propria filiera della conoscenza, come marchio di fabbrica, una garanzia di eccellenza della ricerca che migliora la vita quotidiana di tutti.
Porte aperte
L’appuntamento è per venerdì 29, quando il grande evento promosso dalla Commissione Europea, che da dodici anni porta in tutta Europa e in 52 città italiane la scienza, verrà declinato in salsa partenopea. Si partirà alle 19 e si andrà avanti sino a mezzanotte. Per i cittadini ci sarà l’opportunità di visitare l’Istituto e in particolare i laboratori, ma anche sperimentare le apparecchiature più sofisticate, discutere, giocare e perfino affrontare gli scienziati del più grande polo oncologico del Mezzogiorno e i professori del Cnr. A fare da guida agli ospiti i 250 ricercatori del Pascale. Tra loro molti giovani precari. Ma anche gli studenti della scuola infermieristica, e in definitiva tutti gli operatori dell’Istituto.
Sotto una nuova luce
«Questa iniziativa – dice il direttore scientifico dell’Irccs, Gerardo Botti – rappresenta un’occasione unica per visitare in un’atmosfera gioiosa ed accogliente il più grande Istituto di ricerca dei tumori dell’Italia Meridionale, all’avanguardia nello studio e nella cura delle neoplasie. Una serata straordinaria in cui studenti e gente comune incontreranno i ricercatori e potranno discutere serenamente con loro sui molteplici aspetti che riguardano l’affascinante mondo della ricerca. Il gemellaggio con il Cnr vuole sottolineare quanto sia importante unire le forze e le competenze per raggiungere i prestigiosi traguardi a cui deve mirare una ricerca qualificata». La serata si concluderà con uno spettacolo di musica e teatro dedicato ai pazienti. In scena Cristina Donadio e Patrizio Rispo, i comici Alessandro Bolide, Mariano Bruno, Gigi & Ross, i ballerini di tango Paola Perez e Luca Caruso, il basso-baritono Daniele Antonangeli, il soprano Alessandra Della Croce, il re della posteggia Daniele Sole, la Compagnia Luna Nova, il cantante Pasquale D’Angelo. Spettacolo, ma non solo. Il massimo esponente dell’iconografia partenopea, Lello Esposito, spiegherà la sua arte. Il professore Rodolfo Matto, il clown mancato, come ama definirsi lui, insegnerà a ridere.
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Quanto è in sicurezza la nostra salute (su internet)?
PrevenzioneIn Europa i dati personali viaggiano nel 71 per cento dei casi su internet e quelli sulla salute nel 22 per cento. Tuttavia l’Italia si ferma al 52 per cento, ma in generale, gli accorgimenti per la sicurezza non sono sufficienti.
Insomma, oltre un quinto ha fornito dati relativi alla sua salute nel 2016. Eurostat ne ha valutato la sicurezza e lo ha fatto non solo per la salute, ma anche e soprattutto per le attività online che richiedono, ad esempio, l’inserimento dei dettagli della carta di credito, i dati personali o coordinate di posizione.
L’Italia è tra i Paesi che di meno hanno utilizzato la rete e si assesta al 52 per cento, contro la media Ue del 71 per cento. A fornire più facilmente informazioni personali in rete sono le fasce più giovani: più di tre quarti (78%) degli utenti di Internet ha dai 16 ai 24 anni e ha condiviso informazioni personali online, rispetto al 57% degli utenti di 65-74 anni.
C’è da dire che la rivoluzione digitale ha un rovescio della medaglia, se da un lato promette vantaggi tangibili nelle terapie e nell’assistenza, dall’altro però espone chiunque a rischi potenziali notevoli.
Oggi, i dati sanitari protetti sono oggetto d’attenzione dei cyber criminali e il 2016 è stato l’anno peggiore.
Sembrerà strano, eppure potrebbe capitare che i risultati degli esami del sangue, l’esito di una Tac, i farmaci prescritti, il referto di un intervento chirurgico o di una visita specialistica finiscano nelle mani dei “cyber ladri”. Negli Stati Uniti, il 26 per cento dei consumatori ha subito furti di informazioni mediche personali inserite nei sistemi informativi sanitari. Lo ha messo in luce uno studio su un campione di duemila intervistati, presentato dalla multinazionale Accenture al congresso annuale organizzato dall’associazione HiMSS (Healthcare Information and Management Systems Society) a Orlando. Metà delle vittime aveva dovuto pagare di tasca propria per ovviare all’incidente. L’identità rubata era stata utilizzata per comperare oggetti (37%), pagare prestazioni mediche (37%) o acquistare farmaci (26%).
Nella maggioranza dei casi, i cyber criminali vogliono soldi, quindi chiedono un riscatto. Oppure rivendono i dati al mercato nero del “deep web”. Il problema non è solo americano: nessuno è escluso dal mirino dei cyber criminali, come hanno sottolineato gli esperti di Clusit, Associazione Italiana per la Sicurezza Informatica, in occasione della presentazione del Rapporto Clusit 2017, giunto all’undicesima edizione.
Ma nel mirino degli hacker non ci sono solo i dati sanitari, ma anche i dispositivi medici controllabili da remoto attraverso la rete. Secondo il report Fortinet (che ha raccolto i dati di 450 fornitori di programmi di sicurezza informatica nel mondo) , nell’ultimo trimestre del 2016 ci sono stati più di 700mila attacchi al minuto contro le organizzazioni sanitarie. Gli esperti del FortiGuard Labs global threat research team hanno registrato l’intensificarsi degli attacchi soprattutto contro il cosiddetto “Internet delle cose” (IoT, Internet of things) cioè l’estensione di Internet al mondo degli oggetti e dei luoghi concreti.
Tuttavia ci sono azioni semplici che può fare qualsiasi utente per mettersi al riparo il più possibile, come ad esempio modificare le impostazioni del browser per impedire o limitare la quantità di cookie sul computer/dispositivo, per utilizzare il software anti-tracciamento o per limitare l’accesso alle informazioni personali in linea.
Secondo Eurostat (dall’ultima rilevazione), tra gli Stati membri dell’Ue, la quota degli utenti di Internet che hanno cambiato le impostazioni del browser per prevenire o limitare la quantità di cookie è stato più alto in Lussemburgo (54%) e in Germania (49%), mentre la quota di coloro che hanno utilizzato il software anti-tracciamento era il più alto in Estonia (31%).
Queste azioni erano più elevate per gli utenti di Internet più giovani di età compresa tra i 16 ei 24 anni rispetto ai soggetti anziani di età compresa tra i 65 ei 74 anni. Quasi il 40% degli utenti Internet più giovani ha limitato o impedito la quantità di cookie e il 19% ha utilizzato il software anti-tracciamento, rispetto a quasi un quarto degli utenti di Internet più anziani che hanno modificato l’impostazione del browser nei cookie (24%) e nel 14% tracciamento software.
La quota degli utenti di Internet di età compresa tra i 65 ei 74 anni dell’Ue che non hanno avuto problemi di sicurezza (80%) è leggermente superiore a quella degli utenti di Internet di età compresa tra i 16 ei 24 anni (72%). Tra i due gruppi di età, il problema più comune di sicurezza era l’eliminazione di un virus informatico o di un’altra infezione (24% dei giovani e il 16% degli utenti di Internet più anziani).
Per quanto riguarda le aziende, quasi tutte (98% dell’Ue) utilizzano computer e tra queste, solo il 32% dispone di una politica di sicurezza ICT formalmente definita. Per le grandi imprese , questa quota ha raggiunto il 72%, mentre è inferiore a un terzo per le PMI (31%).
Adottare una politica di sicurezza ICT significa che un’azienda è consapevole dei rischi a cui i propri sistemi ICT sono esposti. Questo consente una strategia per salvaguardare i dati e le infrastrutture, eppure solo 3 su 10 PMI dell’Ue adottato questo tipo di politica.
Promuoviamo salute
Distrofia Duchenne. Italia, con 13 centri, prima in Ue per assistenza
PrevenzioneLa Duchenne è una malattia genetica rara che colpisce un bambino ogni 3.500. L’Italia ha, in media, almeno più del doppio dei centri di assistenza per la diagnosi e trattamento di questa patologia, rispetto a tutti gli altri Paesi dell’Ue. Interessa soprattutto i maschi, perché il gene “difettoso”, responsabile della Duchenne, si trova sul cromosoma X. Nelle femmine (che ne hanno due) il secondo cromosoma X può sopperire, almeno in parte, all’attività di quello che non funziona (nei maschi questa possibilità non esiste), tuttavia le donne possono esserne portatrici sane.
Ma qual è la causa? Nel cromosoma X risiede il gene della distrofina, una proteina essenziale dei muscoli. La mutazione genetica determina la completa assenza di distrofia nel tessuto muscolare, fondamentale per la stabilità strutturale dei muscoli scheletrici, diaframmatici e cardiaci.
I centri italiani per la diagnosi e trattamento della distrofia muscolare di Duchenne sono in tutto tredici. Neurologi, pediatri, psicologi, ma anche cardiologi, pneumologi e fisioterapisti collaborano tra di loro e formano i team multidisciplinari. Gli esperti del settore hanno fatto il punto della situazione in Italia in occasione della prima masterclass dedicata alla distrofia muscolare di Duchenne e Becker organizzata da Parent Project e Associazione Italiana di miologia (Aim) .
I 13 centri medici che svolgono un ruolo chiave nel trattamento della malattia rara “coprono quasi tutto l’intero territorio italiano – spiega Claudio Bruno, Responsabile Uosd Centro Traslazionale di miologia e patologie neurodegenerative, Istituto Giannina Gaslini di Genova – e coinvolgono nella diagnosi e successivo follow-up della patologia tutta una serie di figure professionali che lavorano in sinergia per riuscire ad individuare i casi di distrofia in modo precoce. Ciò è di fondamentale importanza per l’inizio delle nuove terapie emergenti”.
Sono 12 i Paesi che aderiscono allo ERN-NMD (European reference network for rare or low prevalence complex diseases – Neuromuscular disease): Belgio, Bulgaria, Repubblica Ceca, Finlandia, Francia, Germania, Ungheria, Spagna, Svezia, Regno Unito, Paesi Bassi e Italia. La media del numero dei centri di assistenza non è superiore a 4 per ciascun Paese. L’Italia, quindi, detiene il primato grazie soprattutto all’azione delle associazioni pazienti.
A giocare un ruolo chiave è la diagnosi precoce, per il miglioramento non solo della qualità, ma anche dell’aspettativa di vita dei pazienti: “Attualmente la diagnosi avviene in un arco di tempo compreso tra i 3 e i 5 anni: questo è sicuramente qualificabile come ritardo diagnostico – spiega Giuseppe Vita, Professore ordinario di neurologia dell’Università di Messina e direttore Uoc di neurologia e malattie neuromuscolari del Policlinico di Messina – La malattia può essere scovata sin dai primi mesi di vita, ma talvolta il pediatra tende a sottovalutare i piccoli problemi che i genitori possono riferire”. Sarebbe sufficiente “includere un dosaggio del Cpk (creatinfosfochinasi) in un esame di routine per capire se sia il caso o meno di iniziare un vero e proprio iter diagnostico del paziente che può portare poi alla diagnosi di una malattia neuromuscolare”, sottolinea. Il Cpk è un enzima endocellulare che si trova, in particolare, nei muscoli scheletrici, nel cuore, nel cervello, nei polmoni e nel siero. La rilevazione dei livelli di CPK nel sangue serve a valutare il danno muscolare. “Questi bambini sin dalla nascita hanno un Cpk elevato, anche 5 mila o 10 mila unità”, specifica Vita.
Che tipo di segnali i genitori non devono ignorare? Ci può già essere qualche “sfumatissimo segno di difficoltà motoria nei primi anni di vita, come una caduta che si ripete nel tempo, piccole difficoltà nei movimenti di tutti i giorni, movimenti fisiologici come il sollevarsi da terra o da accovacciati utilizzando le braccia per assumere la posizione eretta – spiega Gabriele Siciliano, Presidente Aim e professore ordinario di neurologia dell’Università di Pisa – Con il passare del tempo questi segni possono diventare più evidenti: difficoltà nel salire le scale, nel sollevare pesi con gli arti superiori, ma è soprattutto la fase iniziale che, ai fini della diagnosi, dev’essere individuata bene dallo specialista”.
“La distrofia di Duchenne molto spesso è inaspettata perché la mamma può essere portatrice sana del gene “difettoso” – spiega Filippo Buccella, direttore della ricerca e clinical network di Parent Project Onlus – C’è tanto da fare – continua – da un punto di vista di integrazione sociale, in termini di inserimento lavorativo dei pazienti, di scolarizzazione, di supporto psicologico anche per le famiglie e, soprattutto, noi lavoriamo anche nell’ambito della ricerca e c’è tanto da fare anche dal punto di vista della ricerca – sottolinea Buccella – Ci sono oggi forse più di 20 approcci di ricerca promettenti, alcuni sono già arrivati a destinazione”. “Si tratta semplicemente di continuare a lavorare in questa direzione – conclude.
Sport, salvarsi la vita con 30 minuti al giorno
SportSe siete tra quelli che in palestra «abbonamento annuale», ma poi mollate dopo 2 giorni, allora lo sport e meglio farlo con piccoli espedienti. Del resto rinunciare all’attività fisica sarebbe da incoscienti. A ricordarci l’importanza dello sport è infatti un maxi studio senza precedenti, pubblicato sulla rivista Lancet. Condotto da Scott Lear della University’s Faculty of Health Sciences and Pfizer/Heart & Stroke Foundation e St. Paul’s Hospital in Canada, questa ricerca ha coinvolto 130.843 persone di 35-70 anni (in 17 paesi) che hanno compilato dei questionari dettagliati sul loro libello di attività fisica (e il tipo di attività) e su altri fattori (da dieta a vizio del fumo etc). I partecipanti sono stati sottoposti a più riprese a dei check up completi e seguiti per una media di 7 anni. Nel tempo i ricercatori hanno registrato tutti i decessi e gli eventi cardiovascolari intercorsi. E i risultati mettono la pelle d’oca, almeno a chi lo sport lo vede solo in tv.
30 minuti al giorno
Come detto è emerso che l’attività fisica (dalla palestra o anche solo il recarsi a lavoro a piedi o in bici, o fare i lavori di casa) salva la vita: a livello globale un decesso su dodici (l’8% di tutti i decessi) può essere prevenuto con 30 minuti di attività 5 giorni su 7. Inoltre un caso su 20 (4,6%) di malattie cardiovascolari può essere prevenuto e al crescere dei livelli settimanali di attività fisica i rischi di morte e di patologie cardiovascolari si riducono. Suddivisi in gruppi in base al livello di attività fisica settimanale svolto, si è visto che il 3,8% di coloro che praticavano in media 150 minuti di attività fisica a settimana ha sviluppato una patologia cardiovascolare contro il 5,1% di coloro che non arrivano a quei livelli di attività fisica. Per questi ultimi, inoltre, il rischio di morte è maggiore (6,1%) rispetto a coloro che svolgono 150 minuti settimanali di attività fisica (4,2%).
Lo faccio a casa
Se non c’è tempo, o voglia, di andare in palestra si può sempre sfruttare quel che si ha a casa. Le scale ad esempio sono perfette per un po’ di esercizio domestico. Bastano anche quattro gradini, quindi «abito al piano terra» non potrà mai essere una scusa. Salire e poi riscendere alternando alta intensità a riposo attivo è infatti un ottimo modo per bruciare grassi e tenere in forma il cuore.
Addominali
Il mountain climber è uno degli esercizi per addominali più mirati. Come fare? Posizionarsi sul letto appoggiando le mani all’altezza delle spalle e le gambe in posizione plank, quini un po’ come se si volessero fare delle flessioni. Poi portare velocemente un ginocchio dopo l’altro in avanti fino a toccare il rispettivo gomito. I glutei vanno sempre mantenuti bassi e la schiena con le gambe devono formare una linea dritta.
High five
Questo esercizio è ottimo per il coordinamento e rafforzare tutta la muscolatura. Come fare? Sdraiarsi sul letto sulla schiena e tirarsi su mantenendosi solo su mani e piedi. Sollevare il bacino e il sedere fino a raggiungere una posizione parallela al letto e letteralmente battere il 5 con la mano destra sulla pianta del piede sinistro. Alternare entrambe le direzioni. Questi sono solo alcuni dei mille modi con i quali ci si può tenere in forma senza necessariamente andare in palestra. Ricordando che 30 minuti al giorno possono salvare la vita.
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