Tempo di lettura: 5 minutiTutto il mondo è interessato dall’emergenza, a causa della pandemia di COVID-19. La paura della situazione inattesa e potenzialmente dannosa per la salute nostra e per quella dei nostri famigliari e una condizione di isolamento sociale comportano una sensazione di perdita di controllo, innescando reazioni di stress. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha divulgato alcuni consigli da seguire per gestire lo stress dell’ emergenza sanitaria globale che ha sintetizzato in due infografiche. A partire da quei documenti dedicati a chi è chiuso in casa, l‘Istituto di Sanità ha redatto un approfondimento sui comportamenti consigliati per gestire lo stress e mitigare l’ansia, rivolto in particolare ai genitori di bambini da zero a tre anni.
In casa come possiamo evitare che la paura si trasformi in angoscia?
Di fronte al pericolo la paura è nostra amica: nel corso della propria storia, senza la paura la specie umana probabilmente si sarebbe estinta, sopraffatta dal pericolo. Ma se la paura diventa eccessiva ci rende vulnerabili. Seguire i consigli che ci vengono dati è un modo per riconoscere il ruolo della paura, senza farsi sopraffare. Tristezza, angoscia, perfino panico, sono risposte emotive comprensibili, ma che scaturiscono da valutazioni poco realistiche. I pensieri catastrofici spesso ci assalgono quando siamo più vulnerabili, come nei momenti di inattività o durante la notte. Possiamo considerarli una sorta di “bugie” prodotte dal nostro cervello, di fronte alle quali non sempre la nostra ragione riesce ad avere la meglio. Quando una minaccia è visibile, d’istinto siamo portati a scappare, e più ci allontaniamo più la paura diminuisce. In questo caso la minaccia è invisibile e dunque fuggire è impossibile: non sapremmo in quale direzione andare. Non ci rimane che allontanare il più possibile la minaccia da noi. In che modo? Mettendo in atto quei comportamenti virtuosi che sentiamo ripetere ogni giorno: stare il più possibile in casa, mantenere una distanza di sicurezza dagli altri, lavarsi spesso le mani senza temere di esagerare, limitare i contatti fisici anche tra familiari. Più mettiamo in atto comportamenti di questo tipo, più ci sentiamo protetti, rassicurati, meno ansiosi.
Noi siamo quello che pensiamo. Le nostre reazioni emotive, e quindi il nostro stato di benessere o malessere, dipendono anche dalla nostra percezione e immaginazione. È facile capire quindi che, per stare bene, dobbiamo dirottare il pensiero su cose che ci diano piacere, distrarre la mente impegnandoci in attività concrete che ci appassionano: leggere, parlare, cucinare, curare le piante, occuparci degli animali domestici, videochiamare parenti e amici.
Attenzione all’autosuggestione
Quando si è in uno stato di allerta e magari anche in una condizione di deprivazione sensoriale per noia o mancanza di idee, potremmo essere più soggetti a ingigantire le normali sensazioni e a metter in atto reazioni sproporzionate e inopportune. La difficoltà è capire se stiamo esagerando. Proviamo allora a chiederci che cosa penseremmo se quella sensazione o quel comportamento venisse espresso da un nostro famigliare (moglie, marito, figlio). Di solito questo re-indirizzamento ci pone in una posizione di maggiore obiettività e maggiore razionalità. In questa posizione, potremo immaginare quale nostro intervento sarebbe efficace nel rassicurare la persona cara. E questo potrebbe aiutarci a trovare una strada per auto-rassicurarci e abbassare i livelli di ansia.
Devo stare in casa, come faccio a far passare il tempo?
Riflettiamo che oggi dobbiamo restare in casa, ma avendo comunque il mondo di fuori a portata di mano, con la possibilità di parlare con chi vogliamo, di leggere ciò che ci interessa, di guardare ciò che ci piace, persino andare per negozi virtuali a fare shopping. Insomma, tutte le numerose opzioni messe a disposizione dalla nostra tecnologia. Ma ci sono anche altre possibilità: riscoprire il piacere del clima familiare, reimpostare la routine quotidiana su ritmi più lenti e piacevoli, condividere attività, rispolverare giochi di quando eravamo più poveri di tecnologia.
Per chi ha la fortuna di possedere un giardino o un terrazzo con piante, fare giardinaggio o ridisegnare lo spazio ha un forte potere rilassante. Può bastare anche il davanzale di una finestra per rilassarsi coltivando piante aromatiche da usare in cucina. Anche avere animali domestici a cui dedicarsi, può essere d’aiuto: la relazione con un animale è spesso appagante tanto quanto la relazione con altri esseri umani. Infine, continuare a svolgere attività motoria anche in casa è importante per mantenere la salute, sia fisica, sia mentale.
Suggerimenti per mamma e papà con neonati e bimbi piccoli
“Se hai cura del tuo benessere psico-fisico, hai contemporaneamente cura del tuo bambino”
In questo periodo di isolamento forzato, anche alle mamme e ai papà che hanno neonati e bambini molto piccoli è stato chiesto di cambiare il proprio stile di vita e di restare a casa insieme ai più piccoli. È un tempo che viene regalato, del quale si può approfittare per godere della presenza dei nostri cari e scoprirli in una quotidianità inusuale.
Può accadere anche che questo periodo riveli la nostra vulnerabilità e tante paure e ansie che sono tipiche di una neo mamma o neo papà emergano in modo esagerato e incontrollato. Potrebbe capitare di sentirsi tristi, stressati o confusi o potrebbe capitare di avere paura di non riuscire a proteggere i propri piccoli. Ecco allora qualche suggerimento per le mamme e i papà con un neonato:
- mettiamo il bambino sulla pancia e ascoltiamo una bella musica rilassante e mentre coccoliamo il nostro bimbo cerchiamo di respirare lentamente: ci rilasseremo entrambi
- cerchiamo di fare lunghe docce rilassanti ed esercizi di respirazione, soprattutto la sera prima di andare a dormire
- prendiamoci cinque minuti, chiudiamo gli occhi e concediamoci una vacanza mentale dove vogliamo
- se possibile trascorriamo qualche momento all’aria aperta con il bimbo
- prolunghiamo il momento del cambio pannolino con un piacevole massaggio al nostro bambino
- non abbiamo paura di non trovare attività stimolanti per i nostri figli: la relazione con noi è ciò che li appaga di più
- cerchiamo di prenderci piccoli spazi per noi quando il bambino dorme: leggiamo un buon libro, occupiamoci di noi, cerchiamo di dormire a nostra volta o anche solo di riposare
- abbiamo cura del nostro aspetto: vestiamoci bene, dedichiamo del tempo al trucco
- ascoltiamo buona musica
- balliamo con in braccio il nostro bimbo
- cerchiamo di seguire una corretta alimentazione, con cibi naturali e freschi
- non trascuriamo le nostre esigenze: nostro figlio è importante, ma prima ci siamo noi. Se non stiamo bene, il piccolo potrebbe soffrirne e noi sentirci peggio
- utilizziamo registrazioni con i suoni della natura, da ascoltare mentre facciamo addormentare il bambino
- non sentiamoci colpevoli dei sentimenti di inadeguatezza che potremmo provare, i pensieri negativi si possono cambiare e non ci impediranno di essere una brava madre o un bravo papà
- lasciamo al nostro partner momenti esclusivi col bimbo
- se abbiamo delle preoccupazioni cerchiamo di limitarle a un solo momento nell’arco della giornata: quindici minuti quando il bimbo dorme. Può aiutare prenderne nota per iscritto.
- ricordiamoci che questa situazione d’emergenza è passeggera
- manteniamo un pensiero basato sulla realtà
- non prendiamo qualsiasi sintomo fisico come un segnale di una malattia più grave
- asserviamo i nostri bimbi per scoprire quali progressi stanno facendo.
Ed ecco qualche suggerimento per mamme e papà con un bimbo di 1-3 anni:
- cerchiamo di dare una struttura regolare alla giornata
- se il bimbo gattona o ha iniziato a camminare favoriamo queste attività estremamente gratificanti per lui
- se possibile, passiamo del tempo insieme all’aria aperta
- alterniamo attività movimentate (come lotta con i cuscini, ginnastica per terra, ballare insieme) ad attività più rilassanti (un disegno, le costruzioni, la lettura di fiabe), a momenti in cui non offriamo alcuna stimolazione ma incoraggiamo la sua autonomia
- facciamo insieme biscotti e torte o un lavoretto: lasciamo che ci aiuti in semplici attività
- osserviamo il nostro piccolo, cercando di capire quale attività predilige
- pargliamogli tanto, insegnandogli nuove parole
- coinvolgiamo il nostro partner in attività col bimbo
- facciamo chiamate e videochiamate con parenti e amici.
Se ci sentiamo comunque tristi e scoraggiati e pensiamo di avere bisogno di aiuto, non esitiamo a chiederlo, rivolgendoci al medico curante e al pediatra.
Coronavirus, studio ISS sull’effetto delle misure di distanziamento
Ricerca innovazioneSegnali di positività messi nero su bianco da uno studio dell’Istituto Superiore di Sanità. I numeri confermano in via definitiva che le misure di contenimento del virus hanno avuto un effetto positivo sull’indice di riproducibilità del Sars-Cov-2, facendolo diminuire già dai primi giorni dopo l’applicazione sia in Lombardia che, con un certo ritardo temporale, nelle altre regioni. A fotografare l’andamento del primo mese di epidemia in Italia è un articolo pubblicato sul sito di preprint MedArxiv. Nello studio i ricercatori dell’ISS e della Fondazione Bruno Kessler di Trento hanno analizzato i dati del sistema di sorveglianza nazionale fino al 24 marzo (corrispondenti a circa 63mila casi), e oltre a descrivere le caratteristiche principali dell’epidemia, come la mortalità, hanno applicato dei modelli matematici per stimare l’andamento di R0, che dà la misura della capacità del virus di diffondersi in assenza di misure di contenimento, e di Rt, parametro che indica l’indice di riproducibilità del virus in un dato momento in presenza di misure, in alcune regioni. In Lombardia il valore di R0 ha raggiunto il massimo di 3 tra il 17 e il 23 febbraio, per poi iniziare la discesa man mano che venivano adottate le misure di contenimento a livello locale e nazionale. Al 24 marzo l’indice era ancora poco sopra 1, ma con un trend favorevole consolidato (se l’indice è superiore a 1 ogni persona infetta ne contagia più di una, e l’epidemia di conseguenza si espande).
Un discorso simile, in qualche caso traslato nel tempo, riguarda le altre regioni esaminate. In Emilia Romagna ad esempio l’indice era ancora sotto 1 il 10 febbraio, ma ha raggiunto rapidamente i valori della Lombardia tanto da arrivare a circa 3 la settimana successiva. Nel Lazio e in Puglia, dove il virus circolava probabilmente molto meno rispetto alle regioni del nord, il valore 1 è stato superato verso la metà di febbraio, con un picco raggiunto a ridosso dell’inizio delle prime misure su scala nazionale, quando è iniziata una discesa.
“L’infezione da Covid-19 in Italia – concludono gli autori – è emersa con un cluster di esordio simile a quello descritto a Wuhan, e come in quel caso ha mostrato esiti clinici peggiori nei maschi anziani con comorbidità. L’R0 iniziale di 2,96 visto in Lombardia spiega l’alto numero di casi e la rapida diffusione geografica osservata. In generale il valore di Rt nelle regioni italiane sta diminuendo, anche se in maniera diversa nel paese, e questo sottolinea l’importanza delle misure di controllo non farmacologiche”.
Mascherine, meglio quelle “altruiste”
News Presa, Stili di vitaDopo un mese di quarantena e centinaia di interviste a virologi, infettivologi, medici di medicina generale e ogni sorta di esperto possa esistere, anche noi comuni mortali parliamo di mascherine come se non avessimo mai fatto altro nella vita. Padroneggiamo l’argomento come se alle nostre spalle campeggiasse un laurea in medicina, e sigle come “Ffp2” o “Ffp3” non hanno più segreti. Ma forse non è tutto oro quello che luccica, e molte convinzioni non sono del tutto attendibili. Gli esperti che, va detto, sono anche loro parecchio indecisi sul da farsi, ci hanno spiegato che le mascherine chirurgiche vanno benissimo per le persone comuni impegnate in attività comuni come fare la spesa. Nonostante questo, le farmacie sono prese d’assalto e sulla bocca di tutti c’è una sola domanda: avete mascherine? E subito dopo: anche Ffp2? I virtuosi della mascherina si lanciano addirittura nel domandare se le stesse siano munite di filtro ai carboni attivi o se in vece siano senza filtro. Guai a chiedere la durata, si viene investiti da sguardi di disapprovazione generali. Quasi a voler dire “ma come, non lo sai che durano al massimo poche ore?”. Se l’Italia prima era un paese di allenatori di calcio, ora è diventata un paese di esperti in malattie infettive. Con specializzazione in coronavirus e master in SarsCov-2.
PERSONALE SANTARIO
Presi da questa frenesia di acquisto compulsivo di mascherine, dimentichiamo l’indicazione degli esperti: la mascherina chirurgica va benissimo. Le mascherine Ffp2 e le Ffp3 è bene lasciarle al personale sanitario. Il perché è presto detto. Le mascherine chirurgiche servono a noi comuni mortali per evitare di spargere il virus attraverso le famose goccioline di saliva. Sono le “mascherine dell’altruista” come ha detto qualche medico che con grande capacità comunicativa ha tentato di semplificare l’argomento per renderlo comprensibile. Ora, è un dato di fatto che non tutti siamo altruisti. Anzi, a dirla tuta prevale il pensiero che passa nella mente di ciascuno è “io preferisco la Ffp2, lasciamo che ad essere altruisti siano altri. Ma in questo sacrosanto ragionamento di puro egoismo ci si dimentica un dettaglio. Le gocciolone di saliva che trasportano il virus, casomai dovessimo esserne investiti, possono serenamente arrivare ai nostri occhi. Se questo accade non c’è Ffp2 o Ffp3 che tenga. Ecco perché spendere 8 euro per una mascherina che normalmente dovrebbe costarne 2 al massimo è inutile, e a dirla tutta non è neanche troppo intelligente. Lasciamo che a usare le mascherine professionali siano i medici e gli infermieri, che indossano anche visiere, guanti e camici. Per fare la spesa o portare il cane a fare la pipì scegliamo le mascherine altruiste, non solo risparmieremo ma eviteremo di fare la figura dei polli.
COVID-19: gestire lo stress in casa e in famiglia
Bambini, PrevenzioneTutto il mondo è interessato dall’emergenza, a causa della pandemia di COVID-19. La paura della situazione inattesa e potenzialmente dannosa per la salute nostra e per quella dei nostri famigliari e una condizione di isolamento sociale comportano una sensazione di perdita di controllo, innescando reazioni di stress. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha divulgato alcuni consigli da seguire per gestire lo stress dell’ emergenza sanitaria globale che ha sintetizzato in due infografiche. A partire da quei documenti dedicati a chi è chiuso in casa, l‘Istituto di Sanità ha redatto un approfondimento sui comportamenti consigliati per gestire lo stress e mitigare l’ansia, rivolto in particolare ai genitori di bambini da zero a tre anni.
In casa come possiamo evitare che la paura si trasformi in angoscia?
Di fronte al pericolo la paura è nostra amica: nel corso della propria storia, senza la paura la specie umana probabilmente si sarebbe estinta, sopraffatta dal pericolo. Ma se la paura diventa eccessiva ci rende vulnerabili. Seguire i consigli che ci vengono dati è un modo per riconoscere il ruolo della paura, senza farsi sopraffare. Tristezza, angoscia, perfino panico, sono risposte emotive comprensibili, ma che scaturiscono da valutazioni poco realistiche. I pensieri catastrofici spesso ci assalgono quando siamo più vulnerabili, come nei momenti di inattività o durante la notte. Possiamo considerarli una sorta di “bugie” prodotte dal nostro cervello, di fronte alle quali non sempre la nostra ragione riesce ad avere la meglio. Quando una minaccia è visibile, d’istinto siamo portati a scappare, e più ci allontaniamo più la paura diminuisce. In questo caso la minaccia è invisibile e dunque fuggire è impossibile: non sapremmo in quale direzione andare. Non ci rimane che allontanare il più possibile la minaccia da noi. In che modo? Mettendo in atto quei comportamenti virtuosi che sentiamo ripetere ogni giorno: stare il più possibile in casa, mantenere una distanza di sicurezza dagli altri, lavarsi spesso le mani senza temere di esagerare, limitare i contatti fisici anche tra familiari. Più mettiamo in atto comportamenti di questo tipo, più ci sentiamo protetti, rassicurati, meno ansiosi.
Noi siamo quello che pensiamo. Le nostre reazioni emotive, e quindi il nostro stato di benessere o malessere, dipendono anche dalla nostra percezione e immaginazione. È facile capire quindi che, per stare bene, dobbiamo dirottare il pensiero su cose che ci diano piacere, distrarre la mente impegnandoci in attività concrete che ci appassionano: leggere, parlare, cucinare, curare le piante, occuparci degli animali domestici, videochiamare parenti e amici.
Attenzione all’autosuggestione
Quando si è in uno stato di allerta e magari anche in una condizione di deprivazione sensoriale per noia o mancanza di idee, potremmo essere più soggetti a ingigantire le normali sensazioni e a metter in atto reazioni sproporzionate e inopportune. La difficoltà è capire se stiamo esagerando. Proviamo allora a chiederci che cosa penseremmo se quella sensazione o quel comportamento venisse espresso da un nostro famigliare (moglie, marito, figlio). Di solito questo re-indirizzamento ci pone in una posizione di maggiore obiettività e maggiore razionalità. In questa posizione, potremo immaginare quale nostro intervento sarebbe efficace nel rassicurare la persona cara. E questo potrebbe aiutarci a trovare una strada per auto-rassicurarci e abbassare i livelli di ansia.
Devo stare in casa, come faccio a far passare il tempo?
Riflettiamo che oggi dobbiamo restare in casa, ma avendo comunque il mondo di fuori a portata di mano, con la possibilità di parlare con chi vogliamo, di leggere ciò che ci interessa, di guardare ciò che ci piace, persino andare per negozi virtuali a fare shopping. Insomma, tutte le numerose opzioni messe a disposizione dalla nostra tecnologia. Ma ci sono anche altre possibilità: riscoprire il piacere del clima familiare, reimpostare la routine quotidiana su ritmi più lenti e piacevoli, condividere attività, rispolverare giochi di quando eravamo più poveri di tecnologia.
Per chi ha la fortuna di possedere un giardino o un terrazzo con piante, fare giardinaggio o ridisegnare lo spazio ha un forte potere rilassante. Può bastare anche il davanzale di una finestra per rilassarsi coltivando piante aromatiche da usare in cucina. Anche avere animali domestici a cui dedicarsi, può essere d’aiuto: la relazione con un animale è spesso appagante tanto quanto la relazione con altri esseri umani. Infine, continuare a svolgere attività motoria anche in casa è importante per mantenere la salute, sia fisica, sia mentale.
Suggerimenti per mamma e papà con neonati e bimbi piccoli
“Se hai cura del tuo benessere psico-fisico, hai contemporaneamente cura del tuo bambino”
In questo periodo di isolamento forzato, anche alle mamme e ai papà che hanno neonati e bambini molto piccoli è stato chiesto di cambiare il proprio stile di vita e di restare a casa insieme ai più piccoli. È un tempo che viene regalato, del quale si può approfittare per godere della presenza dei nostri cari e scoprirli in una quotidianità inusuale.
Può accadere anche che questo periodo riveli la nostra vulnerabilità e tante paure e ansie che sono tipiche di una neo mamma o neo papà emergano in modo esagerato e incontrollato. Potrebbe capitare di sentirsi tristi, stressati o confusi o potrebbe capitare di avere paura di non riuscire a proteggere i propri piccoli. Ecco allora qualche suggerimento per le mamme e i papà con un neonato:
Ed ecco qualche suggerimento per mamme e papà con un bimbo di 1-3 anni:
Se ci sentiamo comunque tristi e scoraggiati e pensiamo di avere bisogno di aiuto, non esitiamo a chiederlo, rivolgendoci al medico curante e al pediatra.
Clorochina nel trattamento Covid, possibili rischi per i pazienti
News Presa, Ricerca innovazioneDalla comunità scientifica occhi puntati sui possibili rischi legati all’uso della Clorochina nei pazienti Covid. L’allarme arriva da un gruppo di docenti dell’Università Federico II di Napoli, ricercatori presso il CEINGE-Biotecnologie avanzate, che ha pubblicato sulla rivista internazionale di medicina di laboratorio Clinical Chemistry and Laboratory Medicine un “warning” contro l’uso della Clorochina nei pazienti Covid-19 senza un rigoroso controllo medico sui possibili effetti collaterali. In particolare, gli autori Ettore Capoluongo, Felice Amato e Giuseppe Castaldo hanno sottolineato che è ben noto che il farmaco possa scatenare crisi emolitiche acute in soggetti portatori di varianti genetiche associate a difetto dell’enzima G6PD (nota causa di Favismo). Il Sistema Sanitario Nazionale Italiano ha capillarmente ricordato questo aspetto ai medici, ma non in tutti i Paesi tale messaggio è stato diffuso con la stessa incisività.
A RISCHIO GLI UOMINI
L’importanza del “position paper”2 è soprattutto in relazione al fatto che SARS-Cov-2 colpisce prevalentemente la popolazione maschile, che è quella in cui il deficit di G6PD è più grave, e che comunque esistono molti casi, dovuti a specifici gruppi di mutazioni, in cui l’individuo non sa di avere il deficit di G6PD. Inoltre, in presenza di mutazioni particolarmente severe, anche le donne, considerate portatrici asintomatiche di deficit di G6PD, possono sviluppare la crisi emolitica dopo assunzione del farmaco, soprattutto in età avanzata (età in cui preferenzialmente Covid-19 assume un andamento più severo). Ettore Capoluongo, tra i massimi esperti nel campo della genetica di G6PD, ha sottolineato che si stima esistano oltre 400 milioni di persone al mondo potenzialmente affette dal deficit di cui molte non sanno di esserlo. Ciò anche perché non esistono programmi omogenei di screening per questa condizione.
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COUNSELING
L’uso della clorochina, ancor più se in associazione con altri farmaci potenzialmente a rischio, deve essere preceduto da un adeguato counseling medico che esplori – tra l’altro – anche il rischio di carenza di G6PD, ed indichi ai soggetti in trattamento con clorochina i segnali d’allarme di crisi emolitica che devono indurre l’immediata sospensione del farmaco e la comunicazione tempestiva al medico. I ricercatori lanciano infine un appello contro il “fai da te” in medicina: «Sarebbe utile segnalare alla popolazione – chiedono a gran voce i professori Castaldo, Capoluongo e Amato – che è assolutamente da evitare l’uso del farmaco senza controllo medico dopo eventuale approvvigionamento attraverso canali online o simili».
COVID19: allergie ai pollini non sono fattore di rischio, ma alcune forme di asma possono aggravare malattia
PrevenzioneFino al 15-20 per cento della popolazione è interessato da allergie stagionali legati al polline, i più comuni dei quali comprendono prurito agli occhi, congestione nasale, naso che cola e talvolta respiro sibilante ed eruzione cutanea. Tutti questi sintomi sono anche indicati come febbre da fieno, allergia ai pollini o rinite allergica, che è comunemente associata all’asma allergica nei bambini e negli adulti.
COVID-19 e allergie
Negli studi finora disponibili le allergie, incluso l’asma allergico lieve, non sono state identificate come un fattore di rischio importante per l’infezione da SARS-CoV-2, o per un risultato più sfavorevole.
Invece, l’asma in forma da moderato a grave, in cui i pazienti hanno bisogno di cure quotidiane, è incluso nelle condizioni polmonari croniche che predispongono alla malattia grave. L’Istituto Superiore di Sanità raccomanda ai pazienti di non interrompere le terapie. “Bambini e adulti in terapia di mantenimento per allergie (ad es. Inibitori dei leucotrieni, corticosteroidi per via inalatoria e/o broncodilatatori) devono continuare il trattamento come prescritto dal medico e non devono interrompere la terapia a causa dei timori di COVID-19 – si legge in una nota -. Se sviluppano sintomi compatibili con COVID-19, dovranno autoisolarsi, informare il proprio medico e monitorare la propria salute come tutti gli altri. Se si sviluppa una difficoltà progressiva respiratoria, devono cercare immediatamente assistenza medica.
Covid, dai bambini il rischio di una nuova ondata
News PresaAnche se in maniera del tutto incolpevole, è dai bambini che proverrà il maggior rischio di una recrudescenza dell’epidemia da Covid. A laniare l’allarme sono i pediatri di famiglia della Fimp Campania, anche se l’allerta ha certamente un valore nazionale. Ciò che i pediatri chiedono alla Regione è di istituire una cabina di regia unica e di iniziare sin d’ora a programmare un possibile ritorno a scuola dopo l’estate. «Ancora qualche giorno – dicono Antonio D’Avino e Giannamaria Vallefuoco (rispettivamente vicepresidente nazionale e segretario regionale FIMP) poi sarà troppo tardi per organizzare quanto necessario ad evitare che a settembre la nostra regione viva una seconda ondata della pandemia. È comprensibile che il problema del riavvio delle attività scolastiche sembri lontano, ma non è così e a maggio sarà già troppo tardi per organizzare la programmazione», avvertono D’Avino e Vallefuoco.
CONTENIMENTO
La fase 2, come suggeriscono gli esperti, si gioca sul territorio, poiché sarà indispensabile innanzitutto mantenere alta la percezione del rischio e il contenimento del contagio nella popolazione attraverso il costante confronto e ascolto tra i pazienti e i pediatri grazie al ruolo fiduciario del rapporto. Serve anche che le attività caratteristiche dell’assistenza pediatrica territoriali riprendano nel rispetto di tutte le norme precauzionali a salvaguardia della salute dei cittadini e dei sanitari in prima linea. «Sarà auspicabile una forma di approccio al Servizio sanitario nazionale più consapevole e appropriato da parte dei cittadini con ricorso a visite o accessi al pronto soccorso solo dopo triage territoriale . Tra le iniziative ritenute essenziali quella di istituire una campagna vaccinale antinfluenzale universale, per tutti bimbi dai 6 mesi ai 6 anni di età. «Il problema che si sta sottovalutando è di grandi proporzioni – continuano i pediatri – c’è il rischio più che concreto di trovarci già ad ottobre con molti bimbi positivi al Covid, se non faremo nulla per evitarlo pagheremo un prezzo altissimo in termini di vite». Il rischio è che all’influenza di stagione si vada a sommare un nuovo focolaio di infezione da SARS-CoV-2, che introdotto nelle case tramite i più piccoli (molto spesso asintomatici o paucisintomatici) finiranno per contagiare genitori e nonni. «Le poche evidenze che abbiamo rispetto a questo Coronavirus – spiegano D’Avino e Vallefuoco – ci dicono che nei bambini il rischio di confondere l’infezione da Covid con una banale influenza è altissimo ed è un rischio che onestamente non possiamo permetterci».
MASCHERINE
Di qui l’esigenza di ottenere sin d’ora una cabina di regia unica e Regionale, per pianificare cosa fare, con la partecipazione dei pediatri di famiglia. Una visione che individua molti limiti nell’attuale gestione dell’emergenza pandemica. «I pediatri di famiglia – concludono D’Avino e Vallefuoco – devono essere coinvolti nell’organizzazione di una risposta organica e univoca; ci proponiamo, ad esempio, per distribuire nei nostri studi professionali alle famiglie le mascherine chirurgiche che si dovranno indossare in ogni momento della vita di relazione. Le mascherine dovranno entrare a far parte dell’uso comune anche dei più piccoli, esattamente come gli zaini e i pastelli. O si comprende per tempo questa dura realtà, o le famiglie campane potrebbero dire addio a molti dei propri cari».
In edicola su Il Mattino lo speciale PreSa dedicato alla salute
News PresaOggi in edicola all’interno de Il Mattino lo Speciale che il network editoriale PreSa dedica alla Salute e alla Prevenzione. I maggiori esperti nazionali ed internazionali sentiti sui temi di stretta attualità, sempre con un linguaggio chiaro e diretto. In questo numero occhi puntati sul tema delle fragilità, ovviamente con un’attenzione particolare all’emergenza Covid-19. Per leggere lo speciale clicca QUI
Campania, screening di massa per la fase 2
Anziani, News PresaSi scrive fase 2, si legge screening di massa e distanziamento. E nell’Italia delle autonomie regionali questo significa che in ciascun territorio si attueranno misure diverse, anche se in linea (si spera) con quanto deciso dal Governo. Ne è la prova che in Campania ieri si è iniziato a mettere a punto un Piano Regionale per lo screening di massa sui cittadini. In sostanza un piano di monitoraggio, di prevenzione e di cura centrato sul Covid-19 che servirà a procedere anche con il piano di rilancio delle attività economiche e sociali. La tanto attesa fase 2, che è ormai prossima, non può infatti perdere di vista il controllo sanitario e la garanzia di sicurezza per le famiglie. Si punta nelle prossime settimane a coinvolgere con gli screening anti Covid centinaia di migliaia di cittadini campani. Un piano, dicono dalla Regione, che dovrà essere ordinato, organizzato, non propagandistico. E soprattutto un piano che sarà articolato in tre azioni.
TRE STEP
La prima parte del piano mieterà a mettere in campo ulteriori attività ordinarie presso i laboratorio pubblici e l’Istituto Zooprofilattico, di controllo del contagio tramite l’uso dei tamponi. L’obiettivo è quello di giungere, procurandosi le forniture necessarie, soprattutto in materia di reagenti, a lavorare circa 3.000 tamponi al giorno. Questa attività è destinata soprattutto a persone sintomatiche. Il secondo passo è quello degli screening mirati su alcune fasce particolari: familiari di pazienti in isolamento domiciliare, personale sanitario e delle forze di polizia, soggetti che riprendono l’attività economica, anziani delle case di accoglienza, fasce deboli (disabili, malati di diabete…), operatori del trasporto, dipendenti pubblici a contatto con l’utenza e così via. Tutte queste attività avverranno grazie a strutture pubbliche e laboratori privati. Terzo punto del piano è quello degli screening di massa a persone asintomatiche, partendo dagli anziani, da territori più densamente abitati, da categorie economiche esposte al pubblico (ristoranti, bar, alberghi, ad esempio). È grazie a questi controlli che si arriverà a centinaia di migliaia di controlli nei prossimi mesi. La Regione Campania punta a mettere in campo un lavoro concreto, chiaro, che possa porre fine alla confusione che si è determinata sulle tipologie di controlli e soprattutto al di là di annunci propagandistici che si rincorrono in Italia.
COVID-19. Sono utili i test sierologici? Fase 2 e “patente d’immunità”
News PresaPer affacciarsi con prudenza alla normalità, passando alla cosiddetta ‘fase 2’, secondo un’ipotesi gli italiani potrebbero conseguire una ‘patente di immunità’. Per ottenerla, bisognerà dimostrare di essere stati contagiati dal coronavirus e di aver superato l’infezione. Ma come si dimostra? Grazie agli anticorpi. “Le IgA, gli anticorpi cosiddetti ‘secretori’ – spiega il professor Maurizio Sanguinetti, Direttore del Dipartimento Scienze di laboratorio e infettivologiche del Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS e Ordinario di microbiologia, Università Cattolica del Sacro Cuore – che si trovano tipicamente sulle mucose, come quelle respiratorie; le IgA sono molto importanti perché sono le più efficaci nel difenderci da future infezioni respiratorie. Nel sangue sono inoltre dosabili le IgM, che cominciano ad aumentare una settimana circa dopo il contagio e le IgG, la vera cicatrice immunologica, la prova che il virus è stato sconfitto dalle nostre difese immunitarie. Sono questi i cosiddetti test anticorpali o test sierologici di cui tanto si parla in questi giorni. E spesso a sproposito. Perché questi test non servono a fare diagnosi di infezione, a stabilire cioè se un paziente è ‘positivo’. Per quello l’unico test a disposizione è ancora il famoso ‘tampone’, il test molecolare. I test sierologici invece servono solo a stabilire se una persona ha contratto e superato l’infezione da SARS CoV-2. Cioè se ha sviluppato l’immunità contro il virus. Che è quanto di più prezioso abbiamo a disposizione, almeno fin quando non sarà disponibile il tanto agognato vaccino”.
Test sierologici (anticorpali): non servono a fare diagnosi
Ci sono varie tipologie di test sierologici: quelli ‘rapidi’ o ‘qualitativi’ (che si basano sull’immunocromatografia) che danno una risposta in un quarto d’ora, ma con un margine di errore alto e quelli più affidabili, i ‘quantitativi’ (al momento si basano sulla chemiluminescenza e sull’Elisa) che sono più complessi e costosi, ma anche più precisi. Tuttavia, gli esperti sottolineano che si tratta di test sperimentali, con un livello di affidabilità a volte molto modesto. Ma le Regioni fremono e sono almeno 36 i laboratori pubblici dislocati presso 11 regioni che si stanno organizzando per effettuarli, procedendo in autonomia. “Ancora troppo pochi questi laboratori – afferma il professor Sanguinetti – per una popolazione di 60 milioni di abitanti”. Non è scontato poi che i vari test in circolazione siano validi, soprattutto quelli ‘rapidi’, venduti anche online, hanno un’affidabilità tutt’altro che scontata. “Con i test rapidi – afferma in un’intervista ad ADN Kronos, il dottor Pierangelo Clerici, presidente dell’Amcli (Associazione microbiologi clinici italiani) – il tasso di falsi negativi oscilla dal 20 al 60%. Chiediamo di verificare i test e chiediamo che le regioni si coordinino: possiamo esaminare questi prodotti con delle analisi su 10 mila casi, per validarli. E possiamo stilare un protocollo nazionale per evitare false sicurezze. Ci occorrono due giorni per valutare i test sierologici e dire quali sono quelli affidabili”.
I test sierologici, a cosa servono
“I test – spiega il professor Sanguinetti – sono tutti validi a seconda di cosa vogliamo ‘chiediamo’ all’esame. Se voglio fare diagnosi di COVID sulla base di un test sierologico, mi trovo già con un problema di fondo. Con questi test, perderò qualsiasi paziente all’inizio della malattia, perché in genere occorrono almeno 7 giorni per registrare un primo movimento anticorpale. Quindi se il test è positivo, ho fatto diagnosi; ma se è negativo, c’è il rischio che si tratti di un falso negativo. Al contrario, se quello che intendo indagare è se un gruppo di persone è stato a contatto col virus e se possono aver sviluppato l’immunità, allora i test sierologici sono quelli d’elezione”. In altre parole, i test sierologici, opportunamente validati, sono utili a fini epidemiologici, perché potranno individuare la parte della popolazione che ha sviluppato un’immunità contro il coronavirus. Sono invece del tutto inutili per far diagnosi di infezione in atto, perché nella prima settimana dall’infezione il paziente non ha ancora cominciato a sviluppare anticorpi, ma può diffondere attivamente il virus tra le persone che lo circondano.
Come ha ribadito anche il Ministero della Salute in una circolare del 3 aprile: i test sierologici sono “molto importanti nella ricerca e nella valutazione epidemiologica della circolazione virale. Diversamente, come attualmente anche l’OMS raccomanda, per il loro uso nell’attività diagnostica d’infezione in atto da SARS-CoV-2, necessitano di ulteriori evidenze sulle loro performance e utilità operativa. In particolare, i test rapidi basati sull’identificazione di anticorpi IgM, IgG, [IgA] specifici per la diagnosi di infezione da SARS-CoV-2, secondo il parere espresso dal CTS, non possono, allo stato attuale dell’evoluzione tecnologica, sostituire il test molecolare basato sull’identificazione di RNA virale dai tamponi nasofaringei secondo i protocolli indicati dall’OMS”.
Secondo gli esperti, tutti i Paesi dovrebbero avviare adesso delle ‘sero-surveys’, delle vaste indagini epidemiologiche basate su questi test per rispondere a due domande cruciali: quante sono nell’ambito della popolazione le persone con infezioni inapparenti e quale livello di immunità di popolazione (‘di gregge’) è stato raggiunto. Le risposte a queste domande avranno ricadute mondiali.
L’immunità è per sempre?
Un’altra delicata questione, ancora senza risposta, è quale sia la durata della protezione data dallo scudo anticorpale, fabbricato dal nostro organismo. “Si tratta di una questione ancora aperta – commenta il professor Sanguinetti. E’ necessario intanto scoprire se una determinata persona sia venuta a contatto con il virus. Per stabilirlo devo individuare una parte del virus che sia immunogenica (cioè che induca la produzione di anticorpi altamente specifici per il SARS CoV-2, e non per altri coronavirus ad esempio); per costruire il test anticorpale, posso scegliere vari antigeni, come ad esempio la ‘nucleoproteina’, che è un antigene strutturale; ma gli anticorpi che vengono prodotti in risposta a questa proteina sono probabilmente importanti dal punto di vista diagnostico, ma non da quello di immunizzazione. Questo perché gli anticorpi diretti contro questa proteina non immunizzano (cioè non proteggono da una nuova infezione) l’individuo. Al contrario, gli anticorpi contro la proteina spike sono immunizzanti. Ed esistono dei test che permettono di misurare gli anticorpi anti-spike. Scegliendo questi ultimi, posso associare al lato diagnostico, anche quello prognostico. In questo momento tuttavia non siamo in grado di dire se l’immunità acquisita per esposizione al virus sia duratura e purtroppo nemmeno se gli anticorpi che si sviluppano in un individuo siano protettivi o meno nei confronti di una reinfezione.” L’immunità inoltre potrebbe non essere infinita; alcuni esperti ipotizzano che potrebbe durare 1 o 2 anni al massimo, dopodiché si diventerebbe di nuovo suscettibili all’infezione. L’unico modo per scoprirlo sarà quello di ripetere i test sierologici a intervalli prestabiliti.
Digiuno intermittente: cos’è e quali sono i rischi della nuova moda
AlimentazioneLe diete sono come i capi d’abbigliamento, seguono la moda del momento e se ne trovano di tutti i tipi. Basta fare una ricerca su internet per vedere comparire una lista infinita di risultati. Il problema è che molto spesso chi scrive non è un professionista della nutrizione. Inoltre ogni dieta dipende dalle diverse caratteristiche di ogni persona e non è adattabile a tutti allo stesso modo. Per non parlare dei rischi che si corrono di fronte a patologie che richiederebbero un’apporto nutrizionale specifico. Tuttavia, affidarsi al buon senso, quando non si vuole ricorrere a uno specialista, è la chiave per evitare rischi di malnutrizione. La dieta migliore al mondo, riconosciuta dalla comunità scientifica internazionale, è quella mediterranea. Una nuova tendenza nel mondo della nutrizione è il digiuno intermittente: partita dall’America, è molto popolare tra gli atleti, in perfetta salute e seguiti da esperti, ed è ritenuta da molti uno dei metodi più efficaci per dimagrire. Non si tratta quindi di una vera e propria dieta, ma di un programma alimentare che più che suggerirti cosa, ti dice quando mangiare. Questo tipo di dieta non è invece adatta alle persone che soffrono di diabete o di pressione del sangue alta e per donne incinta o che allattano. Prima di praticare questo tipo di dieta, è sempre meglio consultare un dottore. In generale, le persone che soffrono di diabete o altri disturbi metabolici, disturbi alimentari, malattie cardiovascolari e cancro dovrebbero evitare il digiuno intermittente, così come le persone anziane, i bambini e le donne incinta.
Digiuno intermittente: come funziona e quali sono i rischi
Come suggerito dal nome stesso, il digiuno intermittente è un approccio nutrizionale che alterna dei periodi in cui si mangia a dei periodi in cui si fa digiuno. Ci sono diversi metodi di digiuno intermittente, con vari schemi. Lo schema 16/8 suddivide la giornata in due parti: 8 ore in cui si mangia e 16 di digiuno. Si può considerare come un prolungamento del digiuno che si fa automaticamente quando si dorme, consumando il primo pasto a mezzogiorno per poi mangiare fino alle 8.00 di sera. Poi esiste la modalità a giorni alterni (5:2): l’idea di questo modello è che per due giorni a settimana si riduce l’apporto calorico a un massimo di 500/600 calorie. I giorni non devono essere consecutivi e negli altri giorni si può mangiare quello che si vuole. Eat Stop Eat: secondo questo modello si mangia un giorno sì e uno no, per una o due volte alla settimana. Nelle ore di digiuno si possono bere bevande ipocaloriche.
Quali effetti sul corpo
Secondo alcuni esperti il digiuno intermittente apporta alcuni benefici: migliora la sensibilità insulinica, soprattutto in combinazione con l’esercizio fisico. Questo punto è importante per chi sta cercando di perdere peso perché, se si hanno livelli di insulina bassi, è più facile bruciare grassi. Gli studi hanno dimostrato che il sovrappeso può interferire sulla capacità dell’insulina di ridurre i livelli di zucchero nel sangue e come conseguenza ne viene rilasciata in quantità maggiore, promuovendo ancora di più l’accumulo di grassi. La secrezione dell’ormone della crescita (GH) aumenta, accelerando la sintesi proteica così da rendere i grassi disponibili come risorsa energetica. Il che significa che si bruciano grassi e si mettono su muscoli più velocemente. Nel mondo del bodybuilding questo ormone è assunto in grandi quantità come agente dopante. Inoltre, secondo alcuni studi il digiuno attiva l’autofagia, che rimuove le cellule danneggiate, contribuisce al rinnovo cellulare e supporta in generale i processi rigenerativi.
Digiuno a intermittenza, fa dimagrire?
Saltando i pasti, si crea un deficit calorico e quindi si perde peso. Ovviamente, a patto che non si compensino i periodi di digiuno con cibi ad alto contenuto di zuccheri o di grassi, dal momento che questo tipo di dieta non dice necessariamente cosa si può e cosa non si può mangiare. Alcuni studi hanno dimostrato che il digiuno intermittente, se fatto correttamente, aiuta anche a prevenire il diabete di tipo 2. In più, il corpo impara a processare in modo più efficiente il cibo consumato in questo lasso di tempo. Uno studio ha anche dimostrato che una combinazione tra l’allenamento della forza e il metodo 16/8 permette di ridurre una percentuale di grasso corporeo maggiore rispetto a quella che si elimina solo con l’allenamento. Tuttavia, non ci sono stati indici di crescita muscolare nei soggetti inclusi nello studio. Difficile stabilire quali siano gli effetti dei digiuni frequenti sullo stato emotivo e sul fisico di ogni persona. Altri studi infatti suggeriscono di mangiare spesso per stimolare il metabolismo. La migliore regola resta sempre quella di saper ascoltare le esigenze del proprio organismo, evitando gli eccessi o le eccessive restrizioni.