Tempo di lettura: 5 minutiI giovani italiani sono divisi tra la voglia di sposare sesso e sentimenti, preservando la tradizionale vita di coppia, e la tentazione di sperimentare legami alternativi, come l’amicizia di letto. Da una ricerca Eurispes emerge che il 44% dei giovani sposati ha rapporti occasionali fuori dal matrimonio.
Il rapporto dell’Istituto di ricerca “Sesso, erotismo e sentimenti: i giovani fuori dagli schemi” rivela come, negli ultimi decenni, sia cambiato il modo di vivere i rapporti sessuali e le relazioni, nei giovani italiani. Oltre sette su dieci utilizzano materiale pornografico, quasi sei su dieci hanno praticato il sexting almeno una volta nella vita e oltre quattro su dieci usano dildo come “aiutino”. Un quarto degli omosessuali non usa contraccettivi (aumentando il rischio di infezioni sessualmente trasmissibili) e la stragrande maggioranza intrattiene amicizie di letto.
L’evoluzione individualista
Anche nella sfera della sessualità e nei rapporti tra questa e le dinamiche affettive, il protagonista è il singolo che procede lungo un percorso individuale e auto-costruito che, a differenza di quanto avveniva negli anni dell’edificazione della società di massa, non risente più di tanto delle “mode” e delle omologazioni proposte nel e dal contesto pubblico. Così come nella più generale sfera del consumo, guidato da un marketing iper-individualizzato, l’individuo-massa è stato sostituito da un individualismo di massa. Sopravvive, comunque, una diversificazione di genere. Tra i “giovani maschi” e le “giovani femmine”, mentre l’auto-erotismo risulta sdoganato e valorizzato quasi in egual misura, la dimensione affettiva collegata all’eros risulta molto più cogente tra le giovani piuttosto che tra i giovani. Per quel che riguarda i “vincoli esterni” e la dimensione pubblica della coppia, va rilevato che il matrimonio continua in certa misura a “contenere” il libero fluire delle pulsioni sessuali molto più dei rapporti di convivenza.
Sexting: sesso via web
Quasi 6 giovani su 10 hanno praticato il sexting almeno una volta nella vita, ovvero hanno inviato e condiviso materiale sessualmente esplicito in forma verbale, fotografica o video. Benché, infatti, il 41,4% dichiari di non averlo “mai” fatto, il 36,2% lo ha praticato “qualche volta”, il 12% “spesso” e il 10,4% “una sola volta”. La pratica si sta diffondendo soprattutto fra i giovani. Il 45,2% dei 25-30enni non lo ha “mai” praticato, contro il 37,1% dei 18-24enni. A dedicarsi più spesso al sexting sono i ragazzi del Nord-Est: qui il 17,5% lo pratica “spesso”, rispetto al 15,6% delle Isole, il 10,9% del Centro, il 10,7% del Sud, il 9,9% del Nord-Ovest.
Osservando le risposte per orientamento sessuale, emerge una maggiore propensione a scambiare più spesso materiale sessualmente esplicito tra chi si dichiara omosessuale (il 44% contro l’8,2% degli eterosessuali); mentre quasi la metà degli eterosessuali si dicono estranei a questa pratica (46,4%). Tre giovani su quattro fanno sexting con il proprio partner (75%), ma, nello stesso tempo, quasi la metà lo ha fatto con un partner occasionale (46,6%) e quattro su dieci con una persona che gli piaceva (40,6%), il 35,6% con qualcuno con cui voleva scherzare. Sono i ragazzi del Nord-Est gli unici a dichiarare, in più della metà dei casi, di aver fatto sexting con partner occasionali (51,6%).
Tra sesso e sentimenti
Sesso e sentimenti per i millennials coincidono “spesso” quattro volte su dieci (41,7%), “sempre” per poco in più di un quarto dei casi (26,3%), “qualche volta” per un altro 26,1% dei casi, “mai” per il 5,9%. A conciliare meglio i sentimenti e la sessualità nei rapporti, sono le giovani donne. Per il genere femminile, infatti, i due aspetti coincidono “sempre” nel 34,3% dei casi, contro il 16,1% degli uomini, ovvero meno della metà.
Tra i separati/divorziati, quindi tra chi ha già vissuto il fallimento di una relazione importante, si registra la percentuale più alta di chi afferma che nella propria vita sentimenti e sessualità coincidono “sempre” (28,6%) e “spesso” (71,4%).
Dalla ricerca emerge un dato interessante: tra i giovani sposati si registra la percentuale più alta di chi ha, invece, risposto “mai” (8%) e “qualche volta” (32%).
Contraccezione, dati choc: un quarto degli omosessuali non usa precauzioni
Circa un ragazzo su dieci non usa “mai” i contraccettivi (10,4%); il 13,4% “raramente”, il 12,4% “qualche volta”, il 23,9% “spesso”. Solo il 39,9% quando ha rapporti sessuali, usa sempre i contraccettivi, a fronte, quindi, di un complessivo 60,1% meno prudente.
Le donne sono più sensibili a questo argomento rispetto agli uomini, affermando di ricorrervi “sempre” nel 45,5% dei casi; tuttavia, una quota più ampia di donne ammette di farne uso “mai” (12,3% contro l’8,1%).
L’uso della contraccezione è maggiormente diffuso al Nord-Ovest (il 52,4% dice farne uso sempre), mentre al Sud e al Centro si riscontrano le percentuali più elevate di chi non la utilizza “mai” (rispettivamente 13,3% e 12,7%).
Come era prevedibile, ad utilizzare contraccettivi con meno regolarità sono i giovani sposati e conviventi (34% e 35% rispondono “sempre”).
Per quanto riguarda gli orientamenti sessuali, i bisessuali li usano “sempre” nel 46% dei casi, seguiti dagli eterosessuali (40,9%).
Un quarto degli omosessuali, invece non li utilizza “mai” (26,5%) e solo il 22,4% lo fa “sempre”.
BDSM, la metà dei giovani vorrebbe provare
Il 72,3% dei giovani non ha “mai” praticato il BDSM (pratica sessuale che prevede bondage, dominazione, sottomissione, sadismo e masochismo), il restante 27,7% si divide tra chi lo ha praticano “una volta o raramente” (16,8%), “qualche volta” (9,2%), “spesso” (1,7%). Il 78% delle donne non lo ha “mai” praticato contro il 65,2% degli uomini. I più “tradizionalisti” vivono nelle regioni del Meridione (oltre otto su dieci dichiarano di aver mai praticato il BDSM), coloro che osano di più, invece, si trovano nel Nord-Est del Paese, dove solo il 54,6% dice di non praticarlo e dove si riscontra la percentuale più alta di chi, invece, lo pratica spesso 4,1%. Anche in questo caso, sono gli omosessuali i più audaci: uno su dieci lo pratica “spesso”, il 16,3% “qualche volta”.
Ma, nonostante più del 70% del campione abbia dichiarato di non aver mai avuto rapporti sessuali con bondage, dominazione, sottomissione, sadismo e masochismo, la percentuale di quanti invece sono incuriositi o vorrebbero provare si attesta al 54,8%. Il 16,3% avrebbe “abbastanza” piacere di farlo, il 6,2% sarebbe “molto” predisposto. I più propensi a considerare il BDSM una fonte potenziale di piacere sono i separati/divorziati che indicano la risposta “molto” nel 28,6% dei casi. E, per quanto riguarda gli orientamenti sessuali, sono i bisessuali che a ritenere in percentuale più alta (20%), di poterne trarre piacere.
Sesso occasionale: gli sposati infedeli sono il 44%
Quasi sei giovani su dieci fanno sesso occasionale: al 25,5% è capitato “una volta” o “raramente”, a due su dieci è successo “qualche volta” (21,6%), l’11,4% lo fa “spesso”. Mentre tra le donne, poco più della metà dichiara di non praticare sesso occasionale (50,8%), tra gli uomini la percentuale si ferma al 29%. Ne consegue che i maschi che ammettono di avere “qualche volta” rapporti sessuali occasionali sono circa il 10% in più delle donne (27,7% contro il 17,3%) e quelli che dichiarano di averne spesso sono addirittura più del doppio (16,5% contro il 7,5%). E’ molto probabile che le risposte fornite dalle donne siano fortemente influenzate da condizionamenti sociali.
Un dato sorprendente riguarda i giovani sposati: se è vero che il 56% non fa sesso occasionale, non si può certo sottovalutare il restante 44% che invece, intrattiene questo tipo di rapporto fuori dal vincolo matrimoniale (il 24% “una volta o raramente”, il 14% “qualche volta”, il 6% “spesso”). Meno sorprende invece che siano i separati/divorziati a lasciarsi andare a incontri occasionali “spesso” nel 42,9% dei casi.
Amicizia “di letto”, fenomeno cult
Amici ma anche amanti: tra i giovani italiani le relazioni “friendship whit benefit” sono piuttosto diffuse. La maggioranza netta ne ha instaurata almeno una (55,1%); di questi, un quarto tra le 2 e le 5 (24,4%). Sono i giovani del Centro Italia i più propensi a questo tipo di rapporto: quasi 4 su 10 ne hanno avute tra 2 e 5 (39,4%), a cui si aggiunge il 17,6% di quanti ne hanno instaurate più di 5, per un totale del 57% degli intervistati che ha avviato nella vita più di due amicizie di letto. In particolare, sono molto diffuse tra gli omosessuali che, in più del 60% dei casi, hanno sperimentato questa relazione almeno due volte nella vita. Il 32,7% di loro la considerano “molto” appagante, il 46,9% “abbastanza” e solo il 6,1% “poco” soddisfacente.
Bioeconomia: meno energia da fonti fossili e più sviluppo sostenibile
Ricerca innovazioneLa bioeconomia è un’alternativa all’economia basata sulle fonti fossili. Invece di utilizzare risorse come petrolio e carbone, si basa sulla produzione di risorse biologiche rinnovabili e la conversione di queste sostanze, dei loro residui, e sottoprodotti in prodotti a valore aggiunto, quali componenti di base dei processi chimici per la produzione di biomateriali, bioplastiche, biochemicals.
“In Europa, sottolinea Luigi Pari, primo ricercatore del CREA e responsabile scientifico del progetto Panacea, nonostante considerevoli investimenti in ricerca e sviluppo, le colture NFC destinate alla produzione di prodotti bio-based e bioenergia, non sono ampiamente diffuse, principalmente a causa della mancanza di filiere di approvvigionamento e di un’adeguata politica di incentivi economici. Pertanto, la crescente domanda di materie prime da parte delle industrie bio-based, rende necessaria un’efficace diffusione delle NFC nell’agricoltura europea”.
Il progetto Panacea
Il CREA Ingegneria e Trasformazioni Agroalimentari è il rappresentante italiano con l’Università di Bologna del progetto PANACEA, un Network Tematico, finanziato dal programa Horizon 2020 della Ue, che ha l’obiettivo di accrescere il contributo delle Colture Non-food (cioè quello non ad uso alimentare) alla Strategia europea per la bioeconomia, riducendo la dipendenza energetica dalle fonti fossili. Coordinato dal Centro di Ricerca greco CRES – Centre for Renewable Energy Sources and Saving, il Network PANACEA è composto da 18 partner provenienti da 10 Paesi europei.
Quanto vale la bioeconomia
La bioeconomia è vista come un possibile motore di sviluppo economico dell’Unione europea, infatti la quota di mercato dei prodotti a base biologica nell’UE28 è in crescita. Nel 2010 l’industria chimica europea ha utilizzato circa l’8-10% di materiali rinnovabili per produrre sostanze chimiche e polimeri, mentre si stima che nel 2030 fino al 30% dei materiali a base di olio minerale saranno sostituiti da alternative biologiche.
Il mercato UE delle bio-plastiche è passato dai circa 485 milioni di € nel 2013, fino a 1,4 miliardi nel 2020 (+55%). Il mercato dei bio-lubrificanti raggiungerà 640 milioni di euro nel 2020 (con uno sviluppo del 56%), mentre il mercato dei tensioattivi bio-based dovrebbe aumentare fino a circa 1,3 miliardi di € nel 2030, (con un incremento del 91%). La transizione verso un’economia bio-based ha un grande potenziale in termini di crescita economica, sviluppo rurale e riduzione della dipendenza dalle fonti fossili, ma deve affrontare molte sfide. Il Network PANACEA nasce per promuovere l’incontro tra ricerca, industria e agricoltura, con l’obiettivo di diffondere le conoscenze e i risultati di ricerca e innovazione sulle più promettenti colture non-food lungo l’intera catena del valore (coltivazione, trasformazione, utilizzo).
Sale e grassi non spaventano gli anziani
AlimentazioneMa chi lo dice che gli anziani devono rinunciare ad un’alimentazione gustosa? In barba a quello che credono in molti, la verità è che grassi e sale fanno meno paura quando si è superata una certa età. A dirlo sono gli ultimi studi presentati dai geriatri in occasione del 63° congresso nazionale della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (SIGG), che si è appena aperto a Roma. I geriatri sono dunque sempre più permissivi, facendo passare la quantità di lipidi dalla dieta consentita per gli anziani da 20-30 grammi a 40-50 grammi al giorno. E aumenta anche quella di sale, che arriva fino a 5-6 grammi al giorno dai precedenti 3-4 grammi. Come accennato, infatti, gli ultimi studi mostrano che non è necessario demonizzare sale e grassi negli anziani, perché il rischio cardiovascolare e metabolico complessivo non si modifica in maniera sostanziale e anzi una carenza di questi nutrienti e minerali potrebbe rivelarsi controproducente.
I dati
«Le ricerche più recenti indicano che una eccessiva restrizione di sodio può avere effetti negativi sulla resistenza all’insulina, i lipidi nel sangue e l’assetto neuro-ormonale, tutti elementi che possono favorire le malattie cardiovascolari e l’insufficienza cardiaca e che potrebbero perciò controbilanciare le possibili conseguenze positive della riduzione di sale sulla pressione arteriosa – spiega Raffaele Antonelli Incalzi, presidente SIGG – Gli studi segnalano che in uomini e donne over 70 in buona salute complessiva il rischio cardiovascolare più basso possibile è attorno ai 3 grammi di sodio al giorno: esiste perciò una sorta di curva a “U”, per cui la probabilità di disturbi cardiovascolari sale sia per quantità inferiori, sia per dosi molto elevate di sodio. Peraltro, lo studio italiano InChianti su poco meno di mille over 65 seguiti per 9 anni ha confermato che livelli troppo bassi di consumo di sodio si associano a un incremento della mortalità, mentre un eccesso non pare altrettanto deleterio; inoltre, una dieta troppo povera di sodio potrebbe compromettere il raggiungimento di un introito calorico adeguato e anche l’efficacia di alcune terapie farmacologiche. Per tutti questi motivi, in anziani senza particolari condizioni che richiedano uno stretto controllo dell’introito di sodio, oggi si ritiene che non sia più necessario essere troppo rigidi nelle quantità di sale raccomandate agli over 65: 5-6 grammi al giorno, pari a un cucchiaino da tè e circa 2,3 grammi di sodio, sono una dose ragionevole che per la maggioranza dei soggetti non implica un peggioramento significativo delle condizioni cardiovascolari né un incremento della mortalità a dieci anni. Una restrizione del sale non sembra perciò indispensabile».
I grassi
I geriatri sono ora più “permissivi” anche con i grassi, ritenuti in passato un pericolo numero uno per il cuore e le arterie: negli over 65 non c’è necessità di tirare troppo la cinghia, anzi se si scelgono i “grassi giusti” la salute ci guadagna. «La dose giornaliera raccomandata di grassi è pari a 40-50 grammi e se la fonte è vegetale, per esempio facendo un buon uso di olio extravergine d’oliva e frutta a guscio, si può fare il pieno di acidi grassi mono e polinsaturi ottimi per ridurre il rischio cardiovascolare e metabolico – consiglia Antonelli Incalzi – Anche il pesce, troppo spesso trascurato dalla dieta degli anziani, è una fonte ideale di grassi polinsaturi benefici per il cuore e non solo: un buon apporto di lipidi serve per mantenere una performance cognitiva adeguata ed è perciò utile per rallentare il declino cerebrale. Numerose ricerche hanno dimostrato che avere un buon apporto di acidi grassi polinsaturi è essenziale nella terza età: la mortalità si abbassa fino al 42% se l’introito dalla dieta è adeguato, mentre il rischio cardiovascolare e la mortalità salgono fino all’81% in più se si consumano soprattutto grassi saturi e grassi trans. L’obiettivo quindi, negli over 65, non deve essere la riduzione dei grassi in assoluto quanto piuttosto la sostituzione dei grassi saturi provenienti dagli alimenti di origine animale con grassi mono e polinsaturi di origine vegetale o dal pesce».
Eurispes: 44% giovani sposi ha rapporti fuori dal matrimonio
PrevenzioneI giovani italiani sono divisi tra la voglia di sposare sesso e sentimenti, preservando la tradizionale vita di coppia, e la tentazione di sperimentare legami alternativi, come l’amicizia di letto. Da una ricerca Eurispes emerge che il 44% dei giovani sposati ha rapporti occasionali fuori dal matrimonio.
Il rapporto dell’Istituto di ricerca “Sesso, erotismo e sentimenti: i giovani fuori dagli schemi” rivela come, negli ultimi decenni, sia cambiato il modo di vivere i rapporti sessuali e le relazioni, nei giovani italiani. Oltre sette su dieci utilizzano materiale pornografico, quasi sei su dieci hanno praticato il sexting almeno una volta nella vita e oltre quattro su dieci usano dildo come “aiutino”. Un quarto degli omosessuali non usa contraccettivi (aumentando il rischio di infezioni sessualmente trasmissibili) e la stragrande maggioranza intrattiene amicizie di letto.
L’evoluzione individualista
Anche nella sfera della sessualità e nei rapporti tra questa e le dinamiche affettive, il protagonista è il singolo che procede lungo un percorso individuale e auto-costruito che, a differenza di quanto avveniva negli anni dell’edificazione della società di massa, non risente più di tanto delle “mode” e delle omologazioni proposte nel e dal contesto pubblico. Così come nella più generale sfera del consumo, guidato da un marketing iper-individualizzato, l’individuo-massa è stato sostituito da un individualismo di massa. Sopravvive, comunque, una diversificazione di genere. Tra i “giovani maschi” e le “giovani femmine”, mentre l’auto-erotismo risulta sdoganato e valorizzato quasi in egual misura, la dimensione affettiva collegata all’eros risulta molto più cogente tra le giovani piuttosto che tra i giovani. Per quel che riguarda i “vincoli esterni” e la dimensione pubblica della coppia, va rilevato che il matrimonio continua in certa misura a “contenere” il libero fluire delle pulsioni sessuali molto più dei rapporti di convivenza.
Sexting: sesso via web
Quasi 6 giovani su 10 hanno praticato il sexting almeno una volta nella vita, ovvero hanno inviato e condiviso materiale sessualmente esplicito in forma verbale, fotografica o video. Benché, infatti, il 41,4% dichiari di non averlo “mai” fatto, il 36,2% lo ha praticato “qualche volta”, il 12% “spesso” e il 10,4% “una sola volta”. La pratica si sta diffondendo soprattutto fra i giovani. Il 45,2% dei 25-30enni non lo ha “mai” praticato, contro il 37,1% dei 18-24enni. A dedicarsi più spesso al sexting sono i ragazzi del Nord-Est: qui il 17,5% lo pratica “spesso”, rispetto al 15,6% delle Isole, il 10,9% del Centro, il 10,7% del Sud, il 9,9% del Nord-Ovest.
Osservando le risposte per orientamento sessuale, emerge una maggiore propensione a scambiare più spesso materiale sessualmente esplicito tra chi si dichiara omosessuale (il 44% contro l’8,2% degli eterosessuali); mentre quasi la metà degli eterosessuali si dicono estranei a questa pratica (46,4%). Tre giovani su quattro fanno sexting con il proprio partner (75%), ma, nello stesso tempo, quasi la metà lo ha fatto con un partner occasionale (46,6%) e quattro su dieci con una persona che gli piaceva (40,6%), il 35,6% con qualcuno con cui voleva scherzare. Sono i ragazzi del Nord-Est gli unici a dichiarare, in più della metà dei casi, di aver fatto sexting con partner occasionali (51,6%).
Tra sesso e sentimenti
Sesso e sentimenti per i millennials coincidono “spesso” quattro volte su dieci (41,7%), “sempre” per poco in più di un quarto dei casi (26,3%), “qualche volta” per un altro 26,1% dei casi, “mai” per il 5,9%. A conciliare meglio i sentimenti e la sessualità nei rapporti, sono le giovani donne. Per il genere femminile, infatti, i due aspetti coincidono “sempre” nel 34,3% dei casi, contro il 16,1% degli uomini, ovvero meno della metà.
Tra i separati/divorziati, quindi tra chi ha già vissuto il fallimento di una relazione importante, si registra la percentuale più alta di chi afferma che nella propria vita sentimenti e sessualità coincidono “sempre” (28,6%) e “spesso” (71,4%).
Dalla ricerca emerge un dato interessante: tra i giovani sposati si registra la percentuale più alta di chi ha, invece, risposto “mai” (8%) e “qualche volta” (32%).
Contraccezione, dati choc: un quarto degli omosessuali non usa precauzioni
Circa un ragazzo su dieci non usa “mai” i contraccettivi (10,4%); il 13,4% “raramente”, il 12,4% “qualche volta”, il 23,9% “spesso”. Solo il 39,9% quando ha rapporti sessuali, usa sempre i contraccettivi, a fronte, quindi, di un complessivo 60,1% meno prudente.
Le donne sono più sensibili a questo argomento rispetto agli uomini, affermando di ricorrervi “sempre” nel 45,5% dei casi; tuttavia, una quota più ampia di donne ammette di farne uso “mai” (12,3% contro l’8,1%).
L’uso della contraccezione è maggiormente diffuso al Nord-Ovest (il 52,4% dice farne uso sempre), mentre al Sud e al Centro si riscontrano le percentuali più elevate di chi non la utilizza “mai” (rispettivamente 13,3% e 12,7%).
Come era prevedibile, ad utilizzare contraccettivi con meno regolarità sono i giovani sposati e conviventi (34% e 35% rispondono “sempre”).
Per quanto riguarda gli orientamenti sessuali, i bisessuali li usano “sempre” nel 46% dei casi, seguiti dagli eterosessuali (40,9%).
Un quarto degli omosessuali, invece non li utilizza “mai” (26,5%) e solo il 22,4% lo fa “sempre”.
BDSM, la metà dei giovani vorrebbe provare
Il 72,3% dei giovani non ha “mai” praticato il BDSM (pratica sessuale che prevede bondage, dominazione, sottomissione, sadismo e masochismo), il restante 27,7% si divide tra chi lo ha praticano “una volta o raramente” (16,8%), “qualche volta” (9,2%), “spesso” (1,7%). Il 78% delle donne non lo ha “mai” praticato contro il 65,2% degli uomini. I più “tradizionalisti” vivono nelle regioni del Meridione (oltre otto su dieci dichiarano di aver mai praticato il BDSM), coloro che osano di più, invece, si trovano nel Nord-Est del Paese, dove solo il 54,6% dice di non praticarlo e dove si riscontra la percentuale più alta di chi, invece, lo pratica spesso 4,1%. Anche in questo caso, sono gli omosessuali i più audaci: uno su dieci lo pratica “spesso”, il 16,3% “qualche volta”.
Ma, nonostante più del 70% del campione abbia dichiarato di non aver mai avuto rapporti sessuali con bondage, dominazione, sottomissione, sadismo e masochismo, la percentuale di quanti invece sono incuriositi o vorrebbero provare si attesta al 54,8%. Il 16,3% avrebbe “abbastanza” piacere di farlo, il 6,2% sarebbe “molto” predisposto. I più propensi a considerare il BDSM una fonte potenziale di piacere sono i separati/divorziati che indicano la risposta “molto” nel 28,6% dei casi. E, per quanto riguarda gli orientamenti sessuali, sono i bisessuali che a ritenere in percentuale più alta (20%), di poterne trarre piacere.
Sesso occasionale: gli sposati infedeli sono il 44%
Quasi sei giovani su dieci fanno sesso occasionale: al 25,5% è capitato “una volta” o “raramente”, a due su dieci è successo “qualche volta” (21,6%), l’11,4% lo fa “spesso”. Mentre tra le donne, poco più della metà dichiara di non praticare sesso occasionale (50,8%), tra gli uomini la percentuale si ferma al 29%. Ne consegue che i maschi che ammettono di avere “qualche volta” rapporti sessuali occasionali sono circa il 10% in più delle donne (27,7% contro il 17,3%) e quelli che dichiarano di averne spesso sono addirittura più del doppio (16,5% contro il 7,5%). E’ molto probabile che le risposte fornite dalle donne siano fortemente influenzate da condizionamenti sociali.
Un dato sorprendente riguarda i giovani sposati: se è vero che il 56% non fa sesso occasionale, non si può certo sottovalutare il restante 44% che invece, intrattiene questo tipo di rapporto fuori dal vincolo matrimoniale (il 24% “una volta o raramente”, il 14% “qualche volta”, il 6% “spesso”). Meno sorprende invece che siano i separati/divorziati a lasciarsi andare a incontri occasionali “spesso” nel 42,9% dei casi.
Amicizia “di letto”, fenomeno cult
Amici ma anche amanti: tra i giovani italiani le relazioni “friendship whit benefit” sono piuttosto diffuse. La maggioranza netta ne ha instaurata almeno una (55,1%); di questi, un quarto tra le 2 e le 5 (24,4%). Sono i giovani del Centro Italia i più propensi a questo tipo di rapporto: quasi 4 su 10 ne hanno avute tra 2 e 5 (39,4%), a cui si aggiunge il 17,6% di quanti ne hanno instaurate più di 5, per un totale del 57% degli intervistati che ha avviato nella vita più di due amicizie di letto. In particolare, sono molto diffuse tra gli omosessuali che, in più del 60% dei casi, hanno sperimentato questa relazione almeno due volte nella vita. Il 32,7% di loro la considerano “molto” appagante, il 46,9% “abbastanza” e solo il 6,1% “poco” soddisfacente.
Burioni, un sito contro i “somari antiscientifici”
PrevenzioneSe siete tra quelli che cercano risposte affidabili in termini di salute e diffidate da chi vi dice “i vaccini no”, allora siete anche tra quelli che apprezzeranno il nuovo progetto di Roberto Burioni, il virologo del San Raffaele di Milano divenuto famoso combattendo le fake news sull’immunizzazione. Il medico raddoppia infatti il suo impegno mediatico (dopo Facebook) grazie ad un portale che non si occuperà solo di vaccini, ma anche di omeopatia, antibiotici e di tutti i settori della medicina popolati dai «somari antiscientifici».
Rapporto autentico
«Volevo chiudere la pagina – spiega – perché mi ero stufato, ma mi sono reso conto che in poco tempo ero riuscito a stabilire un rapporto di fiducia con il pubblico, e con i tempi che corrono non si può dilapidare un patrimonio del genere. Ci sono ancora troppe entità che lasciano il pelo ai somari antiscientifici». Nel sito i vaccini non saranno l’unico argomento. «Ho deciso insieme ad alcuni amici, a partire dal mio collega Nicasio Mancini, di alzare l’asticella e fare qualcosa di più impegnativo. Le bugie circolano su tutto, e questo sarà un posto dove si possono cercare i fatti. Diversi colleghi mi hanno già scritto offrendo il loro aiuto, io spero di aver fatto capire che social media e internet non sono nemici che i medici devono combattere ma strumenti da usare nel rapporto con i pazienti».
Work in progress
Il sito sarà utile anche per trovare velocemente risposte su argomenti che magari ho toccato mesi fa su Facebook, che lì sono più difficili da reperire. Al momento il sito, diretto da Andrea Amato e a cui collaborano Michele Dalai e Alessandro Scarinci come esperti di comunicazione, si regge sulle risorse personali dello stesso Burioni. «Per ora lavoriamo con i miei fondi personali, in futuro mi piace pensare che una iniziativa del genere possa riscuotere l’interesse delle istituzioni. Ci rivolgiamo a tutti quelli che hanno a cuore una corretta informazione scientifica. Due saranno i punti fondamentali, trasparenza e indipendenza, non accetteremo nulla che condizioni i contenuti».
Il nuovo volto della dermatologia 2.0
FarmaceuticaPurtroppo, oltre agli effetti collaterali ben noti, la chemioterapia e la radioterapia creano gravi danni anche alla pelle. In Italia ogni anno si diagnosticano 1.000 nuovi casi di cancro. Nel Centro Sud Italia esiste una realtà, l’ambulatorio “Il Corpo Ritrovato”, divenuta punta di riferimento per chi deve affrontare questi problemi. L’ambulatorio nasce nel 2010 per prevenire, curare e contrastare le conseguenze di terapie temporaneamente invalidanti e ormai da tempo offre un supporto che va dall’estetica medica fino al counselling psicologico. Restituire vita e dignità al corpo logorato di un paziente oncologico è un modo fondamentale per accelerarne la guarigione fisica e psicologica. Anche di questo si è parlato nel corso di un rendez vous di esperti in dermatologia che sino a domani (venerdì 30 novembre) terrà banco a palazzo Salerno. L’argomento principe è «Il nuovo volto della dermatologia 2.0», attorno al quale si è scelto di organizzare tre giorni di convegni promossi dalla sezione di Dermatologia del dipartimento di Medicina clinica e Chirurgia dell’Università Federico II di Napoli, con la direzione scientifica dei Professori Mario Delfino e Gabriella Fabbrocini.
Nuove terapie
Molto interessanti anche le discussioni nate sulla conoscenza dei farmaci biosimilari, che è ancora vaga e imprecisa tra gli italiani. Oggi però il loro utilizzo sta potenziando nuove vie terapeutiche e permesso di raggiungere obiettivi clinici elevati, con miglioramenti significativi della qualità di vita del paziente. Alcune terapie biotecnologiche sono già disponibili in Italia, altre sono in arrivo e serviranno a trattare la psoriasi moderata-grave (30% di tutte le forme di psoriasi) e a gestire altre malattie infiammatorie cutanee croniche (MICC) come ad esempio la dermatite atopica (ne soffrono 35.000 adulti in Italia) e l’orticaria (che ha un impatto estremamente negativo sui rapporti sociali, lavorativi e relazionali). Si tratta di una svolta per le speranze di guarigione dei pazienti psoriasici che rappresentano il 3% della popolazione italiana, oltre 170.000 pazienti nella sola regione Campania. Il dibattito tra esperti dovrà ora abbattere i dubbi relativi alla scelta tra un farmaco biotecnologico e uno generico considerando anche gli aspetti farmaco-economici e di sostenibilità sul loro utilizzo, che possono mutare da Regione a Regione, rendendo complessa l’applicazione di linee terapeutiche condivise.
Infezione Hiv. In Italia 3443 nuove diagnosi nel 2017
News PresaNel 2017 in Italia sono stati diagnosticati 3443 nuovi casi di infezione da HIV (5,7 nuove diagnosi per 100.000 residenti). Si tratta di numeri in linea con la media europea (5,8 nuovi casi per 100.000). Se l’incidenza (casi/popolazione) delle nuove diagnosi aveva avuto una leggera diminuzione tra il 2012 e il 2015, l’andamento è poi diventato stabile dopo il 2015. Per quanto riguarda le modalità di trasmissione, anche in questo caso, l’incidenza degli ultimi tre anni resta simile per tutti i casi. È la fascia di età che va dai 25 ai 29 anni ad essere la più colpita. In generale, la modalità di trasmissione principale tra le nuove diagnosi è attraverso rapporti eterosessuali. Tra i maschi, invece, la maggior parte delle nuove diagnosi Hiv è in MSM (maschi che fanno sesso con maschi). Negli ultimi anni rimane costante il numero di donne con nuova diagnosi di Hiv. Dal 2012 al 2017 il numero di nuove infezioni da Hiv in stranieri rimane anch’esso stabile; al contrario, negli italiani si osserva una costante diminuzione. Nel periodo 2010-2017 è rimasta invariata la quota delle persone con una nuova diagnosi di infezione da Hiv in fase clinica avanzata (bassi CD4 o presenza di sintomi).
I numeri aggiornati arrivano dal Sistema di sorveglianza delle nuove diagnosi di infezione da HIV, che insieme al Registro Nazionale Aids, costituiscono due basi di dati, aggiornate dall’afflusso continuo delle segnalazioni inviate dalle regioni e dai centri segnalatori al Centro Operativo Aids (COA) dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS). Gli ultimi dati sulle nuove diagnosi di infezione da HIV e dei casi di Aids in Italia al 31 dicembre 2017 sono stati pubblicati sul Notiziario Istisan volume 31 – n. 9 supplemento 1 – 2018 redatto con il contributo dei componenti del Advisory Board sulla Sorveglianza delle infezioni da Hiv/Aids del Comitato Tecnico Sanitario del Ministero della Salute, in vista della Giornata mondiale di lotta all’Aids, che si celebra ogni anno il 1° dicembre.
Nuove diagnosi di Aids
Cosa significa Aids
Aids (Acquired immune deficiency sindrome) significa “Sindrome da immunodeficienza acquisita”. Nelle persone malate di Aids le difese immunitarie normalmente presenti nell’organismo si indeboliscono a causa di un virus denominato Hiv (Human immunodeficiency virus) e non sono più in grado di debellare infezioni e malattie – più o meno gravi – causate da altri virus, batteri o funghi (infezioni/malattie). Ad oggi non esiste una cura per l’Aids, ma l’aspettativa di vita dipende dalla tempestività della diagnosi.
Addio vecchiaia: 9 senior su 10 in salute. 1 su 2 autonomo fino a oltre 80 anni
AnzianiIndipendenti, amanti della vita sociale e sopratutto inseparabili dallo smartphone. Non è il ritratto dei “millennials”, ma di una nuova generazione – la “55 special” – che sembra decretare la fine della terza età (per lo meno, quella di un tempo). A suggerirlo i dati della ricerca internazionale “Generazione 55 special”, promossa da Amplifon e condotta da Ipsos, che ha esaminato il profilo, i valori, le abitudini e i comportamenti di 6 mila over 55 di Italia, Australia, Francia, Germania e Stati Uniti. È emerso un ritratto del tutto nuovo dei senior.
I nuovi “senior” d’Italia
Più di 4 senior italiani su 10 vedono i propri amici almeno una volta alla settimana e circa 1 su 2 è indipendente fino ad oltre 80 anni, con 1 persona su 2 nella fascia d’età 75-84 anni che gestisce in autonomia la casa e le finanze. Un terzo degli over 55 fa spesso attività fisica (il 33%) e 9 su 10 si considerano in salute. Inoltre, non possono rinunciare al proprio smartphone – il dispositivo preferito da oltre 7 su 10 – e sono iper-connessi: quasi 8 su 10 si collegano a internet più volte al giorno. Una generazione destinata a far sentire sempre di più il proprio peso: infatti nel 2018 – per la prima volta dall’unità d’Italia – gli over 60 hanno superato gli under 30 ed entro il 2050, secondo i dati Istat, più di un terzo della popolazione sarà composto da over 65. La vita della generazione “55 special” è all’insegna della positività, dell’indipendenza e della famiglia. Più di 8 senior italiani su 10 sono soddisfatti della propria vita, pur ammettendo che la condizione generale è peggiorata rispetto al passato (quasi 5 su 10). L’avanzare dell’età non scalfisce l’autonomia: quasi la metà degli italiani nella fascia d’età tra 75 e 84 anni è infatti indipendente (48%) e non ha bisogno di aiuto per gestire la casa (48%), le finanze (59%) e la salute (53%). I connazionali si aggiudicano poi il titolo di “nonni doc”: oltre 6 su 10 si occupano regolarmente dei propri nipoti (solo 3 su 10 negli altri Paesi) e il lavoro di nonno è a tempo pieno per il 57% (vs una media del 48%).
“Rispetto agli over 55 degli altri Paesi – commenta Roberto Bernabei, Direttore Dipartimento Scienze dell’Invecchiamento, Neurologiche, Ortopediche e della Testa-Collo, Fondazione Policlinico A. Gemelli e Presidente di Italia Longeva – i nostri connazionali sono quelli che dedicano più tempo ai rapporti familiari e, in genere, alle relazioni sociali. Si tratta di dati che trovano spiegazione nella cultura italiana dove, da sempre, la famiglia è al primo posto. Inoltre, i senior rappresentano un pilastro fondamentale per la società. Oltre a occuparsi dei figli e dei nipoti, gli over 55 si prendono cura anche degli anziani che hanno bisogno di cure domiciliari, primeggiando – secondo recenti studi – per il numero di ore dedicate alla loro assistenza. Questa nuova generazione di senior sembra quindi occuparsi degli altri in modo trasversale e duraturo, offrendo supporto alle altre persone in tutte le fasi della vita”.
Un nuovo terzo tempo
La nuova generazione di over 55 ha una vita sociale piena, scandita da incontri con amici e familiari, serate al cinema e a teatro. Secondo l’indagine, quasi 8 senior su 10 frequentano regolarmente i propri parenti (solo 6 su 10 negli Stati Uniti) e oltre 4 su 10 vedono gli amici almeno una volta alla settimana (meno di 3 su 10 in Francia). Gli over 55 italiani trascorrono il loro tempo libero con la musica (76%), al parco (76%) e con le parole crociate (57%) e, rispetto ai coetanei stranieri, rivelano un animo più culturale. Il 28% va al cinema almeno una volta al mese (il 16% negli altri Paesi) e il 23% visita musei e partecipa ad escursioni organizzate (vs l’11%). Anche il teatro e i concerti sono passioni tutte italiane: ci vanno rispettivamente il 13% e l’11% dei connazionali contro la media del 6%.
Non è mai troppo tardi per innamorarsi
“Contrariamente a quanto si pensa, dopo una certa età le relazioni continuano o addirittura ne nascono di nuove. Spesso assistiamo infatti alla creazione di nuove coppie dopo i 65 anni di età, perché le persone hanno tempo di frequentarsi e voglia di innamorarsi. Addirittura i dati ci mostrano una crescita nel numero di matrimoni tra gli over 75. Non mi pare – commenta la scrittrice Lidia Ravera – che i senior soffrano di solitudine. Fanno parte di una generazione che è cresciuta in gruppo, che faceva politica insieme e che spesso condivideva spazi abitativi”. I “55 special” conservano poi una buona dose di creatività e di voglia di sperimentare: il 70% degli italiani dichiara, infatti, di cercare sempre nuove idee (vs una media del 66%) e il 73% è entusiasta di ciò che fa (vs il 70%).“I senior di oggi sono persone con cui la società deve fare i conti: molti di loro hanno combattuto contro gli stereotipi fin dalla giovinezza e non intendono smettere proprio adesso che è arrivata la fase più difficile della vita. Vogliono scriversi da soli il copione da recitare in questo ‘terzo tempo’ e non subire passivamente quello che propone il comune buon senso”, afferma Ravera.
La salute alla prova dell’età
La salute della nuova generazione sembra essere complessivamente positiva: oltre 9 su 10 affermano infatti di essere in condizioni buone o soddisfacenti e fanno controlli con regolarità nel 91% dei casi. Un terzo dei senior nostrani (33%) fa spesso esercizio fisico: una percentuale più alta rispetto a Stati Uniti (24%) e Australia (30%), ma più bassa di Germania (40%) e Francia (39%). Quando si parla di alimentazione gli italiani non hanno rivali: nel Bel Paese il 12% controlla tutto quello che mangia, in Francia e in Germania lo fa solo il 5%. La perdita della salute fa paura: le malattie sono infatti la principale fonte di preoccupazione per il futuro (ne è spaventato il 63%), seguita dalla perdita di memoria (52%) e dal decadimento fisico (40%). L’ipertensione (39%), il colesterolo alto (32%) e i problemi di udito (17%) sono i disturbi più frequenti tra gli over 55 della Penisola.
“I dati dell‘indagine di Ipsos ci mostrano come in Italia circa 2 persone su 10 convivano con un disturbo dell’udito. Si tratta di un dato da non sottovalutare, perché i problemi uditivi non trattati possono incidere sulla qualità di vita. Spesso, infatti, a causa di un calo dell’udito le persone si isolano o rinunciano a occasioni conviviali. Sottoporsi a controlli regolari e intervenire precocemente – afferma Carlo Antonio Leone, Direttore Unità Operativa Complessa di Otorinolaringoiatria e Chirurgia Cervico-facciale, Azienda dei Colli – Ospedale Monaldi Napoli – è quindi fondamentale per rimanere attivi. Eppure, secondo l’indagine, in Italia solo il 25% delle persone con ipoacusia utilizza una protesi acustica contro il 70% della Germania. Una soluzione contro questo sottoutilizzo può venire dalla tecnologia: oltre 8 italiani su 10 dichiarano infatti di essere molto interessati a ricorrere ad apparecchi acustici ipertecnologici, regolabili direttamente dal proprio smartphone e capaci di adattarsi alle caratteristiche sonore dell’ambiente circostante”.
Nonni sempre connessi, come i nipoti
La tecnologia ha conquistato anche gli over 55. Oltre a essere inseparabili dal proprio smartphone – il dispositivo preferito da oltre 7 senior su 10 – gli italiani sono anche iper-connessi. Insieme con gli statunitensi, sono quelli che si collegano a internet più spesso durante il giorno (75%). Il cuore della nuova generazione batte anche per i “social network”: oltre 7 su 10 hanno infatti un account (solo 5 su 10 in Germania). Facebook è la piattaforma più utilizzata (gli italiani, con il 67%, sono secondi solo agli Stati Uniti), seguita da Twitter e Instagram (22% e 18%, le percentuali italiane sono le più alte in assoluto).
“I dati dell’indagine ci mettono di fronte a una nuova generazione di senior: attivi, indipendenti, tecnologici e pienamente inseriti nel contesto sociale e familiare dove svolgono un ruolo cruciale. È quindi chiaro come gli over di oggi non siano più quelli a cui eravamo abituati. In questo nuovo scenario diventa essenziale cogliere le diverse sfaccettature che compongono l’universo ´55 special´ e rimanere al passo con i loro stili di vita per permettere anche a coloro che convivono con un disturbo uditivo di rimanere attivi – dichiara Federico Bardelli, General Manager Amplifon Italia.
Virus C, ecco perché conviene “eradicarlo”
Economia sanitaria, RubricheGli investimenti in terapie innovative danno nuove possibilità di cura ai pazienti, ma convengono anche in termini di risparmio della spesa sanitaria. È quello che è successo in Italia con l’epatite C e l’introduzione dei farmaci a elevata efficacia, in grado di eliminare il virus C “HCV”. Questa nuova passi è stata prima utilizzata per il trattamento dei casi più gravi e in seguito estesa a tutte le persone affette indipendentemente dal danno epatico, con la possibilità di rimborso da parte del sistema sanitario nazionale.
Lo studio
La conferma di quanto questa decisione sia stata lungimirante anche dal punto di vista economico è arrivata dallo studio “Analisi modellistica sulle conseguenze cliniche ed economiche del trattamento antivirale contro l’infezione cronica dal virus dell’epatite C”, condotto dal Eehta del Ceis dell’Università di Roma Tor Vergata, diretta dal professor Francesco Saverio Mennini con Andrea Marcellusi e Raffaella Viti, in collaborazione con la Piattaforma Italiana per lo studio della Terapia delle Epatiti Virali, coordinata dal professor Stefano Vella e Loreta Kondili del Centro Nazionale per la Salute Globale dell’Istituto Superiore di Sanità, l’Associazione Italiana per lo studio del fegato e la Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali. La ricerca è stata pubblicata su Pharmaco Economics, una delle più autorevoli riviste di economia sanitaria.
Costi benefici
«L’obiettivo – spiega Mennini – era quello di valutare se l’investimento che il sistema sanitario nazionale ha fatto negli ultimi anni per l’acquisto dei farmaci a elevata efficacia verrà mai ripagato e, nel caso in cui questo avvenga, in quanto tempo otterremo dei ritorni economici accettabili. I risultati che si trovano nell’analisi sono riportati in termini di benefici ottenuti nel corso degli anni grazie all’eliminazione del virus con la terapia antivirale. Nello specifico, e seguendo un approccio in termini di costo opportunità, sono state considerate le spese evitate per la gestione delle complicanze generate dalla malattia che la sanità avrebbe dovuto sostenere se non avesse scelto di usare le nuove terapie».
I dati
I ricercatori si sono basati sui dati della piattaforma italiana per lo studio delle epatiti virali, gestita dall’Istituto Superiore di Sanità, e hanno preso in esame due periodi. In una prima fase, si sono concentrati sui casi presi in cura nel 2015, cioè quelli dove la malattia si era manifestata nella sua forma più severa. Mentre, in un secondo momento dell’indagine sono stati esaminati quelli trattati tra il 2016 e il 2017, ossia, i pazienti con forme più lievi. «Il modello economico ha dimostrato che il trattamento delle persone affette da forme gravi della malattia del fegato trattate nel 2015, anno in cui l’accesso veniva autorizzato solo per i casi più gravi, ha portato un significativo ritorno in termini di riduzione di eventi clinici attesi accompagnato da un parziale ritorno dell’investimento iniziale per l’acquisto dei farmaci», aggiunge Mennini. Se nella prima fase è stata dimostrata l’efficacia delle terapie innovative, è dalla seconda parte della ricerca che sono emersi i dati più rilevanti dal punto di vista economico.
Vantaggio economico
«Nei pazienti trattati tra il 2016 e 2017, anni in cui sono entrati nel programma tutti coloro che avevano contratto il virus, le complicanze evitate hanno permesso di ottenere un recupero degli investimenti iniziali per l’acquisto delle medicine stimate in sei anni e quattro mesi. Dal punto di vista della spesa, questo vuol dire che fare accedere tutti alle cure consente di ottenere un recupero totale del denaro investito e potrebbe garantire addirittura dei risparmi nel medio lungo periodo. Infatti, il nostro modello stima una riduzione della spesa totale a 20 anni per i pazienti trattati nel corso del 2016 e del 2017 rispettivamente pari a circa 50 milioni di euro per 1000 pazienti. Questo dovrebbe far riflettere su quanto le terapie innovative portino vantaggio ai malati e più in generale a tutto il sistema sanitario».
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È ora di recuperare terreno
Economia sanitaria, RubricheL’editoriale
È ora di recuperare terreno
di Marco Trabucco Aurilio
Sostenibilità ed equità: su questi due pilastri dovrebbero basarsi le scelte del legislatore nell’ambito della sanità pubblica italiana. Ma in questo Paese siamo abituati, ahimè, a vedere tanti, troppi remake. Così, le criticità di ieri si sommano a quelle di oggi. Il“povero” Sistema sanitario nazionale viene ormai sostenuto da un anziano esercito di camici bianchi, esausti da promesse mancate, precariato, turni massacranti. Per non parlare di stipendi che in Italia risultano troppo bassi, purtroppo ben sotto la media di un paese civile.
Sotto la media
È la disarmante “sincerità” dei numeri ancora una volta a certificare le criticità: gli ultimi dati Ocse ci rappresentano infatti una spesa sanitaria (pubblica e privata) più bassa se confrontata alla media: 3.541 dollari rispetto ai 4.000 dollari segnati da uno scontato primato agli Stati Uniti d’America, seguiti dalla Francia come primo paese dell’Unione europea. Per quanto riguarda le regioni, invece, siamo ancora di fronte ad una forte disuguaglianza e preoccupante disomogeneità nell’offerta sanitaria. Una sanità che si mostra sempre più a due velocità, con Il Sud che – pur vantando alcuni poli di grande eccellenza – arranca. Gravato dai sistemi sanitari regionali “malati” di Campania, Molise, Calabria, Sicilia e Sardegna, in “terapia” ormai cronica. Non c’è più tempo e il progresso della ricerca e delle terapie accentuerà ancora i problemi.
Nuove forme di finanziamento
Nell’ultimo anno, e nei prossimi cinque, saranno disponibili terapie innovative che sconfiggeranno nel medio e breve termine patologie come ad esempio l’epatite C e tenderanno a debellare se non a cronicizzare le patologie oncologiche. Terapie dunque ad alto costo ma ad elevatissima efficacia, frutto di ricerche, molte italiane, durate anche decenni. Questa rivoluzione della ricerca sarà sostenibile? È arrivato il momento di sviluppare nuove forme di finanziamento della spesa sanitaria che aprano anche ad una reale integrazione tra “pubblico” e “privato”? Non c’è più tempo a nostra disposizione, si rischia di perdere ciò che rende ancora unico il nostro sistema sanitario: l’universalità delle cure.
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Infertilità: 1 uomo su 10 non riesce a concepire. Poca prevenzione
PrevenzioneTra il 30 e il 40% dei giovanissimi maschi tra i 16 e i 18 anni convive con una malattia andrologica che potrebbe compromettere la salute riproduttiva. Disturbi reversibili, se riconosciuti e trattati. Per uno su 10 ad esempio un piccolo intervento chirurgico basterebbe a scongiurare il rischio di veder svanire il desiderio di paternità. “C’è molto da fare nei giovanissimi – spiega il Professor Salvatore Sansalone, Ricercatore all’Università di Tor Vergata – “orfani della visita di leva che era una formidabile ed efficace forma di screening della popolazione maschile. Inoltre la cultura della prevenzione non è appannaggio del sesso maschile, più preoccupato della sessualità che della fertilità. Eppure la fertilità maschile è in crisi: secondo alcuni studi dell’1,4% l’anno, ma non è tutto perché negli ultimi 40 anni (dal 1973 al 2011) il numero di spermatozoi medi presenti nel liquido seminale è diminuito del 52,4%”. Diminuiscono, quindi, le possibilità di concepire.
Prevenzione maschile grande assente
L’OMS ha dichiarato l’infertilità una malattia sociale: solo in Italia 1 coppia su 5 in età fertile ha difficoltà a concepire. I maschi in particolare sono poco consapevoli delle conseguenze delle malattie sessualmente trasmesse. Non sanno che l’infezione da Papilloma virus (HPV) è uno dei principali fattori di rischio di cancro genitale e secondo i dati del Ministero della Salute solo il 33% dei diciottenni usa regolarmente il profilattico. Il che rende forse conto dell’incidenza dei tumori genitali maschili più che raddoppiata dal 1975 al 2018 con una diagnosi tardiva in circa il 75% dei casi. Insomma, la scarsa prevenzione porta una serie di altri rischi potenzialmente letali.
“La prevenzione sembra quindi la grande assente della salute riproduttiva maschile” sottolinea Marco Fabio Pulsoni, Presidente della Casa di Cura Sanatrix: che integra “specialisti ad un laboratorio analisi specialistico diretto dalla Dottoressa Ilaria Ortensi Dottore di Ricerca in Biotecnologie della Riproduzione Umana all’Università La Sapienza di Roma “l’approccio nei soggetti affetti da azoospermia – spiega – ossia la totale assenza di spermatozoi nel liquido sminale prevede una serie di indagini andrologiche (ormonali, genetiche, biologiche ed ecografiche) per individuare se la causa del problema sia funzionale o meccanica. Nel caso in cui la disfunzione sia dovuta ad una ostruzione si può tentare la ricostruzione delle vie seminali con un approccio microchirurgico, il che permette agli spermatozoi di ritrovare la strada verso l’esterno. Nel corso dell’intervento inoltre si prelevano spermatozoi da avviare alla crioconservazione nel caso sia necessario un successivo intervento di inseminazione artificiale. Ma la microchirurgia viene incontro ai pazienti anche nei casi non ostruttivi: con l’uso di un mezzo ottico di ingrandimento chiamato Micro-TESE il medico può prelevare i tubuli seminiferi e i preziosi gameti”.
Obesità fa rima con infertilità maschile
Dell’epidemia di obesità si è occupato anche uno studio pubblicato quest’anno su Frontiers in Physiology ha riportato come il grave aumento di peso sia correlato ad un aumento dei livelli di proteine infiammatorie nel liquido seminale, peggiore qualità degli spermatozoi e ridotti livelli di testosterone in maniera direttamente proporzionale all’aumento del BMI. In altre parole: difficoltà a concepire.
In sostanza, la capacità di procreare è minacciata da moltissimi fattori: endocrini, genetici, patologie autoimmuni, infezioni, malattie sessualmente trasmesse, obesità a cui si aggiungono fattori ambientali come fumo, alcol, uso di droghe, esposizione a sostanze chimiche in ambiente lavorativo. La valutazione della fertilità maschile tiene conto, oltre che della storia familiare e riproduttiva, anche dell’esistenza di patologie croniche o genetiche, di malattie o interventi chirurgici dell’apparato uro-genitale; così come degli stili di vita, abitudini sessuali e rischi legati all’attività professionale.