Tempo di lettura: 2 minutiLe mamme europee al momento del parto hanno in media 30,6 anni. Le più giovani si trovano nella regione bulgara di Sliven (25,1 anni) e le più “anziane” nella regione greca di Voreios Tomeas Athinon (33,8 anni). In Italia sono le due province sarde di “Medio Campidano” e “Nuoro” quelle dove si registra l’età maggiore al parto con, rispettivamente, 33,2 e 33 anni. La media italiana è di 31,7 anni.
Attraverso le 1.373 regioni NUTS 3 dell’Unione europea, Eurostat ha rilevato l’età media delle donne al parto, per tutte le nascite, non solo la prima nel 2016.
Regioni bulgare le più basse
Le regioni bulgare di “Sliven” (25,1 anni), “Yambol” (25,4 anni), “Pazardzhik” (25,8 anni), “Montana” (25,9 anni) e “Vidin” (26,2 anni) erano quelle in cui le donne erano più giovani quando i loro figli sono nati. Le regioni di “Giurgiu” (26,2 anni) e “Călăraşi” (26,3 anni) hanno registrato l’età media più bassa delle donne al parto in Romania.
Grecia, Uk, Francia e Spagna tra le alte
Al contrario, accanto a “Voreios Tomeas Athinon” (33,8 anni) in Grecia, 11 regioni dell’Ue a livello NUTS 3 hanno registrato un’età media delle donne al momento del parto di 33 anni o più.
Cinque di queste regioni erano nel Regno Unito, in particolare a Londra: “Wandsworth” (33,7 anni), “Camden & City of London” (33,7 anni), “Kensington and Chelsea & Hammersmith and Fulham” (33,6 anni), “Westminster “(33,3 anni) e “Lambeth “(33,0 anni).
Le due regioni di “Medio Campidano” e “Nuoro” in Italia, insieme a “Parigi” in Francia, “Heidelberg, Stadtkreis” in Germania, “Bizkaia” in Spagna e “Byen København” in Danimarca, hanno completato l’elenco delle regioni Ue in cui le donne avevano in media 33 anni o più al momento della nascita dei loro figli.
In Italia
Le province più giovani in Italia sono Crotone e Siracusa, con 30,5 anni medi delle mamme al momento del parto, rispetto alla media italiana che raggiunge i 31,7 anni.
Tra le dieci province più giovani d’Italia, nove sono del Sud (sette della Sicilia) e una sola è del Centro (Prato, a otto posti dalla più giovane con una media di 31 anni).
Ma anche le province più anziane sono in gran parte del Sud, soprattutto Sardegna. I primi quattro posti sono infatti oltre che di Medio Campidano e Nuoro, di Oristano e Ogliastra, ma al settimo posto troviamo anche Cagliari.
Infine tra le dieci province, dove le mamme hanno l’età media più elevata al momento del parto, ci sono Ascoli Piceno e Potenza, Monza e della Brianza e le due maggiori città: Roma (poco più “vecchia”) e Milano.
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Tbc in Europa: oltre 4mila decessi nel 2015. Eurostat
PrevenzioneSu 5,2 milioni di decessi registrati nell’Unione europea nel 2015, 4.400 erano dovuti alla tubercolosi (6,31%). L’Eurostat – Ufficio Statistico dell’Unione Europea – ha diffuso i dati sui decessi per tbc nell’Ue-28. Gli uomini sono stati i più colpiti con 3000 decessi, rispetto ai 1.400 femminili. Il 43% di questi decessi ha riguardato persone di età inferiore ai 65 anni. È la Romania a contare il maggior numero di morti per tubercolosi (1.058 decessi, pari al 24% del totale Ue), seguita da Polonia (545, 12%) e Francia (436, 10%). Al quarto posto c’è l’Italia, i cui 332 decessi per tubercolosi nel 2015 valgono il 7,5% di tutti i decessi Ue. Tuttavia, questi numeri assoluti devono essere adattati alle dimensioni e alla struttura della popolazione. Con 6,3 morti per tubercolosi per milione di abitanti, la Lituania ha registrato il tasso più alto tra gli Stati membri dell’Ue, seguita da Romania (5,4) e Lettonia (4,7). Invece i tassi più bassi di decessi per Tbc sono stati registrati nei Paesi Bassi e in Svezia (entrambi con 0,2 decessi per milione di abitanti). A livello Ue, il tasso medio è di 0,85 decessi per tubercolosi per milione di abitanti nel 2015.
L’Italia in questo caso si trova nelle parti basse della classifica a nove posti dal fondo con un tasso di 0,43 morti di TBC per milione di abitanti. L’OMS stima che nel mondo vivano almeno 2 miliardi di persone con un’infezione ‘latente’ da TBC; persone cioè portatrici del batterio, ma senza sintomi (tosse, febbre, calo ponderale e sudorazioni notturne). Queste persone hanno un rischio del 5-15% di sviluppare nel corso della vita la malattia conclamata; il rischio è ovviamente maggiore nei soggetti con compromissione dell’immunità (come le persone con infezione da HIV, quelle in terapia immunosoppressiva, diabetici, fumatori, persone malnutrite).
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Non solo melanoma, ecco come «salvarsi la pelle»
News Presa, RubrichePer «salvarsi la pelle» è importante fare prevenzione. Ma come? L’unico modo è quello di sottoporsi a controlli periodici dal dermatologo o, in caso di qualche dubbio, chiedere consiglio al medico di famiglia. Attenzione però, non è solo dal melanoma che ci si deve guardare. Per essere chiari, il melanoma è il tumore cutaneo del quale si sente parlare più spesso. La ragione è tutta nella pericolosità della neoplasia, ma questo non significa che non ci si debba preoccupare anche di forme tumorali che, se trascurate, possono essere aggressive. I tumori della pelle sono infatti diversi e sono molto frequenti per un motivo
tanto ovvio quanto sottovalutato: la pelle è la nostra prima difesa dalle aggressioni esterne, è l’organo più esteso e quello che subisce i maggiori «insulti», spesso anche a causa di comportamenti incauti. Si pensi ad esempio alle maratone estive sotto i raggi ultravioletti in nome di un’abbronzatura da record.
Un nemico insidioso
Uno dei tumori della pelle dai quali ci si deve guardare è il carcinoma cutaneo a cellule squamose, che
è meno pericoloso del melanoma ma può, in alcuni casi, portare a metastasi. Perché bisogna conoscerlo?
Per il fatto che il carcinoma a cellule squamose (o spinocellulari) è la seconda forma più comune di tumore cutaneo. Non è raro che ì carcinomi cutanei spinocellulari abbiano origine da cheratosi attiniche. Spesso possono sembrare lesioni rialzate della pelle, con una superficie che presenta piccole crosticine. Altre volte questa neoplasia si manifesta sotto forma di chiazze rossastre desquamanti. Ad occhi poco esperti questi tumori, che crescono relativamente in fretta, possono essere confusi con banali verruche. Altrettanto grave sarebbe scambiare questa forma di cancro della pelle con un principio di psoriasi. Cosa che purtroppo a volte succede.
Immunoterapia
«Lo scorso anno a Chicago sono stati presentati i dati preliminari della sperimentazione con l’immunoterapia, che ormai si sta diffondendo in tutti i campi», spiega Paolo Ascierto (Presidente della fondazione Melanoma e direttore dell’Uoc oncologia melanoma del Pascale).
Il professor Paolo Ascierto
«Un anticorpo anti Pd1 che nei pazienti con carcinoma cutaneo a cellule squamose avanzato permette di ridurre l’estensione della neoplasia. Devo dire che le forme localmente avanzate e metastatiche non sono molto frequenti, ma quando sono presenti è bene avere una terapia che possa risultare efficace». Per continuare a leggere Clicca QUI
Recuperare la vista grazie alle staminali
News PresaRiacquistare la vista grazi elle cellule staminali. Quello che sembra un miracolo non ha nulla a che vedere con la fede, bensì con la scienza. Due anziani colpiti da degenerazione maculare legata all’età hanno recuperato la vista grazie ad una terapia innovativa con le staminali embrionali provata per la prima volta.
La tecnica
In uno dei due occhi gli è stato impiantato un cerotto vivente fatto con le cellule del tessuto della retina, ricavate dalle staminali. La terapia sperimentale, testata al Moorfields Eye Hospital di Londra e descritta sulla rivista Nature Biotechnology, verrà ora estesa ad altre 8 persone. La macula è la zona centrale della retina ed è composta da due tipi di cellule nervose sensibili alla luce: i coni e i bastoncelli, dietro ai quali c’è uno strato di cellule nutrienti chiamate epitelio pigmentato retinico. Quando quest’ultimo inizia a non funzionare, si produce la degenerazione maculare e la progressiva perdita della vista. In questo caso sono state usate cellule staminali embrionali, che sono state convertite nelle cellule che costituiscono l’epitelio pigmentato retinico, e poi inserite in una striscia sottilissima composta da un solo strato di cellule, impiantata nell’occhio con un intervento di due ore.
Verso nuove applicazioni
«Questo nuovo approccio terapeutico, provato solo su un occhio per paziente, sembra sicuro e dare buoni risultati – commenta Lydon da Cruz, coordinatore dello studio – . Si tratta di un piccolo gruppo di malati, ma speriamo che i risultati dello studio possano dare benefici nel futuro». I due pazienti, un uomo di 86 e una donna di 60, dal non poter leggere, ora riescono a leggere 60-80 parole al minuto dall’occhio operato. La tecnica apre ora a nuove possibilità e, si spera, a vere e proprie terapie che potrebbero restituire a molti pazienti la capacità di vedere.
La malattia
La degenerazione maculare è un malattia retinica che provoca un’alterazione, una riduzione della funzionalità della zona centrale della retina (la macula) fino a una perdita della visione centrale. È causa di un’importante e irreversibile riduzione della funzionalità visiva a livello del campo visivo centrale. Il fenomeno correlato più comune è il processo d’invecchiamento dell’occhio: la macula, contenente numerosi fotorecettori (i coni si trovano al centro della retina), si altera sino a perdere le sue caratteristiche. Ciò è dovuto alla morte delle cellule retiniche, che può essere lenta e progressiva oppure più rapida e drammatica.
Età media al parto. Italiane tra quelle più alte. Classifica Ue
Stili di vitaLe mamme europee al momento del parto hanno in media 30,6 anni. Le più giovani si trovano nella regione bulgara di Sliven (25,1 anni) e le più “anziane” nella regione greca di Voreios Tomeas Athinon (33,8 anni). In Italia sono le due province sarde di “Medio Campidano” e “Nuoro” quelle dove si registra l’età maggiore al parto con, rispettivamente, 33,2 e 33 anni. La media italiana è di 31,7 anni.
Attraverso le 1.373 regioni NUTS 3 dell’Unione europea, Eurostat ha rilevato l’età media delle donne al parto, per tutte le nascite, non solo la prima nel 2016.
Regioni bulgare le più basse
Le regioni bulgare di “Sliven” (25,1 anni), “Yambol” (25,4 anni), “Pazardzhik” (25,8 anni), “Montana” (25,9 anni) e “Vidin” (26,2 anni) erano quelle in cui le donne erano più giovani quando i loro figli sono nati. Le regioni di “Giurgiu” (26,2 anni) e “Călăraşi” (26,3 anni) hanno registrato l’età media più bassa delle donne al parto in Romania.
Grecia, Uk, Francia e Spagna tra le alte
Al contrario, accanto a “Voreios Tomeas Athinon” (33,8 anni) in Grecia, 11 regioni dell’Ue a livello NUTS 3 hanno registrato un’età media delle donne al momento del parto di 33 anni o più.
Cinque di queste regioni erano nel Regno Unito, in particolare a Londra: “Wandsworth” (33,7 anni), “Camden & City of London” (33,7 anni), “Kensington and Chelsea & Hammersmith and Fulham” (33,6 anni), “Westminster “(33,3 anni) e “Lambeth “(33,0 anni).
Le due regioni di “Medio Campidano” e “Nuoro” in Italia, insieme a “Parigi” in Francia, “Heidelberg, Stadtkreis” in Germania, “Bizkaia” in Spagna e “Byen København” in Danimarca, hanno completato l’elenco delle regioni Ue in cui le donne avevano in media 33 anni o più al momento della nascita dei loro figli.
In Italia
Le province più giovani in Italia sono Crotone e Siracusa, con 30,5 anni medi delle mamme al momento del parto, rispetto alla media italiana che raggiunge i 31,7 anni.
Tra le dieci province più giovani d’Italia, nove sono del Sud (sette della Sicilia) e una sola è del Centro (Prato, a otto posti dalla più giovane con una media di 31 anni).
Ma anche le province più anziane sono in gran parte del Sud, soprattutto Sardegna. I primi quattro posti sono infatti oltre che di Medio Campidano e Nuoro, di Oristano e Ogliastra, ma al settimo posto troviamo anche Cagliari.
Infine tra le dieci province, dove le mamme hanno l’età media più elevata al momento del parto, ci sono Ascoli Piceno e Potenza, Monza e della Brianza e le due maggiori città: Roma (poco più “vecchia”) e Milano.
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La Willy Gregoir Medal al napoletano Vincenzo Mirone
News BreviÈ napoletano l’urologo premiato quest’anno con la Willy Gregoir Medal, la più alta onoreficenza conferita dalla Società europea di urologia una volta l’anno all’Urologo che si è distinto per «il significativo contributo nello sviluppo della disciplina a livello internazionale». Quest’anno è stato premiato a Copenhagen, Vincenzo Mirone, professore ordinario di urologia presso l’università di Napoli Federico II. La Willy Gregoir Medal è stata istituita nel 1988 ed è la prima volta che viene conferita ad un Urologo in piena attività, tra i vincitori vi sono nomi illustrissimi di urologi inglesi, tedeschi, francesi, austriaci, spagnoli e italiani.
Chi è
In ambito scientifico e tra gli addetti ai lavori non ha certo bisogno di presentazioni, il professor Mirone è primario di urologia e direttore della Scuola di specializzazione dell’università Federico II. È stato il fondatore del Centro di ricerca interdipartimentale per la medicina sessuale preclinica e clinica” (CIRMS) ed è autore di oltre 380 pubblicazioni e libri, ha vinto numerosi premi nazionali ed internazionali. È stato presidente della Società italiana di urologia (Siu) dal 2006 al 2009 e poi segretario generale dal 2009 al 2017 ed è ora responsabile dell’ufficio risorse e comunicazione. È stato presidente della Società italiana di andrologia dal 1999 al 2002. È anche a capo del programma europeo per l’assegnazione di borse di studio per la ricerca in Urologia (EUSP) ed è membro dell’Accademia degli urologi europei (AAEU).
Il professor Vincenzo Mirone
Il professor Mirone è anche tra i membri fondatori del Centro interdipartimentale di chirurgia robotica (ICAROS – Interdipartimental Centre for Advances in Robotic Surgery) e direttore del centro di chirurgia robotica multidisciplinare sotto la cui guida sono stati eseguiti oltre 300 interventi chirurgici con tecnica mini invasiva. Nel gennaio 2011 ha istituito la fondazione Pro Onlus, che ha lo scopo specifico di promuovere la prevenzione e la ricerca scientifica e clinica nel settore delle malattie oncologiche, in particolare dei tumori urogenitali dell’uomo.
Manicomi: a 40 anni dalla loro chiusura ci sono ancora criticità
Economia sanitariaLa “legge Basaglia” mette fine alla parola manicomio, restituendo dignità ai malati. È il 13 maggio 1978 quando viene approvata la legge 180 che prende il nome dal suo promotore, lo psichiatra Franco Basaglia, padre del Movimento per il superamento degli istituti psichiatrici. Oggi l’organizzazione dei Dsm è demandata alle Regioni. Il ricovero da obbligatorio è diventato volontario, lasciando comunque la possibilità del trattamento sanitario obbligatorio negli ospedali generali. Tuttavia, a quarant’anni di distanza dalla fine dei manicomi, le criticità non mancano : il sistema di assistenza non sembra ancora sufficiente, così come i finanziamenti.
La storia
Prima della 180, a partire dal 1904: nei manicomi venivano internate persone affette per qualunque causa da alienazione mentale. Dopo un periodo di osservazione, i pazienti potevano essere ricoverati in maniera definitiva, in questo caso perdevano i diritti civili ed erano iscritti nel casellario penale. I manicomi svolgevano un ruolo di controllo sociale, spesso si trovava chi era ai margini della società, dai malati di mente ai piccoli delinquenti alle prostitute, e all’interno si praticavano elettroshock e contenzioni. Tra i ricoverati vi erano anche gli omosessuali. Nel periodo fascista, i ricoverati aumentarono, c’era spazio anche per i dissidenti: dal 1926 al 1941 da 60mila salirono a 96mila. Prima del 1978 gli ultimi dati disponibili risalgono al 1954, con 95 manicomi dai 120mila posti letto. Dopo la denuncia delle loro drammatiche condizioni, con le leggi 9 del 2012 e 81 del 2014 è stato decretato il superamento pure degli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg). Nel 2017 si è completata la chiusura di tutti e 6 gli Opg italiani. In alternativa sono ora attive le Rems (Residenze per le Misure di Sicurezza), strutture sanitarie residenziali con non più di 20 posti letto. All’Aprile 2017, si contano 30 Rems con 596 ricoverati.
Le criticità oggi
Il sistema assistenziale oggi è completamente cambiato, ma non mancano le criticità. Ci sono grandi disparità territoriali, a denunciarlo in un intervista dall’ansa è lo psichiatra Massimo Cozza, coordinatore del Dipartimento salute mentale (Dsm) ASL Roma 2 (il più grande d’Italia con circa 1,3 mln di abitanti): «uno dei problemi resta la carenza di personale: quello dei Dsm è di 29.260 unità, sotto lo standard di 1/1500 abitanti indicato dal Progetto obiettivo salute mentale 1998-2000, secondo il quale gli operatori dipendenti dovrebbero essere circa 40mila. Inoltre i fondi sono insufficienti».
Anche i numeri sull’assistenza ai giovani non sono positivi: In Italia ci sono solo 325 posti letto di neuropsichiatria infantile. Solo un terzo dei ragazzini che hanno bisogno di un ricovero in neuropsichiatria infantile per un disturbo psichiatrico acuto riuscirebbero quindi ad arrivare in questo reparto.
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Fame nel mondo in aumento: 124 mln di persone a rischio
Ricerca innovazioneCirca 124 milioni di persone in 51 paesi sono stati colpite da una grave insicurezza alimentare nel 2017 – 11 milioni in più rispetto all’anno precedente. Questo quanto riportato dalla nuova edizione del Rapporto Globale sulle Crisi Alimentari. Il report definisce “insicurezza alimentare acuta” un livello di fame tanto severo da rappresentare una minaccia diretta alla vita o ai mezzi di sostentamento delle persone.
Il peggioramento è dovuto soprattutto allo scoppio o all’acuirsi di conflitti e instabilità in paesi come il Myanmar, la Nigeria nord-orientale, la Repubblica Democratica del Congo, il Sud Sudan e lo Yemen. Condizioni prolungate di siccità hanno invece causato il susseguirsi di scarsi raccolti in paesi già colpiti da alti livelli di insicurezza alimentare e malnutrizione in Africa orientale e meridionale.
Il rapporto è stato introdotto da rappresentanti dell’Unione Europea, dell’Agenzia delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) e del World Food Programme (WFP) in un briefing per i paesi membri dell’ONU a Roma.
Conflitti e cambiamenti climatici
Le situazioni di conflitto rimangono il fattore principale alla base della grave insicurezza alimentare in 18 paesi – 15 dei quali in Africa e Medio Oriente. Sono i conflitti la causa principale della maggior parte dei casi di insicurezza alimentare acuta nel mondo, rappresentando il 60 per cento del totale, 74 milioni di persone.
I disastri climatici – soprattutto la siccità – hanno provocato crisi alimentari in 23 paesi, due terzi dei quali in Africa, gettando nell’insicurezza alimentare grave 39 milioni di persone.
Un cammino in salita
Secondo il rapporto, nel 2018 i conflitti continueranno a causare crisi alimentari in paesi come l’Afghanistan, la Repubblica Centrafricana, la Repubblica Democratica del Congo, il Nord Est della Nigeria, la regione del Lago Chad, il Sud Sudan, la Siria, lo Yemen oltre alla Libia e il Sahel centrale (Mali e Niger).
Lo Yemen rimarrà probabilmente il paese con la crisi alimentare più grave al mondo. Si prevede un peggioramento della situazione, soprattutto a causa delle difficoltà di accesso, del collasso economico e dell’insorgenza di malattie.
Uguali sono le previsioni per l’impatto di condizioni climatiche particolarmente secche sui raccolti e sulla produzione animale, che inaspriranno l’insicurezza alimentare in zone pastorali della Somalia, dell’Etiopia sud-orientale, del Kenya orientale, in Africa Occidentale e nel Sahel, inclusi Senegal, Chad, Niger, Mali, Mauritania e Burkina Faso.
In un video messaggio, il Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres ha affermato: “Rapporti come questi ci forniscono dati e analisi fondamentali per meglio comprendere la sfida. Sta a noi ora agire per rispondere ai bisogni di chi affronta ogni giorno la maledizione della fame e per affrontarne le cause alla radice.”
“Se vogliamo raggiungere Fame Zero dobbiamo riconoscere il rapporto tra fame e conflitti. Investire nella sicurezza alimentare e nei mezzi di sussistenza in situazioni di conflitto salva vite, rafforza la resilienza e può contribuire a sostenere la pace” ha ricordato il Direttore Generale della FAO, José Graziano da Silva.
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Autismo, verso la giornata della consapevolezza
Bambini, SportIl 2 aprile si celebra la Gionata mondiale della consapevolezza dell’autismo. In quell’occasione il mondo si tingerà idealmente di blu, il colore della consapevolezza per una sindrome cresciuta di 10 volte negli ultimi 40 anni e la Fondazione italiana autismo (Fia) da il via alla terza edizione della Campagna di sensibilizzazione che andrà avanti dal 2 al 15 aprile. Hashtag #sfidAutismo18.
In Campania
Le iniziative per la settimana di sensibilizzazione sull’autismo prenderanno il via dal 4 al 7 aprile, con l’organizzazione de «La Filanda Lars riabilitazione ambulatoriale e domiciliare» in collaborazione con la Fondazione Saron. Obiettivo, creare un’occasione di incontro tra le associazioni attive sul territorio, insegnanti, famiglie e studenti, migliorare l’inclusione sociale e approfondire la conoscenza reciproca. Il 4 aprile alle 17.00 si inaugureranno i Laboratori didattici rivolti agli utenti e alle famiglie della struttura. Alle 20 ci sarà l’accensione della Filanda di blu. Il 5 aprile alle 9:00 CineAutismo presso il Centro Sociale di Sarno con la proiezione del film documentario «Life Animated». Prevista la partecipazione delle classi terze delle scuole secondarie di I° grado di Sarno. Alle 10:00 via alle Mini-olimpiadi, in collaborazione con la Polisportiva «La Filanda SSD ARL». Questo evento di inclusione coinvolgerà i bambini delle scuole elementari e i bambini autistici in una serie di attività ludico-sportive: tiro alla fune, percorso ad ostacoli, tiri in porta, staffetta, bowling e altre attività inclusive in coppia. Dalle 9:00 alle 19:00 si terrà anche un convegno scientifico da titolo «Autismi: modelli, metodologie e trattamenti». Clicca qui per il programma completo Regione per Regione
Basket blue day
Dal canto suo l’Aipa si associa ad Autismo Apuania e a tante altre realtà di volontariato che si occupano di autismo su tutto il territorio nazionale nell’organizzare l’evento «Basket blue day – un cane-stro per l’autismo». Grazie alla disponibilità della Lega Basket di serie A è stato possibile coinvolgere migliaia di persone in tutta Italia e richiamare la loro attenzione sull’autismo. Il Basket blue day ha dimostrato di essere una opportunità formidabile per far conoscere quello che è diventato un grave problema sociale. Appuntamento per domenica 25 marzo, al palazzetto dello sport di Avellino. Prima della partita Avellino-Milano in campo arriverà lo striscione dedicato al Blue day con i loghi di tutte le associazioni partecipanti.
Allergie di primavera, un incubo per milioni di italiani
News PresaCon l’arrivo della primavera per milioni di persone la vita all’aria aperta diventa un vero e proprio incubo. Tanto per farsi un idea, le ultime stime disponibili ci dicono che in Europa sono 70 milioni le persone affette da allergie. E nel nostro paese un italiano su tre lo è, mentre il 50% dichiara di aver avuto almeno una volta un episodio legato a sospette allergie. Tra i disturbi più diffusi ci sono asma e rinite di cui soffrono, rispettivamente, 3 e 12 milioni di italiani provocate da pollini, acari della polvere o peli di animali, come cani e gatti.
Giornata del polline
Oggi, (21 marzo) si celebra la XII Giornata Nazionale del Polline, una giornata che mira a tenere alta l’attenzione sulle malattie legate alle allergie. Moltissime le iniziative, che andranno avanti anche nei prossimi giorni, per testare gratuitamente la propria condizione di salute e capire se ci sono problemi con acari e allergeni. Tra le iniziative messe in campo, anche quelle volute dalla Asl di Salerno per sensibilizzare e informare l’opinione pubblica sull’importanza del monitoraggio aerobiologico, sia al chiuso che all’aperto, per migliorare la prevenzione, la gestione clinica e la terapia delle malattie allergiche.
Il decalogo
Ma quali sono allora le regole per una perfetta pulizia della camera da letto? Ecco le dieci regole d’oro.
Psicoterapia, i segreti del cambiamento
Psicologia«La terapia funzionerà veramente?». Questa è la domanda che ogni pazienti si pone, più o meno consapevolmente, all’inizio di un percorso di psicoterapia. E’ una domanda legittima e carica di aspettative e dubbi. Addirittura questo dubbio può influenzare in positivo o in negativo l’inizio del percorso terapeutico. Meglio provare a chiarire alcuni aspetti, anche sul concetto stesso di «cambiamento».
Guardarsi dentro
Un giusto punto di partenza per comprendere meglio cosa aspettarsi dalla psicoterapia è in una frase che Galileo Galilei amava ripetere: non puoi insegnare qualcosa ad un uomo. Puoi solo aiutarlo a scoprirla dentro di sé. «Ritengo che questa frase possa essere la sintesi di ciò che fa il processo di cambiamento della psicoterapia», spiega lo psicologo Diego De Luca. «Fin dall’inizio del percorso i pazienti possono chiedere aiuto ed essere anche molto motivati alla psicoterapia, ma si aspettano che i sintomi prima o poi scompaiano senza che ciò implichi un cambiamento in loro. Altre volte arrivano con l’idea che la personale difficoltà dipenda dalla sfortuna e quindi ci si aspetta un miracolo dal “mago” psicoterapeuta ma ovviamente le cose non stanno proprio in questi termini».
Disposti a cambiare
Lo specialista chiarisce che se si vuole veramente riuscire a migliorare le proprie condizioni è fondamentale essere disposti a cambiare.
Diego De Luca, psicologo e psicoterapeuta
«Tutti abbiamo paura di cambiare – dice De Luca – perché ciò che non conosciamo ci spaventa e non è sotto il nostro controllo, tuttavia non si può pensare di eliminare le nostre difficoltà rimanendo gli stessi. Cambiare in questo senso significa lasciare da parte alcuni vecchi schemi di pensiero e comportamento e acquisire chiavi di lettura della realtà. Modificare il nostro modo di pensare è molto difficile ed implica un lavoro quotidiano e molte energie. Questo vuol dire che è la persona stessa l’artefice del proprio cambiamento e che quindi è coinvolto attivamente in quello che sta accadendo».
Crescita e maturazione
E’ importante ricordare che ogni persona cambia con il proprio ritmo. Il processo del cambiamento non può essere accelerato dallo psicoterapeuta, né il terapeuta può aspettarsi che la persona diventi qualcosa che non è. «In sintesi, la psicoterapia promuove un processo di crescita e maturazione, all’interno di una relazione terapeutica efficace nella quale il terapeuta promuove e favorisce nel paziente la consapevolezza e lo stimola verso nuove possibilità. La guarigione corrisponde all’uscita dal copione, attraverso la presa di coscienza delle proprie modalità di azione nel mondo e del permesso che il cliente può darsi direzione del cambiamento desiderato. Cambiare è faticoso: seppur doloroso spesso è più semplice restare dove si è, come si è. Ma chi si dà la possibilità di investire su se stesso “lotterà” e “otterrà” il germoglio della propria crescita personale che farà parte della sua nuova storia».