Tempo di lettura: 2 minutiPer quanto sudare sia qualcosa di assolutamente naturale, in alcuni casi la questione può creare non pochi imbarazzi. In alcune persone la sudorazione è eccessiva e basta un po’ di caldo per inzuppare magliette e camicie. Dal punto di vista medico, quando la condizione è patologica, si parla di iperidrosi e chi ne soffre sa bene che l’estate è un vero e proprio incubo. Una tecnica estremamente interessante per affrontare il problema arriva da una sostanza che solitamente viene associata a tutt’altro trattamento, il botulino. «La sudorazione – spiega il dottor Gianluca Russo, medico di medicina estetica e direttore scientifico del network “ilmiomedicoestetico” – è essenziale per la regolazione della temperatura corporea, si tratta di un fenomeno mediato dal cosiddetto sistema nervoso autonomo. In alcune persone (si stima circa l’1% della popolazione), le ghiandole sudoripare sono attivate in modo amplificato, cioè più di quanto sia necessario per il corretto e costante mantenimento della temperatura corporea. SI crea così un’anomalia che è responsabile di un’eccessiva sudorazione. Dal punto di vista medico questa condizione ha un nome ben preciso, si chiama «iperidrosi». Può interessare una o più parti del corpo (le più frequenti sono quella palmare, plantare e ascellare) e influisce negativamente sulla vita sociale, di relazione e lavorativa di chi ne soffre, causando spesso imbarazzo e, a volte, problemi psicologici veri e propri».
Tre tipi di iperidrosi
Russo spiega che si possono distinguere fondamentalmente tre tipi di iperidrosi. Quella idiopatica, molto frequente e può essere scatenata o aggravata da stress emotivo-emozionali o da stimoli termici, ma si può verificare anche senza alcuna causa scatenante. Coloro che soffrono di questa forma vengono spesso definiti “emotivi” ma, in genere, è il fenomeno della sudorazione eccessiva che causa imbarazzo ed ansia e non viceversa. L’iperidrosi generalizzata è quella che si riscontra in alcune condizioni fisiologiche (acclimatazione, menopausa) oppure a seguito dell’assunzione di alcuni farmaci, di malattie febbrili o di altro genere. Infine, troviamo l’iperidrosi localizzata, associata a specifiche malattie. Il trattamento di questa fastidiosa e, a volte, invalidante patologia dipende dalla sua gravità, oltre che dal modo con cui si manifesta, e può variare dal semplice utilizzo di sostanze antitraspiranti, come il cloruro d’alluminio (soprattutto nelle forme lievi), fino all’asportazione chirurgica delle ghiandole sudoripare ascellari e allasimpaticectomia (che consiste nell’asportazione parziale di alcune fibre nervose). Tuttavia, al giorno d’oggi, la prima scelta per la cura dell’iperidrosi, specie delle forme gravi scarsamente controllate dagli antitraspiranti, è costituita dal trattamento ambulatoriale con tossina botulinica, un farmaco iniettabile localmente molto noto per l’uso frequente in Medicina Estetica.
Il botulino
«Agisce riducendo la produzione sudore da parte della ghiandola sudoripara in maniera reversibile e transitoria. Il trattamento prevede la somministrazione con microiniezioni di piccole dosi del farmaco in sede ascellare, palmare o plantare, è ambulatoriale, non produce alcuna cicatrice e necessita solo di pochi minuti (15-20), consentendo un immediata ripresa della vita di relazione. In rari casi, si riscontra solo un modesto gonfiore delle parti trattate per 3-5 ore o la comparsa di piccoli lividi nei siti di iniezione, associati ad un transitorio torpore dell’area interessata. Già un’unica seduta è di norma sufficiente, seguita da un controllo a distanza di circa sette/dieci giorni. La durata degli effetti benefici del trattamento varia in relazione alla gravità della situazione di partenza, ma in generale gli effetti hanno una durata variabile dai 6 ai 12 mesi».
Emicrania addio, arrivano i microimpulsi
Ricerca innovazioneAddio al mal di testa grazie ad un piccolo apparecchio elettronico. E’ una ricerca che parla italiano a realizzare il sogno di benessere di milioni di persone nel mondo, il mal di testa può essere curato con la «neurostimolazione transcutanea», vale a dire con impercettibili impulsi elettrici. La portata di questa scoperta è enorme, non a caso i risultati dello studio sono stati pubblicati su Neurological Sciences.
Addio ai farmaci
Grazie a questa innovazione presto sarà possibile dire addio a compresse e bustine, che saranno sostituite da un piccolo strumento, una sorta di diadema o cerchietto, da appoggiare sulla fronte per curare e prevenire gli attacchi di emicrania nelle persone che proprio per questo problema fanno abuso di farmaci. L’obiettivo dello studio multicentrico coordinato da Paola Di Fiore del Centro Cefalee dell’Ospedale San Carlo di Milano (diretto da Fabio Frediani) è stato quello di valutare l’efficacia del dispositivo, e i risultati sono sorprendenti. Applicato sulla fronte, l’apparecchio rilascia microimpulsi che stimolano il nervo trigemino per ridurre il dolore dell’emicrania e prevenirne gli attacchi, come terapia di profilassi in pazienti con emicrania cronica e abuso di analgesici.
Farmaci ed emicrania più che dimezzati
Gli obiettivi erano la riduzione almeno del 50 % dei giorni di emicrania al mese e del consumo di analgesici. Tutti i pazienti sono stati istruiti all’utilizzo del dispositivo tutti i giorni per 20 minuti per il trattamento di profilassi. Il follow up è stato di 4 mesi. Sono stati inclusi 23 pazienti (18 donne) con Emicrania cronica e abuso di analgesici, pazienti con lunga storia di emicrania cronica da almeno 10 anni con in media 20 giorni al mese di emicrania e un consumo di 20 analgesi al mese in media, ha spiegato Di Fiore. A un follow up di 4 mesi, ha risposto il 35% dei pazienti, che ha presentato una riduzione del 58% dei giorni di emicrania passando da una media di 18 a una media di 7.5 giorni/mese e una riduzione del 69% del consumo di analgesici passando da una media di 20 a una media di 6 analgesici/mese.
Qualità di vita
«Tutti i pazienti – spiega Di Fiore – hanno presentato un globale vantaggio con una riduzione dei giorni di emicrania al mese e del consumo di analgesici al mese di oltre il 50%. E’ inoltre incoraggiante il vantaggio mantenuto nel tempo e per un periodo sufficientemente lungo».
Sindrome “text neck” da smartphone. Giovani con problemi vertebrali
Bambini, News Presa, Nuove tendenze, Prevenzione, Ricerca innovazioneLa sindrome di “text neck” è l’insieme di sintomi e fastidi provocati dal guardare il display del tablet o dello smartphone continuamente e a lungo, mantenendo posizioni scorrette per la colonna vertebrale. Il numero di pazienti, soprattutto giovani, che segnalano dolori per ernie del disco e problemi di allineamento vertebrale della colonna aumenta sempre di più.
È quanto riportano su Spine Journal un gruppo di neurochirurghi spinali americani.
Anche Todd Lanman, un neurochirurgo spinale al Cedars-Sinai Medical Center di Los Angeles segnala delle anomalie radiografiche della colonna con inversione delle curve fisiologiche dovute al troppo uso dello smartphone. Si tratta di giovani pazienti che quando arrivano all’osservazione del chirurgo spinale hanno già forti dolori e problemi ai dischi vertebrali, ribadisce Lanman. “La vera preoccupazione è che non sappiamo che cosa questo comporterà nel lungo termine per i ragazzi di oggi che usano i contenuti telefonini per tutto il giorno”.
Gli effetti della text neck peggiorano quando si è seduti. Le persone spesso guardano dall’alto in basso quando utilizzano i loro smartphone. Precedenti studi hanno anche scoperto che durante queste attività con lo smartphone alcune persone tengono il collo a circa 45 gradi, e il tutto peggiora quando si siedono. L’impatto sulla colonna dorsale aumenta alle posizioni flesse più elevate, aggiungono. Mentre in una posizione neutra in attesa, la testa pesa circa da 10 a 12 libbre (4,5 – 5,4 Kg) quando ci si piega di 15 gradi, la testa peserà circa 27 chili. Lo stress sulla colonna vertebrale aumenta gradualmente e a 60 gradi, è di 60 chili.
Secondo gli studiosi i bambini che oggi hanno 8 anni e che sono già utenti assidui di dispositivi elettronici probabilmente avranno necessità di essere sottoposti ad un intervento chirurgico sulla colonna già a 28 anni. Si tratta di giovani che ancora non hanno completato lo sviluppo della colonna e questo preoccupa non poco i neurochirurghi.
Gli autori suggeriscono dei semplici cambiamenti nello stile di vita per alleviare lo stress dovuto alla postura text neck. Si consiglia di tenere i telefoni cellulari davanti al volto, o all’altezza degli occhi, mentre si sta guardando il display e di usare due mani e i due pollici per creare una posizione più simmetrica e confortevole per la colonna vertebrale. Al di là di utilizzo dello smartphone, i chirurghi spinali raccomandano che le persone che lavorano con un computer o sul tablet utilizzino un supporto del monitor elevato in modo che stiano seduti a livello degli occhi.
Con i computer portatili, si consiglia un adattamento simile, utilizzando una tastiera e un mouse separato in modo che il computer portatile possa essere a livello degli occhi e comunque creare una buona posizione ergonomica durante la digitazione. Infine Lanman consiglia degli esercizi di stretching ed altri esercizi di base che si concentrano sulla postura per tenere sotto controllo la colonna. E aggiunge di sdraiarsi sul letto estendendo il collo all’indietro per ripristinare l’arco normale nel collo. Mentre nella posizione seduta, raccomanda l’allineamento del collo e della colonna vertebrale verificando che le orecchie siano diritte sopra le spalle e le spalle stiano sempre sopra i fianchi.
Punta del naso e zigomi, le parti del viso che si ereditano dal papà
Bambini, News Presa, Ricerca innovazioneCi sono dei tratti del viso che più di tutti si tramandano di padre in figlio. Sono la fossetta sottonasale (o prolabio), ovvero la zona sopra le labbra, la zona sotto il labbro inferiore, la punta del naso, gli zigomi e l’angolo interno degli occhi.
A rivelarlo è uno studio pubblicato sulla rivista Scientific Reports e condotto da Giovanni Montana del King’s College di Londra, che ha esaminato modelli in 3D dei volti di quasi 1000 gemelle identiche (omozigoti con il DNA identico al 100%) e non (eterozigoti, con DNA identico per il 50% come due fratelli non gemelli).
Anche se a volte si dice che un bambino è la fotocopia del papà o della mamma, in realtà non tutta la fisionomia del viso è modellata strettamente dal DNA, ma solo alcuni tratti specifici. Anche i gemelli identici hanno delle differenze sul viso, anche se difficilmente percepibili, proprio perché sono dominanti i tratti ereditari, uguali per i due gemelli.
Usando un software ad hoc lo scienziato ha tracciato mappe dell’ereditarietà dei vari tratti del volto e tracciato le parti più fortemente stabilite dai geni e quindi che si tramandano di padre in figlio, identificando anche i geni responsabili di modellare quei tratti stessi. Alla fine della ricerca, il risultato è stato che tratti specifici del volto quali la fossetta sottonasale, la zona sotto il labbro inferiore, la punta del naso, gli zigomi e l’angolo interno degli occhi sono trasferiti dai genitori ai figli mediante i geni. Le mappe possono essere utili per studiare i geni che danno forma al viso (ed eventuali anomalie del viso legate a difetti genetici). Inoltre mostrano che anche i gemelli non possono essere del tutto identici, ma possono variare molto in quanto a caratteristiche del viso. Vengono percepiti come se fossero identici solo perché le aree chiave sono controllate dai geni.
Pediatra pubblico o privato? Ecco cosa pensano gli italiani
Bambini, News PresaPubblico o privato? Quando si tratta di salute la scelta non è mai semplice. Se la salute è quella dei più piccoli il discorso si complica anche di più. Ma qual è l’atteggiamento delle mamme e dei papà italiani nei confronti dei pediatri? Ci si può fidare del pediatra di libera scelta del Servizio sanitario nazionale o è meglio rivolgersi ad uno specialista privato? La risposta a queste domande arriva da un’indagine molto interessante realizzata dall’organizzazione umanitaria Soleterre, una ricerca che analizza «la percezione del servizio pediatrico e l’atteggiamento verso il paziente in Italia».
Da Nord a Sud
Un primo dato che emerge con chiarezza è che il 64% delle famiglie italiane porta i propri figli (0 -14 anni) dal pediatra pubblico e in generale presso i servizi del sistema sanitario nazionale. Il 12% si rivolge invece ai pediatri privati, una percentuale che si alza al 18% nel Nord Ovest del Paese e, in generale, al 19% quando i figli hanno meno di 5 anni. Dunque sono principalmente le famiglie più giovani (18-30 anni) a rivolgersi al privato.
Quando si va dal privato
La scelta del medico dipende soprattutto dalle patologie: maggiore è la loro gravità, maggiore è la tendenza di rivolgersi a strutture specializzate. Per le patologie più gravi si preferisce il pediatra privato (22%), sul quale è possibile operare una scelta, e la pediatria ospedaliera (35%), che garantisce una molteplicità di servizi in una stessa struttura. Se un figlio avesse una malattia problematica il 49% degli intervistati si rivolgerebbe a una struttura italiana, il 17% ad una privata. Il survey mostra da parte degli italiani una larga fiducia al servizio pediatrico pubblico e ai servizi erogati: l’82% per i pediatri pubblici, l’80% per i medici di base e il 79% per le pediatrie.
L’approccio
La ricerca affronta anche la questione dell’approccio del personale medico e paramedico negli ospedali italiani. Il 31% lo giudica «professionale e attento», il 25% «cordiale e aperto», il 21% «distaccato e freddo». Le percentuali più alte su atteggiamenti negativi da parte del personale si ritrovano al Sud e nelle Isole: dove il 25% percepisce un atteggiamento “distaccato e freddo” e il 10% «scontroso e indisponibile». Un dato, quest’ultimo, che dovrebbe essere tenuto in considerazione dalle strutture ospedaliere dal momento che la maggior parte degli intervistati ritiene che un approccio positivo influenzi la guarigione (il 36% pensa che sia molto influente e il 46% abbastanza influente). Dall’analisi emerge anche che il 50% ha dichiarato di aver avuto difficoltà ad affrontare alcune spese obbligatorie nell’ultimo anno: per il 20% delle famiglie queste spese riguardano le cure dei figli.
L’importanza del pubblico
«Le famiglie italiane affidano la cura dei loro figli principalmente al sistema sanitario nazionale e sono soddisfatte dei servizi erogati», dice Damiano Rizzi, presidente di Soleterre. Un atteggiamento che vale ancora di più quando le patologie sono più gravi. Noi che ci occupiamo di cancro pediatrico sappiamo bene che solo le strutture pubbliche possono e potranno garantire cure di qualità per questa patologia ed è dunque necessario rafforzare i reparti garantendo risorse umane e finanziarie. È necessario anche combattere la tossicità finanziaria legata al cancro, facendo in modo che le famiglie non entrino in difficoltà finanziarie a causa della malattia e che a tutti i bambini, indipendentemente dalla condizione socio-economica in cui si trovano, sia garantito l’accesso a cure efficaci. Questo vale anche per quei servizi ormai ritenuti indispensabili come il sostegno psicologico in reparto: esso è fondamentale soprattutto per i bambini malati di cancro e le loro famiglie».
Smettere di sudare (troppo) grazie al botulino
News Presa, Ricerca innovazionePer quanto sudare sia qualcosa di assolutamente naturale, in alcuni casi la questione può creare non pochi imbarazzi. In alcune persone la sudorazione è eccessiva e basta un po’ di caldo per inzuppare magliette e camicie. Dal punto di vista medico, quando la condizione è patologica, si parla di iperidrosi e chi ne soffre sa bene che l’estate è un vero e proprio incubo. Una tecnica estremamente interessante per affrontare il problema arriva da una sostanza che solitamente viene associata a tutt’altro trattamento, il botulino. «La sudorazione – spiega il dottor Gianluca Russo, medico di medicina estetica e direttore scientifico del network “ilmiomedicoestetico” – è essenziale per la regolazione della temperatura corporea, si tratta di un fenomeno mediato dal cosiddetto sistema nervoso autonomo. In alcune persone (si stima circa l’1% della popolazione), le ghiandole sudoripare sono attivate in modo amplificato, cioè più di quanto sia necessario per il corretto e costante mantenimento della temperatura corporea. SI crea così un’anomalia che è responsabile di un’eccessiva sudorazione. Dal punto di vista medico questa condizione ha un nome ben preciso, si chiama «iperidrosi». Può interessare una o più parti del corpo (le più frequenti sono quella palmare, plantare e ascellare) e influisce negativamente sulla vita sociale, di relazione e lavorativa di chi ne soffre, causando spesso imbarazzo e, a volte, problemi psicologici veri e propri».
Tre tipi di iperidrosi
Russo spiega che si possono distinguere fondamentalmente tre tipi di iperidrosi. Quella idiopatica, molto frequente e può essere scatenata o aggravata da stress emotivo-emozionali o da stimoli termici, ma si può verificare anche senza alcuna causa scatenante. Coloro che soffrono di questa forma vengono spesso definiti “emotivi” ma, in genere, è il fenomeno della sudorazione eccessiva che causa imbarazzo ed ansia e non viceversa. L’iperidrosi generalizzata è quella che si riscontra in alcune condizioni fisiologiche (acclimatazione, menopausa) oppure a seguito dell’assunzione di alcuni farmaci, di malattie febbrili o di altro genere. Infine, troviamo l’iperidrosi localizzata, associata a specifiche malattie. Il trattamento di questa fastidiosa e, a volte, invalidante patologia dipende dalla sua gravità, oltre che dal modo con cui si manifesta, e può variare dal semplice utilizzo di sostanze antitraspiranti, come il cloruro d’alluminio (soprattutto nelle forme lievi), fino all’asportazione chirurgica delle ghiandole sudoripare ascellari e allasimpaticectomia (che consiste nell’asportazione parziale di alcune fibre nervose). Tuttavia, al giorno d’oggi, la prima scelta per la cura dell’iperidrosi, specie delle forme gravi scarsamente controllate dagli antitraspiranti, è costituita dal trattamento ambulatoriale con tossina botulinica, un farmaco iniettabile localmente molto noto per l’uso frequente in Medicina Estetica.
Il botulino
«Agisce riducendo la produzione sudore da parte della ghiandola sudoripara in maniera reversibile e transitoria. Il trattamento prevede la somministrazione con microiniezioni di piccole dosi del farmaco in sede ascellare, palmare o plantare, è ambulatoriale, non produce alcuna cicatrice e necessita solo di pochi minuti (15-20), consentendo un immediata ripresa della vita di relazione. In rari casi, si riscontra solo un modesto gonfiore delle parti trattate per 3-5 ore o la comparsa di piccoli lividi nei siti di iniezione, associati ad un transitorio torpore dell’area interessata. Già un’unica seduta è di norma sufficiente, seguita da un controllo a distanza di circa sette/dieci giorni. La durata degli effetti benefici del trattamento varia in relazione alla gravità della situazione di partenza, ma in generale gli effetti hanno una durata variabile dai 6 ai 12 mesi».
Anche via Internet si possono prendere delle malattie
News Presa, Nuove tendenze, Prevenzione, Psicologia, Ricerca innovazioneInternet è sicuramente sinonimo di innovazione, ma anche di qualche disturbo psicologico (a volte grave). I medici ne hanno individuati alcuni: sono condizioni patologiche della mente provocate da un rapporto morboso con gli strumenti che collegano alla rete. Le abitudini quotidiane di ogni individuo ‘connesso’ stanno cambiando e secondo uno studio molte persone hanno perso l’abitudine a sforzare la memoria. Di fronte a domande più o meno complicate il primo pensiero è di cercare in rete e ottenere le risposte da Google. “Prima, magari, avremmo cercato di arrivarci da soli”, commenta il ricercatore Benjamin Storm. Il problema è quando la dipendenza dal web crea delle vere e proprie patologie. Un articolo di The Week ha raggruppato le più comuni.
Prima fra tutte, c’è la nomofobia ( meglio detta “No-Mobile Phobia”). Si tratta della sensazione di panico, quasi disperazione, che si prova quando si è separati dal proprio smartphone o tablet. Secondo una ricerca, almeno il 73% degli inglesi potrebbe soffrirne.
In cima alla lista delle patologie provocate da internet, c’è la cosiddetta “Tecninferenza”, cioè “tech”+“interferenza”. Smartphone e tablet sono fonti di disturbo e interruzione nei momenti di tempo libero. Le conversazioni vengono spezzate, i pranzi con la famiglia e gli amici procedono a singhiozzo tra una notifica e l’altra. La cosa più grave, spiega uno studio portato avanti dai ricercatori della Durham University, è che queste interruzioni capitano anche nei momenti più intimi.
Per chiudere il quadro (anche perché andare ad elencare tutti i disturbi richiederebbe non un articolo, ma un trattato), c’è poi la “chiamata fantasma”. Sarà capitato a tanti di avvertire lo squillo di una chiamata o il bing di una notifica; ancora più diffusa è la sensazione di vibrazione, che, in realtà, non è mai avvenuta. Un fenomeno che fa chiarezza sul rapporto morboso che le persone intrattengono con i propri strumenti tecnologici connessi a internet. Tutto ciò non avviene per caso: esistono davvero stimoli esterni, come qualcosa che si muove in una tasca o un suono in lontananza, ma il problema sta nella traduzione che ne dà il cervello.
Infine, la ciliegina sulla torta, la cybercondria (crasi tra “cyber” e “ipocondria”), si tratta di fenomeni ipocondriaci derivanti dalla consultazione del web per informarsi su alcuni sintomi sospetti. Si avverte, ad esempio, un leggero mal di testa e si pensa alla meningite. Consultare Google o Wikipedia per farsi una diagnosi è una delle cose più pericolose che si possa fare. Un medico, (che non ha digitato parole su un motore di ricerca, ma ha studiato per dieci anni e lavora) è l’unico a poter dare un vero parere autorevole.
Basta un “grazie” per vincere l’ansia. Lo studio
News Presa, Prevenzione, Psicologia, Ricerca innovazioneL’ansia è responsabile di autosabotaggi nelle relazioni, sul lavoro e nella vita in generale. Hanno provato a capire come allontanarla due psicologi della University of British Columbia.
I soggetti più ansiosi, scrive il Washington Post, sembrano essere più introspettivi e una conseguenza dell’ansia è quella di chiudersi in se stessi. Partendo da questo assunto Jennifer Trew e Lynn Alden hanno tentato di scoprire se gli atti di gentilezza verso il prossimo (come un semplice grazie o un sorriso) potessero contribuire ad alleviare l’ansia sociale.
A questo punto, sono stati analizzati 115 studenti universitari ansiosi, suddivisi in tre gruppi, nell’arco di 4 settimane, durante le quali è stato chiesto al primo gruppo di compiere tre atti di gentilezza, due volte a settimana, al secondo di esporsi in situazioni sociali (ad esempio parlare con uno sconosciuto, invitare un collega a pranzo) e al terzo semplicemente di tenere un diario nel quale annotare gli eventi della giornata.
Gli studenti del primo e secondo gruppo sono stati inoltre preparati con esercizi di respirazione, per far sì che riuscissero a gestire l’ansia nel momento in cui si mettevano alla prova.
I risultati hanno dimostrato che il primo gruppo, impegnato in gesti gentili, aveva riportato dei benefici. Gli atti di gentilezza, infatti, contribuiscono a rafforzare le relazioni sociali, l’impegno sociale e ampliare le reti sociali. Il tutto favorisce l’aumento dell’ottimismo, che a sua volta, com’era già stato dimostrato in numerosi studi precedenti, riduce l’ansia.
In conclusione, per godere di questi benefici non servono gesti eclatanti. Un semplice grazie, un aiuto in qualche faccenda domestica, può avere risvolti terapeutici inaspettati. Il modo in cui ci si rapporta gli altri influisce sul proprio benessere.
Cancro alla prostata, il caffè ci protegge
News Presa, Ricerca innovazioneSe una mela al giorno toglie il medico di torno, tre tazzine di caffè ci proteggono dal cancro della prostata, o quasi. A rivelarlo è uno studio condotto da George Pounis di Neuromed pubblicato sulla rivista International Journal of Cancer. La ricerca, che ha preso in esame 7.000 italiani, ha coinvolto l’IRCCS Neuromed di Pozzilli in l’Istituto Superiore di Sanità e l’IRCCS Istituto Dermopatico dell’Immacolata di Roma. A quanto pare il rischio di tumore alla prostata si riduce di oltre il 50% in chi beve più di tre tazzine di caffè al giorno e questo per merito della caffeina e dei suoi effetti protettivi.
I benefici della caffeina
Alcuni studi recenti avevano suggerito un effetto protettivo della bevanda. «Analizzando le abitudini relative al consumo di caffè – spiega Pounis – e i casi di cancro alla prostata registrati nel corso del tempo, abbiamo potuto evidenziare una netta riduzione di rischio, il 53%, in chi ne beveva più di tre tazzine al giorno». Poi i ricercatori hanno testato l’azione di estratti di caffè (contenenti o meno caffeina) su cellule tumorali prostatiche in provetta. Solo gli estratti con caffeina hanno mostrato la capacità di ridurre significativamente la crescita delle cellule cancerose e la loro capacità di formare metastasi; un effetto che in larga parte scompare con il decaffeinato. Ciò suggerisce che l’effetto benefico è molto probabilmente dovuto proprio alla caffeina, più che alle numerose altre sostanze contenute nel caffè.
Caffè all’italiana
«Dobbiamo tenere presente – commenta Licia Iacoviello, capo del Laboratorio di Epidemiologia Molecolare e Nutrizionale – che lo studio riguarda una popolazione del Molise, che quindi beve caffè rigorosamente preparato all’italiana, cioè con alta pressione, temperatura dell’acqua molto elevata e senza l’uso di filtri. Questo metodo, diverso da quelli seguiti in altre aree del mondo, potrebbe determinare una maggiore concentrazione di sostanze bioattive. Sarà molto interessante approfondire questo aspetto. Il caffè è parte integrante dello stile alimentare italiano, che non è fatto solo di singoli cibi, ma anche del particolare modo di prepararli».
Sclerosi Multipla: particelle di microRNA rivelano qualcosa della malattia
Associazioni pazienti, News Presa, Prevenzione, Ricerca innovazioneNei pazienti affetti da Sclerosi Multipla, i microRNA circolanti nel sangue possono rivelare il grado di severità della malattia.
Secondo lo studio pubblicato su Jama Neurology, le particelle di microRNA nel siero potrebbero essere correlate alle alterazioni evidenziate dalla Risonanza Magnetica nei pazienti affetti da Sclerosi Multipla. Studi fatti in precedenza hanno evidenziato i cambiamenti nell’espressione dei microRNA nel tessuto cerebrale, nel plasma e nelle cellule immunitarie di pazienti con Sclerosi Multipla e hanno associato disabilità o progressione della patologia con l’espressione dei microRNA.
Partendo da questi presupposti, Rohit Bakshi e colleghi, della Harvard Medical School di Boston, hanno tentato di correlare i microRNA circolanti nel siero di 120 pazienti affetti da Sclerosi Multipla con le funzioni cerebrali e la Risonanza Magnetica del midollo spinale. Dieci microRNA si correlavano in maniera molto forte alla risonanza magnetica; i microRNA associati alle lesioni erano in gran parte diversi da quelli associati ad atrofia, suggerendo diversi processi patologici alla base delle lesioni focali versus l’atrofia. Alcuni microRNA circolanti mostravano correlazioni con fattori di protezione altri avevano relazione con fattori di patogenicità secondo le evidenze della risonanza magnetica. Infine, diversi microRNA hanno mostrato significative associazioni con i punteggi EDSS, Expanded Disability Satus Scale. “I microRNA serici sono promettenti biomarcatori del complesso processo che sottende la sclerosi multipla – ha detto Bakshi – Stiamo progettando di confermare ed estendere questi risultati in studi longitudinali”. Si tratta di un importante passo avanti per la ricerca sulla malattia della sclerosi multipla.
Il segreto delle bugie è essere convincenti. Verità fa rima con semplicità
News Presa, Psicologia, Ricerca innovazioneA chi non è capitato di ritrovarsi a dire delle bugie, da quelle a fin di bene e quelle più cattive? Il problema è che, a differenza dei politici, dei quali è abitudine comune lamentarsi, la maggior parte delle persone non riesce ad essere convincente. Dire le bugie, infatti, non è una cosa così semplice come possa sembrare ed ha mille risvolti psicologici che incidono sulla percezione dell’interlocutore.
Ce lo spiega una ricerca americana, condotta dall’AoEC, l’Academy of Executive Coaching (il Coaching è una metodologia che si differenza da tutti gli altri interventi di psicoterapia e consulenza, poiché non è orientato alla cura di disturbi psicologici, bensì allo sviluppo delle potenzialità, a vantaggio di una competenza da sviluppare o di un risultato da conseguire, quindi non può sostituire una terapia psicologica, orientata invece a problematiche più profonde). La ricerca sottolinea come spesso, raccontando un fatto, si cerchi di convincere la persona con cui si sta dialogando con espressioni che rendano più credibile il racconto: “è vero”, “credimi”, “la verità è che”, “il fatto è”, “in tutta onestà”, “a essere onesti”. Sono frasi, queste, che tolgono valore al discorso e che inconsciamente fanno scattare un campanello d’allarme nella mente dell’interlocutore: “per quale motivo sente di dover ribadire la verità del fatto che racconta?”. La risposta immediata è che il fatto non è vero.
Il risultato che si ottiene, anche se il racconto è veritiero, è l’opposto di quello sperato: non si viene creduti. Lo studio spiega che per fidarsi delle parole di qualcuno è fondamentale incontrare un linguaggio semplice (non circonvoluto, incerto e ambiguo), frasi brevi e ben chiare. In particolare, meglio evitare espressioni rafforzative come “ti dico che è così”, o “credimi”. Il vero ingrediente dell’essere convincete è quello di coinvolgere l’interlocutore in modo emotivo, e avvolgente, creando empatia. Insomma, l’affidabilità dipende da molti fattori, uno dei più importanti è il linguaggio utilizzato. È quanto affermano gli studi sul funzionamento della psicologia umana.