Tempo di lettura: 4 minutiI pazienti affetti da diabete mellito di tipo due in Italia sono circa 4 milioni, a cui si aggiungono coloro a cui non è stata ancora diagnosticata la malattia. Tuttavia, solo il 30-40% dei pazienti diabetici si sottopone alle vaccinazioni consigliate dalle società scientifiche. In occasione della Giornata Mondiale del Diabete, proclamata dall’OMS, gli specialisti e i medici di famiglia hanno lanciato un appello, attraverso una campagna divulgativa per stimolare i pazienti ad avvicinarsi alle vaccinazioni. Inoltre è prevista anche la creazione e il rafforzamento dei grandi Hub, oltre a un’intensa attività delle farmacie e degli studi dei medici di famiglia, come avvenuto durante la vaccinazione contro il Sars-CoV-2.
Pazienti diabetici e terza dose
“L’esperienza maturata presso i nostri centri durante la campagna vaccinale contro il Covid-19 dimostra che la vaccinazione è una pratica sicura per il paziente diabetico, che non determina alcun peggioramento del compenso glicometabolico – sottolinea il Prof. Paolo Fiorina, Professore Ordinario di Endocrinologia, Università degli Studi di Milano e Direttore Diabetologia – Ospedali Fatebenefratelli-Sacco-Melloni – Inoltre, grazie al supporto della professoressa Francesca D’Addio, abbiamo recentemente dimostrato con uno studio su quasi 400 pazienti diabetici monitorati tramite CGM (continuous glucose monitoring) che la vaccinazione per il Covid-19 non determina alcuna anomalia glicemica e per questo è assolutamente sicura e genera una protezione umorale di lunga durata. Certamente ci possono essere delle alterazioni dell’immunità cellulare in alcuni soggetti diabetici e l’immunità cellulare può non essere sufficientemente stimolata in una parte di essi; di qui l’importanza di promuovere l’accesso alla 3a dose di vaccino per i pazienti con diabete”.
I vaccini sono importanti, ma l’aderenza è scarsa
“Tutte le patologie contro cui si rivolgono i vaccini oggi disponibili non solo predispongono il paziente al ricovero, ma innescano una cascata infiammatoria che predispone il paziente diabetico al rischio di infarto miocardico, a polmoniti post virali e tutta una serie di complicanze e di ricoveri, con aggravi anche per il SSN – aggiunge il Prof. Fiorina – Dati recenti dimostrano come molti vaccini non vengano utilizzati dai pazienti diabetici. Tra questi, solo il 30% accetta di sottoporsi alla vaccinazione antinfluenzale, mentre per la vaccinazione anti-pneumococcica siamo ben al di sotto del target del 75% indicato dal Ministero della Salute. La vaccinazione per Herpes Zoster non raggiunge ancora la copertura auspicata del 50%. Spesso mancano linee guida specifiche; quelle della Società Italiana di Diabetologia – SID e dell’Associazione Medici Diabetologi – AMD vengono frequentemente disattese. Il mancato accesso alla terapia vaccinale determina nei pazienti diabetici gravi rischi, in quanto non sono protetti da infezioni che possono provocare malattie gravi e un aumentato rischio di mortalità”.
Il piano per la regione lombardia
La proposta del Prof. Fiorina sarà destinata anzitutto proprio alla regione in cui si trova ad operare, la Lombardia. “Vorrei che a partire dalla nostra Regione vi fosse un accesso sempre più facilitato ai vaccini per i pazienti diabetici – spiega il Prof. Fiorina – Dal Covid abbiamo imparato che una buona organizzazione del sistema sanitario a livello nazionale è in grado di superare le resistenze dei singoli, di eliminare le inerzie terapeutiche e soprattutto di avvicinare i pazienti, anche quelli meno predisposti, alle terapie più innovative. Vogliamo lanciare un’iniziativa nel contesto regionale lombardo da estendere poi anche a livello nazionale per facilitare e promuovere l’accesso ai vaccini da parte dei pazienti affetti da diabete”.
Il contributo degli infettivologi
Il tema dei vaccini, con particolare attenzione per i pazienti fragili, è da sempre al centro dell’attenzione degli infettivologi. Proprio la vaccinazione sarà uno dei temi al centro del prossimo XX Congresso di Milano della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali – SIMIT. “I vaccini sono strumenti fondamentali per prevenire le infezioni nella popolazione generale, ma soprattutto nelle persone più fragili – sottolinea il Prof. Claudio Mastroianni, Vicepresidente SIMIT e Direttore UOC Malattie Infettive del Policlinico Umberto I – Tra questi, il paziente diabetico rappresenta un profilo che necessita della vaccinazione per una relativa protezione contro le infezioni cui può andare incontro. Relativamente poi al Covid-19 abbiamo constatato come i soggetti diabetici siano quelli a più alto rischio di complicanze di malattia severa e mortalità: è dunque fondamentale che abbiano già completato il ciclo primario di vaccinazione ed effettuino la terza dose. Tra gli altri vaccini, priorità deve essere data a quello anti-pneumococco per il rischio di polmoniti e al nuovo vaccino contro l’Herpes Zoster, che nelle persone anziane più fragili come i diabetici può causare delle serie complicanze. L’ideale sarebbe poter effettuare queste vaccinazioni non solo presso il medico di famiglia, ma anche all’interno di strutture ambulatoriali negli ospedali stessi”.
Un piano di assistenza individuale per i pazienti diabetici
Al centro dei nuovi progetti sanitari, inclusi i piani vaccinali, vi sono inevitabilmente i medici di famiglia, punto di riferimento per ogni cittadino e figure professionali in costante aggiornamento, come emerge alla vigilia del Congresso di Firenze della Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie del 25 e 26 Novembre. “Ogni Medico di Medicina Generale può avere in carico fino a 150 persone con diabete – sottolinea Gerardo Medea, membro Giunta Esecutiva Nazionale SIMG e responsabile Area Metabolica – Il medico di famiglia è fortemente coinvolto nella gestione delle persone con diabete mellito di tipo 2 dalla prevenzione primaria, passando per la diagnosi precoce, fino alla presa in carico dei pazienti durante il follow up della malattia e la gestione di molti aspetti della terapia farmacologica. Il medico di famiglia è in grado di assistere il paziente con una visione olistica, che tiene conto di tutte le comorbidità. In questo modo elabora un piano assistenziale individuale, che può e deve essere arricchito dal contributo dei vari specialisti coinvolti. Tuttavia, la presa in carico da parte del medico di famiglia può avvenire solo se il percorso di cura è condiviso in continuità con i servizi di diabetologia e se è omogeneo su tutto il territorio nazionale. Affinché ciò si realizzi sono necessarie alcune condizioni: anzitutto, la definizione di ruoli, compiti e competenze dei diversi professionisti coinvolti, incardinati in un percorso diagnostico-terapeutico condiviso. In secondo luogo, è necessario un potenziamento dell’organizzazione non solo dei centri diabetologici, ma anche della medicina generale a supporto della presa in carico del diabete e di tutta la cronicità. Infine, la terza condizione riguarda i Medici di Medicina Generale, i quali non potranno mai dichiararsi pienamente coinvolti nel processo di presa in carico per il diabete mellito finché non sarà data loro piena potestà prescrittiva di tutti i farmaci destinati e utili a questa patologia, alcuni dei quali dispongono di solide evidenze non solo per la loro efficacia ipoglicemizzante, ma anche e soprattutto circa la loro capacità di proteggere dal danno d’organo cardio-renale”.
L’eredità di Maradona all’esame dei prof
News PresaDiego Armando Maradona è morto il 25 novembre 2020, scatenando una tempesta di emozioni, non solo nella generazione che le magie del “pibe de oro” le ha vissute, anche nelle generazioni successive. Nicola Colacurci, delegato allo sport dell’Università Vanvitelli, è una di quelle persone cresciute nel mito: era allo stadio il giorno dello scudetto, e ha pensato di dare vita a un incontro dal titolo “Cosa ci lascia Maradona”. Un incontro per cercare di capire cosa il campione rappresenta per i giovani che lo hanno visto solo nei video. Condividendo questa sua intenzione con il rettore Gianfranco Nicoletti, si è dato inizio a un lungo percorso organizzativo. Prima tappa: chiedere agli studenti dell’Ateneo cosa rappresenta Maradona per loro. Poi, da queste risposte, costruire l’evento. E qui il percorso è diventato elaborato e tortuoso. Causa Covid, la prima data prevista nel febbraio 2020 è stata rinviata ad aprile dello stesso anno, fino a decidere di fissare la commemorazione nello stesso giorno del primo anniversario della sua morte. Dunque, l’iniziativa si terrà giovedì 25 novembre nella sede del nuovo Rettorato di Caserta. Un incontro non solo commemorativo, ma soprattutto di interesse sociale, di ricerca delle motivazioni, partendo dalle emozioni. «Si cercherà di dare una razionalità all’emotività del popolo napoletano – spiega Colacurci – vogliamo comprendere perché Maradona ha scatenato e scateni emozioni, e proprio in ragione di queste emozioni, è nel cuore di giovani che non lo hanno mai conosciuto. Ogni singolo invitato è stato inserito nel programma per esprimere stati d’animo differenti. Tutti insieme, sono certo, riusciremo a capire la grandezza, ma anche la complessità del “personaggio” Maradona». Le sensazioni e le impressioni dei giovani verranno analizzate e confrontate sia con chi ha condiviso con Diego i suoi trionfi, i “vecchi” compagni di squadra nel periodo napoletano o, il mitico Carmando che si è preso cura dei suoi muscoli in tutti quegli anni, sia con chi allora era giovane e oggi affermato docente universitario. Ma anche con chi oggi si confronta con il suo mito attraverso la direzione di Musei, mostre e canzoni a lui dedicate. Saranno presenti anche campioni olimpionici di altre discipline, giornalisti sportivi, con cui si discuterà delle eventuali differenze di “appeal”; delle varie discipline sportive, ma soprattutto della eccezionalità del “fenomeno Maradona”. Il convegno è in presenza, a numero limitato: per partecipare, gli studenti dovranno inviare una mail all’indirizzo convegnomaradona@unicampania.it. Scarica e leggi lo speciale QUI
di Emanuela Di Napoli Pignatelli
Diabete: le raccomandazioni per la terza dose contro il Covid
Associazioni pazientiI pazienti affetti da diabete mellito di tipo due in Italia sono circa 4 milioni, a cui si aggiungono coloro a cui non è stata ancora diagnosticata la malattia. Tuttavia, solo il 30-40% dei pazienti diabetici si sottopone alle vaccinazioni consigliate dalle società scientifiche. In occasione della Giornata Mondiale del Diabete, proclamata dall’OMS, gli specialisti e i medici di famiglia hanno lanciato un appello, attraverso una campagna divulgativa per stimolare i pazienti ad avvicinarsi alle vaccinazioni. Inoltre è prevista anche la creazione e il rafforzamento dei grandi Hub, oltre a un’intensa attività delle farmacie e degli studi dei medici di famiglia, come avvenuto durante la vaccinazione contro il Sars-CoV-2.
Pazienti diabetici e terza dose
“L’esperienza maturata presso i nostri centri durante la campagna vaccinale contro il Covid-19 dimostra che la vaccinazione è una pratica sicura per il paziente diabetico, che non determina alcun peggioramento del compenso glicometabolico – sottolinea il Prof. Paolo Fiorina, Professore Ordinario di Endocrinologia, Università degli Studi di Milano e Direttore Diabetologia – Ospedali Fatebenefratelli-Sacco-Melloni – Inoltre, grazie al supporto della professoressa Francesca D’Addio, abbiamo recentemente dimostrato con uno studio su quasi 400 pazienti diabetici monitorati tramite CGM (continuous glucose monitoring) che la vaccinazione per il Covid-19 non determina alcuna anomalia glicemica e per questo è assolutamente sicura e genera una protezione umorale di lunga durata. Certamente ci possono essere delle alterazioni dell’immunità cellulare in alcuni soggetti diabetici e l’immunità cellulare può non essere sufficientemente stimolata in una parte di essi; di qui l’importanza di promuovere l’accesso alla 3a dose di vaccino per i pazienti con diabete”.
I vaccini sono importanti, ma l’aderenza è scarsa
“Tutte le patologie contro cui si rivolgono i vaccini oggi disponibili non solo predispongono il paziente al ricovero, ma innescano una cascata infiammatoria che predispone il paziente diabetico al rischio di infarto miocardico, a polmoniti post virali e tutta una serie di complicanze e di ricoveri, con aggravi anche per il SSN – aggiunge il Prof. Fiorina – Dati recenti dimostrano come molti vaccini non vengano utilizzati dai pazienti diabetici. Tra questi, solo il 30% accetta di sottoporsi alla vaccinazione antinfluenzale, mentre per la vaccinazione anti-pneumococcica siamo ben al di sotto del target del 75% indicato dal Ministero della Salute. La vaccinazione per Herpes Zoster non raggiunge ancora la copertura auspicata del 50%. Spesso mancano linee guida specifiche; quelle della Società Italiana di Diabetologia – SID e dell’Associazione Medici Diabetologi – AMD vengono frequentemente disattese. Il mancato accesso alla terapia vaccinale determina nei pazienti diabetici gravi rischi, in quanto non sono protetti da infezioni che possono provocare malattie gravi e un aumentato rischio di mortalità”.
Il piano per la regione lombardia
La proposta del Prof. Fiorina sarà destinata anzitutto proprio alla regione in cui si trova ad operare, la Lombardia. “Vorrei che a partire dalla nostra Regione vi fosse un accesso sempre più facilitato ai vaccini per i pazienti diabetici – spiega il Prof. Fiorina – Dal Covid abbiamo imparato che una buona organizzazione del sistema sanitario a livello nazionale è in grado di superare le resistenze dei singoli, di eliminare le inerzie terapeutiche e soprattutto di avvicinare i pazienti, anche quelli meno predisposti, alle terapie più innovative. Vogliamo lanciare un’iniziativa nel contesto regionale lombardo da estendere poi anche a livello nazionale per facilitare e promuovere l’accesso ai vaccini da parte dei pazienti affetti da diabete”.
Il contributo degli infettivologi
Il tema dei vaccini, con particolare attenzione per i pazienti fragili, è da sempre al centro dell’attenzione degli infettivologi. Proprio la vaccinazione sarà uno dei temi al centro del prossimo XX Congresso di Milano della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali – SIMIT. “I vaccini sono strumenti fondamentali per prevenire le infezioni nella popolazione generale, ma soprattutto nelle persone più fragili – sottolinea il Prof. Claudio Mastroianni, Vicepresidente SIMIT e Direttore UOC Malattie Infettive del Policlinico Umberto I – Tra questi, il paziente diabetico rappresenta un profilo che necessita della vaccinazione per una relativa protezione contro le infezioni cui può andare incontro. Relativamente poi al Covid-19 abbiamo constatato come i soggetti diabetici siano quelli a più alto rischio di complicanze di malattia severa e mortalità: è dunque fondamentale che abbiano già completato il ciclo primario di vaccinazione ed effettuino la terza dose. Tra gli altri vaccini, priorità deve essere data a quello anti-pneumococco per il rischio di polmoniti e al nuovo vaccino contro l’Herpes Zoster, che nelle persone anziane più fragili come i diabetici può causare delle serie complicanze. L’ideale sarebbe poter effettuare queste vaccinazioni non solo presso il medico di famiglia, ma anche all’interno di strutture ambulatoriali negli ospedali stessi”.
Un piano di assistenza individuale per i pazienti diabetici
Al centro dei nuovi progetti sanitari, inclusi i piani vaccinali, vi sono inevitabilmente i medici di famiglia, punto di riferimento per ogni cittadino e figure professionali in costante aggiornamento, come emerge alla vigilia del Congresso di Firenze della Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie del 25 e 26 Novembre. “Ogni Medico di Medicina Generale può avere in carico fino a 150 persone con diabete – sottolinea Gerardo Medea, membro Giunta Esecutiva Nazionale SIMG e responsabile Area Metabolica – Il medico di famiglia è fortemente coinvolto nella gestione delle persone con diabete mellito di tipo 2 dalla prevenzione primaria, passando per la diagnosi precoce, fino alla presa in carico dei pazienti durante il follow up della malattia e la gestione di molti aspetti della terapia farmacologica. Il medico di famiglia è in grado di assistere il paziente con una visione olistica, che tiene conto di tutte le comorbidità. In questo modo elabora un piano assistenziale individuale, che può e deve essere arricchito dal contributo dei vari specialisti coinvolti. Tuttavia, la presa in carico da parte del medico di famiglia può avvenire solo se il percorso di cura è condiviso in continuità con i servizi di diabetologia e se è omogeneo su tutto il territorio nazionale. Affinché ciò si realizzi sono necessarie alcune condizioni: anzitutto, la definizione di ruoli, compiti e competenze dei diversi professionisti coinvolti, incardinati in un percorso diagnostico-terapeutico condiviso. In secondo luogo, è necessario un potenziamento dell’organizzazione non solo dei centri diabetologici, ma anche della medicina generale a supporto della presa in carico del diabete e di tutta la cronicità. Infine, la terza condizione riguarda i Medici di Medicina Generale, i quali non potranno mai dichiararsi pienamente coinvolti nel processo di presa in carico per il diabete mellito finché non sarà data loro piena potestà prescrittiva di tutti i farmaci destinati e utili a questa patologia, alcuni dei quali dispongono di solide evidenze non solo per la loro efficacia ipoglicemizzante, ma anche e soprattutto circa la loro capacità di proteggere dal danno d’organo cardio-renale”.
Tumore del polmone, una malattia evitabile
News PresaDue miliardi e mezzo di euro. È l’impressionante costo che le casse pubbliche pagano ogni anno a causa del tumore del polmone. La stima è contenuta in uno studio realizzato dal CEIS-EEHTA dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, diretto dal professor Francesco Saverio Mennini. «Tra costi diretti sanitari e costi indiretti e sociali – spiega proprio Mennini – questa patologia ha costi enormi. Dal nostro studio emerge come nel periodo tra il 2016 e il 2018 è stata registrata una media annuale di 130.563 ricoveri, di cui 11.353 con intervento con un costo medio per ricovero pari a circa 9.310 euro. Il numero di ricoveri e di pazienti ospedalizzati si riduce nel tempo (-10,4%), e di contro aumentano le ospedalizzazioni per intervento (+7,0%). Ancora, il tasso di ospedalizzazione è caratterizzato da una forte eterogeneità spaziale (101 casi per 100.000 abitanti nella P.A. di Bolzano, 195 nelle Marche)». Di questo e di molto altro si è discusso nel corso di un incontro on-line promosso proprio dal CEIS-EEHTA dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata e patrocinato dalla Società Italiana di Health Tecnology Assessment. In Italia questa neoplasia è il primo killer negli uomini e il secondo nelle donne. Un dato confermato dalle parole della professoressa Silvia Novello, Ordinario di Oncologia Medica, all’Università degli studi di Torino. «Il tumore del polmone rimane la prima causa di morte per neoplasia nel mondo sia per gli uomini che per le donne – spiega – e il principale fattore di rischio sono sempre le sigarette, dato che l’85% dei pazienti affetti da questa malattia è, o è stato, un fumatore. Urge pertanto avere a disposizione sia efficaci mezzi di prevenzione primaria, personalizzati per età e per tipologia di soggetti cui sono indirizzati; sia una prevenzione secondaria nazionale, cosi come avviene per altre malattie tumorali. L’impiego della Tac spirale in soggetti a rischio ha consentito di abbattere la mortalità per questa neoplasia e andrà pertanto rapidamente implementata nel nostro Sistema Sanitario. La medicina di precisione offre ai pazienti un trattamento personalizzato, questo significa maggiore efficacia a fronte di un migliore profilo di tollerabilità; ma significa anche dover acquisire tutte le informazioni riguardanti la malattia prima di dare un’adeguata informazione prognostica e terapeutica. L’accesso ai test e ai nuovi farmaci dovrebbe pertanto essere garantito ad ogni paziente per perseguire questi obiettivi». Per la dottoressa Stefania Vallone (Women Against Lung Cancer in Europe, Walce Onlus). «nonostante i grandi passi avanti compiuti in oncologia stiano cambiando lo scenario del carcinoma del polmone – ha detto – in tutta Europa si fa ancora fatica a migliorare la sopravvivenza dei pazienti perché ci sono ancora forti diseguaglianze nell’accesso alle terapie più innovative e all’assistenza. In Italia, nonostante siano approvati e rimborsati i principali test diagnostici molecolari, questi presentano disomogeneità territoriali a livello regionale». Gap che sarà necessario colmare.
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Maria Triassi: Emergenza Covid, la lezione da trarre
News PresaLa Pandemia ci ha colpiti in maniera violenta, ci ha insegnato a non dare nulla per scontato e soprattutto che c’è bisogno di programmare e farsi trovare pronti. Dopo il Covid ci sarà da costruire una nuova sicurezza, per affrontare al meglio i nuovi rischi legati alle emergenze, anche quelle che non ci aspetteremo, e in modo particolare rispetto alla sicurezza degli operatori; non soltanto sul fronte della sicurezza fisica ma anche rispetto all’uso appropriato dei dispositivi sia individuali che di tipo organizzativo. E’ molto importante l’organizzazione del lavoro che molte volte è fonte di stress e infatti il rischio stress da lavoro derivato è diventato molto cogente oltre ad altri rischi quali quelli economici e biologici. Dobbiamo puntare con forza, stanziando risorse adeguate, sulla formazione di professionisti che saranno i medici di domani. In questo senso il ruolo delle Scuole di Medicina è cruciale, non secondario dev’essere l’investimento in termini di risorse e personale, oltre che sulle Scuole di Medicina, anche sulle realtà assistenziali ad esse collegate. Senza una buona assistenza non può esserci una buona formazione per i professionisti del futuro. Scarica e leggi lo speciale QUI
di Maria Triassi
Presidente della Scuola di Medicina della Federico II di Napoli
HPV: L’altro virus sconosciuto e pericoloso
Economia sanitariaI rischi sono spesso banalizzati o poco conosciuti. La verità è che quella del papilloma umano (HPV) è una famiglia enorme di virus, e non si può ignorare il fatto che alcuni di questi ceppi sono “oncogeni”. Virus che, se non debellati, possono portare a forme tumorali tanto nell’uomo, quanto nella donna. L’aspetto paradossale è che il problema sarebbe quasi del tutto evitabile con la vaccinazione che non solo previene l’infezione, ma anche diverse forme tumorali associate proprio al papilloma virus. Nonostante l’Italia sia stato il primo paese europeo a introdurre la vaccinazione universale dell’adolescente (femmine e maschi) contro il papilloma virus, oggi i risultati in termini di adesione sono molto deludenti. Di qui una situazione, delineata da Airtum, a dir poco preoccupante. Si stima che nel 2020 in Italia ci siano stati 382.670 nuovi casi di tumore, fra questi si stimano 2.360 nuovi casi di tumore alla cervice nella donna, 2.100 tumori ano-genitali e 9.850 tumori delle vie aero digestive superiori (frequenti sia negli uomini che nelle donne) per i quali è nota una frazione attribuibile all’Hpv. Altre patologie molto frequenti e altamente prevenibili grazie alla vaccinazione sono i condilomi genitali e le lesioni precancerose della cervice uterina; responsabili ogni anno, rispettivamente, di 26.600 e 23.000 ricoveri.
OBIETTIVI DA RAGGIUNGERE
«Facile comprendere perché il raggiungimento di alte coperture vaccinali rappresenti un importante obiettivo di sanità pubblica», spiega Francesco Saverio Mennini, direttore EEHTA-CEIS dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” e presidente SiHTA. «Il quadro tuttavia resta di precario decollo di questa vaccinazione, in particolar modo nel maschio. E a tutto questo nel 2020 si è aggiunto l’impatto della pandemia Covid-19 destinato a protrarsi nel 2021». Dai dati dello studio dell’ EEHTA-CEIS emerge come negli ultimi anni si sia ben lontani dai target di copertura stimate dal Ministero come efficaci. «Seguendo gli attuali trend – prosegue Mennini – potremmo ritrovarci oggi con oltre 1,47 milioni di ragazzi e ragazze che non hanno avuto la possibilità di essere immunizzati contro l’HPV a causa del mancato raggiungimento dei target previsti». Il mancato raggiungimento dei target potrebbe generare per la popolazione presa in considerazione dallo studio dell’EEHTA-CEIS oltre 86 mila casi di malattia che si sarebbero potuti evitare grazie alla vaccinazione, casi che avranno un impatto anche economico rilevante per il sistema paese. L’analisi economica sviluppata tramite il modello epidemiologico stima un costo, in caso di non vaccinazione, di oltre 1,1 miliardi di euro per le 6 coorti analizzate (circa 3,4 milioni di ragazze e ragazzi). La vaccinazione consentirebbe di ridurre solo il 25% di questa spesa se le coperture nel 2019 si attesteranno ai livelli simulati nello scenario peggiore. Il raggiungimento dei target del 95% per ambo i generi potrebbe garantire, invece, una riduzione di oltre 662 milioni di euro rispetto alla non vaccinazione, al netto dei costi sostenuti per implementare il programma di vaccinazione stesso. Se si applicassero i tassi di sopravvivenza a 5 anni per i principali tumori alle stime presentate, esito dalle coperture subottimali osservate, ne risulterebbero: 1.731 morti per tumori alla cervice, 4.390 morti per tumori ano-genitali e 3.170 morti per altre sedi tumorali associate all’infezione da Hpv per un totale di circa 10.000 decessi potenzialmente evitabili.
COME INTERVENIRE
«Bisogna spingere facendo leva sui medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta – conclude Mennini – e guardare alla scuola secondaria come la sede idonea per momenti di informazione, di educazione e di offerta vaccinale. La pandemia rischia di lasciare un segno indelebile nella salute riproduttiva e non solo di milioni di adolescenti, ma la stessa risposta a questa emergenza ci ha mostrato rari esempi di sistemi organizzativi resilienti. È auspicabile che questo momento sia l’occasione per generare anche vera innovazione nei modelli organizzativi per la promozione della prevenzione vaccinale».
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Editoria, Speciale Salute e Prevenzione di Novembre
News Presa, SpecialiIn collaborazione con Il Mattino, lo speciale che il network editoriale PreSa dedica ai temi della prevenzione e della salute. I maggiori esperti nazionali per un focus di approfondimento che tratta i temi caldi, inerenti patologie e stili di vita in modo semplice e diretto. Da leggere tutto per prendersi cura della propria salute.
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I rischi nascosti della fibrillazione atriale
News Presa, PartnerEsistono dei rischi spesso poco noti legati alla fibrillazione atriale, tra i quali l’ictus. Proprio di questo si parlerà sabato 27 novembre per il consueto appuntamento radiofonico sulle frequenze di Radio Kiss Kiss, organizzato dal network editoriale Presa Prevenzione Salute. A spiegare quale legame ci sia tra queste due patologie, e a mettere in luce quelli che sono i possibili comportamenti orientati alla prevenzione, sarà la Dottoressa Geppina Eusebio, dirigente medico – cardiologa interventista all’Ospedale di Eboli. Appuntamento alle 11:30 circa, Stay Tuned!
Herpes Zoster: Italia tra i primi paesi EU a dotarsi del nuovo vaccino
PrevenzioneL’infezione da Herpes Zoster interessa circa il 95% dei soggetti con più di 40 anni e nell’80% di soggetti over 50 dei casi si verificano complicanze neurologiche con la nevralgia posterpetica.
Anche negli ambulatori italiani, non appena sarà completato anche l’iter di delibera delle Regioni, sarà disponibile il nuovo vaccino contro l’Herpes Zoster. Già utilizzato negli Stati Uniti con oltre 38 milioni di dosi somministrate, si prefigura come un’innovazione di cui potrà beneficiare l’intero SSN, vista l’ampia diffusione di questa infezione e le conseguenze che può comportare. A questo tema è dedicata l’iniziativa “Herpes Zoster in Reumatologia: facciamo il punto”, organizzata da Aristea gli scorsi giorni con il contributo non condizionante di GSK. Un evento dedicato proprio ai pazienti affetti da malattie reumatiche, a cui hanno preso parte il Prof. Massimo Andreoni, Professore Ordinario di Malattie Infettive all’Università di Roma Tor Vergata e Direttore Scientifico Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali – SIMIT; la Prof.ssa Laura Sticchi, Dipartimento Scienze della Salute, Università degli Studi di Genova-Policlinico San Martino, Genova e il Prof. Roberto Gerli, Professore Ordinario di reumatologia presso l’Università degli Studi di Perugia.
“L’Herpes Zoster ha rappresentato finora, soprattutto nei pazienti immunocompromessi, un’esigenza assoluta. Il nuovo vaccino a sub unità è un passo avanti importantissimo, che permetterà di intervenire anche sui pazienti fragili per prevenirne le conseguenze” sottolinea il Prof. Massimo Andreoni, Direttore Scientifico SIMIT”.
Herpes Zoster – Il quadro epidemiologico
L’Herpes Zoster è un virus che provoca una dolorosa eruzione cutanea ed ha la particolarità di restare inattivo nel tessuto nervoso riattivandosi anni dopo con le manifestazioni molto dolorose dell’Herpes Zoster. La vaccinazione previene 2-3 milioni di decessi in tutto il mondo ogni anno e offre l’opportunità di proteggere anche quei soggetti fragili come anziani, individui immunocompromessi e soggetti con patologie croniche preesistenti (malattie croniche cardiovascolari, polmonari, renali ed epatiche, diabete, disturbi da immunodeficienza etc.).
La percezione e la conoscenza dell’infezione nella popolazione è ancora piuttosto relativa, giacché sono pochi coloro che conoscono cosa sia l’Herpes Zoster, eccetto quelli che abbiano subito le conseguenze sulla loro pelle, mentre la maggioranza conosce cosa sia la varicella e il fuoco di Sant’Antonio.
“L’infezione da virus varicella zoster è estremamente comune – sottolinea il Prof. Andreoni – Si stima che circa il 95% dei soggetti con più di 40 anni sia stato infettato da questo virus: ciò significa che in età più matura possono sviluppare un episodio di herpes zoster. Si calcola che almeno un terzo di tutte le persone adulte avrà nella propria vita almeno un episodio di herpes zoster”.
“Questa patologia non solo è estremamente frequente, ma ha anche conseguenze assai gravi – prosegue il Prof. Andreoni – Non si connota solo per il cosiddetto fuoco di Sant’Antonio, un’eruzione vescicolare che normalmente decorre lungo un dermatomero, ma spesso presenta una sintomatologia neurologica (nevralgia posterpetica), una grave complicanza che si caratterizza per un dolore ai limiti della sopportabilità. Da un punto di vista epidemiologico possiamo dire che in soggetti con più di 50 anni con herpes zoster questa complicanza occorre in circa l’80% dei casi, un dato che evidenzia come la gravità e le conseguenze della patologia”.
L’importanza di un nuovo vaccino per i pazienti fragili
“L’herpes zoster ha rappresentato finora, soprattutto nei pazienti immunocompromessi, un unmeet medical needs, ossia un’esigenza assoluta – conclude il Prof. Andreoni – Il vaccino disponibile fino ad oggi era a virus vivo attenuato, non utilizzabile nei pazienti immunodepressi. Il nuovo vaccino a sub unità è un passo avanti importantissimo, che permetterà di intervenire anche sui pazienti fragili e di prevenirne le conseguenze”.
EuCARE – A Roma pronto un network di specialisti per capire il futuro del Covid-19
News PresaIl Covid-19 rappresenta una malattia ancora oggi oggetto di studio da parte dei clinici. Dopo quasi due anni dalla sua comparsa, ancora diversi restano gli interrogativi su cui gli specialisti stanno concentrando le proprie attenzioni per delineare gli scenari da prospettare ai decisori politici per il prossimo futuro. Il ruolo delle varianti nel determinare il decorso clinico della patologia; il rapporto delle varianti del virus con i vaccini, i test sierologici e molecolari; la diffusione del virus in ambito scolastico e l’impatto delle misure di contenimento su studenti e insegnanti. Questi sono alcuni dei principali spunti oggetto di riflessione dei lavori del progetto europeo a guida italiana “EuCARE: European cohorts of patients and schools to advance response to epidemics”, dedicato a chiarire alcuni degli aspetti cruciali e più dibattuti dell’epidemia da SARS-COV-2.
Il progetto EUCARE
Coordinati dall’italiana EuResist Network, 22 università, ospedali e centri di ricerca lavoreranno per fornire risposte solide e basate sui dati, con il supporto di forti componenti immuno-virologiche e di intelligenza artificiale. Il lancio del progetto è avvenuto a Roma la scorsa settimana (11 e 12 novembre) con la partecipazione di 60 scienziati dall’Europa e dal mondo e di rappresentanti dell’OMS per una piena e aperta condivisione dei dati.
“Grazie al vaccino, in Italia e in Europa stiamo riuscendo a tenere l’infezione e i suoi effetti abbastanza sotto controllo ma restano molte questioni aperte – racconta Francesca Incardona, coordinatrice del progetto – In molti Paesi, anche vicini a noi, l’epidemia continua a correre: questo permette a nuove varianti di emergere e di porre inquietanti interrogativi che solo collaborazioni scientifiche multidisciplinari e con grandi basi di dati possono affrontare. Per questo l’Unione Europea ha lanciato una chiamata di emergenza alla comunità scientifica e ha messo in campo ingenti finanziamenti. Siamo contenti di poter contribuire e allo stesso tempo avvertiamo un grande senso di responsabilità”.
Lo studio si avvarrà di coorti di pazienti ospedalieri, inclusi i pazienti cosiddetti “long COVID”, coorti di operatori sanitari vaccinati e coorti di scuole in Europa, Kenya, Messico, Russia e Vietnam per un totale di oltre 2600 pazienti COVID-19, 1600 operatori sanitari e 26000 studenti e insegnanti seguiti in studi prospettici.
“Circa il 10% dei pazienti tra i 18 e i 59 anni e percentuali più alte al crescere dell’età hanno sintomi clinici persistenti per mesi, sviluppano cioè il cosiddetto long-COVID – sottolinea la Prof.ssa Antonella D’Arminio Monforte, professore ordinario e direttore della Clinica di Malattie Infettive e Tropicali all’ASST SS Paolo e Carlo e Università di Milano, che partecipa dal lato italiano agli studi di coorte di pazienti sotto la guida del Karolinska Institutet – Molti sono gli interrogativi aperti su questo fronte, come quelli riguardanti quali siano i pazienti che si ammalano di long-COVID, perché si ammalano e qual è il decorso a lungo termine per le numerose, diverse patologie coinvolte”.
L’attenzione rivolta al mondo scolastico
Tra gli obiettivi principali del progetto, vi è quello di concentrare gli sforzi sulla scuola. Bambini e adolescenti sono stati coloro che hanno sofferto maggiormente le chiusure, con conseguenze sia dal punto di vista sociale che didattico, nonché coloro che hanno ancora basse percentuali tra i vaccinati. “La società è stata colpita dal COVID-19 sotto diversi aspetti: uno di questi, in gran parte sottovalutato, è la scuola. Per studiarla abbiamo coinvolto nel progetto anche gli studenti, attraverso una loro federazione europea, OBESSU – spiega Incardona – Arruoleremo scuole in contesti socioeconomici diversi e valuteremo con un trial prospettico una metodologia di test salivare di gruppo, rapida ed economica, sviluppata dall’Università tedesca di Colonia, che sta emergendo come strumento di controllo non invasivo dell’epidemia”.
“Studieremo anche gli aspetti psicologici delle misure di contenimento e la diffusione dell’epidemia nelle scuole comparandola con i nostri studi del 2020” aggiunge Sara Gandini, epidemiologa presso l’Istituto Europeo di Oncologia. Allo studio partecipa anche l’Istituto Nazionale Malattie Infettive L. Spallanzani.
GLI STUDI DI COORTE DEL PROGETTO EuCARE
Il progetto EuCARE prevede delle strutture orizzontali di servizio agli studi di coorte: per l’analisi dei dati attraverso metodi di intelligenza artificiale sotto la guida di IBM Israele e per le indagini sui campioni con i sistemi virologici e immunologici più avanzati sotto la guida di Maurizio Zazzi, professore di Microbiologia all’Università di Siena. “Il network di laboratori del progetto non solo suddividerà l’impegno tra diverse strutture, ma condividerà in tempo reale informazioni sulle buone pratiche emergenti, kit e strumentari realizzando un’infrastruttura distribuita con capacità uniformi e in grado di reagire in tempi rapidi anche a eventuali nuove epidemie – spiega il Prof.Maurizio Zazzi.
“Per esempio metteremo a disposizione le nostre competenze di analisi delle sequenze virali ad alta risoluzione” – aggiunge la Prof.ssa Francesca Ceccherini Silberstein, professore di Microbiologia all’Università di Roma Tor Vergata. Un progetto quindi che non solo cerca risposte alla pandemia di oggi, ma che vuole costruire capacità per affrontare quelle che potrebbero presentarsi domani.
Nel microbiota possibili soluzioni contro Celiachia e Malattie Infiammatorie
Associazioni pazientiNuove prospettive su terapie e diagnosi per le patologie intestinali, a partire da Colite Ulcerosa e Malattia di Crohn emergono dal Congresso “Current Management and future perspectives in IBD”. “Il Policlinico di Milano ha recentemente ottenuto un finanziamento del Ministero della Salute per studiare i meccanismi immunologici per il trapianto di microbiota fecale per i pazienti con Colite Ulcerosa. Nei prossimi anni seguiremo anche questo approccio di ricerca inoculo-fecale” spiega il Prof. Flavio Caprioli, Professore associato presso il Dipartimento di Fisiopatologia Medico-Chirurgica e dei Trapianti dell’Università degli Studi di Milano.
Il microbiota osservato speciale
Il microbiota, l’insieme di microrganismi che si trovano nel corpo umano, è sempre più osservato speciale da parte dei gastroenterologi per capire se possa offrire ulteriori opportunità terapeutiche. Dal Congresso “Current Management and future perspectives in IBD”, organizzato da Health Meetings Group, con la presidenza del Prof. Maurizio Vecchi, Professore ordinario Gastroenterologia – Università degli Studi di Milano, emergono spunti interessanti in tema di Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali – MICI, ossia Colite Ulcerosa e Malattia di Crohn, e celiachia.
Il ruolo del microbiota nella malattia celiaca
Tra le malattie autoimmuni dell’intestino, oltre a Colite Ulcerosa e Malattia di Crohn, un ruolo sempre più preponderante è quello della celiachia, una risposta non ordinaria del sistema immunitario all’introduzione di glutine nell’organismo. Dati recenti in letteratura rilevano che anche in questo tipo di malattia il microbiota sembra essere molto importante nell’incanalare una risposta immune contro il glutine. “Negli ultimi due decenni le diagnosi di celiachia si sono ampliate notevolmente, sia per una maggiore consapevolezza che ci porta a una particolare sensibilità di fronte a certi sintomi sia, probabilmente, per l’effetto di alcuni stili di vita che sembrano aumentare l’incidenza di questa malattia. L’assetto genetico che predispone alla celiachia è presente nel 20-30% della popolazione, ma soltanto l’1% è celiaco – sottolinea il Prof. Pastorelli – Questi dati mostrano che ci sono diversi fattori che contribuiscono allo sviluppo della malattia. Uno di questi potrebbe essere proprio il microbiota, anche se nei tratti di intestino coinvolti dalla celiachia i microrganismi sono meno presenti rispetto al colon. Probabilmente alcuni tipi di microbiota hanno la capacità di metabolizzare il glutine in maniera protettiva contro lo sviluppo della malattia celiaca: questo presupposto apre la prospettiva di gestire questa patologia non solo con una dieta priva di glutine, ma anche modulando il microbiota in modo tale che questo riesca a degradare il glutine rendendolo meno capace di attivare il sistema immunitario, spegnendo quel processo che poi porta allo sviluppo e progressione della malattia. Questa sarebbe un’importante evoluzione nella gestione della malattia celiaca”.
L’intelligenza artificiale in endoscopia per un medicina sempre piu’ su misura
L’ambito delle Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali recentemente si è arricchito anche dell’impiego dell’intelligenza artificiale nelle endoscopie. “Esempi di endoscopia avanzata si iniziano a vedere anche in fase preclinica e nei prossimi 5 anni ci consentiranno di cambiare alcune classificazioni endoscopiche – spiega Gian Eugenio Tontini, Ricercatore presso l’Università di Milano e medico presso il Policlinico di Milano nel reparto di Gastroenterologia ed Endoscopia – Nei prossimi 5-10 anni, l’intelligenza artificiale cambierà l’endoscopia come mai avvenuto negli ultimi 5 decenni. Un software associato a una macchina ci darà uno score indicativo sulla gravità dell’infiammazione e da qua deriveremo un valore numerico, oggettivo e riproducibile della risposta alle terapie, le quali sono sempre più complesse ed eterogenee. In questo modo possiamo identificare con maggiore precisione i vari stati di malattia e ci avviciniamo alla medicina personalizzata, con un più efficace controllo delle nostre attività cliniche dal punto di vista prognostico, diagnostico e terapeutico”.