Tempo di lettura: 2 minutiIn Europa la salute è al secondo posto tra le voci di spesa pubblica (7,1 % di spesa in percentuale sul Pil). Al primo posto si trovano pensioni e servizi sociali con il 19,1% di incidenza sul Pil. Tuttavia, le differenze tra gli Stati membri ci sono. A fare un quadro della situazione sono gli ultimi dati dell’Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione europea (relativi al 2016).
Danimarca (8,6%), Francia (8,1%) e Austria (8%) hanno registrato le percentuali più alte di spesa pubblica per la salute tra gli Stati membri. Danimarca e Regno Unito puntano di più sull’ospedale, Spagna, Finlandia e Svezia sul territorio. Per l’Italia valori sempre in media Ue o a metà classifica. L’incidenza della spesa per la salute crolla a Cipro, Lettonia, Polonia, Lussemburgo e Ungheria, tutte al di sotto del 4,8%. Alla protezione sociale l’Italia destina il 20% del Pil.
La spesa pubblica in protezione sociale più elevata è in Finlandia e la più bassa in Irlanda. Questa voce è stata la più grande area di spesa delle amministrazioni pubbliche nel 2016 in tutti gli Stati membri dell’Ue. Otto Stati membri: Finlandia, Francia, Danimarca, Austria, Italia, Grecia, Svezia e Belgio – destinano almeno il 20% del Pil alla protezione sociale, mentre Irlanda, Lituania, Romania, Lettonia, Malta, Repubblica ceca e Bulgaria hanno speso ciascuno meno del 13% del Pil. La spesa per la protezione sociale può essere poi suddivisa in una serie di sottogruppi.
Pensioni
Il primo comprende le pensioni, cioè la spesa delle amministrazioni pubbliche per la “vecchiaia” che rappresentava bensì il 10,2% del Pil in media Ue. La più alta nel 2016 è stata in Grecia (16,0%), seguita da Finlandia (13,7%), Francia e Italia (entrambi il 13,5%) e Austria (13,0%). Al contrario, l’Irlanda (3,5%), la Lituania (5,9%), Cipro (6,2%) e Paesi Bassi (6,7%) hanno registrato le azioni più basse.
Salute
La spesa “sanitaria” è, quindi, la seconda voce più consistente delle spese delle amministrazioni pubbliche dopo le spese per la “protezione sociale”. Nell’Ue-28, la spesa totale delle amministrazioni pubbliche in materia di “salute” è stata in media del 7,1% del Pil.
Ospedali
Per quanto riguarda il peso dell’ospedale sul Pil, con la media Ue rilevata nel 2015 al 3,4% e quella dell’Italia al 3%, al top c’è la Danimarca col 6,1% seguita dal Regno Unito con il 5,7% mentre sul versante opposto, a parte le nazioni dove il dato 2016 non è stato rilevato, l’incidenza più bassa la registrano il Lussemburgo con lo 0,1% e Cipro con l’1,9 per cento.
Considerando i servizi sul territorio quelli definiti “ambulatoriali”, la media Ue è di un’incidenza sul Pil del 2,2% e l’Italia è al 2,6%, ma al livello massimo c’è la Spagna col 4,7%, seguita da Finlandia (3,2%) e Svezia (3%), mentre l’incidenza di questi servizi è bassissima (0,1%) a Cipro e in Romania seguite (0,5%) da Estonia e Grecia e dalla Bulgaria allo 0,6% e il Regno Unito allo 0,7 per cento.
Istruzione
Danimarca e Svezia (6,9% del Pil), Belgio (6,4%) e Finlandia (6,1%) hanno registrato le maggiori quote di spesa pubblica per l ‘istruzione nel 2016.
promuoviamo salute
Scars of life, quando le cicatrici diventano medaglie
News PresaModelle che hanno attraversato l’inferno della malattia mostrano come medaglie le cicatrici di una battaglia combattuta e vinta. Si chiama «Scars of life» la mostra fotografica ospitata al Cardarelli di Napoli fino al 30 marzo e realizzata in collaborazione con il Comitato Ad Astra. Gli scatti sono quelli del fotografo Daniele Deriu, che su Facebook spiega «Ho sempre mostrato i “segni di una lotta” nei miei lavori. Alcune volte appena percepiti, altre volte assai più evidenti. Le cicatrici servono a ricordarci che siamo dei sopravvissuti. Sono le memorie delle nostre battaglie, le ustioni dei nostri personali inferni. Alcune donne hanno accettato di mostrarle, di lasciare una testimonianza. “Ecco guardate”, dicono, dall’inferno si può tornare. Lottare non è vano».
Non abbiate paura
Con questa mostra il Cardarelli di Napoli si è posto ancora una volta al fianco delle donne. «Vogliamo mostrarvi – ha detto il direttore generale Ciro Verdoliva – l’insulto al corpo delle donne dovuto a malattie importanti come trapianti di cuore, amputazioni, tumori. Sono donne che mostrando le loro cicatrici vogliono dare coraggio a chi quella battaglia la sta ancora portando avanti e vive in un inferno». Ed è a queste donne che Verdoliva si rivolge nel dire: «Non abbiate paura, affidatevi anche nelle mani dei professionisti del Cardarelli che hanno il solo scopo di lavorare per garantire la salute».
Testimonial d’eccezione
Testimonial dell’iniziativa è l’attrice Cristina Donadio: «Orgogliosa, felice ed emozionata», anche perché lei stessa è una di quelle donne che ha conosciuto l’inferno della malattia, e ne è uscita. «Questa mostra fotografica – ha sottolineato – rende onore e vita alle donne meravigliose colpite da tumore e spero di poter essere fotografata anche io al più presto. Ritengo che ogni donna che ha attraversato l’avventura del tumore si porta dietro un segno, ha un valore aggiunto e quel segno racconta il nostro essere guerriere per noi e per gli altri». Donadio ha affrontato la sua malattia a Napoli (prima, durante e dopo) e ora può raccontare con fierezza di aver vinto la propria battaglia.
Quali Stati spendono di più in salute e pensioni? Dati Eurostat
Economia sanitariaIn Europa la salute è al secondo posto tra le voci di spesa pubblica (7,1 % di spesa in percentuale sul Pil). Al primo posto si trovano pensioni e servizi sociali con il 19,1% di incidenza sul Pil. Tuttavia, le differenze tra gli Stati membri ci sono. A fare un quadro della situazione sono gli ultimi dati dell’Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione europea (relativi al 2016).
Danimarca (8,6%), Francia (8,1%) e Austria (8%) hanno registrato le percentuali più alte di spesa pubblica per la salute tra gli Stati membri. Danimarca e Regno Unito puntano di più sull’ospedale, Spagna, Finlandia e Svezia sul territorio. Per l’Italia valori sempre in media Ue o a metà classifica. L’incidenza della spesa per la salute crolla a Cipro, Lettonia, Polonia, Lussemburgo e Ungheria, tutte al di sotto del 4,8%. Alla protezione sociale l’Italia destina il 20% del Pil.
La spesa pubblica in protezione sociale più elevata è in Finlandia e la più bassa in Irlanda. Questa voce è stata la più grande area di spesa delle amministrazioni pubbliche nel 2016 in tutti gli Stati membri dell’Ue. Otto Stati membri: Finlandia, Francia, Danimarca, Austria, Italia, Grecia, Svezia e Belgio – destinano almeno il 20% del Pil alla protezione sociale, mentre Irlanda, Lituania, Romania, Lettonia, Malta, Repubblica ceca e Bulgaria hanno speso ciascuno meno del 13% del Pil. La spesa per la protezione sociale può essere poi suddivisa in una serie di sottogruppi.
Pensioni
Il primo comprende le pensioni, cioè la spesa delle amministrazioni pubbliche per la “vecchiaia” che rappresentava bensì il 10,2% del Pil in media Ue. La più alta nel 2016 è stata in Grecia (16,0%), seguita da Finlandia (13,7%), Francia e Italia (entrambi il 13,5%) e Austria (13,0%). Al contrario, l’Irlanda (3,5%), la Lituania (5,9%), Cipro (6,2%) e Paesi Bassi (6,7%) hanno registrato le azioni più basse.
Salute
La spesa “sanitaria” è, quindi, la seconda voce più consistente delle spese delle amministrazioni pubbliche dopo le spese per la “protezione sociale”. Nell’Ue-28, la spesa totale delle amministrazioni pubbliche in materia di “salute” è stata in media del 7,1% del Pil.
Ospedali
Per quanto riguarda il peso dell’ospedale sul Pil, con la media Ue rilevata nel 2015 al 3,4% e quella dell’Italia al 3%, al top c’è la Danimarca col 6,1% seguita dal Regno Unito con il 5,7% mentre sul versante opposto, a parte le nazioni dove il dato 2016 non è stato rilevato, l’incidenza più bassa la registrano il Lussemburgo con lo 0,1% e Cipro con l’1,9 per cento.
Considerando i servizi sul territorio quelli definiti “ambulatoriali”, la media Ue è di un’incidenza sul Pil del 2,2% e l’Italia è al 2,6%, ma al livello massimo c’è la Spagna col 4,7%, seguita da Finlandia (3,2%) e Svezia (3%), mentre l’incidenza di questi servizi è bassissima (0,1%) a Cipro e in Romania seguite (0,5%) da Estonia e Grecia e dalla Bulgaria allo 0,6% e il Regno Unito allo 0,7 per cento.
Istruzione
Danimarca e Svezia (6,9% del Pil), Belgio (6,4%) e Finlandia (6,1%) hanno registrato le maggiori quote di spesa pubblica per l ‘istruzione nel 2016.
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Caso Marfella, medici divisi. Il dg Bianchi: «Nessuno ci fermerà»
News Presa, RubricheSapendo che il vostro oncologo napoletano (ammalatosi di cancro alla prostata) ha scelto di volare a Milano per farsi operare, anziché farsi curare nell’ospedale nel quale lavora, voi cosa fareste? La domanda è più che legittima, e certamente se la stanno ponendo moltissimi pazienti dell’Istituto Pascale di Napoli dopo le incredibili rivelazioni pubblicate dal Corriere del Mezzogiorno su quello che è ormai divenuto per tutti il «caso Marfella». L’oncologo napoletano, come si legge nell’articolo del Corriere a firma di Roberto Russo, un mese fa ha scoperto di avere un cancro alla prostata. Nella sfortuna, avrebbe detto qualcuno, è stato fortunato, perché conosce bene la materia e lavora all’Istituto per i tumori di Napoli. Insomma, avrà modo di ricevere le migliori cure. La scelta di Marfella apre invece ad uno scenario molto diverso. «Non ho difficoltà a far sapere che, pur lavorando al Pascale, sono in lista di attesa per operarmi all’Ieo di Milano».
Luci e ombre
Le dichiarazioni di Marfella, ferma la sua libertà di scegliere dove e come curarsi, hanno scatenato un comprensibile polverone. Trai sui detrattori c’è chi afferma che un comportamento simile sia poco utile a tutti quei pazienti che sono in cura a Napoli e che ora potrebbero sentirsi persi. A favore di Marfella quanti invece lo lodano per il coraggio di aver detto le cose come stanno. Molti pareri discordanti anche all’interno della categoria dei medici. Volendo vedere il bicchiere mezzo pieno, di certo il dibattito delle prossime settimane servirà ad accendere i riflettori su un tema molto delicato e complesso. E chi sa che tutto questo non possa alla fine mettere un punto, in un senso o nell’altro, a dubbi e incertezze che ci sono da ben prima del «caso Marfella».
«Nessuno ci fermerà»
Intanto, la reazione dell’Istituto di Napoli è essenzialmente in una lettera a firma del direttore generale Attilio Bianchi: «Il dottor Antonio Marfella, nostro dipendente, al quale va tutta la mia umana comprensione, ha scoperto di recente di essere affetto da un tumore. Naturalmente, in quanto paziente, ha il diritto di scegliere in piena libertà le cure da ricevere e il luogo dove riceverle. Tuttavia la scelta di rendere pubblica la sua condizione di malattia e con essa il luogo dove curarsi non può trasformarsi in un ingiustificato, ingeneroso e gratuito discredito per l’istituzione sanitaria e di ricerca per la quale lavora da oltre trenta anni e che ogni giorno si prende cura di tanti uomini e donne che come il dottor Marfella sono colpiti dal cancro e che vivono la malattia con grande dignità, certezza di cura e speranza di guarigione. Una speranza di guarigione che sempre di più si trasforma in sconfitta della malattia grazie all’impegno quotidiano di tanti medici, ricercatori, infermieri e tecnici che non si arrendono mai. Una speranza che sempre più si invera in una istituzione di ricerca e cura che, come la Fondazione Pascale, è divenuta punto di riferimento oncologico non solo del meridione d’Italia. Le dichiarazioni alla stampa del dott. Marfella che feriscono tutti noi, ma che soprattutto feriscono quanti si affidano alle cure del nostro Istituto, non ci debbono indurre a reazioni impulsive, ma debbono, invece, essere l’occasione per spiegare meglio quanto stiamo facendo e quanto siamo cresciuti e quanto ancora cresceremo. Nessuno ci fermerà. Ci spinge l’urgenza di sconfiggere il cancro.
Paura dell’aereo? Il cervello impara a vincerla
PsicologiaDopo ventitré anni, durante i quali non era più riuscita a solcare il cielo a causa di una paura scatenata da un atterraggio di emergenza, Vania Colasanti, grazie alla cura del neurologo Rosario Sorrentino, è tornata tra le nuvole. Soprattutto ha riacquistato la voglia di volare e l’entusiasmo di trasmettere questo successo terapeutico ai timorosi del volo. In Italia, stando alle stime di Doxa, sono il 53,3% della popolazione. I timorosi dell’aereo spesso, bloccati dall’angoscia, non viaggiano e si privano della conoscenza di luoghi lontani. Le aveva provate proprio tutte Colasanti: psicoterapie varie, metodi alternativi, ma nulla di tutto ciò era riuscito a sbloccarla. Ma perché una sana paura diventa fobia? Cos’è a mandare in tilt il cervello al punto da far rinunciare al bello della vita? Per rispondere a queste domande è nato il libro “Grazie al cielo”. Un percorso scientifico nei misteri della materia grigia e dei principali meccanismi che scatenano l’ansia. Qui i passeggeri non sono solo i reduci del variegato “pianeta panico” (persone che non riuscivano ad attraversare gallerie, autostrade, luoghi affollati), ma anche temerari professionisti che guardano il cielo da un’angolazione privilegiata: astronauti, piloti, ingegneri che svelano le meraviglie del volo anche da un punto di vista tecnico.
Oltre al viaggio per vacanza, per cultura o per crescita personale, c’è chi è costretto a volare per lavoro. Un’imprenditore, un medico cardiologo e addirittura la moglie di un pilota d’aereo: anche loro sono stati aviofobici (quelli che mai e poi mai salirebbero su un velivolo). Le loro paure ora superate sono raccontate nel libro scritto dalla giornalista Vania Colasanti e dal neurologo Rosario Sorrentino che l’ha aiutata a vincere la fobia. Il libro sarà presentato questo pomeriggio, 12 marzo a Rizzoli Galleria a Milano.
Gli attacchi di panico, spiega Sorrentino, lasciano il loro ricordo depositato in un ‘cassetto’ della memoria e sono pronti a riemergere come se si fosse trattato di un’esperienza negativa vissuta poco prima. La terapia farmacologica va iniziata a piccole dosi già alcuni giorni prima del volo prova. Ma non basta prendere una pillola per superare una paura, il percorso si basa sulla sostituzione di una situazione piacevole, quale diventa il volo, al posto di una dolorosa e spiacevole, fiaccando nel paziente quell’ansia anticipata che gli impedisce di volare. Ma questo vale per tante tipologie di panico: c’è chi non se la sente di viaggiare su treni ad alta velocità, o chi va in vacanza in un albergo distante da non più di cento metri da un ospedale. La cura c’è e comincia da non aver paura di aver paura e di non aver vergogna di parlarne.
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Morti improvvise: tra i 50 e i 70 mila casi in Italia come Astori
Prevenzione, SportNon c’è solo il nome del giovane capitano Davide Astori. Le statistiche parlano chiaro: in Italia ci sono dai 50 ai 70 mila casi di morti ‘improvvise’. Decessi che sfuggono al controllo, come sembra sia successo al capitano della Fiorentina, ritrovato morto nella sua stanza nel ritiro di Udine, poco prima di pranzo. I cardiologi parlano di patologie che non possono essere controllate. Per questo può succedere anche agli sportivi, costantemente sotto osservazione.
Il dottor Valerio Sanguigni, cardiologo dell’universita’ Tor Vergata di Roma, ha detto all’Ansa, che vi sono delle patologie talmente rare e fuori controllo che non possono essere diagnosticate o curate: quando si verificano, spesso, è troppo tardi. Tra esempi di malattie incontrollabili, il cardiologo ne cita alcune, come “la displasia aritmogena del ventricolo, una cardiopatia congenita”; oppure “ci puo’ essere un’embolia polmonare, un vaso cerebrale rotto o una anomalia del ritmo cardiaco”.
Insomma, nessun controllo è mai sicuro al cento per cento. Anche quando si tratta di atleti olimpici, l’arresto cardiaco può essere causato da problemi congeniti.
Nel 2015, uno studio dell’Istituto di Medicina dello Sport del Coni ha indagato le patologie cardiache nascoste. Gli atleti di 31 discipline estive e 14 invernali sono stati sottoposti all’elettrocardiogramma sotto sforzo e a riposo ma anche all’ecocardiogramma. Su 171 soggetti sono state trovate anomalie cardiache, in 6 casi talmente gravi da determinare l’esclusione dalle competizioni.
“I controlli in Italia sono tra i migliori al mondo – ha detto Sanguigni – ma ci sono patologie che sfuggono, anche molto rare. Purtroppo le aritmie cardiache sono imprevedibili, non è vero che avvengono sempre dopo uno sforzo. Le percentuali sono basse, ma l’epidemiologia prevede una serie di malattie genetiche latenti e sconosciute che sfuggono anche ai controlli che fa uno sportivo professionista”.
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Alessandra: così il golf mi ha salvata dal baratro
SportOltre i pregiudizi e la malattia, anche se questa si chiama Charcot-Marie Tooth (più nota con l’acronimo CMT). La storia è quella di Alessandra Donati, classe 1966 e romagnola Doc, tornata a vivere grazie al golf nonostante da sempre stia lottando contro una neuropatia demielinizzante progressiva e senza cura. «Il golf – dice sorridendo – è la chiave della mia rinascita. Iniziare a giocare mi ha permesso di accettare la malattia e di sentirmi finalmente uguale agli altri. Sul green ho trovato solidarietà, amici e pace interiore. Ho iniziato tardi, ma adesso non voglio più smettere».
Un vero esempio
Quella di Alessandra è una storia che trasmette coraggio e che certamente dev’essere d’esempio nel modo di affrontare la vita. Lei ha trovato nel golf il proprio coraggio, ma di fondo è servita tata forza di volontà per non arrendersi mai. Neanche di fronte ad una malattia che si caratterizza per la perdita di tono muscolare e della sensibilità al tatto, in particolare agli arti inferiori al di sotto del ginocchio. Eppure Alessandra compete oggi ad alto livello. «Credevo fosse impossibile – dice – specie nelle mie condizioni. E invece il green mi sta dando tante soddisfazioni. Questo è uno sport che supera davvero ogni barriera. E permette di giocare alla pari con il tuo avversario». Attualmente al 54simo posto del Ranking European Disabled Golf Association (associazione europea che raggruppa tutti i golfisti disabili) e 6a Lady assoluta, la Donati ci ha preso gusto.
Verso l’Open di Svezia
«Il 3 aprile parteciperò alla Pro Am del Campionato Nazionale Open – torneo dell’Italian Pro Tour – al Golf Club Le Fonti di Castel San Pietro Terme (Bologna). Poi andrò in Francia per un altro torneo e quindi gareggerò sia all’Open d’Italia che all’Open di Svezia per disabili». Il green l’ha stregata. «Voglio confessare una cosa. Con il golf ho imparato ad accettare la mia malattia. Prima di conoscere questo universo tutto era più difficile. Mi vergognavo e comportavo come se non avessi nulla. Era la cosa peggiore che potessi fare. Le persone mi evitavano guardandomi con molto imbarazzo. Camminavo in maniera goffa e soffrivo di complessi d’inferiorità. Da quando ho cominciato ad accettarmi, sul green è cambiato tutto. Ho trovato amici e solidarietà. E persone che si sono aperte raccontandomi dei loro problemi e, in alcuni casi, delle loro malattie. E’ stato come rinascere, in maniera però consapevole».
Forza di volontà e tenacia.
Queste le caratteristiche di Alessandra. Che sul green non usufruisce di alcun vantaggio, se non di quello di poter contare su una golf cart (per spostarsi da una buca all’altra) per problemi certificati di deambulazione. Il suo desiderio? «Vorrei vedere sempre più donne sul green per rendere finalmente questo sport, assolutamente non d’élite, meno maschilista. Sono sicura che grazie alla Ryder Cup e ai progetti della Federgolf l’Italia riuscirà in questa impresa. L’edizione italiana della sfida Usa-Europa – conclude – è un’opportunità unica per il nostro Paese. La FIG, che a livello di atleti paralimpici sta facendo un grande lavoro, mettendo a disposizione maestri e anche wild-card per partecipare a gare nazionali, riuscirà a centrare questa mission».
Mattarella: discriminazione donne freno a sviluppo del Paese
News Presa, PrevenzioneLa discriminazione è un freno allo sviluppo, le pari opportunità sono l’ “antidoto all’immobilismo sociale”. Lo ha detto il Capo dello Stato Sergio Mattarella nel suo messaggio per la Giornata Internazionale delle donne.
Un discorso incentrato sul contributo femminile allo sviluppo della Repubblica e alle discriminazioni ancora in atto. Il presidente Mattarella dal Quirinale fa un discorso politico e richiama tutti ad avere “senso di responsabilità” e pensare al bene generale dei cittadini.
“Abbiamo ancora e avremo sempre bisogno di questa attitudine: del senso di responsabilità di saper collocare al centro l’interesse generale del Paese e dei suoi cittadini”, ha detto in un alla vigilia delle delicate consultazioni politiche da cui, dopo il clima di tensione della campagna elettorale, può derivare un Governo solo se i partiti metteranno da parte gli interessi particolari per trovare una convergenza politica.
“Oggi le donne sono più consapevoli – dice Mattarella – più presenti e responsabili nella politica, nella cultura, nell’impresa, nella scuola, in tutti gli altri luoghi di lavoro. Non ancora quanto dovrebbero, e quanto sarebbe utile. Ma l’8 marzo ricorda alla coscienza, e alla cultura, del popolo italiano la centralità della questione femminile. Una questione a cui l’intera società è chiamata a dare una risposta all’altezza della libertà e della dignità che la nostra Costituzione ci ha fatto raggiungere”. Ancora oggi “persistono barriere da superare, squilibri da colmare, ma abbiamo sempre nuove prove di come le pari opportunità delle donne costituiscano uno degli antidoti più forti alle chiusure oligarchiche, all’immobilismo sociale, alle diseguaglianze economiche”.
“La piena parità nel lavoro è un motore di sviluppo. La discriminazione, invece, ne costituisce un freno. Queste leggi hanno favorito la crescita del Paese, attraverso il cammino di liberazione della donna. Nei rapporti di lavoro, non può esserne mai messa in discussione la dignità. Ancor oggi vi sono ostacoli e disparità nell’accesso al lavoro, nella retribuzione, nella mobilità. Talvolta gli ostacoli rendono difficile la conciliazione con i tempi di cura della famiglia. Le barriere possono alzarsi fino a odiose discriminazioni nei licenziamenti. Le dimissioni in bianco, forzose, imposte, sono contrarie alla legge. Occorre vigilare per assicurare il rispetto delle norme. L’Italia non può permettersi di rinunciare alla ricchezza dell’apporto del lavoro femminile“.
Infine il tema della violenza sulle donne. “Le molestie, le violenze fisiche e morali che talvolta irrompono nei rapporti professionali e di lavoro o tra le mura domestiche, ferendo le coscienze, prevaricando libertà e speranze, costituiscono una realtà inaccettabile, e purtroppo tuttora presente” conclude il presidente.
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Il doposcuola perfetto per i bambini con Dsa
News PresaIl progetto è di quelli che non ti aspetti, e nasce da un’esperienza più che ventennale nel campo dei Disturbi specifici dell’apprendimento. «Dsa», grazie alla chiave di lettura pensata dall’associazione partenopea Ipertesto, diventa «Dopo scuola assieme». Il gioco di parole serve a far capire che al centro dell’attenzione ci sono quei ragazzi con disturbi quali la dislessia, ma anche altre condizioni, che spesso rendono impossibile il rapporto famiglia/scuola, facendo precipitare gli adolescenti in un baratro di incertezze e aumentando esponenzialmente l’abbandono dei banchi di studio. La sede del doposcuola sarà la sede del doposcuola sarà quella dell’Arci di Cavalleggeri Aosta in via Luigi Rizzo.
Sostenere le famiglie
Il costo del doposcuola servirà a sostenere le attività proposte, non solo nelle ore pomeridiane, ma anche durante tutto l’anno scolastico. A rendere interessante il progetto è l’idea di andare bel oltre l’ordinario, di sostenere i ragazzi e le famiglie anche nel rapporto con i docenti. Assicurandosi anche che le scuole mettano in pratica quanto previsto dalla legge in questi casi. Si mira inoltre a costruire percorsi di autonomia di apprendimento, con mezzi che possano «semplificare» le esigenze didattiche dei ragazzi con Dsa, ma anche aiutare tutti gli altri a valorizzare il proprio impegno quotidiano. A questo scopo l’associazione Ipertesto forma delle figure professionali in grado di capire le difficoltà, dare spazio al talento, intrattenere un rapporto costruttivo con la famiglia che, spesso, non riesce a governare il problema.
Modello vincente
«Abbiamo già sperimentato un progetto simile al Vomero – spiega il presidente di Ipertesto, Francesco Bianco -, proprio per il successo ottenuto vogliamo ora riproporlo in un quartiere popolare, ma anche molto ben collegato con Posillipo. In questo modo possiamo creare un momento di aggregazione e di condivisione tra ragazzi che hanno esigenze diverse ma che spesso frequentano le stesse scuole. Ovviamente abbiamo la possibilità di accettare un numero limitato di richieste, ma stiamo cercando di fare il possibile per venire in contro alle esigenze di tutti». Chiunque voglia informazioni può contattare la sede dell’associazione al numero 081 5790743, inviare una mail a citofona@ipertesto.org o accedere alla pagina Facebook «doposcuoladsa».
Legge 194, troppe ombre sulla Campania
News PresaTantissimi ginecologi in Italia si dichiarano obiettori di coscienza. Addirittura l’82%, stando ad una ricerca condotta da Cgil Campania con la collaborazione dell’Unione degli Studenti. I dati arrivano nel giorno della festa della donna e a 40 anni dall’approvazione della legge 194, contenente le norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza. Cifre alla mano, lo stato di “salute” dei consultori in Campania non è incoraggiate. Su 151 consultori presenti in regione, solo 13 inviano dati al ministero della Salute, ma il dato più preoccupante riguarda, come detto, la presenza di medici obiettori che sfiora l’82%.
Hashtag #liberoaccesso
Di qui la campagna lanciata da Cgil Campania per il libero accesso ai consultori, che restino spazi gratuiti; alla contraccezione, che si vorrebbe gratuita e accessibile a tutti anche per il contrasto alle malattie sessualmente trasmissibili; all’interruzione volontaria della gravidanza e alla medicina territoriale. Liberoaccesso è anche un hashtag promosso dal Dipartimento nuovi diritti della Cgil che passa dalla ricerca alla vertenza.
I dati
«I consultori – spiega Ileana Remini, della segreteria regionale della Cgil – sono spesso relegati in strutture fatiscenti e poco raggiungibili. Vogliamo chiedere al presidente della Regione Vincenzo De Luca di assumere impegni concreti per la valorizzazione e il potenziamento di queste strutture». Basandosi su un campione di 500 persone, la ricerca ha accertato che ai consultori si rivolge l’81% di donne e il 18% di uomini. La fascia di età più corposa va dagli 11 ai 29 anni e rappresenta circa il 60% dell’utenza. Grazie alla collaborazione dell’Unione degli Studenti si è scoperto che il 65% degli istituto scolastici campani non possiede uno sportello informativo. «Denunciamo da tempo, ma questa ricerca conferma le nostre preoccupazioni – sottolinea Gianna Fracassi della segreteria nazionale Cgil – la legge 194 afferma diritti che sono in gran parte non esigibili da parte della donne». L’Italia è stata anche censurato dalla Corte Europea per i diritti dell’uomo perché questa legge non ha le condizioni per garantire i diritti. Di qui la scelta di celebrare l’8 marzo denunciando le mancanze di questa legge.
Caregiving familiare, in Italia è nelle mani di 9 donne du 10, ma 1 su 5 non ce la fa
Anziani, Ricerca innovazioneIn Italia il caregiving familiare è nelle mani delle donne. Si trovano a dover mediare con le proprie necessità, i propri interessi e le proprie aspirazioni. Per quasi 9 donne su 10 questa è una realtà quotidiana e per 1 su 5 si tratta di un impegno sentito come gravoso, tanto da arrivare a trascurare persino la propria salute. E in alcuni casi sono lasciate sole nella gestione della propria malattia, anche se grave. Un terzo circa (28%) delle famiglie delle donne intervistate, ha almeno un soggetto bisognoso di accudimento. Nella maggior parte dei casi sono persone anziane, più o meno autosufficienti (20% in totale) ma in un caso su dieci si tratta di un malato grave o di un soggetto disabile. Il quadro emerge dall’evento di Farmindustria, in collaborazione con Onda, “Soprattutto donna! Valore e tutela del caregiver familiare” tenutosi ieri a Roma presso il Tempio di Adriano. Le donne ricoprono un ruolo sociale che produce risparmi economici per le casse dello Stato, hanno quindi bisogno, come risulta da un’indagine Ipsos, di un welfare che le aiuti a prendersi meglio cura della famiglia e ovviamente di se stesse.
“L’industria farmaceutica è consapevole del ruolo della donna – ha commentato Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria –perché, da anni, è ‘rosa’: la quota femminile è del 42% sul totale, con punte di oltre il 50% nella R&S. Un dirigente su tre inoltre è donna, mentre negli altri settori la quota è di uno su dieci. Ecco perché le imprese si sono dotate di un welfare che permette di conciliare lavoro e vita privata. Abbiamo dimostrato di essere un settore innovativo – 4.0 – anche da questo punto di vista. Rispondiamo alle necessità attuali con strumenti diversi e flessibili e non ci accontentiamo. Vogliamo insistere sul fattore “D”, come donna. E trovare soluzioni concrete che possano essere di supporto alle donne”. “Si può fare di più e ne siamo consapevoli. Ma partiamo già da risultati incoraggianti. Le nostre aziende – ha concluso Scaccabarozzi – vogliono avere obiettivi sempre più ambiziosi e diventare un esempio da seguire. Tenaci e forti come le donne.”
I numeri
Su un campione di 800 donne adulte in Italia, soltanto per il 14% delle italiane di 18 anni ed oltre, il coinvolgimento come caregiver è nullo o quasi. Per l’altro 86%, con gradi diversi, è un impegno quotidiano. In generale, le necessità familiari che riguardano la salute, sono quasi sempre delle donne che sono presenti al momento della prevenzione (66%), vegliano sul percorso terapeutico (65%), sono l’interlocutore privilegiato del medico nella fase della diagnosi (58%), e della terapia (59%). L’incombenza è ancor più intensa quando si tratta della salute dei bambini. Persino quando è lei ad aver bisogno di cure spesso fa da sé, il livello di autonomia è nel 46% per i casi di problemi lievi di salute e nel 29% per gli eventi più gravi. Non solo: anche nel caregiving, il 68% delle donne si ‘arrangiano da sole’. Tutto ciò incide sulla soddisfazione personale (51% insoddisfatte, tra coloro che si occupano di un malato grave). Lo sforzo che il caregiving richiede loro fanno sì che la percezione delle donne rispetto allo stato delle politiche di welfare in Italia risulti arretrato quando confrontato al resto dell’Europa (per il 69% delle intervistate).
La crisi ha fatto la sua parte. Le italiane sono altresì consapevoli del fatto che il sistema così com’è non è sostenibile (46%) e pertanto la sua capacità di perequazione sociale è limitata (32%). Per metà delle intervistate (48%), il mondo dell’impresa potrebbe avere un ruolo positivo nel supporto. Tra le lavoratrici (circa il 40% delle intervistate) una lavoratrice su 4 (26%) non conosce il meccanismo, mentre circa un quarto (23%) dispone in azienda di una qualche misura di sostegno, ma solo il 7% ne fa uso e comunque lo giudica un’ottima misura di gestione del work-life balance.
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