Tempo di lettura: 5 minutiIl datopotamab deruxtecan (Dato-DXd) sta funzionando. L’anticorpo monoclonale farmaco-coniugato (ADC) DXd anti-TROP2 sviluppato da Daiichi Sankyo e AstraZeneca, continua a mostrare risposta tumorale duratura e controllo della malattia nelle pazienti affette da carcinoma mammario triplo negativo (TNBC) metastatico con progressione della malattia dopo trattamento standard. I dati incoraggianti della coorte TNBC dello studio di fase 1 TROPION-PanTumor01 sono stati oggetto di una presentazione orale al San Antonio Breast Cancer Symposium 2021 (#SABCS21).
Carcinoma mammario triplo negativo. I dati del nuovo studio
Il carcinoma mammario triplo negativo rappresenta circa il 10-15% dei casi di cancro al seno ed è associato a una maggiore recidiva della malattia e a una prognosi peggiore rispetto ad altri sottotipi di cancro al seno. Si stima che solo il 12,2% dei pazienti con TNBC metastatico alla diagnosi riesca a sopravvivere fino a cinque anni e la sopravvivenza globale mediana è generalmente inferiore a due anni.
Un tasso di risposta obiettiva (ORR) del 34% è stato osservato in 15 delle 44 pazienti trattate con datopotamab deruxtecan (6 mg/kg [n=42] e 8 mg/kg [n=2]) come valutato dalla revisione centrale indipendente in cieco. Quattordici risposte complete/parziali confermate (CR/PR) con un’ulteriore CR/PR in attesa di conferma e malattia stabile in altre 17 pazienti sono state riportate dopo un follow-up mediano di 7,6 mesi (range, 4 – 13 mesi). La durata mediana della risposta (DOR) non è stata raggiunta (range, 2,7 – 7,4+ mesi), con la maggior parte delle risposte in atto al cut-off dei dati del 30 luglio 2021. È stato osservato un tasso di controllo della malattia (DCR) del 77%.
In un sottogruppo di 27 pazienti con malattia misurabile e non precedentemente trattati con un ADC a base di inibitori della topoisomerasi I, è stato riportato un tasso di risposta obiettiva del 52% con datopotamab deruxtecan. Tredici CR/PR confermate con una ulteriore CR/PR in attesa di conferma e malattia stabile riportata in altre nove pazienti, dopo un follow-up mediano di 8,8 mesi (range, 4 – 13 mesi). Un tasso di controllo della malattia dell’81% è stato osservato in questo sottogruppo di pazienti.
“Nonostante i recenti progressi nel trattamento del carcinoma mammario triplo negativo, sussiste una significativa necessità di migliorare gli esiti per le pazienti, che sottolinea l’importanza di sviluppare terapie nuove ed efficaci – ha spiegato Ian E. Krop, MD, PhD, capo associato della divisione di oncologia senologica del Susan F. Smith Center for Women’s Cancers, Dana Farber Cancer Institute – Questi risultati preliminari con datopotamab deruxtecan in pazienti pretrattate con carcinoma mammario triplo negativo metastatico sono molto incoraggianti e garantiscono ulteriori valutazioni di questo ADC anti-TROP2.”
Il profilo di sicurezza complessivo di datopotamab deruxtecan nel TNBC osservato nello studio TROPION-PanTumor01 è risultato in linea con quanto riportato in precedenza senza nuovi segnali di sicurezza. Gli eventi avversi emergenti dal trattamento (TEAEs) verificatisi in ≥15% dei pazienti hanno incluso nausea, stomatite, vomito, affaticamento, alopecia, infiammazione delle mucose, stipsi, mal di testa, linfocitopenia, neutropenia, piressia, anemia, prurito, ipokaliemia, diarrea e tosse. TEAE di grado 3 o superiore legati al trattamento si sono verificati nel 23% dei pazienti. Non sono stati osservati casi di malattia polmonare interstiziale (ILD).
“Questi risultati aggiornati continuano a mostrare la promessa di datopotamab deruxtecan come strategia di trattamento durevole per le pazienti con cancro al seno triplo negativo precedentemente trattato, una forma di cancro al seno storicamente difficile da trattare. – Ha dichiarato Gilles Gallant, BPharm, PhD, FOPQ, Vice Presidente Senior e Capo Globale dello Sviluppo Oncologico, del dipartimento R&D in Oncologia di Daiichi Sankyo – Siamo impegnati portare avanti lo sviluppo di datopotamab deruxtecan e a stabilire dove questo anti-TROP2 specificamente ingegnerizzato può essere più efficace nel trattamento del cancro al seno triplo negativo”.
Le pazienti sono state trattate con una mediana di tre terapie precedenti nel setting metastatico (range, 1-10), compresi i taxani (91%), la chemioterapia a base di platino (52%), l’immunoterapia (43%), gli ADC a base di inibitori della topoisomerasi I (30%; sacituzumab govitecan, n=10; trastuzumab deruxtecan, n=2; patritumab deruxtecan, n=1) e gli inibitori PARP (16%). Al momento del cut-off dei dati, il 30 luglio 2021, il 30% delle pazienti risultava ancora in trattamento con datopotamab deruxtecan.
TROPION-PanTumor01 è il primo studio sull’uomo di fase 1 multicentrico, in aperto, in due parti, che valuta la sicurezza, la tollerabilità e l’efficacia preliminare di datopotamab deruxtecan in pazienti con tumori solidi avanzati refrattari o recidivanti al trattamento standard o per i quali non è disponibile alcun trattamento standard, inclusi il carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC), il carcinoma mammario triplo negativo (TNBC), il carcinoma mammario ormono-positivo (HR+)/ HER2-negativo, carcinoma polmonare a cellule piccole, e carcinomi uroteliale, gastrico ed esofageo.
La parte dello studio di aumento della dose, limitata ai pazienti con NSCLC, ha valutato la sicurezza e la tollerabilità di dosi crescenti di datopotamab deruxtecan per determinare la dose massima tollerata e /o la dose raccomandata per la fase di espansione. La parte dello studio relativa all’espansione della dose ha valutato ulteriormente la sicurezza e la tollerabilità di datopotamab deruxtecan in pazienti con altri tumori solidi. Sulla base dell’efficacia e della sicurezza preliminari, la dose di 6 mg/kg è stata identificata per ulteriori sviluppi.
Gli endpoint di sicurezza includono tossicità dose-limitanti ed eventi avversi seri. Gli endpoint di efficacia includono ORR, DCR, durata della risposta, tempo alla risposta, sopravvivenza libera da progressione e sopravvivenza globale. Sono in fase di valutazione anche gli endpoint di farmacocinetica, di biomarcatori e immunogenicità.
Il carcinoma mammario triplo negativo
Circa il 10-15% dei carcinomi mammari è considerato Triplo Negativo poiché i test risultano negativi per i recettori ormonali (HR) degli estrogeni e progesterone e per il recettore 2 del fattore umano di crescita epiteliale (HER2).
Rispetto alle pazienti affette da altri sottotipi di carcinoma mammario, la prognosi per le pazienti con TNBC metastatico è generalmente peggiore, e hanno più probabilità di andare incontro a una recidiva a seguito della iniziale chemioterapia.1,3 La sopravvivenza a 5 anni con il TNBC metastatico è stimata al 12,2% e la sopravvivenza globale mediana è generalmente inferiore a 2 anni.
Il TROP2 (antigene 2 della superficie cellulare dei trofoblasti) è una glicoproteina transmembrana che è iper-espressa in diversi tipi di tumori solidi, incluso il carcinoma mammario. L’iper-espressione di TROP2 è stata rilevata in multipli sottotipi di carcinoma mammario, incluso l’80% circa dei carcinomi mammari triplo negativi (TNBC).
Alti livelli di espressione di TROP2 costituisce un fattore prognostico sfavorevole per la sopravvivenza globale in tutti i tipi di carcinoma mammario.
Datopotamab Deruxtecan (Dato-DXd) è un anticorpo monoclonale coniugato (ADC) anti-TROP2. Realizzato con l’impiego della tecnologia DXd brevettata da Daiichi Sankyo, datopotamab deruxtecan è uno dei tre principali ADC della pipeline oncologica di Daiichi Sankyo e uno dei programmi più avanzati della piattaforma scientifica degli ADC di AstraZeneca.
Datopotamab deruxtecan è composto da un anticorpo monoclonale umanizzato anti-TROP2 IgG13, sviluppato in collaborazione con la Sapporo Medical University, collegato al citotossico inibitore della topoisomerasi I, un derivato dell’exatecan, tramite un linker scindibile a base di tetrapeptidi.
Attualmente è in corso, a livello globale, un ampio programma di sviluppo chiamato TROPION, con trial che valutano l’efficacia e la sicurezza di datopotamab deruxtecan nel trattamento di diversi tumori, inclusi il carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC), il carcinoma mammario triplo negativo (TNBC) e il carcinoma mammario HR positivo/HER2 negativo. Sono inoltre in corso ulteriori studi in combinazione con altri trattamenti oncologici come l’immunoterapia.
Cancro al seno triplo negativo, nuovi dati confermano efficacia anticorpo monoclonale
News PresaIl datopotamab deruxtecan (Dato-DXd) sta funzionando. L’anticorpo monoclonale farmaco-coniugato (ADC) DXd anti-TROP2 sviluppato da Daiichi Sankyo e AstraZeneca, continua a mostrare risposta tumorale duratura e controllo della malattia nelle pazienti affette da carcinoma mammario triplo negativo (TNBC) metastatico con progressione della malattia dopo trattamento standard. I dati incoraggianti della coorte TNBC dello studio di fase 1 TROPION-PanTumor01 sono stati oggetto di una presentazione orale al San Antonio Breast Cancer Symposium 2021 (#SABCS21).
Carcinoma mammario triplo negativo. I dati del nuovo studio
Il carcinoma mammario triplo negativo rappresenta circa il 10-15% dei casi di cancro al seno ed è associato a una maggiore recidiva della malattia e a una prognosi peggiore rispetto ad altri sottotipi di cancro al seno. Si stima che solo il 12,2% dei pazienti con TNBC metastatico alla diagnosi riesca a sopravvivere fino a cinque anni e la sopravvivenza globale mediana è generalmente inferiore a due anni.
Un tasso di risposta obiettiva (ORR) del 34% è stato osservato in 15 delle 44 pazienti trattate con datopotamab deruxtecan (6 mg/kg [n=42] e 8 mg/kg [n=2]) come valutato dalla revisione centrale indipendente in cieco. Quattordici risposte complete/parziali confermate (CR/PR) con un’ulteriore CR/PR in attesa di conferma e malattia stabile in altre 17 pazienti sono state riportate dopo un follow-up mediano di 7,6 mesi (range, 4 – 13 mesi). La durata mediana della risposta (DOR) non è stata raggiunta (range, 2,7 – 7,4+ mesi), con la maggior parte delle risposte in atto al cut-off dei dati del 30 luglio 2021. È stato osservato un tasso di controllo della malattia (DCR) del 77%.
In un sottogruppo di 27 pazienti con malattia misurabile e non precedentemente trattati con un ADC a base di inibitori della topoisomerasi I, è stato riportato un tasso di risposta obiettiva del 52% con datopotamab deruxtecan. Tredici CR/PR confermate con una ulteriore CR/PR in attesa di conferma e malattia stabile riportata in altre nove pazienti, dopo un follow-up mediano di 8,8 mesi (range, 4 – 13 mesi). Un tasso di controllo della malattia dell’81% è stato osservato in questo sottogruppo di pazienti.
“Nonostante i recenti progressi nel trattamento del carcinoma mammario triplo negativo, sussiste una significativa necessità di migliorare gli esiti per le pazienti, che sottolinea l’importanza di sviluppare terapie nuove ed efficaci – ha spiegato Ian E. Krop, MD, PhD, capo associato della divisione di oncologia senologica del Susan F. Smith Center for Women’s Cancers, Dana Farber Cancer Institute – Questi risultati preliminari con datopotamab deruxtecan in pazienti pretrattate con carcinoma mammario triplo negativo metastatico sono molto incoraggianti e garantiscono ulteriori valutazioni di questo ADC anti-TROP2.”
Il profilo di sicurezza complessivo di datopotamab deruxtecan nel TNBC osservato nello studio TROPION-PanTumor01 è risultato in linea con quanto riportato in precedenza senza nuovi segnali di sicurezza. Gli eventi avversi emergenti dal trattamento (TEAEs) verificatisi in ≥15% dei pazienti hanno incluso nausea, stomatite, vomito, affaticamento, alopecia, infiammazione delle mucose, stipsi, mal di testa, linfocitopenia, neutropenia, piressia, anemia, prurito, ipokaliemia, diarrea e tosse. TEAE di grado 3 o superiore legati al trattamento si sono verificati nel 23% dei pazienti. Non sono stati osservati casi di malattia polmonare interstiziale (ILD).
“Questi risultati aggiornati continuano a mostrare la promessa di datopotamab deruxtecan come strategia di trattamento durevole per le pazienti con cancro al seno triplo negativo precedentemente trattato, una forma di cancro al seno storicamente difficile da trattare. – Ha dichiarato Gilles Gallant, BPharm, PhD, FOPQ, Vice Presidente Senior e Capo Globale dello Sviluppo Oncologico, del dipartimento R&D in Oncologia di Daiichi Sankyo – Siamo impegnati portare avanti lo sviluppo di datopotamab deruxtecan e a stabilire dove questo anti-TROP2 specificamente ingegnerizzato può essere più efficace nel trattamento del cancro al seno triplo negativo”.
Le pazienti sono state trattate con una mediana di tre terapie precedenti nel setting metastatico (range, 1-10), compresi i taxani (91%), la chemioterapia a base di platino (52%), l’immunoterapia (43%), gli ADC a base di inibitori della topoisomerasi I (30%; sacituzumab govitecan, n=10; trastuzumab deruxtecan, n=2; patritumab deruxtecan, n=1) e gli inibitori PARP (16%). Al momento del cut-off dei dati, il 30 luglio 2021, il 30% delle pazienti risultava ancora in trattamento con datopotamab deruxtecan.
TROPION-PanTumor01 è il primo studio sull’uomo di fase 1 multicentrico, in aperto, in due parti, che valuta la sicurezza, la tollerabilità e l’efficacia preliminare di datopotamab deruxtecan in pazienti con tumori solidi avanzati refrattari o recidivanti al trattamento standard o per i quali non è disponibile alcun trattamento standard, inclusi il carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC), il carcinoma mammario triplo negativo (TNBC), il carcinoma mammario ormono-positivo (HR+)/ HER2-negativo, carcinoma polmonare a cellule piccole, e carcinomi uroteliale, gastrico ed esofageo.
La parte dello studio di aumento della dose, limitata ai pazienti con NSCLC, ha valutato la sicurezza e la tollerabilità di dosi crescenti di datopotamab deruxtecan per determinare la dose massima tollerata e /o la dose raccomandata per la fase di espansione. La parte dello studio relativa all’espansione della dose ha valutato ulteriormente la sicurezza e la tollerabilità di datopotamab deruxtecan in pazienti con altri tumori solidi. Sulla base dell’efficacia e della sicurezza preliminari, la dose di 6 mg/kg è stata identificata per ulteriori sviluppi.
Gli endpoint di sicurezza includono tossicità dose-limitanti ed eventi avversi seri. Gli endpoint di efficacia includono ORR, DCR, durata della risposta, tempo alla risposta, sopravvivenza libera da progressione e sopravvivenza globale. Sono in fase di valutazione anche gli endpoint di farmacocinetica, di biomarcatori e immunogenicità.
Il carcinoma mammario triplo negativo
Circa il 10-15% dei carcinomi mammari è considerato Triplo Negativo poiché i test risultano negativi per i recettori ormonali (HR) degli estrogeni e progesterone e per il recettore 2 del fattore umano di crescita epiteliale (HER2).
Rispetto alle pazienti affette da altri sottotipi di carcinoma mammario, la prognosi per le pazienti con TNBC metastatico è generalmente peggiore, e hanno più probabilità di andare incontro a una recidiva a seguito della iniziale chemioterapia.1,3 La sopravvivenza a 5 anni con il TNBC metastatico è stimata al 12,2% e la sopravvivenza globale mediana è generalmente inferiore a 2 anni.
Il TROP2 (antigene 2 della superficie cellulare dei trofoblasti) è una glicoproteina transmembrana che è iper-espressa in diversi tipi di tumori solidi, incluso il carcinoma mammario. L’iper-espressione di TROP2 è stata rilevata in multipli sottotipi di carcinoma mammario, incluso l’80% circa dei carcinomi mammari triplo negativi (TNBC).
Alti livelli di espressione di TROP2 costituisce un fattore prognostico sfavorevole per la sopravvivenza globale in tutti i tipi di carcinoma mammario.
Datopotamab Deruxtecan (Dato-DXd) è un anticorpo monoclonale coniugato (ADC) anti-TROP2. Realizzato con l’impiego della tecnologia DXd brevettata da Daiichi Sankyo, datopotamab deruxtecan è uno dei tre principali ADC della pipeline oncologica di Daiichi Sankyo e uno dei programmi più avanzati della piattaforma scientifica degli ADC di AstraZeneca.
Datopotamab deruxtecan è composto da un anticorpo monoclonale umanizzato anti-TROP2 IgG13, sviluppato in collaborazione con la Sapporo Medical University, collegato al citotossico inibitore della topoisomerasi I, un derivato dell’exatecan, tramite un linker scindibile a base di tetrapeptidi.
Attualmente è in corso, a livello globale, un ampio programma di sviluppo chiamato TROPION, con trial che valutano l’efficacia e la sicurezza di datopotamab deruxtecan nel trattamento di diversi tumori, inclusi il carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC), il carcinoma mammario triplo negativo (TNBC) e il carcinoma mammario HR positivo/HER2 negativo. Sono inoltre in corso ulteriori studi in combinazione con altri trattamenti oncologici come l’immunoterapia.
Speciale MOLTO SALUTE – Il Messaggero
News Presa, Prevenzione, Ricerca innovazione, SpecialiUna nuova collaborazione arricchisce le pubblicazioni del Network Editoriale PreSa, Prevenzione & Salute.
Molto Salute – Il Messaggero, propone in questo numero due approfondimenti dedicati, rispettivamente, alla malattia di Parkinson e ai tumori neuroendocrini. Come sempre, argomenti di grande attualità, trattati in modo semplice e diretto grazie al contributo di alcuni tra i maggiori esperti italiani. Un viaggio alla scoperta di patologie più o meno note, guardando alle possibilità di prevenzione e alle innovazioni rese possibili dai progressi della medicina. Per la malattia di Parkinson si parla ad esempio dell’elettro-stimolazione profonda, una tecnica chirurgica che può garantire ottimi risultati in pazienti che non rispondono più alle terapie farmacologiche. Questo e molto altro su Molto Salute.
Clicca qui per leggere lo Speciale.
Dermatite atopica grave nei bambini: come gestirla e nuove terapie
Bambini, News Presa, Partner«La dermatite atopica è la più frequente malattia infiammatoria della cute in età pediatrica, con una prevalenza stimata tra il 16 e il 20%. Un terzo di questi piccoli pazienti soffre di una forma che va da moderata a grave». A fare luce su uno dei problemi più sentiti da moltissimi genitori è il professor Michele Miraglia Del Giudice, professore di pediatria e allergologia all’Università della Campania Luigi Vanvitelli.
Intervenuto ai microfoni di Radio Kiss Kiss per le Pillole di Salute volute dal network editoriale PreSa, lo specialista ha spiegato che il bambino con dermatite atopica ha spesso infiammazioni della pelle che causano pruriti e fastidi. «Questa malattia – spiega – si manifesta con pelle arrossata, secca, screpolata e squamosa; addirittura si possono avere chiazze rosse con vescicole. Si parla di dermatite atopica grave quando questi sintomi sono particolarmente intensi. Tecnicamente quando lo score assegnato in corso di valutazione è superiore a 16 ed è molto probabile che la malattia comprometta la qualità della vita del bambino e dei sui genitori». Anche per i caregiver, che nella stragrande maggioranza dei casi sono i genitori, il peso della malattia è enorme. Sono infatti i familiari a dover portare un fardello pesantissimo, che aumenta con l’aumentare della gravità dei sintomi. «Prendersi cura di un bambino con dermatite atopica – sottolinea Miraglia Del Giudice – può essere molto complesso. Ad esempio, molti genitori non riescono a dormire, perché il bambino infastidito dal prurito non dorme. I bambini molto spesso devono mettere creme e prendere dei farmaci, tutti compiti che ricadono sulla famiglia. È evidente che può esserci una seria ripercussione sulla qualità di vita dell’intero nucleo familiare».
Per trattare i casi più complessi ci si può rivolgere a centri specializzati, come quello del Policlinico Universitario Luigi Vanvitelli. Inoltre, molto utile può essere il sito www.dermatopia.it dove si può trovare un servizio gratuito attraverso il quale individuare il centro più vicino al proprio domicilio e ricevere tutte le informazioni necessarie. La buona notizia è che la dermatite atopica può essere combattuta anche in queste sue forme più gravi con un anticorpo monoclonale mirato.
«Pazienti con sintomi più importanti – conclude Miraglia Del Giudice – non riescono a controllare la malattia solo con le creme, esiste oggi una terapia basata sulla somministrazione di un anticorpo monoclonale che è potenzialmente in grado di cambiare in meglio e in modo radicale la qualità di vita dei bambini (ma anche degli adulti) che soffrono di forme più serie di dermatite atopica»
Clicca qui per ascoltare l’intervista.
“Contenuto realizzato da Radio Kiss Kiss in collaborazione con PreSa con il supporto di Sanofi”
Dermatite Atopica: intervista al Prof. Miraglia Del Giudice
Podcast“Contenuto realizzato da Radio Kiss Kiss in collaborazione con PreSa con il supporto di Sanofi”
Dermatite atopica grave nei bambini: come gestirla e nuove terapie
Bambini, News Presa, Partner, PrevenzioneAnche questo sabato i microfoni di Radio Kiss Kiss si accendono per dare voce alla prevenzione e alla salute. Il consueto appuntamento promosso dal Network Editoriale PreSa vede protagonista il Professor Michele Miraglia Del Giudice, docente di pediatria e allergologia presso l’Università della Campania Luigi Vanvitelli. Il tema affrontato sarà quello della dermatite atopica grave, guardando in modo particolare ai bambini. Un problema che in età pediatrica varia tra il 5 e il 20% della popolazione, con un esordio che nell’85-90% dei casi avviene prima dei 5 anni. Il Professor Michele Miraglia Del Giudice parlerà di come gestire al meglio la malattia e delle nuove terapie oggi disponibili.
Appuntamento per sabato 9 aprile, alle 11:35 circa. Stay Tuned!
“Contenuto realizzato da Radio Kiss Kiss in collaborazione con PreSa con il supporto di Sanofi”
Covid-19: fattore età può aumentare di 100 volte rischio mortalità
Ricerca innovazioneUno studio ha individuato i fattori di rischio associati alla mortalità da Covid-19. Il principale è l’età: nei gruppi di età superiore a 65 anni rispetto a un gruppo di riferimento di 15-44 anni il rischio di mortalità è risultato addirittura superiore di cento volte. L’analisi è stata realizzata dai ricercatori dell’Istituto di tecnologie biomediche del Cnr di Segrate e dell’Unità di Epidemiologia genetica e farmacogenomica della Fondazione Irccs Istituto nazionale dei tumori di Milano. I risultati sono pubblicati su Scientific Reports, rivista scientifica del gruppo Nature. Si tratta del primo studio pubblicato su tutta la casistica nazionale, messa a disposizione dall’Istituto superiore di sanità (sono stati analizzati oltre 4 milioni di pazienti positivi al Covid-19 in Italia, diagnosticati tra gennaio 2020 e luglio 2021). In particolare, la casistica includeva più di 415 mila pazienti ricoverati per Covid-19 e più di 127 mila soggetti deceduti. Per i pazienti per i quali erano disponibili età, sesso e data di rilevamento dell’infezione, è stato determinato l’impatto di queste variabili sulla probabilità di sopravvivenza, 30 giorni dopo la data della diagnosi o del ricovero.
L’analisi ha mostrato che ciascuna delle variabili analizzate ha influenzato in modo indipendente il rischio di morte per Covid-19. In particolare, nella serie complessiva, l’età è risultata essere il principale fattore di rischio per la mortalità, che nei gruppi di età superiore a 65 anni rispetto a un gruppo di riferimento di 15-44 anni è risultato addirittura superiore di cento volte, confermando che proteggere gli anziani dovrebbe essere una priorità nella gestione della pandemia. Inoltre, si è osservato un rischio di morte due volte superiore negli uomini rispetto alle donne. Infine, i pazienti infettati dopo la prima ondata pandemica (cioè dopo il 30 giugno 2020) hanno mostrato un rischio di morte circa 3 volte inferiore a quello dei casi infettati durante la prima ondata.
“Questo risultato – dichiara Francesca Colombo, ricercatrice dell’Istituto di tecnologie biomediche del Cnr e coordinatrice dello studio – conferma e amplia i risultati di studi precedenti, condotti su casistiche di piccole dimensioni. Tuttavia la mancata disponibilità di altre informazioni cliniche, come ad esempio le co-morbidità dei pazienti o il tipo di trattamento, non ci hanno consentito di valutare l’effetto di altre variabili – oltre all’età, il sesso e il periodo di infezione – sulla sopravvivenza dei pazienti Covid-19. Ciò ha limitato la possibilità di individuare le categorie più a rischio di morte in seguito alla infezione da parte del coronavirus SARS-CoV-2, nella popolazione italiana”.
“I risultati che abbiamo pubblicato evidenziano la necessità e l’urgenza di implementare un database nazionale per la raccolta delle informazioni cliniche e del decorso delle malattie comuni, in particolare di quelle trasmissibili, ma non solo. Un database nazionale, affiancato da una biobanca, come quelle che altri paesi hanno già implementato, costituirebbero un forte sostegno alla ricerca scientifica e uno strumento in più per il sistema sanitario e la salute pubblica”, afferma Tommaso A. Dragani, già responsabile della s.s.d. Epidemiologia genetica e farmacogenomica dell’Istituto nazionale dei tumori.
Diabete, in Campania la mortalità più alta d’Italia
AlimentazioneNapoli entra nel programma Cities Changing Diabetes, l’iniziativa realizzata in partnership tra University College London (UCL) e il danese Steno Diabetes Center, con il contributo di Novo Nordisk, coordinata in Italia da Health City Institute, in collaborazione con Istituzioni nazionali quali l’ANCI e l’Intergruppo Parlamentare Qualità di vita nelle città e oltre 150 partner tra cui regioni, comuni, università, aziende sanitarie, enti locali, enti sportivi, società scientifiche del diabete, della medicina generale e associazioni di tutela dei diritti dei pazienti con diabete e di cittadinanza. L’annuncio è stato nel corso della conferenza stampa organizzata da Health City Institute al Palazzo San Giacomo in collaborazione con il Comune di Napoli e la Regione Campania. Al progetto, oltre alle Amministrazioni comunale e regionale, hanno aderito le Università di Napoli, le componenti accademiche, sociali e scientifiche della città. Il programma, che ad oggi coinvolge quasi 40 metropoli di tutto il mondo, si propone di evidenziare il rapporto tra urbanizzazione e diabete tipo 2 e di promuovere iniziative per salvaguardare la salute dei cittadini e prevenire la malattia. «Parlare di urban health e diabete urbano oggi è fondamentale e prioritario: si tratta di una sfida globale, per la quale le città sono chiamate a diventare centri di innovazione nella gestione e nella risposta ai fenomeni epidemiologici in atto. Una strategia efficace richiede un approccio multidisciplinare e trasversale, in cui i saperi, a partire da quello medico e scientifico, possano supportare le scelte di salute pubblica da parte di decisori politici così come dei cittadini stessi. La città metropolitana di Napoli sta sperimentando questa alleanza che senza dubbio potrà rappresentare un modello per tutto il territorio regionale cui ci rivogliamo», spiega Andrea Lenzi, Presidente Health City Institute e del Comitato Nazionale Biosicurezza, Biotecnologie e Scienze della Vita – Presidenza Consiglio dei ministri.
SOVRAPPESO
Nell’area della città metropolitana di Napoli risiedono, secondo le elaborazioni, su dati ISTAT, di Health City Institute, oltre 200 mila persone con diabete, pari al 6,7 per cento della popolazione, percentuale decisamente maggiore della media nazionale del 5,8 per cento di persone con diabete. Questo dato si allinea a un altro indicatore che vede la regione sopra la media italiana, la sedentarietà, che ha un impatto importante sullo sviluppo di malattie come il diabete e l’obesità: sono infatti il 54,7 per cento i campani che non praticano alcuna attività fisica, rispetto al 36,6 per cento della media nazionale. A tale riguardo il 38,4 per cento della popolazione Campana è sovrappeso rispetto al 31,6 per cento della media nazionale. «Pertanto, il rafforzare e accelerare azioni finalizzate a prevenire il diabete e le sue complicanze, così come a contrastare la diffusione del sovrappeso e dell’obesità è fondamentale. In questo contesto l’urbanizzazione può rappresentare un pericoloso fattore di rischio, che favorisce lo sviluppo di diabete e obesità e peggiora gli esiti di queste patologie. In particolare, alcuni dati recenti dimostrano che il basso livello socioeconomico presente in alcune aree metropolitane può favorire la comparsa del diabete: questo dovrebbe essere motivo di attenta riflessione nelle politiche sanitarie per assicurare un reale miglioramento dello stato di benessere della collettività», dichiara Pietro Buono, Dirigente Struttura Supporto Tecnico Operativo Direzione Generale Salute, Regione Campania.
SALUTE E AMBIENTE
«La Campania ha il tasso di mortalità per diabete più alto d’Italia, 5,3 decessi per 10.000 abitanti, a Napoli in particolare il tasso è del 4,9 per 10.000 abitanti. È necessario uno sforzo congiunto che promuova la consapevolezza del valore della salute pubblica per prevenire i rischi per la salute delle nostre comunità», commenta Katherine Esposito, Presidente Comitato Scientifico Cities Changing Diabetes Napoli, Health City Institute. «Oggi è centrale il rapporto tra salute e ambiente, l’aumento dell’incidenza di malattie non trasmissibili come il diabete e obesità, è da attribuire ai maggiori livelli di urbanizzazione, invecchiamento delle popolazioni, stili di vita sedentari e diete alimentari non salutari. Per assicurare che la salute sia presente in tutte le politiche e per garantire città più sostenibili, più vivibili e più salutari, serve un impegno comune tra amministratori locali, Sindaci, Regioni, Parlamento e Governo». Napoli è la terza città metropolitana d’Italia per popolazione, con più di tre milioni di abitanti, ed è senz’altro una delle realtà più complesse in relazione al fenomeno di sovraffollamento che ha creato un forte squilibrio demografico con inevitabili ripercussioni sulla qualità di vita. «A seguito dell’emergenza sanitaria degli ultimi due anni, spiega Annamaria Colao, Presidente Comitato Esecutivo Cities Changing Diabetes Napoli, Health City Institute – non è più possibile trascurare il ruolo delle città nel determinare la salute della popolazione. È emersa, infatti, la necessità di ripensare la pianificazione urbana per favorire un nuovo modo di vivere città, centri, periferie, rimodulando densificazione dei territori e impedendo che siano proprio le città la principale criticità nella diffusione della pandemia. Occorre intervenire sui contesti e gli ambienti di vita urbani con strategie in grado di orientare le scelte nella direzione di un maggior guadagno di salute, considerando la centralità della persona, i suoi diritti, le sue scelte, il suo contesto di vita e rafforzando il ruolo di regioni ed enti territoriali al fine di intraprendere politiche più efficaci che offrano ai cittadini più strutture e opportunità».
Scompenso cardiaco: camper AISC riparte per il ‘prevention tour’ Lazio
News PresaIl camper dell’Associazione Italiana Scompensati Cardiaci è pronto ad accendere i motori per il Progetto consultorio / ambulatorio mobile Camper AISC APS. Un Prevention Tour che nelle prossime settimane attraverserà la regione. Circa 20 ospedali del Lazio parteciperanno all’iniziativa dell’Associazione che porta la prevenzione a casa dei cittadini. Il progetto è stato possibile grazie ai fondi del Bando Comunità Solidali 2020 della Regione Lazio con risorse statali del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali. Prima tappa con relativo ‘varo’ dell’iniziativa il 2 aprile prossimo di fronte alla Clinica Villa Betania di Roma dalle 9:00 alle 15:00 e proseguirà nei giorni successivi nei nosocomi romani Sandro Pertini, Sant’Eugenio, per poi andare al Policlinico Gemelli e al Policlinico Umberto I, sino a toccare i capoluoghi di provincia: Frosinone, Latina, Viterbo e Rieti. Tappe che potranno essere seguite sui social network dell’associazione e sul sito www.associazioneaisc.org. “Siamo convinti che le strategie di prevenzione debbano intercettare e raggiungere le persone nei luoghi di vita quotidiana: piazze, mercati, centri commerciali. Ogni occasione è buona per parlare di stili di vita e con le persone. In questo caso i sanitari, medici e infermieri delle strutture che hanno aderito al Progetto usciranno dalle loro strutture per incontrare, passanti, pazienti, accompagnatori. Il camper AISC riconoscibile dal logo rosso sarà infatti localizzato all’esterno degli ospedali per offrire gratuitamente test preliminari alla diagnosi di scompenso, consigli e materiale informativo” racconta il Professor Salvatore Di Somma, Specialista in Cardiologia e Direttore Scientifico dell’Associazione.
Lo scompenso cardiaco, noto anche come ‘insufficienza cardiaca’ è ancora relativamente conosciuto, eppure è la terza causa di ricovero negli over 65 e la terza causa di morte del mondo. “Questo disturbo in cui il cuore non pompa sangue a sufficienza e sì manifesta con sintomi sfumati come l’affaticamento, la mancanza di fiato dopo sforzi anche lievi e gonfiori agli arti, ha un andamento progressivo e ingravescente ma è meno ‘spaventoso’ del collega infarto, che infatti è molto più noto. Le manifestazioni possono avere un percorso rapido verso l’insufficienza cardiaca acuta, oppure più gradualmente, nell’arco di settimane o mesi (insufficienza cardiaca cronica) che tende a ritardare la diagnosi e il trattamento” prosegue il Professor Di Somma. “Con il Prevention Tour vogliamo parlare anche alle donne, il genere di solito meno considerato quando sì parla di salute cardiaca, ma che in questo caso sono più colpite dallo scompenso in misura di 2 a 1” sottolinea la Dottoressa Maria Rosaria Di Somma, Consigliere nazionale AISC “sul camper saranno presenti un medico e un infermiere per una visita durante la quale sarà anche possibile effettuare test relativamente al quadro lipidico e alla emoglobina glicata, fattori di rischio per le malattie cardiovascolari”. La prevalenza dello scompenso varia tra l’1% e il 12% nei paesi occidentali: se nel 2012 sì parlava di una media del 4,3% tra i 65 e i 70 anni, le stime per il 2030 parlano di un preoccupante 8,5%. Con una mortalità del 50% a 5 anni la malattia ha progenitori ‘eccellenti’ per la loro gravità: dalla cardiopatia coronarica all’infarto, dalle aritmie alla tossicità data dalle terapie chemioterapiche o all’abuso di alcol. Inoltre, l’insorgenza della malattia sembra diventare più precoce oltre a rappresentare un grosso ostacolo alla longevità della popolazione. Già nel 1997 lo scompenso era stato dichiarato una ‘epidemia emergente’ in un articolo apparso sul New England Journal of Medicine. Anche in questo caso fa la differenza la prevenzione, l’adozione di stili di vita corretti e il monitoraggio delle terapie.
Un integratore può aiutare contro la sarcopenia
AnzianiEsiste una malattia che si chiama sarcopenia e riguarda in prima battuta le persone più anziane. Si tratta di una patologia che può colpire anche i pazienti affetti da Covid 19 e in sostanza determina la tendenza dei muscoli a ridurre quantità e qualità della massa portando ad una compromissione l’abbassamento del livello di performance fisica. Per questa patologia è importante un recente studio clinico tutto partenopeo, grazie al quale si è scoperto che un integratore alimentare a base Arginina, Creatina, L-Carnitina, vitamine C ed E può aiutare a contrastare la malattia. Grazie a questo integratore, in particolare, è possibile prevenirla e anche favorire la risposta del sistema immunitario all’infezione. I ricercatori hanno evidenziato come grazie alla supplementazione di arginina si sia ridotto del 58% il numero di giorni di ventilazione nei pazienti ricoverati in terapia sub-intensiva e di quasi il 10% dei giorni di ospedalizzazione, aspetto di non secondaria importanza nella gestione economica e organizzativa di questo periodo. «La perdita progressiva di massa muscolare e la conseguente debolezza colpiscono oltre il 60% degli uomini e donne infettati dal Coronavirus – afferma il dottor Eduardo Pone, Responsabile del Dipartimento di Medicina d’Urgenza dell’Ospedale del Mare di Napoli -. Come hanno evidenziato diverse ricerche scientifiche questi sintomi si verificano di solito pochissimi giorni dopo l’inizio del ricovero ospedaliero. Non riguardano solo gli anziani ma anche i pazienti più “giovani” con meno di 40 anni. Si tratta di problematiche che presentano ripercussioni dirette sulla dinamica respiratoria e quindi sulle funzioni fisiologiche nel complesso. Da qui la necessità di aiutare i nostri muscoli a funzionare al meglio per poter poi risollevarsi a seguito degli insulti del virus. Possiamo farlo attraverso la assunzione giornaliera di un trattamento di agevole somministrazione e ben tollerato dall’organismo. Infatti, l’utilizzo di arginina, in associazione con gli altri principi attivi importanti dal punto di vista metabolico, energetico ed immunologico, quali la creatina, la L-carnitina e le vitamine C e E, consente di far assegnamento su numerose e diverse azioni sinergiche, ed in particolare sull’effetto anabolico e proenergetico sulla muscolatura striata, utile per migliorare le dinamiche respiratorie e per supportare l’endotelio nella produzione di ossido nitrico, a partire dal suo unico precursore, che è appunto l’arginina».
DEGENZE
Il team di medici ha ha condotto uno studio retrospettivo osservazionale su quaranta pazienti ricoverati in terapia sub-intensiva trattati con l’integratore, confrontando i dati con un gruppo di controllo di altrettanti malati. In particolare, grazie all’ecografia bedside è stata monitorata la massa muscolare del quadricipite e con un dinamometro la forza muscolare. Lo studio ha dimostrato una riduzione dell’ospedalizzazione in media di sette giorni. Diminuire il tempo di degenza in terapia sub-intensiva è molto importante per il singolo paziente nonché per il sistema sanitario nazionale in termini di costi di degenza ospedaliera. Una settimana in meno di dipendenza da un respiratore significa anche abbattere il rischio d’infezioni ospedaliere. C’è poi l’aspetto psicologico che non deve essere trascurato perché un malato, che vede tutti i giorni migliorare il benessere generale e la propria funzione muscolare-respiratoria, reagisce meglio alle cure. Ovviamente si tratta di un dato molto interessante e che può contribuire a migliorare gli esiti del Covid-19, anche se non si tratta ovviamente di una terapia salva vita. Argivit è composto da diverse sostanze che svolgono tutte un ruolo positivo e sinergico fra loro. È poi la dottoressa Carolina Bologna, specialista in Geriatria, Dirigente Medico presso l’UOC di Medicina Interna dell’Ospedale del Mare di Napoli a spiegare che «l’arginina non solo contribuisce a potenziare la massa muscolare ma è anche il precursore dell’ossido nitrico, potente vasodilatatore prodotto dall’endotelio e che consente anche un risparmio delle riserve metaboliche. Fondamentale è la adeguata supplementazione di Vitamina C, importante antiossidante, che è utile nelle infezioni, che causano un incremento sistemico nello stress ossidativo, contribuisce alla normale funzione del sistema immunitario, e infine favorisce la riduzione della sensazione di stanchezza e affaticamento. L’azione antiossidante è rinforzata anche dal Selenio e dalla Vitamina E e il nutraceutico fornisce anche un’integrazione di sali minerali fondamentali come potassio e magnesio e l’apporto di ferro. L’impatto è quindi multifattoriale e i benefici indotti non sono solo inerenti alla sarcopenia. Il nostro studio ha infatti dimostrato che il supporto nutrizionale con questo integratore a base di arginina è stato essenziale per il miglioramento delle prestazioni muscolari e respiratorie dei nostri pazienti. L’esperienza dimostra che il trattamento può iniziare nel momento del ricovero e deve poi proseguire nel periodo della convalescenza anche dopo le dimissioni. È sufficiente assumere una bustina al giorno dell’integratore».
Terapia genica per emofilia B: EMA avvia valutazione accelerata
Ricerca innovazioneL’Agenzia Europea dei Medicinali inizia la revisione del nuovo candidato per la terapia genica per persone con emofilia B, etranacogene dezaparvovec. La richiesta di autorizzazione all’immissione in commercio (MAA) verrà esaminata ai sensi della procedura di valutazione accelerata e potrebbe essere la prima terapia genica per pazienti con emofilia B. La presentazione della MAA è supportata dai dati dello studio di fase 3 HOPE-B che ha dimostrato un effetto terapeutico duraturo dopo un’unica infusione.
Una terapia genica per persone con emofilia B
L’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) ha accettato la richiesta di autorizzazione all’immissione in commercio (MAA) per etranacogene dezaparvovec (EtranaDez) ai sensi della sua procedura di valutazione accelerata. Lo ha annunciato oggi la stessa CSL Behring, azienda leader mondiale nel settore delle bioterapie che ne ha richiesto l’autorizzazione. Etranacogene dezaparvovec è una terapia genica sperimentale basata sul virus adeno-associato cinque (AAV5), somministrata come trattamento una tantum per i pazienti con emofilia B che presentano un fenotipoemorragico grave. Se approvato, etranacogene dezaparvovecoffrirà alle persone che convivono con l’emofilia B nell’Unione Europea (UE) e nello Spazio Economico Europeo (SEE) la prima opzione di trattamento con terapia genica che riduce significativamente il tasso di sanguinamenti annuali dopo un’unica infusione. La procedura di valutazione accelerata riduce potenzialmente la tempistica una volta che la MAA è stata accettata per la revisione ed è prevista per un medicinale quando, secondo le previsioni, la terapia rivestirà un interesse importante per la salute pubblica, specialmente in termini di innovazione terapeutica.
“Come primo candidato per la terapia genica per l’emofilia B, tale fondamentale tappa normativa segna un punto di svolta e porta CSL Behring un passo più vicina alla realizzazione della promessa di una terapia genica per la comunità dei pazienti con malattie emorragiche”, ha dichiarato Emmanuelle Lecomte Brisset, Head of Global Regulatory Affairs presso CSL Behring. “Siamo impazienti di collaborare con le autorità regolatorie per offrire il potenziale trasformativo della terapia genica alle persone con tale condizione debilitante che dura tutta la vita”.
La MAA è supportata dai risultati positivi dello studio registrativo HOPE-B, ad oggi il più vasto sulla terapia genica nell’emofilia B. I pazienti con emofilia B classificati con un fenotipo emorragico grave trattati con etranacogene dezaparvovec hanno dimostrato una riduzione del tasso di sanguinamento annualizzato (ABR) del 64%. Si è, inoltre,dimostrata superiorità rispetto al trattamento con regime di profilassi a 18 mesi post-trattamento rispetto a un periodo di run–in di 6 mesi. Inoltre, sono stati osservati aumenti stabili e duraturi dei livelli medi di attività del Fattore IX (FIX). Etranacogene dezaparvovec è stato progettato specificamente per rendere possibile una capacità di coagulazione sanguigna quasi normale, prendendo di mira la causa sottostante alla condizione: un gene F9 difettoso che causa una carenza del Fattore IX (FIX) della coagulazione.
“L’accettazione di etranacogene dezaparvovec per la revisione da parte dell’EMA promuove la nostra incessante ricerca per migliorare la vita e il benessere di coloro che convivono con l’emofilia B e altre rare e severe patologie”, ha dichiarato Bill Mezzanotte, Executive Vice President, Head of R&D e Chief Medical Officer per CSL Limited. “Siamo orgogliosi di collaborare con uniQure, per un tale avanzamento scientifico che ha l’obiettivo di rendere l’emofilia B una parte secondaria della vita di un paziente invece che una preoccupazione costante”.
Lo sviluppo clinico pluriennale è stato guidato da uniQure (Nasdaq: QURE), mentre le responsabilità dello sviluppo sono state trasferite a CSL Behring dopo la sua acquisizione dei diritti globali per la commercializzazione di etranacogene dezaparvovec.
L’emofilia B
L’emofilia B è una malattia degenerativa potenzialmente letale. Le persone con questa condizione sono particolarmente vulnerabili alle emorragie nelle articolazioni, nei muscoli e negli organi interni, che portano a dolore, gonfiore e danni articolari. Il trattamento attuale include infusioni profilattiche per tutta la vita di Fattore IX per sostituire temporaneamente o integrare bassi livelli di tale fattore di coagulazione del sangue.
La terapia genica nell’emofilia B
La terapia genica ha il potenziale per rendere funzionalmente curabile l’emofilia B. La terapia genica raggiunge questo obiettivo con virus non infettivi modificati chiamati “vettori” che possono entrare in determinate cellule. I vettori trasportano istruzioni genetiche a cellule specifiche. Una volta consegnate, le nuove istruzioni genetiche consentono all’impianto cellulare di produrre i propri livelli stabili di FIX. Un certo tipo di vettore, chiamato virus adeno-associato o AAV, si dissolve dopo aver consegnato le sue istruzioni genetiche. Tali istruzioni genetiche rimangono nelle cellule obiettivo, ma non diventano mai effettivamente una parte del DNA di una persona.
Etranacogene dezaparvovec
Etranacogene dezaparvovec (noto anche come CSL222, già noto come AMT-061) utilizza un tipo specifico di AAV, chiamato AAV5, come vettore. Il vettore AAV5 trasporta la variante Padova del gene del Fattore IX (FIX-Padova), che genera proteine FIX che lavorano 5-8 volte più del normale. I dati preclinici e clinici mostrano che le terapie geniche basate su AAV5 possono essere clinicamente efficaci nel 95% dei pazienti con emofilia B con anticorpi preesistenti ai vettori AAV, aumentando così potenzialmente l’ammissibilità del paziente al trattamento rispetto ad altri prodotti candidati per la terapia genica con AAV.
Lo studio pilota HOPE-B
Lo studio pilota di Fase III HOPE-B è uno studio a braccio singolo, in aperto e multinazionale, per la valutazione della sicurezza e dell’efficacia di etranacogene dezaparvovec. Cinquantaquattro pazienti adulti con emofilia B che sono stati classificati come appartenenti a un fenotipo di sanguinamento grave e e che richiedevano una terapia sostitutiva profilattica con FIX sono stati arruolati per un periodo di osservazione di sei mesi, durante il quale hanno proseguito l’attuale terapia standard per stabilire il tasso di sanguinamento annuale (ABR) al basale. Dopo la fase di lead di sei mesi, i pazienti hanno ricevuto un’unica somministrazione intravenosa di etranacogene dezaparvovec a un dosaggio di 2×10^13 gc/kg. I pazienti non sono stati esclusi dallo studio sulla base di anticorpi neutralizzanti preesistenti (NAB) all’AAV5. In totale 54 pazienti hanno ricevuto un’unica dose di etranacogene dezaparvovec, con 53 pazienti che hanno completato almeno 18 mesi di follow-up. L’endpoint primario dello studio registrativo HOPE-B era l’ABR a 52 settimane dopo il raggiungimento di un’espressione di FIX stabile rispetto alla fase di lead–in di sei mesi. Per tale endpoint, l’ABR è stato misurato dal mese sette al mese 18 dopo l’infusione, assicurandosi che il periodo di osservazione rappresentasse un’espressione FIX transgenica in stato stazionario. Gli endpoint secondari includevano la valutazione dell’attività FIX e della superiorità statistica dell’ABR dopo il dosaggio.
I risultati dello studio HOPE-B hanno dimostrato che etranacogene dezaparvovec ha prodotto un’attività FIX elevata e costante nel tempo post-infusione. Dopo la fase di lead di sei mesi, post-infusione il tasso annualizzato di sanguinamento (ABR) aggiustato per tutti i sanguinamenti si è ridottosignificativamente così come tutti i sanguinamenti trattati con FIX nel corso dei mesi da sette a 18. Inoltre, il 98 percento dei soggetti trattati con una dose completa di etranacogene dezaparvovec ha interrotto il ricorso alla profilassi, con unaimportante riduzione del consumo medio.
Etranacogene dezaparvovec è stato generalmente ben tollerato con la maggior parte degli eventi avversi (80,4 percento) considerata lieve. Un decesso causato da urosepsi e shock cardiogeno in un paziente di 77 anni a 65 settimane dopo l’assunzione della dose non è stato considerato correlato al trattamento dagli sperimentatori e dalla società sponsor.Un evento avverso grave diepatocarcinoma non è stato correlato al trattamento con etranacogene dezaparvovec mediante una caratterizzazione molecolare indipendente del tumore e un’analisi dell’integrazione vettoriale. Non sono stati riportati inibitori contro il Fattore IX.