Tempo di lettura: 4 minutiLa trombosi è per i pazienti oncologici la seconda causa di morte dopo la neoplasia stessa. Una complicanza frequente e spesso fatale, eppure spesso sconosciuta o sottovalutata dai pazienti rispetto al cancro. Daiichi Sankyo Italia ha presentato ieri alla stampa il rapporto di MediPragma “Cancro e tromboembolismo venoso: il peso della convivenza sui pazienti”, una ricerca realizzata in Italia con interviste ai pazienti oncologici in terapia eparinica per il tromboembolismo venoso. L’obiettivo è comprendere, attraverso testimonianze dirette, l’impatto di questa condizione di co-morbilità sulla vita quotidiana di chi ne è afflitto e le strategie di coping attuate per gestirla.
TEV e cancro
Il cancro viene oggi considerato un fattore di rischio cardiovascolare perché si associa ad una aumentata incidenza di eventi tromboembolici, infatti il TEV è una co-morbilità frequente e ricorrente nel paziente con cancro, con un’incidenza di sei volte superiore rispetto alla popolazione generale, e ne costituisce la seconda causa di morte dopo la neoplasia stessa. Il tromboembolismo venoso (o tromboembolia venosa) insorge con la formazione di un coagulo di sangue all’interno di una vena profonda, di solito negli arti, o nella pelvi (Trombosi Venosa Profonda), e se un frammento del coagulo si stacca e viaggia fino ad ostruire le arterie polmonari determina una embolia polmonare. Studi su pazienti sopravvissuti al cancro hanno dimostrato che circa un terzo di essi muore per malattia cardiovascolare. Di tutti i casi di TEV il 20% si verifica proprio nel paziente oncologico, e ciò dipende da vari fattori quali il tipo di tumore, lo stadio e l’estensione del cancro, l’età, l’immobilizzazione, la chirurgia e alcuni trattamenti chemioterapici.“La correlazione tra queste patologie è ormai al centro dell’attività assistenziale e di ricerca dell’ematologia italiana, soprattutto da quando le nuove terapie hanno cronicizzato la maggior parte delle neoplasie ematologiche prima incurabili, rendendo particolarmente importante il ruolo delle alterazioni coagulative – specialmente la trombosi venosa e l’embolia polmonare- legate alle neoplasie stesse o alla loro terapia”, ha spiegato il Prof. Sergio Siragusa, Vice Presidente S.I.E Società Italiana Ematologia, commentando gli ultimi dati di letteratura scientifica.
Il rischio è maggiore nei primi mesi fino a due anni dopo la diagnosi, e il rischio di recidiva persiste anche successivamente. Inoltre, i pazienti oncologici in trattamento per TEV hanno sopravvivenza minore, prognosi peggiore e costi sanitari più elevati rispetto a coloro che non soffrono di eventi tromboembolici. Inoltre durante la chemioterapia il rischio di TEV è fino a 7 volte maggiore se paragonato ai pazienti senza cancro.
“Per tutte queste ragioni, la conoscenza da parte dei medici e dei pazienti delle problematiche legate al TEV è fondamentale – ha dichiarato il Prof. Antonio Russo, Ordinario di Oncologia Medica presso l’Università degli studi di Palermo – dal momento che queste sono molto correlate con il processo neoplastico poiché ne impattano il management e la prognosi”. Le linee guida ESMO sottolineano da diversi anni che il TEV ha importanti risvolti sia sulla prognosi dei pazienti oncologici sia sulla loro qualità di vita eppure, nonostante sia una complicanza a volte devastante e potenzialmente fatale, gli stessi oncologi spesso sottostimano questo tipo di tossicità e di riflesso molti pazienti non seguono cure adeguate. A sottolineare la necessità di informare e sensibilizzare innanzitutto pazienti e caregiver e in secondo luogo istituzioni e operatori sanitari sui rischi di questa patologia correlata al cancro è stato il Prof. Francesco De Lorenzo, Presidente della Coalizione europea dei pazienti oncologici (ECPC) e Presidente della Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia (FAVO) il quale ha dichiarato che: “Il rischio di trombosi correlato al cancro è pressoché ignorato non soltanto dai malati italiani, ma anche da quelli di numerosi Paesi europei e a dimostrarlo chiaramente sono i risultati di un sondaggio europeo condotto da ECPC sul livello di consapevolezza dei pazienti oncologici sui rischi della trombosi: il 72% dei pazienti intervistati ha rivelato di non essere consapevole di correre un maggiore rischio di TEV, e per il 28% di coloro che invece ne erano consapevoli, la conoscenza della patologia è avvenuta solo dopo averla sperimentata, ma il livello di comprensione delle implicazioni si è dimostrato comunque basso. Un altro dato rilevante riguarda le modalità con cui ne sono venuti a conoscenza, solo il 13% dei pazienti ha ricevuto informazioni in merito da medici ospedalieri e il 6% dai medici di base, mentre gli altri hanno fatto ricerche personali o si sono confrontati con parenti e amici”.
Cancro e tromboembolismo venoso: il peso della convivenza – La voce dei pazienti
Una scarsa consapevolezza emerge dalla ricerca italiana MediPragma, che rileva come il peso del tromboembolismo venoso e della terapia eparinica giunga come inaspettato per i pazienti oncologici. Spesso non erano stati preventivamente preparati dallo specialista di riferimento. Ne deriva una minimizzazione della gravità del TEV rispetto al cancro, sia da parte del medico che del paziente, che considerano la terapia, rispetto alle preoccupazioni dettate dal cancro, come un fatto transitorio, nonostante emergano le difficoltà di una somministrazione quotidiana di eparina: una terapia percepita come invasiva, definita anche come “scolapasta” per via delle numerose iniezioni che causano ematomi addominali e dolore alla somministrazione che spesso, tra l’altro, richiede l’aiuto di un caregiver. Il conflitto tra le strategie di coping e sottovalutazione e la realtà della gestione della terapia, intaccano ulteriormente la tenuta psicologica e la voglia di combattere del paziente che è già di per sé un paziente fragile che ha dovuto affrontare un percorso ad ostacoli: diagnosi di tumore, chemioterapia e/o radioterapia, diagnosi di TEV, inizio della terapia eparinica.
A ciò si aggiunge la perdita di autonomia del paziente che non riesce più ad uscire da solo e trova difficile svolgere in modo indipendente anche banali attività come salire le scale.
Le interviste delineano dunque un impatto devastante sulla vita dei pazienti e dei loro familiari e caregiver, che ha un prezzo altissimo a livello psicologico, economico e sociale. L’insorgenza del TEV in pazienti con tumore può comportare, infatti, l’allontanamento dal lavoro e l’isolamento sociale, e un conseguente peso sui familiari. L’impossibilità di essere autosufficienti e l’allettamento seppur temporaneo a causa del TEV, faticano ad essere accettati dal paziente in quanto rappresentano inconsciamente una indiretta percezione di sconfitta nei confronti del tumore. Emerge dunque il bisogno di un maggiore supporto da parte dei medici non solo nella preparazione di ciò che devono affrontare ma una vicinanza rassicurante e costante che risolva loro i dubbi sulla gestione pratica della terapia.
Fecondazione: combattere l’ansia che impedisce di diventare genitori
Genitorialità, Pediatria, PsicologiaUna rivista scientifica americana spiega come la musica possa far superare i fattori psicologici (responsabili di ansia e stress) che ostacolano i meccanismi riproduttivi. L’ideatore del metodo terapeutico Neuropsicofonia (una forma evoluta e nuova della musicoterapia) racconta come questa terapia dei suoni abbia portato una paziente su due a rimanere incinta. Insomma, la relazione tra fertilità e stress è confermata a livello scientifico e la prova questa volta viene dalla rivista Applied Nursing Research che ha dimostrato l’efficacia della musica a livello terapeutico nell’agevolare i processi di fecondazione assistita.
Correlazione tra stress e fecondazione
“Lo studio parla dell’infertilità organica, quella più grave. Ma lo stress, se è una aggravante di uno stato biologico che impedisce la gravidanza, spesso lo è anche in chi ha tutte le “carte in regola” per avere un bambino, ha superato tutti i test medici, ma il figlio non arriva lo stesso. Quando in una coppia il desiderio di un figlio non è esaudito, l’angoscia e la frustrazione genera un livello di stress notevole. Questo stato di ansia induce l’organismo a rilasciare il cortisolo, l’ormone che interferisce negativamente con le altre sostanze biologiche responsabili della riproduzione. Così si innesca un meccanismo circolare che induce uno stato di sterilità – spiega Adriano Formoso, ideatore della Neuropsicofonia, psicoterapeuta e autore di “Nascere a Tempo di Rock” – E’ come se la donna infertile avesse una difficoltà a “crescere”. Talvolta questo aspetto si manifesta sia nella sfera della condotta alimentare (mangia di più o non mangia) sia in quella sociale (ritiro dalla vita in comunità). Tale blocco interviene a livello psico-neuro-endocrino-immunologico sulla funzione riproduttiva.
La Neuropsicofonia
La relazione tra fertilità, rilassamento e miglioramento della respirazione sono alla base della Neuropsicofonia che a differenza della musicoterapia, dove è richiesto di suonare uno strumento, prevede l’utilizzo di musiche particolari, dagli effetti dei toni binaurali e suoni eseguiti dal terapeuta.
“Mi sono occupato di musicoterapia a partire dalla metà degli anni novanta ed è proprio attraverso la musicoterapia che mi sono accorto che alcuni suoni agivano a livello psico-neuro-endocrino-immunologico più di altri. Da qui si è sviluppato l’interesse della ricerca che ha condotto alla scoperta della Neuropsicofonia – continua Formoso – Con riferimento esplicito ai miei studi sulla sperimentazione della Neuropsicofonia, i miei dati confermano quelli riportati dall’ultima ricerca americana sul tema. A tal proposito la terapia neuropsicofonica risulta efficace anche in condizioni di infertilità grave, come quella che richiede le tecniche di riproduzione assistita. Non le sostituisce, ma le rende più efficaci, liberando la coppia dal fattore ansia”.
Infezioni pediatriche, open day al Bambin Gesù
BambiniPer i bambini il rischio di infezioni, anche ricorrenti, sono uno dei maggiori rischi ai quali prestare attenzione, e il possibile impatto sulla vita del bambino e della famiglia è alto. Si tratta per lo più di episodi ripetuti di infezione a carico dell’apparato respiratorio e che si manifestano in età pediatrica: si va dalla febbre al raffreddore, passando per tosse e bronchiti fino a quadri infettivi più gravi come polmoniti. Queste sono tra le patologie più frequenti nella fascia di età compresa tra 0 e 16 anni.
Open Day
Sabato 24 novembre, l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù promuove un open day dedicato. Dalle 9 alle 13, nella sede di Roma – San Paolo (viale di San Paolo, 15) un team di esperti immunoinfettivologi sarà a disposizione di genitori e ragazzi con materiale informativo, visite gratuite e la somministrazione di un questionario per la valutazione degli episodi febbrili e infettivi. Se dall’esito del questionario e della seguente visita emergeranno fattori di rischio o di allarme, il personale dell’Ospedale programmerà una visita di approfondimento in regime di day hospital. Le visite di sabato non hanno bisogno di prenotazione: sarà sufficiente ritirare il biglietto numerato dalla Caposala dell’Immunoinfettivologia (piano 1, Settore L).
Lavoro di squadra
«È importante valutare insieme al pediatra la necessità di effettuare una valutazione specialistica. Spiega il dottor Andrea Finocchi, immunoinfettivologo del Bambino Gesù – Lo scopo è quello ricostruire le caratteristiche degli episodi febbrili e infettivi attraverso la descrizione degli stessi, in termini di frequenza e di gravità, i sintomi presentati, la stagionalità e la storia familiare». Nella maggior parte dei casi si tratta di infezioni ricorrenti delle alte vie respiratorie di modesta gravità che non meritano ulteriori approfondimenti perché destinati a normalizzarsi verso i 6-7 anni di età. Nei restanti casi, sarà lo specialista a decidere gli esami da effettuare per un corretto inquadramento clinico e per la definizione dei controlli nel tempo.
Quando preoccuparsi
Secondo il gruppo di studio di Immunologia della Società Italiana di Pediatria, un bambino si ritiene affetto da infezioni respiratorie ricorrenti se ha: più di sei infezioni respiratorie in un anno; più di un’infezione respiratoria delle alte vie aeree al mese tra settembre e aprile; più di tre infezioni respiratorie delle basse vie aeree in un anno. La maggior parte di queste infezioni (l’80% circa) sono di origine virale (rhinovirus, virus parainfluenzali, virus respiratorio sinciziale). Le cause meno frequenti sono di natura batterica (pneumococco, Haemophilus influenzae). Si raccomanda quindi di limitare il più possibile l’uso di antibiotici, a meno che non sia prescritto dal proprio pediatra. Tra gli strumenti per la prevenzione delle infezioni ricorrenti vi è la corretta igiene delle mani, associata alla eliminazione/riduzione dei fattori che ne favoriscono l’insorgere: l’esposizione al fumo passivo e all’inquinamento ambientale, il precoce inserimento scolastico, le allergie respiratorie e i deficit immunitari.
Eroina sintetica, allarme per le droghe “intelligenti”
News PresaLa lotta agli stupefacenti di nuova generazione si combatte in laboratorio: messe da parte le armi, i moderni spacciatori sono armati di provetta e microscopio. Così, per stare al passo, il ministero della Salute è costretto ad aggiornate di continuo la lista delle sostanze vietate e mettere in condizioni la giustizia di fare il suo corso. Di oggi la notizia che alla lista nera sono state aggiunte ben 12 nuove sostanze psicoattive.
La legge
E’ quanto prevede il decreto del 12 ottobre 2018 del ministero della Salute, reso necessario a seguito «dei casi di decesso registrati in Europa e in considerazione dei rischi connessi alla diffusione di nuove sostanze psicoattive sul mercato internazionale», create per aggirare il divieto nei confronti della cosiddetta “eroina sintetica”. Continuamente vengono create e immesse sul mercato illegale nuove droghe sintetiche e, di conseguenza, le autorità sono costrette ad aggiornare periodicamente la lista in cui vengono catalogate. In questa corsa contro il tempo rientra il decreto firmato dal ministro Giulia Grillo e in vigore dal 17 novembre scorso, che aggiorna le tabelle sugli stupefacenti previste dal Testo unico sulle droghe (Dpr 309/1990).
Le molecole
A creare motivo di allarme sociosanitario «la diffusione di molecole sintetizzate per aggirare il divieto sulla molecola Fentanil», la cosiddetta eroina sintetica, poiché «possiedono potenza notevolmente superiore alla molecola originale» e gli utilizzatori «possono essere soggetti a depressione respiratoria per l’elevata potenza su recettori oppiacei». Il nuovo testo dispone l’inserimento nella tabella I, dove sono elencati gli psicotropi posti sotto controllo internazionale, di una serie di sostanze derivate o analoghe al Fentanil, alcune delle quali causa di decessi in Svezia, Polonia, Slovenia e Regno Unito: 3-Fenilpropanoilfentanil, 4- Fluoroisobutirfentanil (4F-iBF), Benzodiossolfentanil, Benzilfentanil, Benzoilfentanil, Carfentanil, Ciclopentilfentanil, Ciclopropilfentanil, Metossiacetilfentanil, Tetraidrofuranilfentanil (THF-F), Tetrametilciclopropanfentanil e Tiofenefentanil. Facile comprendere come questa situazione possa mettere in allarme molti genitori, consapevoli dei rischi ai quali i propri figli sono costantemente esposti.
“Wall of Dolls – il muro delle bambole” contro i femminicidi
PrevenzioneDomenica 25 novembre sì celebra la giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Soltanto nei primi nove mesi del 2018, sono state uccise 94 donne: un numero calato solo di 3 unità (rispetto ai 97 casi dello stesso periodo del 2017), anche se – spiega la polizia – solo in 32 casi si può propriamente parlare di femminicidio, i casi cioè in cui una donna viene uccisa in ragione del proprio genere. In tutto, nel 2016, sono state uccise 149 donne e nel 2017 il numero si è fermato a 123. In vista dell’appuntamento, si è tenuta una tavola rotonda alla Camera dei Deputati organizzata da Giusy Versace, dal titolo “Donne e Liberta”, con la partecipazione di alcune donne testimoni dirette e indirette di violenza e femminicidi, studenti di alcuni licei di Roma e molte autorità. Durante l’incontro è stato proiettato un estratto di circa 15 minuti del docufilm “Donne e Libertà” realizzato da Jo Squillo.
“Da anni mi batto al fianco della mia amica Jo Squillo per tenere alta l’attenzione su questa terribile piaga – ha detto la Versace – è importante ascoltare la voce di donne come Gigliola Bono, la mamma di Monia del Pero uccisa dal fidanzato 30 anni fa e poi quelle di Sabrina Falcone e Pinky, anche loro vittime di soprusi e violenze che però hanno trovato la forza di reagire ma soprattutto di fare “rete” per aiutare altre donne”.
Wall of Dolls – il muro delle bambole
Oggi proseguirà il “tour” dedicato agli eventi di “Wall of Dolls – il muro delle bambole”, ovvero l’installazione artistica creata da Jo Squillo a Milano cinque anni fa e divenuta simbolo contro i femminicidi e la violenza sulle donne. “Wall of Dolls” in questi anni è stato esportato in molte altre città italiane, per sensibilizzare e coinvolgere sempre di più l’opinione pubblica. Quest’anno le tappe sono: Venezia (Ca’ Pesaro) oggi, 22 novembre; Brembate (Bg) domani, 23 novembre; Genova (Piazza De Ferrari) il 24 novembre e Milano il 25 novembre. Qui l’appuntamento sarà doppio: alle ore 15 presso la Casa delle Arti, Spazio Alda Merini di via Magolfa 32, e alla 17 invece l’appuntamento è al “Muro di Bambole” di via De Amicis.
Sanità, i medici si preparano allo sciopero del 23 novembre
News PresaI camici bianchi si preparano ad una protesta che ha pochi precedenti: manifestazioni in tutta Italia serviranno a dire No ai continui tagli che stanno riducendo all’osso l’assistenza. Il D-Day è fissato per il 23 novembre, 24 ore di sciopero nazionale, per denunciare «lo smantellamento del Ssn in atto ormai da oltre dieci anni, cui il Governo in carica pare non volere porre rimedio». Tra le motivazioni della protesta, l’insufficienza del finanziamento previsto per il Fondo della sanità nazionale, in relazione alla garanzia dei Lea ed agli investimenti nel patrimonio edilizio sanitario e tecnologico, ma anche il mancato incremento delle risorse destinate alla assunzione del personale della dirigenza medica, veterinaria e sanitaria e il mancato finanziamento aggiuntivo per i contratti di formazione specialistica.
In Campania
Sottoposta da anni al piano dei rientro e al blocco del turnover, la Campania è certamente una delle regioni nelle quali le voci della protesta si faranno sentire con maggiore forza. A Napoli l’invito è rivolto ai cittadini con lo slogan «Ora tocca a te! La sanità è anche tua: ci devi essere». Dirigenza medica, veterinaria, sanitaria del Servizio Sanitario Nazionale della Campania, annuncia infatti un sit-in di protesta, alle 11 sotto la sede della giunta regionale della Campania, in via Santa Lucia . La manifestazione è organizzata da Anaao Assomed, Cimo, Aaroi-Emac, Fp Cgil Medici e Dirigenti Ssn, Fvm Federazione Veterinari e Medici, Fassid (Aipac-Aupi-Sinafo-Snr), Cisl Medici, Fesmed, Anpo, Ascoti, Fials Medici e Coordinamento nazionale delle aree contrattuali medica veterinaria sanitaria Uil Fpl.
L’appello a De Luca
Le organizzazioni sindacali chiedono inoltre al Presidente della Giunta Regionale, Onorevole Vincenzo De Luca, di intervenire sui Direttori Generali al fine di avviare al più presto le procedure concorsuali e di completarle dove già iniziate in tempi brevi, l superamento dei ritardi amministrativi nei processi di stabilizzazione del precariato ed una ripresa delle relazioni sindacali nelle aziende dove queste sono assenti o carenti
Cancro-Trombosi: legame pericoloso, ma sottovalutato
News PresaLa trombosi è per i pazienti oncologici la seconda causa di morte dopo la neoplasia stessa. Una complicanza frequente e spesso fatale, eppure spesso sconosciuta o sottovalutata dai pazienti rispetto al cancro. Daiichi Sankyo Italia ha presentato ieri alla stampa il rapporto di MediPragma “Cancro e tromboembolismo venoso: il peso della convivenza sui pazienti”, una ricerca realizzata in Italia con interviste ai pazienti oncologici in terapia eparinica per il tromboembolismo venoso. L’obiettivo è comprendere, attraverso testimonianze dirette, l’impatto di questa condizione di co-morbilità sulla vita quotidiana di chi ne è afflitto e le strategie di coping attuate per gestirla.
TEV e cancro
Il cancro viene oggi considerato un fattore di rischio cardiovascolare perché si associa ad una aumentata incidenza di eventi tromboembolici, infatti il TEV è una co-morbilità frequente e ricorrente nel paziente con cancro, con un’incidenza di sei volte superiore rispetto alla popolazione generale, e ne costituisce la seconda causa di morte dopo la neoplasia stessa. Il tromboembolismo venoso (o tromboembolia venosa) insorge con la formazione di un coagulo di sangue all’interno di una vena profonda, di solito negli arti, o nella pelvi (Trombosi Venosa Profonda), e se un frammento del coagulo si stacca e viaggia fino ad ostruire le arterie polmonari determina una embolia polmonare. Studi su pazienti sopravvissuti al cancro hanno dimostrato che circa un terzo di essi muore per malattia cardiovascolare. Di tutti i casi di TEV il 20% si verifica proprio nel paziente oncologico, e ciò dipende da vari fattori quali il tipo di tumore, lo stadio e l’estensione del cancro, l’età, l’immobilizzazione, la chirurgia e alcuni trattamenti chemioterapici.“La correlazione tra queste patologie è ormai al centro dell’attività assistenziale e di ricerca dell’ematologia italiana, soprattutto da quando le nuove terapie hanno cronicizzato la maggior parte delle neoplasie ematologiche prima incurabili, rendendo particolarmente importante il ruolo delle alterazioni coagulative – specialmente la trombosi venosa e l’embolia polmonare- legate alle neoplasie stesse o alla loro terapia”, ha spiegato il Prof. Sergio Siragusa, Vice Presidente S.I.E Società Italiana Ematologia, commentando gli ultimi dati di letteratura scientifica.
Il rischio è maggiore nei primi mesi fino a due anni dopo la diagnosi, e il rischio di recidiva persiste anche successivamente. Inoltre, i pazienti oncologici in trattamento per TEV hanno sopravvivenza minore, prognosi peggiore e costi sanitari più elevati rispetto a coloro che non soffrono di eventi tromboembolici. Inoltre durante la chemioterapia il rischio di TEV è fino a 7 volte maggiore se paragonato ai pazienti senza cancro.
“Per tutte queste ragioni, la conoscenza da parte dei medici e dei pazienti delle problematiche legate al TEV è fondamentale – ha dichiarato il Prof. Antonio Russo, Ordinario di Oncologia Medica presso l’Università degli studi di Palermo – dal momento che queste sono molto correlate con il processo neoplastico poiché ne impattano il management e la prognosi”. Le linee guida ESMO sottolineano da diversi anni che il TEV ha importanti risvolti sia sulla prognosi dei pazienti oncologici sia sulla loro qualità di vita eppure, nonostante sia una complicanza a volte devastante e potenzialmente fatale, gli stessi oncologi spesso sottostimano questo tipo di tossicità e di riflesso molti pazienti non seguono cure adeguate. A sottolineare la necessità di informare e sensibilizzare innanzitutto pazienti e caregiver e in secondo luogo istituzioni e operatori sanitari sui rischi di questa patologia correlata al cancro è stato il Prof. Francesco De Lorenzo, Presidente della Coalizione europea dei pazienti oncologici (ECPC) e Presidente della Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia (FAVO) il quale ha dichiarato che: “Il rischio di trombosi correlato al cancro è pressoché ignorato non soltanto dai malati italiani, ma anche da quelli di numerosi Paesi europei e a dimostrarlo chiaramente sono i risultati di un sondaggio europeo condotto da ECPC sul livello di consapevolezza dei pazienti oncologici sui rischi della trombosi: il 72% dei pazienti intervistati ha rivelato di non essere consapevole di correre un maggiore rischio di TEV, e per il 28% di coloro che invece ne erano consapevoli, la conoscenza della patologia è avvenuta solo dopo averla sperimentata, ma il livello di comprensione delle implicazioni si è dimostrato comunque basso. Un altro dato rilevante riguarda le modalità con cui ne sono venuti a conoscenza, solo il 13% dei pazienti ha ricevuto informazioni in merito da medici ospedalieri e il 6% dai medici di base, mentre gli altri hanno fatto ricerche personali o si sono confrontati con parenti e amici”.
Cancro e tromboembolismo venoso: il peso della convivenza – La voce dei pazienti
Una scarsa consapevolezza emerge dalla ricerca italiana MediPragma, che rileva come il peso del tromboembolismo venoso e della terapia eparinica giunga come inaspettato per i pazienti oncologici. Spesso non erano stati preventivamente preparati dallo specialista di riferimento. Ne deriva una minimizzazione della gravità del TEV rispetto al cancro, sia da parte del medico che del paziente, che considerano la terapia, rispetto alle preoccupazioni dettate dal cancro, come un fatto transitorio, nonostante emergano le difficoltà di una somministrazione quotidiana di eparina: una terapia percepita come invasiva, definita anche come “scolapasta” per via delle numerose iniezioni che causano ematomi addominali e dolore alla somministrazione che spesso, tra l’altro, richiede l’aiuto di un caregiver. Il conflitto tra le strategie di coping e sottovalutazione e la realtà della gestione della terapia, intaccano ulteriormente la tenuta psicologica e la voglia di combattere del paziente che è già di per sé un paziente fragile che ha dovuto affrontare un percorso ad ostacoli: diagnosi di tumore, chemioterapia e/o radioterapia, diagnosi di TEV, inizio della terapia eparinica.
A ciò si aggiunge la perdita di autonomia del paziente che non riesce più ad uscire da solo e trova difficile svolgere in modo indipendente anche banali attività come salire le scale.
Le interviste delineano dunque un impatto devastante sulla vita dei pazienti e dei loro familiari e caregiver, che ha un prezzo altissimo a livello psicologico, economico e sociale. L’insorgenza del TEV in pazienti con tumore può comportare, infatti, l’allontanamento dal lavoro e l’isolamento sociale, e un conseguente peso sui familiari. L’impossibilità di essere autosufficienti e l’allettamento seppur temporaneo a causa del TEV, faticano ad essere accettati dal paziente in quanto rappresentano inconsciamente una indiretta percezione di sconfitta nei confronti del tumore. Emerge dunque il bisogno di un maggiore supporto da parte dei medici non solo nella preparazione di ciò che devono affrontare ma una vicinanza rassicurante e costante che risolva loro i dubbi sulla gestione pratica della terapia.
Nati prematuri: al Gemelli accesso h24 ai genitori per la “Kangaroo mother care”
Bambini, Genitorialità, PediatriaDa dicembre 2018 i genitori potranno accedere a qualsiasi ora nei Reparti di Terapia Intensiva Neonatale (TIN), Sub-TIN e Patologia Neonatale della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS. L’obiettivo è promuovere un più stretto contatto tra i genitori e i piccoli prematuri, anche attraverso la “Kangaroo mother care”, la pratica di fornire un continuo contatto pelle a pelle tra madre/padre e neonato, favorendo così l’allattamento materno e riducendo i tempi di ospedalizzazione. L’annuncio è arrivato da Giovanni Vento, professore associato di Clinica Pediatrica all’Università Cattolica e direttore della UOC di Neonatologia del Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, in occasione della Giornata Mondiale della Prematurità, che sì è celebrata sabato scorso. “Nel 2017 sono stati 1078 i neonati ricoverati presso la UOC di Neonatologia – afferma il professor Giovanni Vento – di cui 370 in Terapia Intensiva Neonatale, 200 in Sub-Terapia Intensiva Neonatale e 508 in Patologia Neonatale. I nati pretermine (prima della 37esima settimana di età gestazionale) sono stati 655, con 144 neonati nati prima delle 32 settimane”.
La Fondazione Gemelli quale Policlinico Universitario è centro coordinatore di un trial randomizzato controllato multicentrico che coinvolge 38 neonatologie italiane. Si studiano gli effetti di una manovra di “reclutamento polmonare” al fine di migliorare l’efficacia del surfattante esogeno (una sostanza che riveste come una pellicola gli alveoli polmonari, senza la quale i polmoni faticano ad espandersi e il sangue ad ossigenarsi) nei neonati più fragili, quelli cioè nati tra la 24 e la 27 settimane di età gestazionale. Il trial si è concluso a settembre 2018 e i risultati dello studio verranno discussi in un workshop internazionale nella primavera del 2019.
Chanar Aziz: così mi hanno salvato la vita
Ricerca innovazioneA soli nove anni Chanar Aziz ha già rischiato la vita due volte. Originaria di Bagdad, è appena ritornata in Italia per essere sottoposta ad un intervento salvavita, ed è in Italia (alla Federico II) che ha conosciuto i suoi angeli. La storia di Aziz, dagli occhi grandi e pieni di vita, venne agli onori della cronaca nel 2011, poiché grazie ad una catena umanitaria fu trasferita in Italia perché affetta da “Sindrome del QT lungo”, una patologia cardiaca genetica che può causare morte improvvisa, come, purtroppo già accaduto per 2 sorelline.
Il primo intervento
All’epoca, l’equipe del professor Vosa realizzò un intervento innovativo con l’applicazione di un sistema salvavita che consisteva in un dispositivo posizionato in addome, collegato ad elettrodi sottocutanei che portandosi fino alla schiena, avevano la funzione di sorvegliare il cuore e di intervenire in caso di insorgenza di un’aritmia pericolosa per la vita. Il primo caso al mondo in una ragazzina così piccola.
La seconda emergenza
A distanza di 7 anni, il dispositivo ha iniziato a dare segni di esaurimento della carica e, in considerazione della crescita della bambina, il professor Gaetano Palma, ora responsabile della cardiochirurgia pediatrica federiciana, coadiuvato dal cardiochirurgo pediatrico Raffaele Giordano e dall’esperto di elettrofisiologia chirurgica Luigi Matarazzo, hanno sostituito l’intero sistema permettendo alla bambina di essere ancora protetta da eventuali “aritmie maligne”, senza ricorrere all’apertura del torace. L’intervento ha coinvolto l’intera equipe della cardiochirurgia pediatrica, in primo luogo l’anestesista Gaetano Castellano e gli specialisti dottori Sergio Palumbo, Sabato Cioffi e Marco Mucerino.
Ponte umanitario
Regia di tutta l’organizzazione è stata la dottoressa Veronica Russolillo, che, tra difficoltà soprattutto burocratiche, è riuscita nell’impresa di realizzare un ponte umanitario che ha coinvolto la direzione generale della Federico II, in particolare nella figura dell’assistente sociale Filomena Marra, la Regione Campania e associazioni di volontariato. Tutto il personale della Cardiochirurgia della Federico II di Napoli, sotto la direzione dei professori Emanuele Pilato e Gabriele Iannelli, ha accolto la piccola bimba irachena e il padre con grande umanità e in questi giorni di degenza si è prodigato in cure amorevoli, per rendere al massimo confortevole il breve decorso postoperatorio.
Italiani sedentari: solo la metà fa sport e 1 bambino su 4
SportGli italiani sono troppo sedentari: solo la metà degli adulti raggiunge i livelli raccomandati di attività fisica. Tra i bambini, solo uno su quattro dedica al massimo un giorno a settimana ai giochi di movimento. Inoltre, circa un italiano su tre pratica sport nel tempo libero (soprattutto i più giovani). Sono questi alcuni dei dati riportati nel Rapporto Istisan “Movimento, sport e salute: l’importanza delle politiche di promozione dell’attività fisica e le ricadute sulla collettività”, realizzato dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS), dal Ministero della Salute e dal Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI) e presentato di recente in un convegno all’ISS sul tema.
«La promozione dell’attività fisica – sottolinea Walter Ricciardi, Presidente dell’ISS – è sicuramente importante a livello del singolo, ma anche e soprattutto in una visione societaria, per la quale diventa necessario un approccio multi-disciplinare e multi-settoriale, frutto della collaborazione di varie istituzioni e del coinvolgimento di diversi settori (educazione, trasporti, ambiente, politiche fiscali, media, industria, autorità locali), affinché l’attività fisica possa diventare direttamente integrata nella quotidianità di ognuno e affinché il singolo individuo possa farsi promotore della propria salute adottando uno stile di vita “attivo”. Non è, infatti, solo un’attività sportiva di tipo strutturato o agonistico a mantenere il cittadino in buona salute ma tutte le occasioni in cui si può combattere la sedentarietà (come ad esempio camminare, andare in bicicletta, fare giardinaggio, portare il cane a passeggio, ecc)». L’attività fisica rappresenta uno dei principali strumenti per la prevenzione delle malattie croniche non trasmissibili, per il mantenimento del benessere psico-fisico e per il miglioramento della qualità della vita, in entrambi i sessi e a tutte le età.
I numeri
Nel Rapporto Istisan si legge che la sedentarietà è responsabile del 14,6% di tutte le morti in Italia, pari a circa 88.200 casi all’anno, e di una spesa in termini di costi diretti sanitari di 1,6 miliardi di euro annui per le quattro patologie maggiormente imputabili ad essa (tumore della mammella e del colon-retto, diabete di tipo 2, coronaropatia). Un aumento dei livelli di attività fisica e l’adozione di stili di vita salutari determinerebbero un risparmio per il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) pari a oltre 2 miliardi e 300 mila euro in termini di prestazioni specialistiche e diagnostiche ambulatoriali, trattamenti ospedalieri e terapie farmacologiche evitate.
Anche i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) parlano chiaro: nel mondo gli adulti sedentari sono uno su quattro e l’80% degli adolescenti non raggiunge i livelli raccomandati di attività fisica. In particolare, in Europa oltre un terzo della popolazione adulta e due terzi degli adolescenti non sembrano svolgere abbastanza attività fisica.
Riguardo l’Italia, i dati raccolti dai sistemi di sorveglianza di popolazione mostrano che solo il 50% degli adulti raggiunge i livelli raccomandati di attività fisica [fonte: PASSI, 2017], nell’altra metà sono sedentari. Un bambino su quattro, invece, dedica al massimo un giorno a settimana (almeno un’ora) a giochi di movimento [fonte: OKkio alla Salute, 2016], tra gli adolescenti meno del 10% raggiunge le raccomandazioni dell’OMS e i maschi sono più attivi delle femmine (anche se usano maggiormente i computer)[fonte: HBSC, 2014] e fra gli ultra 64enni il livello di attività fisica svolto dagli anziani diminuisce all’avanzare dell’età ed è molto più basso tra le donne, tra le persone con svantaggio socio-economico e tra i residenti nel meridione [fonte: Passi d’Argento].
Medici sotto attacco, la Campania è in prima linea
News PresaIl quadro normativo
Temi di grandissima attualità, al centro del XXII NephroCare Annual Meeting che si svolge oggi a Napoli al Teatro Mediterraneo della Mostra d’Oltremare. A cinque anni dalla Legge Balduzzi che, per arginare la medicina difensiva, impose un’interpretazione complicata della colpa medica, è oggi realtà la Legge sulla Responsabilità Sanitaria promossa da Federico Gelli. La legge riguarda tutto il personale sanitario (medici e infermieri) e tutti gli esercenti servizi sanitari (Ospedali e Università) tenuti a rispondere della sicurezza delle cure e della persona assistita. «Si attribuisce al difensore civico la funzione di garante del diritto alla salute interpellabile direttamente dai pazienti e si istituiscono i centri regionali per la gestione del rischio sanitario che raccolgono i dati delle strutture sugli errori e li convogliano all’Osservatorio Nazionale sulla sicurezza in sanità che sarà istituito all’Agenas», spiega Attilio Di Benedetto Direttore Medico di NephroCare Italia.
Cambio di prospettiva
«La legge Gelli – aggiunge – sancisce che non è citabile per colpa in via penale il sanitario se chiede il consenso informato del paziente e segue le buone pratiche clinico-assistenziali e le raccomandazioni previste dalle linee guida che vanno fissate da un organismo partecipato da Agenas, Istituto Superiore di Sanità, Agenzia del Farmaco, Ministero della Salute, Regioni, Province autonome e FNOMCeO con il contributo delle Società Scientifiche». Di fatto la Legge Gelli introduce nel codice penale la distinzione tra colpa grave e colpa lieve. In caso “infausto” il sanitario risponde di omicidio o lesioni colpose (gravi) solo se, operando con imperizia, non ha seguito le raccomandazioni previste da linee guida e buone pratiche assistenziali. Il giudice può valutare se nel caso concreto vi siano eccezioni dovute a “rilevanti specificità”. La legge sancisce che la responsabilità civile del Sanitario che opera nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale è extracontrattuale: è il paziente a dover provare (entro 5 anni) che il danno l’ha fatto il sanitario. Resta contrattuale la responsabilità civile dell’Azienda Sanitaria: è il paziente a dover provare (entro 10 anni) che il danno è dipendente dall’Azienda Sanitaria. «Sempre in tema di Responsabilità – conclude Di Benedetto – altra problematica è l’utilizzo da parte dei sanitari di prodotti medicali o farmacologici minusvalenti che possano cagionare colposamente un danno all’integrità fisica (lesioni personali) ovvero alla vita (morte), costituendo un illecito tanto per il diritto civile che penale». Alla discussione partecipano, Silvestro Scotti, presidente Ordine medici Napoli, Giuliano Brunori presidente della Società italiana di Nefrologia, Attilio di Benedetto direttore sanitaria Neprhocare Italia.