Tempo di lettura: 3 minutiChatGPT fa parlare di sé da mesi. Il modello linguistico basato sull’intelligenza artificiale fa analisi, previsioni, stringhe di codice, elabora saggi su qualsiasi tema e compone poesie. Com’era prevedibile, anche Google ha presentato il suo software con cui è possibile interagire attraverso il linguaggio naturale.
Tuttavia, l’intelligenza artificiale progredisce anche nel campo scientifico e probabilmente sarà proprio questo campo a dare i risultati più entusiasmanti nel medio lungo periodo. Servirà molto tempo per produrre ottimi risultati, senza rischi. Tuttavia, secondo gli esperti, gli sviluppi legati al tentativo di emulare il cervello umano sarebbero addirittura quelli meno interessanti. Uno dei campi più promettenti dell’ AI (Artificial Intelligence) sarebbe invece quello della diagnostica. Un software di intelligenza artificiale potrebbe ad esempio individuare un tumore su una lastra con molti anni di anticipo. Negli Stati Uniti questo sta già avvenendo, tant’è che un’importante ricerca pubblicata su varie riviste scientifiche legate al Mit, l’Università scientifica più importante al mondo, lo ha messo nero su bianco. Un software che si chiama Sibyl, sarebbe in grado, secondo gli scienziati, di individuare i tumori, ai polmoni in particolare, sulle lastre con anni di anticipo. Sebbene si tratti di sperimentazioni, e servirà ancora molto tempo per renderle sicure e affidabili, la strada è già tracciata.
I modelli di cui parliamo di intelligenza artificiale applicati alla scienza sono sempre algoritmi, quindi il modello di base è lo stesso, ma sono sviluppati per finalità totalmente diverse. In particolare potrebbero essere preziosi per il calcolo matematico. In altre parole, è da settori come biologia e farmacologia che ci sì aspetta le novità positive più importanti grazie all’intelligenza artificiale. Infatti, si stanno già sperimentando anche software in grado di capire in maniera precisa il potenziale di alcune molecole.
Ciò non significa ce potremo fare a meno degli scienziati, ma l’intelligenza artificiale potrà diventare uno strumento per accorciare la strada ad esempio in una prima fase, in cui la capacità di calcolo è molto importante. Successivamente interviene comunque l’esperienza e la creatività dell’essere umano
Intelligenza Artificiale e “predizione”, quali promesse
L’Intelligenza Artificiale sta entrando rapidamente nel mondo medico, specie nella diagnostica per immagini. Nel prossimo futuro potrà supportare lo specialista nelle decisioni e cambiare i percorsi diagnostici e terapeutici. Si accumulano le prove di affidabilità, ma ancora non sono sufficienti a scongiurare i possibili rischi. Alla base è necessaria la validazione scientifica e il controllo sui dati processati dai sistemi, per proteggere la privacy e non solo. Infatti, uno sviluppo incontrollato e non governato dell’AI porterebbe risvolti negativi.
AI e diagnostica sono strettamente connessi al concetto di “predizione”. Questa è una delle sue migliori promesse. L’Intelligenza Artificiale è infatti in grado di creare dei veri e propri ‘modelli predittivi’ matematici, capaci di identificare precocemente gli esordi di una malattia, anticipandone l’insorgenza.
Ad oggi sono molti gli esempi. In uno studio, nel campo della identificazione di tumori polmonari, gli algoritmi di machine learning (sistemi che apprendono o migliorano le performance in base ai dati utilizzati) istruiti attraverso la scansione di oltre 34mila radiografie toraciche, hanno raggiunto un livello di accuratezza superiore a 17 su 18 radiologi usati come confronto. Anche nell’identificazione dei tumori della mammella ci sono stati risultati incoraggianti. Ad esempio, un sistema di AI ha portato a una riduzione assoluta del 5,7% negli Stati Uniti e 1,2% nel Regno Unito nei falsi positivi e rispettivamente del 9,4% e 2,7% nei falsi negativi. Non solo, nel confronto con l’operato di 6 radiologi, ha dimostrato un aumento dell‘11,5% della sensibilità.
In campo dermatologico, un’analisi su quasi 130mila immagini, ha dimostrato l’affidabilità di un sistema di machine learning nell’identificazione di carcinoma e di melanoma. La sensibilità è stata rispettivamente del 96% e del 94%, assolutamente sovrapponibili a quelle di 21 dermatologi americani certificati.
Insomma il sistema sembra funzionare, ma gli esperti sono prudenti. Difatti, esistono anche alcune revisioni sistematiche e meta-analisi che ne mettono in discussione validità scientifica e metodologia impiegata. Inoltre, sussiste il problema della scarsa collaborazione tra clinici e sviluppatori di sistemi di AI. Per esempio, da una revisione sistematica degli studi di imaging polmonare assistito dall’AI per Covid-19 è emersa una discrepanza tra ciò su cui si focalizzano gli sviluppatori e quello di cui i medici hanno bisogno.
Già lo scorso anno, il Consiglio Superiore di Sanità – Sezione V del ministero della Salute ha stilato un documento “I sistemi di intelligenza artificiale come strumento di supporto alla diagnostica”. L’obiettivo è rendere il nostro Paese competitivo a livello internazionale nella programmazione e nello sviluppo dei sistemi di AI.
Tunnel carpale per un italiano su dieci. Covid fattore di rischio
Benessere, Medicina funzionale, News PresaSi stima che un italiano su dieci sia colpito dalla sindrome del tunnel carpale. Quando le terapie non bastano è necessario l’intervento chirurgico. I fattori di rischio sono molti, tra cui le malattie rare, ma anche il Covid-19. La conclusione è stata elaborata dagli scienziati del campus di Roma dell’Università Cattolica e Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS. I risultati dello studio sono stati pubblicati su The Lancet Neurology.
Tunnel carpale, i sintomi
Il tunnel carpale è un problema diffuso. Secondo le stime interessa circa una persona su dieci nel corso della vita. Si tratta della più comune neuropatia da intrappolamento e ha un impatto notevole in termini di costi sul SSN.
Provoca una sofferenza del nervo mediano a livello del suo passaggio nel tunnel carpale, cioè al polso. A seguito di traumi o infiammazioni può aumentare la pressione all’interno di questa struttura anatomica, fino a provocare un danno del nervo. La patologia provoca spesso sintomi notturni, con parestesie e dolore alla mano e possibile irradiazione prossimale, ovvero all’avambraccio ed al braccio.
Con il tempo i sintomi compaiono anche di giorno, spesso dopo un uso prolungato della mano e talvolta con una localizzazione delle parestesie alle prime tre dita. Nei casi più gravi avviene una perdita di sensibilità e deficit di forza della mano. Per quanto non ci siano dati certi in merito, è probabile che un eventuale aumento dei casi si registri in specifiche popolazioni di individui, per esempio nei soggetti più anziani o in chi soffre di alcune malattie rare. Secondo alcuni studi spesso si rende necessario il trattamento chirurgico.
Tra i fattori di rischio anche lo smartphone
La patologia colpisce maggiormente le persone tra i 50 e i 54 anni di età, e tra i 75 e gli 84 anni. Nei più anziani la disabilità degli arti superiori potrebbe persistere anche dopo la decompressione chirurgica. Inoltre, tra le donne, la terapia ormonale sostitutiva assunta dopo la menopausa ha un effetto protettivo nella prevenzione, con una riduzione del rischio del 22%. Alcune condizioni genetiche, che portano allo sviluppo di malattie rare, aumentano il rischio di sindrome del tunnel carpale.
Il team di studiosi che ha fatto il punto sulla patologia è stato diretto dal professor Luca Padua, Associato in Medicina Fisica e Riabilitativa alla Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica e Direttore della UOC di Neuroriabilitazione ad Alta Intensità della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS.
«Anche il Covid-19 può contribuire all’insorgere di questa sindrome – sottolinea il professor Padua – secondo due casi clinici che sono stati descritti da un gruppo di ricerca italiano (Università di Modena e Reggio Emilia, e pubblicati su Medical Hypotheses). Il meccanismo ipotizzato è quello di una reazione infiammatoria delle cartilagini scatenata dal virus, con conseguente compressione del nervo mediano al livello del polso.
Tuttavia, si tratta al momento di un dato troppo esiguo per poter affermare che esista una relazione causale tra Covid-19 e sindrome del tunnel carpale. Le evidenze scientifiche disponibili non hanno definito con sicurezza se l’uso prolungato delle tecnologie rappresenti un fattore di rischio per sindrome del tunnel carpale. È verosimile tuttavia che l’utilizzo prolungato di device come lo smartphone possa predisporre alla sindrome del tunnel carpale, come dimostrato in alcuni recenti studi su piccole popolazioni».
L’arcivescovo Battaglia in vista ai pazienti del Cardarelli, poi la benedizione del pronto soccorso
News PresaDa Monsignor Domenico Battaglia, arcivescovo di Napoli, un messaggio di conforto e di speranza per i pazienti ricoverati al Cardarelli di Napoli. Monsignor Battaglia ha infatti visitato oggi l’ospedale Cardarelli, portando la propria benedizione nei nuovi locali del pronto soccorso, visitando gli ammalati ricoverati nei reparti di Oncologia ed Oncoematologia e celebrando la Santa Messa. La visita era stata programmata dall’Azienda Cardarelli, dalla Curia e dalla Cappellania nell’ambito delle celebrazioni per la XXIII Giornata mondiale del malato, istituita nel 1992 da Papa Giovanni Paolo II.
PUNTO DI RIFERIMENTO
«Ringraziamo Monsignor Battaglia – dice il direttore generale Antonio d’Amore – per la sua presenza di oggi nel nostro ospedale. Il saluto che ci ha voluto portare in questa giornata è un gesto importante per i pazienti e per tutti i nostri operatori e ci incoraggia nel percorso di rinnovamento e valorizzazione delle competenze che abbiamo avviato. Il Cardarelli è un punto di riferimento insostituibile nell’ambito dell’assistenza sanitaria della nostra regione; ringrazio tutto il personale dell’ospedale per l’impegno, la professionalità e la disponibilità con cui prestano il proprio lavoro».
LA VISITA
La visita di Monsignor Battaglia ha avuto inizio dalla zona di accesso al pubblico del Dipartimento di Emergenza ed Urgenza, edificio presso cui sono allocati i reparti dedicati alla gestione della prima urgenza. Al suo arrivo Monsignor Battaglia è stato accolto dal direttore generale Antonio d’Amore, dal direttore sanitario Gaetano d’Onofrio, dal direttore amministrativo Marcella Abbate, oltre che dai primari del Dipartimento di Emergenza. Successivamente l’Arcivescovo di Napoli ha portato la propria benedizione ai rinnovati ambienti del Pronto Soccorso e al personale del reparto. Prima della Santa Messa Monsignor Battaglia si è recato presso il Padiglione Palermo dove, accompagnato dai primari della struttura, ha fatto visita agli ammalati dei reparti di Oncoematologia ed Oncologia. La giornata si è conclusa nel Salone Moriello, dove, alla presenza di tutti i primari e del personale dell’ospedale, si è svolta la Santa Messa accompagnata dal coro degli allievi della Scuola Infermieri.
Ecco i tre piatti della salute, perfetti per combattere influenza e virus.
Alimentazione, Benessere, Stili di vitaTRE PIATTI DELLA SALUTE
Anche l’alimentazione può essere una valida alleata contro influenza, tosse e raffreddore. In particolare, un regime alimentare sano ed equilibrato dovrebbe sempre prevedere il giusto apporto di minerali e vitamine e non devono mai mancare le proteine. La nutrizionista Elisabetta Bernardi ha presentato quelli che potrebbero essere definiti “i tre patti antinfluenzali” per eccellenza, tutti con il giusto apporto di nutrienti e di proteine.
ANTICORPI
La nutrizionista spiega che le proteine forniscono i mattoni per costruire anticorpi e cellule del sistema immunitario, svolgendo così un ruolo importante nella guarigione e nel recupero. Se carne, pesce, uova, latte e derivati, yogurt e formaggi sono fonti proteiche di origine animale, quelle di origine vegetale, che forniscono comunque un certo apporto di proteine benché di minore qualità, sono legumi e frutta a guscio.
IN TAVOLA
La carne, spiega la nutrizionist, assicura un’ottima quantità di proteine di alto valore biologico, ma taurina e creatina, abbondanti nella carne rossa, svolgono un ruolo importante nell’inibire lo stress ossidativo e l’infiammazione, migliorando le cellule del sistema immunitario”. Il primo dei tre piatti che la nutrizionista consiglia è il brodo di carne o di pollo: è un potente idratante, con un vero e proprio potere curativo grazie a una serie di sostanze tra cui un meccanismo antinfiammatorio che contribuisce ad alleviare i sintomi dell’influenza e delle infezioni del tratto respiratorio. Ottimo poi lo zabaione, vero e proprio “comfort food”, dove l’uovo è ricco di vitamine del gruppo B, ha circa 7 g di proteine, oltre a contenere sali minerali, tra cui il fosforo e il ferro e una buona fonte di zinco, essenziale per il buon funzionamento del sistema immunitario. La stracciatella in brodo, infine, per Bernardi è sovrana indiscussa di tutti i pasti febbrili, un piatto davvero veloce, semplicissimo da preparare e molto nutriente, un vero rimedio casalingo contro i sintomi dell’influenza.
Crioconservazione, non solo per le pazienti oncologiche. Parla l’esperta
Benessere, News Presa, One healthPer preservazione della fertilità si intende una procedura che permette, tramite una stimolazione ovarica, di recuperare ovociti da crioconservare ed utilizzare per ottenere una gravidanza successivamente. Sebbene sia pensato spesso per le pazienti oncologiche, in realtà è un trattamento che possono fare diverse categorie di pazienti. Ne ha parlato la Dott.ssa Maria Rita Rampini Specialista in Ostetricia e Ginecologia, esperta in diagnosi e terapia dell’infertilità.
La preservazione della fertilità, tramite congelamento ovocitario, può essere rivolta, in primo luogo, “alle pazienti oncologiche, ovvero: tutte le donne in età ancora fertile che sono colpite da tumori che richiedono un trattamento chemioterapico. Sappiamo che la maggior parte dei chemioterapici può danneggiare in maniera permanente la capacità dell’ovaio di “lavorare”, cioè di produrre ovociti.
Nel lasso di tempo tra la diagnosi, la chirurgia e l’inizio della chemioterapia, si può prevedere una stimolazione ovarica con protocolli adeguati e il prelievo di ovociti da crioconservare. Questo permetterà alle donne, una volta guarite dal tumore, di poter essere madri. Molte evidenze ormai dimostrano che la stimolazione controllata non varia l’andamento del tumore”.
”Altra categoria di donne candidate a crioconservare ovociti – prosegue la specialista – sono le donne che hanno una diagnosi di malattie che può peggiorare nel tempo, diminuendo la riserva ovarica. Prima fra tutte l’endometriosi, patologia che colpisce le giovani donne e che può, nel tempo, ridurre la riserva e la qualità degli ovociti”.
Infine, “oggi si sta diffondendo la richiesta di preservazione della fertilità da parte di giovani donne. Le esigenze sociali, di studio, lavorative, portano le donne a ricercare la gravidanza in età in cui la fertilità è nettamente diminuita”. La fertilità diminuisce soprattutto dopo i 35 anni, spiega la dottoressa. Inoltre, “spesso le giovani donne non hanno una situazione di coppia stabile per pianificare una gravidanza. Da questo deriva la scelta di crioconservare ovociti in una età in cui il numero e la qualità è ancora alta per poterli utilizzare in caso di necessità successivamente. Questo significa che è fondamentale, se si pensa di crioconservare, farlo in giovane età”. In generale, “la riserva ovarica, la capacità di produrre ovociti competenti varia da donna a donna, quindi è sempre fondamentale testarla prima di procedere”.
“Nel nostro Paese – prosegue la specialista – ancora non è una pratica diffusa, questo è probabilmente dovuta alla scarsissima informazione: i giovani non vengono informati sulla loro fertilità, non sanno come preservarla e come cambia nel tempo. Fortunatamente, anche da noi, questa pratica si sta iniziando a diffondere. In altri paesi è già molto diffusa, ad esempio in Francia si può fare con il sistema sanitario pubblico. Negli Stati Uniti alcune grandi società come Apple addirittura lo pagano alle loro manager in carriera per incentivarle a posticipare la gravidanze”.
Crioconservazione, come funziona
“La preservazione della fertilità prevede una stimolazione ormonale cioè l’utilizzo di ormoni che stimolano le ovaie a produrre un certo numero di ovociti. Il prelevo ovocitario avviene in sedazione ed ha una durata di 10-15 minuti. La paziente rimane alcune ore in ambiente protetto e poi va tranquillamente a casa. In genere è sufficiente solo un giorno di riposo. È importante rivolgersi sempre a specialisti esperti in terapia della fecondazione in vitro. Se si assumono contraccettivi bisogna sospenderli, ma si possono riprendere appena finito il trattamento”.
Per quanto riguarda l’età entro cui è possibile utilizzare gli ovociti crioconservati, “non c’è un limite stabilito. Inoltre, una donna che decide di avere una gravidanza, pur avendo ovociti crioconservati, può provare prima naturalmente. Qualora non si utilizzassero tutti, sarebbe possibile donarli. Oggi con l’apertura che dal 2014 è stata fatta sull’eterologa è possibile renderli disponibili per una donazione, nel rispetto di determinati parametri”.
La specialista sottolinea l’importanza di essere informati, soprattutto sulla prevenzione. “La fertilità è un bene prezioso anche se a vent’anni non si percepisce. Innanzitutto va preservata attraverso uno stile di vita sano: caratterizzato da: peso equilibrato, assenza di fumo, riduzione dell’alcol e controlli regolari presso il proprio ginecologo per diagnosticare eventuali infezioni vaginali o altre patologie.
La possibilità di crioconservare ovociti è un’opportunità, magari a vent’anni è un po’ presto. Tuttavia, anche se non si pensa ancora ad una gravidanza, consiglio alle giovani donne di verificare almeno lo stato della propria riserva ovarica con la propria ginecologa di riferimento, per valutare l’eventuale necessità ed opportunità di ricorrere a questa tecnica”.
Chirurgia robotica, in Puglia arriva un nuovo robot
Benessere, News Presa, One health, Ricerca innovazioneUn nuovo robot chirurgico è in dotazione all’Ospedale “F. Miulli” di Acquaviva delle Fonti. Il sistema Hugo™️ di chirurgia robot-assistita è stato messo a punto da Medtronic, azienda di HealthCare Technology. Sarà di supporto non solo ai chirurghi, ma soprattutto ai pazienti, con minori danni ai tessuti, riduzione del dolore, riduzione della perdita di sangue, ferite più piccole anche per gli interventi più complessi e periodo di degenza ridotto con dimissioni più rapide.
Questo sistema di chirurgia fornisce inoltre al chirurgo una visione durante la fase operatoria, fino a otto volte maggiore rispetto all’occhio nudo. Gli schermi ad alta definizione consentono al personale di operare con un livello di precisione molto più alto rispetto agli interventi con tecniche tradizionali.
L’evoluzione dei robot in chirurgia
Il Miulli è stato uno dei primi centri in Italia a occuparsi dell’evoluzione della chirurgia mininvasiva già dalla metà degli anni ‘90. In quegli anni nell’ospedale di Acquaviva arrivava infatti il primo robot con endoscopio, attivabile con comandi dalla voce e bracci mossi dal medico a distanza. Elemento determinante dell’attività in sala operatoria resta infatti il chirurgo, che non opera con le proprie mani bensì manovrando il robot attraverso una console computerizzata. Tale modalità di lavoro si perfeziona infatti nel 1999, con un sistema computerizzato che trasmette istantaneamente il movimento delle mani alle braccia robotiche, ove vengono fissati i vari strumenti chirurgici sofisticati.
«L’ospedale Miulli è da sempre un ospedale all’avanguardia – dichiara Mons. Domenico Laddaga, Delegato del Vescovo – poiché in grado di coniugare la tradizione nell’attenzione al paziente e nell’investimento verso le più ardite forme tecnologiche. Il nostro Ente è fra i primi nell’Italia meridionale ad aver implementato la chirurgia robotica all’interno di un programma multidisciplinare, sempre attento alle esigenze della scienza e le esigenze delle persone».
L’utilizzo del robot ha aumentato la qualità di vita dei pazienti oncologici, grazie a una minore degenza e a un più celere ritorno alle abituali attività. L’utilizzo del sistema Hugo™️ è già stato implementato al Miulli sia con i primi interventi in campo ginecologico sia con i successivi nel settore urologico e ben presto verrà inserito nella chirurgia epatobiliare e pancreatica.
«La chirurgia robotica è quasi imprescindibile», spiega il dott. Vitangelo Dattoli, Direttore Sanitario del Miulli. «Interventi chirurgici che tempo fa venivano realizzati con modalità alternative, da decenni nel nostro ospedale sono stati trattati con la chirurgia robotica, che ha travalicato i vecchi settori. Si è iniziato dall’urologia e ben presto sono state aggiunte la chirurgia generale e quella ginecologica. Accanto alla nuova tecnologia robotica si è anche sviluppata una particolare attenzione gestionale, con riduzione dei costi e aumento della velocità, dell’efficacia e della versatilità. Hugo™️ di Medtronic si aggiunge dunque al parterre dei robot a disposizione del Miulli e ci darà anche la possibilità di coniugare gli obiettivi di trasformazione in Policlinico Universitario. Grazie a Hugo verrà quindi effettuata anche l’attività didattica e pratica nei confronti dei futuri chirurghi, i quali non possono prescindere dal conoscere anche la robotica».
“L’arrivo del sistema di chirurgia robot-assistita Hugo™️ – interviene Paola Pirotta, AD di Medtronic Italia – segna una nuova era della chirurgia robotica, che rende la tecnologia per la salute più democratica perché accessibile a sempre più persone”.
L’Ospedale Generale Regionale Francesco Miulli di Acquaviva delle Fonti entra dunque a far parte di un gruppo di istituti pionieristici, tra i primi in Europa a partecipare al programma Partners in Possibility di Medtronic e tra i primi al mondo ad utilizzare il sistema Hugo e a contribuire al registro globale dei pazienti.
Un fumetto per far conoscere il “Il Paese delle Rarità”.
News BreviLe malattie rare diventano un fumetto grazie al progetto “Il Paese delle Rarità”, nato per far conoscere a bambini e ragazzi il mondo delle malattie rare e diffondere un messaggio di inclusione e di speranza. Il fumetto racconta la storia di un padre e di un figlio alla scoperta di un luogo dove la rarità è considerata un prezioso superpotere di cui prendersi cura. Presentato in Regione Campania nel corso di un evento per le celebrazioni della Giornata Mondiale delle Malattie Rare del prossimo 28 febbraio, il fumetto è stato realizzato dal Centro di coordinamento Malattie rare della Regione Campania – attivo presso l’Azienda ospedaliera dei Colli di Napoli sotto la guida del professor Giuseppe Limongelli, con il supporto di Chiesi Global Rare Diseases.
TANTI PICCOLI UNIVERSI
Una malattia è definita rara quando colpisce meno di 1 persona su 2.000. Ma rare non significa poche: oggi si contano tra le 7.000 e le 8.000 patologie rare, che nel loro insieme interessano oltre 2 milioni di persone in Italia e 30 milioni in Europa. Nell’80% dei casi, queste malattie hanno una base genetica e si manifestano alla nascita o nella prima infanzia. In Campania, secondo il Registro Regionale Malattie Rare, sono circa 30.000 i pazienti certificati. Per molti pazienti la diagnosi resta un processo complesso, a causa dalla varietà di manifestazioni cliniche e sintomi che ognuna di queste patologie può avere. Una maggiore conoscenza può consentire diagnosi precoci e interventi più mirati, e aiutare i pazienti a uscire dall’isolamento che la malattia porta con sé, facendo sentire “diverso” chi ne è colpito.
DOTTORARI
È questo il senso de “Il Paese delle Rarità”, un luogo fantastico dove tutto è raro e prezioso, dove il piccolo paziente protagonista del racconto si trasforma in un supereroe, circondato da tanti amici, ognuno con un diverso superpotere, e da una équipe di “dottorari” che porta avanti una missione importante: aiutare i supereroi a gestire al meglio i loro superpoteri. Il viaggio dei due protagonisti, che incontra l’immaginario dei bambini attraverso il linguaggio del fumetto, altro non è che il percorso che compiono i pazienti per ottenere una diagnosi e, laddove possibile, una cura, grazie al lavoro prezioso del Centro di Coordinamento Malattie Rare. «Questo progetto è nato con l’obiettivo di sensibilizzare bambini e ragazzi sui temi legati alle malattie rare, utilizzando la leggerezza e la creatività del fumetto per raccontare il valore dell’unicità e promuovere l’importanza dell’accoglienza», spiega Limongelli, direttore del Centro di Coordinamento Malattie Rare della Regione Campania.
Infiammazioni di tipo 2: nuovo speciale PreSa
Prevenzione, SpecialiCi sono patologie che pesano come macigni sulla vita delle persone che ne sono affette, patologie che hanno una sorta di “legame segreto” tra loro. L’asma grave, la poliposi nasale, l’esofagite eosinofila e la dermatite atopica, sono tutte malattie legate a quella che gli esperti chiamano “infiammazione di tipo 2”. Fare informazione su queste patologie, spiegare in modo chiaro e il più possibile semplice quali sono i campanelli d’allarme e come muovere i primi passi verso una diagnosi, significa aiutare centinaia di migliaia di persone a migliorare la propria qualità di vita.
Per questo il network editoriale PreSa Prevenzione Salute ha scelto di dedicare uno speciale proprio al tema dell’infiammazione di tipo 2, avvalendosi del supporto dei maggiori esperti nazionali, ciascuno per la propria specializzazione. In particolare, il dottor Vito Di Lernia, la professoressa Gabriella Fabbrocini, la dottoressa Maddalena Napolitano, il professor Gian Luigi Marseglia, il dottor Mario Picozza, la professoressa Gianna Camiciottoli, il professor Cristiano Caruso, la dottoressa Alessia Lofaro, la dottoressa Veronica Seccia, il professor Pierachille Santus, il dottor Eugenio De Corso, la dottoressa Simona Barbaglia, il professor Edoardo Savarino, la dottoressa Roberta Giodice, il professor Patrizio Armeni e il professor Francesco Saverio Mennini.
SISTEMA IMMUNITARIO
Più che fattori ambientali, che comunque possono giocare un ruolo, è importante iniziare a comprendere che l’infiammazione di tipo 2 è legata ad alcune particolari cellule del sistema immunitario. Puntando a semplificare, questa infiammazione è prodotta da una disregolazione della risposta immunitaria. A questa condizione si legano poi diverse malattie, come quelle citate, che nella monografia dedicata all’infiammazione di tipo 2 vengono prese in considerazione in modo dettagliato e approfondito, aiutando così il lettore a comprendere meglio la propria condizione, o quella di chi vive nel proprio quotidiano queste patologie.
TRATTAMENTI
Fino a qualche tempo fa, la terapia per l’asma grave si basava sull’uso cortisonici inalatori e broncodilatatori ad azione prolungata. I nuovi approcci terapeutici, d’altro canto, tendono ad agire direttamente sui fattori scatenanti dell’infiammazione di tipo 2. In particolare, la prescrizione di terapie biologiche prevede una corretta caratterizzazione e, come si dice in ambiente specialistico, “fenotipizzazione” del paziente, che viene quindi affidato a centri specialisti.
LE ASSOCIAZIONI
Nella monografia che vi presentiamo, non poteva mancare poi la voce delle associazioni di pazienti, che ogni giorno sono al fianco di chi soffre e delle loro famiglie. Per questo è d’obbligo ringraziare: FederASMA e ALLERGIE ODV Federazione Italiana Pazienti, Respiriamo insieme Associazione, Fondazione MESIT – Medicina sociale e Innovazione tecnologica, ESEO Italia – Associazione Esofagite Eosinofila ed Associazione ANDeA – Associazione Nazionale Dermatite Atopica.
Consulta lo speciale
Intelligenza Artificiale sta per trasformare la diagnostica
Prevenzione, Ricerca innovazioneChatGPT fa parlare di sé da mesi. Il modello linguistico basato sull’intelligenza artificiale fa analisi, previsioni, stringhe di codice, elabora saggi su qualsiasi tema e compone poesie. Com’era prevedibile, anche Google ha presentato il suo software con cui è possibile interagire attraverso il linguaggio naturale.
Tuttavia, l’intelligenza artificiale progredisce anche nel campo scientifico e probabilmente sarà proprio questo campo a dare i risultati più entusiasmanti nel medio lungo periodo. Servirà molto tempo per produrre ottimi risultati, senza rischi. Tuttavia, secondo gli esperti, gli sviluppi legati al tentativo di emulare il cervello umano sarebbero addirittura quelli meno interessanti. Uno dei campi più promettenti dell’ AI (Artificial Intelligence) sarebbe invece quello della diagnostica. Un software di intelligenza artificiale potrebbe ad esempio individuare un tumore su una lastra con molti anni di anticipo. Negli Stati Uniti questo sta già avvenendo, tant’è che un’importante ricerca pubblicata su varie riviste scientifiche legate al Mit, l’Università scientifica più importante al mondo, lo ha messo nero su bianco. Un software che si chiama Sibyl, sarebbe in grado, secondo gli scienziati, di individuare i tumori, ai polmoni in particolare, sulle lastre con anni di anticipo. Sebbene si tratti di sperimentazioni, e servirà ancora molto tempo per renderle sicure e affidabili, la strada è già tracciata.
I modelli di cui parliamo di intelligenza artificiale applicati alla scienza sono sempre algoritmi, quindi il modello di base è lo stesso, ma sono sviluppati per finalità totalmente diverse. In particolare potrebbero essere preziosi per il calcolo matematico. In altre parole, è da settori come biologia e farmacologia che ci sì aspetta le novità positive più importanti grazie all’intelligenza artificiale. Infatti, si stanno già sperimentando anche software in grado di capire in maniera precisa il potenziale di alcune molecole.
Ciò non significa ce potremo fare a meno degli scienziati, ma l’intelligenza artificiale potrà diventare uno strumento per accorciare la strada ad esempio in una prima fase, in cui la capacità di calcolo è molto importante. Successivamente interviene comunque l’esperienza e la creatività dell’essere umano
Intelligenza Artificiale e “predizione”, quali promesse
L’Intelligenza Artificiale sta entrando rapidamente nel mondo medico, specie nella diagnostica per immagini. Nel prossimo futuro potrà supportare lo specialista nelle decisioni e cambiare i percorsi diagnostici e terapeutici. Si accumulano le prove di affidabilità, ma ancora non sono sufficienti a scongiurare i possibili rischi. Alla base è necessaria la validazione scientifica e il controllo sui dati processati dai sistemi, per proteggere la privacy e non solo. Infatti, uno sviluppo incontrollato e non governato dell’AI porterebbe risvolti negativi.
AI e diagnostica sono strettamente connessi al concetto di “predizione”. Questa è una delle sue migliori promesse. L’Intelligenza Artificiale è infatti in grado di creare dei veri e propri ‘modelli predittivi’ matematici, capaci di identificare precocemente gli esordi di una malattia, anticipandone l’insorgenza.
Ad oggi sono molti gli esempi. In uno studio, nel campo della identificazione di tumori polmonari, gli algoritmi di machine learning (sistemi che apprendono o migliorano le performance in base ai dati utilizzati) istruiti attraverso la scansione di oltre 34mila radiografie toraciche, hanno raggiunto un livello di accuratezza superiore a 17 su 18 radiologi usati come confronto. Anche nell’identificazione dei tumori della mammella ci sono stati risultati incoraggianti. Ad esempio, un sistema di AI ha portato a una riduzione assoluta del 5,7% negli Stati Uniti e 1,2% nel Regno Unito nei falsi positivi e rispettivamente del 9,4% e 2,7% nei falsi negativi. Non solo, nel confronto con l’operato di 6 radiologi, ha dimostrato un aumento dell‘11,5% della sensibilità.
In campo dermatologico, un’analisi su quasi 130mila immagini, ha dimostrato l’affidabilità di un sistema di machine learning nell’identificazione di carcinoma e di melanoma. La sensibilità è stata rispettivamente del 96% e del 94%, assolutamente sovrapponibili a quelle di 21 dermatologi americani certificati.
Insomma il sistema sembra funzionare, ma gli esperti sono prudenti. Difatti, esistono anche alcune revisioni sistematiche e meta-analisi che ne mettono in discussione validità scientifica e metodologia impiegata. Inoltre, sussiste il problema della scarsa collaborazione tra clinici e sviluppatori di sistemi di AI. Per esempio, da una revisione sistematica degli studi di imaging polmonare assistito dall’AI per Covid-19 è emersa una discrepanza tra ciò su cui si focalizzano gli sviluppatori e quello di cui i medici hanno bisogno.
Già lo scorso anno, il Consiglio Superiore di Sanità – Sezione V del ministero della Salute ha stilato un documento “I sistemi di intelligenza artificiale come strumento di supporto alla diagnostica”. L’obiettivo è rendere il nostro Paese competitivo a livello internazionale nella programmazione e nello sviluppo dei sistemi di AI.
Cuore sotto attacco a causa del virus.
Benessere, One health, Ricerca innovazioneForse, dopo anni, intravediamo finalmente la fine di una pandemia che ha cambiato la vita di milioni di persone in tutto il mondo. Ma le scoperte che si susseguono sugli effetti del Covid ci dicono che saremo costretti a farci i conti ancora a lungo. Ora, a lanciare un allarme sui danni provocati dal virus sono il cardiologo e professore di biofisica alla Columbia University, Andrew Marks, e il ricercatore del laboratorio di Marks, Steven Reiken, autori insieme ad altri colleghi di uno studio che sarà presentato a San Diego, in California, al 67esimo meeting annuale della Biophysical Society.
INFIAMMAZIONE
Secondo i ricercatori, il Covid danneggia il cuore producendo uno stress ossidativo, ma anche infiammazione, alterazione dei battiti e compromissione della funzione di pompa di sangue e ossigeno agli altri tessuti. Potenzialmente, il Covid può dunque provocare effetti sul cuore anche letali. Gli studi suggeriscono che le persone con Covid, rispetto ai non infettati, corrono un rischio del 55% maggiore di subire un evento cardiovascolare grave come infarto, ictus o morte. Hanno anche più probabilità di manifestare altri problemi al cuore come aritmie o miocardite, ossia infiammazione del muscolo cardiaco.
LO STUDIO
Per comprendere meglio la natura dei colpi che Covid infligge al cuore, Marks e colleghi hanno utilizzato un modello di topo infettato da Sars-CoV-2. Hanno visto così cambiamenti nel tessuto cardiaco del roditore malato di Covid, tra cui infiltrazione di cellule immunitarie, accumulo di collagene indicativo di lesioni, morte di cellule cardiache e formazione di coaguli di sangue. Gli studiosi hanno inoltre misurato come mutava il proteoma cardiaco, vale a dire l’insieme delle proteine espresse dalle cellule del cuore, evidenziando alterazioni coerenti con quelle osservate nei pazienti Covid umani, nonché marcatori di cardiomiopatia che possono rendere più difficile al cuore pompare il sangue al resto del corpo e possono perciò causare scompenso cardiaco. Studi come questo ci aiuteranno a comprendere la vera portata di questa pandemia e, si spera, anche ad evitare molti decessi.
Ansia: piante e olii essenziali per combatterla. Lo studio
Benessere, Psicologia, Stili di vitaI monoterpeni sono in grado di ridurre i sintomi dell’ansia. Si tratta di componenti degli oli essenziali emessi dalle piante e presenti in abbondanza nelle foreste. Il loro potenziale è stato rivelato da una ricerca sperimentale che ha già dato evidenti risultati. Lo studio è pubblicato su International Journal of Environmental Research and Public Health.
Olii essenziali contro l’ansia
Una ricerca sperimentale condotta in 39 siti italiani tra montagna, collina e parchi urbani ha permesso di svelare il ruolo dei monoterpeni. Questi ultimi sono componenti profumati degli oli essenziali emessi dalle piante. I ricercatori hanno isolato l’effetto specifico sulla riduzione significativa dei sintomi dell’ansia.
A condurla, un team di ricercatori dell’Istituto per la bioeconomia del Consiglio nazionale delle ricerche di Firenze (Cnr-Ibe) e del Club Alpino Italiano, insieme alle Università di Parma e Firenze, all’Azienda unità sanitaria locale (Ausl) di Reggio Emilia, e con il sostegno del Centro di riferimento regionale per la fitoterapia (Cerfit) di Firenze.
In base all’analisi di dati ambientali e psicometrici raccolti nel corso delle campagne svolte nel 2021 e nel 2022, è stato individuato e isolato l’effetto dell’esposizione ai monoterpeni e in particolare ad α-pinene. È emersa una riduzione significativa dei sintomi di ansia, identificando non solo soglie di esposizione, ma anche la correlazione alla quantità di monoterpeni inalati.
«I risultati mostrano che, oltre una data soglia di concentrazione di monoterpeni totali o anche del solo α-pinene, i sintomi di ansia diminuiscono a prescindere da tutti gli altri parametri, sia ambientali che individuali. Poiché questi composti sono emessi dalle piante, possiamo ora assegnare un valore terapeutico specifico a ogni sito verde, anche condizionato alla frequentazione in momenti diversi dell’anno e del giorno», sottolinea Francesco Meneguzzo, ricercatore del Cnr-Ibe e membro del Comitato scientifico centrale del Cai. «I monoterpeni sono molto più abbondanti nelle foreste remote che nei parchi urbani, sebbene con un notevole grado di variabilità: un prossimo passo sarà mappare e prevedere le relative concentrazioni».
Lo studio
La ricerca ha coinvolto centinaia di partecipanti in sessioni standardizzate di terapia, in siti di tutta Italia. «Combinando sessioni di terapia forestale condotte da psicologi professionisti con tecniche avanzate di statistica, abbiamo potuto dimostrare che, in certe condizioni, l’aria della foresta è davvero terapeutica: un traguardo importante per la progressiva adozione di pratiche sanitarie verdi», afferma Federica Zabini di Cnr-Ibe, responsabile Cnr del progetto e supervisore della ricerca.
«Abbiamo applicato un metodo statistico avanzato in uso nella ricerca clinica, che ha consentito di creare gruppi di intervento e di controllo perfettamente abbinati: i risultati ci permettono, oggi, di disporre di criteri oggettivi per individuare e qualificare stazioni di Terapia Forestale in grado di consentire prestazioni di livello clinico», aggiunge Davide Donelli del Dipartimento di medicina e chirurgia dell’Università di Parma e Divisione di cardiologia dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Parma. «Poiché è ormai consolidata la connessione tra stati di ansia e rischio cardiovascolare, i risultati ottenuti assumono un valore importante anche in ambito patofisiologico, e quella sarà materia di ulteriori ricerche».