Tempo di lettura: 3 minutiUna tecnica consente di fare un allenamento senza fatica. Si tratta di un trattamento rapido per tre giorni consecutivi, in grado di aumentare la resistenza alla fatica, la potenza muscolare e la coordinazione.
In particolare, la stimolazione dura 30-60 minuti al giorno, è indolore e non invasiva. Il paziente avverte come una sorta di veloce vibrazione e non ha controindicazioni. I risultati di un protocollo terapeutico hanno dimostrato un miglioramento delle performance muscolari di atleti, persone anziane e pazienti post-ictus. In pratica, un allenamento globale per tutti i compiti motori del muscolo stimolato.
Il nuovo protocollo di allenamento
Il protocollo terapeutico si basa su sequenze di micro allungamenti-accorciamenti del muscolo (avvertiti come una leggera vibrazione dal paziente). È il frutto del lavoro dei ricercatori dell’Università Cattolica nel campus di Roma – Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS in collaborazione con diverse università e istituti di ricerca.
La metodica già trova applicazione in riabilitazione ortopedica e neurologica, anche della primissima infanzia. Inoltre, risulta capace di espandere sia le possibilità della riabilitazione sia le prestazioni sportive.
Lo studio si basa sulla revisione di circa 40 pubblicazioni con un campione di pazienti di poco inferiore a 1000. Dai risultati è emerso che la stimolazione induce modifiche cerebrali tali da ottimizzare, non solo la prestazione motoria, ma anche la pianificazione del movimento, prima della sua esecuzione.
Questo tipo di allenamento produce risultati sia dal punto di vista sportivo, sia nella riabilitazione. Nei deficit motori, nelle persone anziana si assiste infatti a deficit di coordinazione, forza, potenza, resistenza, causa di disabilità e perdita di qualità della vita, molto difficile se non impossibile da contrastare con la “tradizionale” ginnastica.
Il team di ricercatori
I ricercatori sono stati coordinati da Guido Maria Filippi, professore associato di Fisiologia nella della Sezione di Fisiologia Umana del Dipartimento di Neuroscienze della Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica, campus di Roma. Per la prima volta hanno compreso in maniera approfondita il meccanismo d’azione in un nuovo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Frontiers in Neuroscience, in collaborazione con i professori Luigi Fattorini (Dipartimento di Fisiologia e Farmacologia “V. Erspamer”, Sapienza Università di Roma), Angelo Rodio (Dip. Scienze Umane, Società e Salute, Università di Cassino e del Lazio Meridionale) Vito Enrico Pettorossi (Dip. Medicina e Chirurgia, Sezione di Otorinolaringoiatria, Università di Perugia) e Mario Faralli e Giampietro Ricci (Dipartimento di Medicina e Chirurgia, Sezione di Fisiologia Umana, Università di Perugia).
Trattamento utile nello sport e nella riabilitazione
Il trattamento – somministrato con uno strumento ad hoc denominato “Crosystem” – consiste in sequenze di micro-allungamenti-accorciamenti (0,5 mm circa) del muscolo 100 volte al secondo per 30 minuti al giorno (divisi in 3 sequenze da 10 minuti ciascuna, intervallate da pochi secondi di intervallo), per 3 giorni consecutivi. Il paziente percepisce solo una leggera vibrazione.
Questa stimolazione si applica sul muscolo che tuttavia è solo un’interfaccia per “parlare” alle reti nervose della corteccia del cervello e modificarle (come dimostrato in precedenza grazie a studi effettuati su soggetti sani e pazienti neurologici). Lo stimolo di 100 micro-allungamenti-accorciamenti al secondo è in grado di attivare una molteplicità di sensori nervosi posti nel muscolo che rispondono con una sequenza di segnali a 100 al secondo. Questi segnali sono portati alle reti nervose che controllano il muscolo e ne ottimizzano il funzionamento.
«L’effetto della stimolazione perdura nel tempo: tecnicamente – spiega il professor Filippi – si tratta di un ‘potenziamento a lungo termine’ delle reti nervose deputate al controllo motorio».
Allenamento senza sudore. Il nuovo studio
Il nuovo studio, basato su un riesame complessivo degli studi precedenti, ha evidenziato due aspetti innovativi. «La fisioterapia e l’allenamento sportivo sono esercizio-specifici. Migliorano cioè solo l’atto motorio in cui ci si è esercitati, come piegare e stendere un ginocchio stando seduti, non salire un gradino – aggiunge il fisiologo Filippi -. Oppure aumentare la resistenza alla fatica, non lo sprint. Il trattamento in questione migliora la funzione motoria per qualunque movimento il muscolo sia chiamato a svolgere. Questa mancanza di specificità è un risultato del tutto innovativo, in grado di semplificare moltissimo il miglioramento motorio». In secondo luogo, il soggetto, dopo il trattamento, risponde alla fisioterapia tradizionale in modo del tutto più rapido ed efficace e la stessa risposta si ha nell’allenamento sportivo, ovvero “imparo senza faticare”. Il protocollo studiato si presenta come il primo passo concreto in questa direzione.
L’applicabilità del protocollo si estende quasi a qualunque problema del movimento. La procedura, già da tempo, tratta le disabilità sia della primissima infanzia, sia di ultranovantenni, affetti da problemi neurologici anche gravi. Tuttavia, anche in molti problemi ortopedici o sui semplici e comuni dolori artrosici l’azione può essere risolutiva, come documentato dalla letteratura scientifica.
«I prossimi passi della ricerca – conclude Filippi – sono destinati a cercare di evidenziare meglio i meccanismi di azione, così da giungere a ottimizzare l’interazione del nuovo trattamento con la riabilitazione tradizionale e con la preparazione atletica di vertice».
Yoga per tutti a ogni età, ma attenzione a insegnanti
Benessere, News Presa, Stili di vitaIn Italia si stima siano circa 3 milioni le persone che praticano yoga, si tratta prevalentemente di donne. Le motivazioni che spingono ad intraprendere questa disciplina sono spesso legate a problemi fisici dati dall’avanzare dell’età.
“Nel nostro Paese, infatti, si scopre lo yoga in età adulta, quando le persone iniziano ad avere dei problemi fisici, come mal di schiena e la sciatica”, secondo Adriana Calò, insegnante certificata di IYENGARâ Yoga. “Ci si affida a questo tipo di disciplina, intesa anche come supporto a una terapia.
L’età media è 40 anni. Eppure, quasi nessuno sa che dà moltissimi benefici anche agli adolescenti e ai bambini. “In alcune scuole sono riuscita a portare ‘Yogalander’, un progetto con il quale ho dato anche agli insegnanti della scuola primaria la possibilità di applicare quello che ho imparato con i più piccoli. Perché se è vero che la scuola è magistra vitae, è altrettanto vero che tutto quello che impariamo fra i banchi, oltre alla didattica, ci servirà per affrontare le difficoltà della vita”.
Lo yoga per bambini, però, spiega l’insegnante, non deve essere strutturato e insegnato come quello per gli adulti. I ragazzi necessitano di maggiori stimoli e hanno un minore grado di concentrazione. “In un momento storico come questo, dove tutto si consuma velocemente e l’attenzione dei ragazzi, bombardati da una infinità di stimoli, si è ridotta a circa 60 secondi, insegnare loro l’ascolto di sé e del proprio respiro, amplifica la capacità di concentrazione.
Insegna a restare ‘centrati’ anche quando tutto intorno a loro si muove, muta o crolla. Ma non solo. Conoscere il proprio corpo, i propri pensieri, le proprie emozioni dà loro maggiore identità, consapevolezza ed equilibrio. Un aspetto determinante soprattutto in età adolescenziale quando ancora si è confusi e disorientati, non avendo una completa percezione di sé stessi”.
“Un altro mito da sfatare – chiarisce Adriana Calò – è proprio quello di considerare questa disciplina come qualcosa di noioso. Vi assicuro che se ben stimolati, anche i più piccoli rispondono con grande entusiasmo”.
I benefici, così come per gli adulti, saranno molteplici, ottenendo miglioramenti nello sviluppo fisico e mentale. “Migliora la circolazione cardiovascolare, aumenta l’elasticità, l’equilibrio psicomotorio e mentale, donando una maggiore calma e serenità. Limita quindi l’ansia, lo stress e l’aggressività. Stimola anche l’apprendimento. Infine, imparando a percepirsi con maggiore consapevolezza e interezza, psicologicamente sono meno fragili e più soddisfatti”.
Aspetti postivi che, però, necessitano di maggiori precauzioni. “Mi fa piacere riscontrare un crescente interesse verso lo yoga ma – continua l’insegnante – proprio questa crescente attenzione, sta impoverendo il livello di preparazione degli insegnanti. Leggo di corsi di formazione che durano qualche weekend. Vedo dare attestati anche solamente dopo sei mesi o un anno di corso. Questo non va assolutamente bene. Certi risultati si possono raggiungere soltanto dopo moltissimi anni di studio e in virtù di aggiornamenti continui. Quando ci prendiamo la responsabilità di lavorare con il corpo e la mente delle persone, ancor di più se si tratta di bambini, dobbiamo essere molto cauti. Lo yoga fa bene a tutti ma solo se insegnato da chi ha una riconosciuta serietà professionale”.
Idrosadenite in aumento. Cos’è e quali farmaci innovativi
Benessere, Medicina funzionale, News PresaNuovi farmaci, terapia chirurgica più diffusa e una task force di esperti dedicati alla ricerca e alla presa in carico dei pazienti. Sono le strategie per contrastare l’idrosadenite suppurativa messe in campo dai dermatologi della SIDeMaST, la Società Italiana di Dermatologia e della Malattie Sessualmente Trasmesse. Sono state presentate durante il 12° Congresso Annuale della EHSF (European Hidradenitis Supurativa Foundation) organizzato a Firenze e presieduto dalla prof.ssa Francesca Prignano, Professore Associato presso l’Università degli Studi di Firenze e dal prof. Nicola Pimpinelli, Direttore della 1° ad interim e della 2° Unità di Dermatologia presso l’ospedale P. Palagi di Firenze.
L’idrosadenite suppurativa
L’idrosadenite suppurativa è una malattia dermatologica immunomediata. Si manifesta con noduli infiammatori, ascessi e fistole a livello ascellare e inguinale e anche quando è lieve o moderata impatta pesantemente sia sulla qualità di vita sia a livello psicosociale. Tra i fattori trigger ci sono il fumo di sigaretta, che facilita l’infiammazione del follicolo pilifero – meccanismo scatenante. Anche l’obesità rappresenta una condizione peggiorativa, poiché provoca una maggiore frizione a livello delle pieghe anatomiche con aumento della sudorazione e un disequilibrio del microbiota cutaneo. Si tratta di una malattia sempre meno rara: se nel 2019 si stimava una incidenza pari a 3.2 casi ogni centomila persone con circa 2.000 casi all’anno, i dati dell’Osservatorio delle Malattie Rare calcolano attualmente 11.4 casi ogni centomila abitanti. E i numeri sono sicuramente maggiori: il grande imbarazzo che provoca induce i pazienti a rivolgersi al dermatologo con grande ritrosia con una conseguente sottostima del fenomeno e ritardi nelle diagnosi anche di 7 anni. Insomma, è una patologia sempre più diffusa al punto di poterla definire la malattia del terzo millennio tra quelle della pelle.
Un registro italiano ed europeo
Dall’evento di Firenze è emersa l’urgenza di creare un registro italiano ed europeo per avere maggior contezza della reale incidenza della malattia. Ma anche la necessità di individuare link genici per distinguere i diversi fenotipi della malattia e potenziare gli “scoring systems”, parametri di valutazione della gravità della malattia necessari per facilitare la ricerca in funzione dell’orientamento terapeutico.
“L’individuazione dei link genici consente una migliore caratterizzazione dei vari fenotipi di malattie – afferma la Prof. Prignano, Presidente e promotrice del Congresso – è molto importante ai fini della cura in quanto la patologia si presenta con manifestazioni spesso profondamente diverse; per cui la grande urgenza scientifica è riuscire a tracciarle per un migliore apporto terapeutico, soprattutto per i casi più gravi. Inoltre, spesso all’idrosadenite si associano anche altre patologie dermatologiche come la dermatite atopica, l’acne e la psoriasi. Possono aggravare la situazione le cosiddette comorbidità, patologie associate ad altri organi o apparati come patologie della tiroide, il diabete, forme reumatologiche come l’artrite infiammatoria e malattie infiammatorie intestinali croniche come il morbo di Chron e la rettocolite ulcerosa”.
Sul fronte terapeutico, se per i casi più lievi si spazia dagli antibiotici topici a quelli sistemici, i casi gravi sono trattati con farmaci biologici. “Oltre al già conosciuto Adalimumab, un nuovo principio attivo è il Secukinumab” spiega il Prof. Angelo Valerio Marzano, Professore Ordinario di Dermatologia Università degli Studi di Milano, Direttore UOC Dermatologia Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano: “Secukinumab non è ancora rimborsabile, ma lo specialista può farne richiesta all’ospedale per utilizzarlo in off label, come seconda opzione curativa nei casi in cui il paziente non risponda all’Adalimumab”.
Le nuove cure per l’idrosadenite suppurativa
Intanto sempre più spazio acquisisce la combinazione tra farmaci biologici e farmaci biologici e chirurgia, come afferma la Prof. Prignano: “La chirurgia spazia da quella più lieve a quella più radicale. La prima consiste nel drenaggio di ascessi e si limita ad asportazione di aree limitate e può essere eseguita dal dermatologo; la seconda consiste nell’asportazione di intere parti di tessuto che comprendono follicoli piliferi e ghiandole apocrine colpite dall’infezione. Al momento questa seconda opzione viene praticata in Italia solo in alcuni centri specializzati. Ma siamo certi che man mano che la patologia uscirà ‘allo scoperto’ la chirurgia diventerà sempre più protagonista e risolutiva per cui in futuro avremo bisogno di più chirurghi che si occupino di idrosadenite e di dermatologi che si specializzino in questo tipo di chirurgia”.
La SIDeMaST ha creato la task force di cui i Prof. Marzano e Prignano sono rispettivamente Presidente e Vicepresidente, che prevede la creazione di gruppi polispecialistici sul territorio: “La peculiarità della nostra task force – afferma il Prof. Marzano – è contribuire agli studi internazionali di ricerca basandoci prevalentemente sulla real life. Ecco perché la nostra fonte preziosa sarà sempre più il territorio anche grazie alla creazione di team multidispiclinari composti da dermatologi, chirurghi plastici, ginecologi, gastroenterologi, reumatologici, psicologi, psichiatri che seguiranno i pazienti a 360 gradi.” Inoltre, concludono Prof. Marzano e Prignano, “grazie alla collaborazione con le associazioni di pazienti stiamo progettando una campagna di informazione e sensibilizzazione capillare negli ospedali, nelle scuole superiori, sui social media e sulla stampa. Più la malattia diventa conosciuta, più dati raccogliamo, infatti grazie a questa operazione stiamo approfondendo anche l’idrosadenite in età pediatrica e quella in età over 65 e la correlazione con i tumori”.
Allenamento senza fatica: basta una stimolazione indolore
Benessere, News Presa, Stili di vitaUna tecnica consente di fare un allenamento senza fatica. Si tratta di un trattamento rapido per tre giorni consecutivi, in grado di aumentare la resistenza alla fatica, la potenza muscolare e la coordinazione.
In particolare, la stimolazione dura 30-60 minuti al giorno, è indolore e non invasiva. Il paziente avverte come una sorta di veloce vibrazione e non ha controindicazioni. I risultati di un protocollo terapeutico hanno dimostrato un miglioramento delle performance muscolari di atleti, persone anziane e pazienti post-ictus. In pratica, un allenamento globale per tutti i compiti motori del muscolo stimolato.
Il nuovo protocollo di allenamento
Il protocollo terapeutico si basa su sequenze di micro allungamenti-accorciamenti del muscolo (avvertiti come una leggera vibrazione dal paziente). È il frutto del lavoro dei ricercatori dell’Università Cattolica nel campus di Roma – Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS in collaborazione con diverse università e istituti di ricerca.
La metodica già trova applicazione in riabilitazione ortopedica e neurologica, anche della primissima infanzia. Inoltre, risulta capace di espandere sia le possibilità della riabilitazione sia le prestazioni sportive.
Lo studio si basa sulla revisione di circa 40 pubblicazioni con un campione di pazienti di poco inferiore a 1000. Dai risultati è emerso che la stimolazione induce modifiche cerebrali tali da ottimizzare, non solo la prestazione motoria, ma anche la pianificazione del movimento, prima della sua esecuzione.
Questo tipo di allenamento produce risultati sia dal punto di vista sportivo, sia nella riabilitazione. Nei deficit motori, nelle persone anziana si assiste infatti a deficit di coordinazione, forza, potenza, resistenza, causa di disabilità e perdita di qualità della vita, molto difficile se non impossibile da contrastare con la “tradizionale” ginnastica.
Il team di ricercatori
I ricercatori sono stati coordinati da Guido Maria Filippi, professore associato di Fisiologia nella della Sezione di Fisiologia Umana del Dipartimento di Neuroscienze della Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica, campus di Roma. Per la prima volta hanno compreso in maniera approfondita il meccanismo d’azione in un nuovo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Frontiers in Neuroscience, in collaborazione con i professori Luigi Fattorini (Dipartimento di Fisiologia e Farmacologia “V. Erspamer”, Sapienza Università di Roma), Angelo Rodio (Dip. Scienze Umane, Società e Salute, Università di Cassino e del Lazio Meridionale) Vito Enrico Pettorossi (Dip. Medicina e Chirurgia, Sezione di Otorinolaringoiatria, Università di Perugia) e Mario Faralli e Giampietro Ricci (Dipartimento di Medicina e Chirurgia, Sezione di Fisiologia Umana, Università di Perugia).
Trattamento utile nello sport e nella riabilitazione
Il trattamento – somministrato con uno strumento ad hoc denominato “Crosystem” – consiste in sequenze di micro-allungamenti-accorciamenti (0,5 mm circa) del muscolo 100 volte al secondo per 30 minuti al giorno (divisi in 3 sequenze da 10 minuti ciascuna, intervallate da pochi secondi di intervallo), per 3 giorni consecutivi. Il paziente percepisce solo una leggera vibrazione.
Questa stimolazione si applica sul muscolo che tuttavia è solo un’interfaccia per “parlare” alle reti nervose della corteccia del cervello e modificarle (come dimostrato in precedenza grazie a studi effettuati su soggetti sani e pazienti neurologici). Lo stimolo di 100 micro-allungamenti-accorciamenti al secondo è in grado di attivare una molteplicità di sensori nervosi posti nel muscolo che rispondono con una sequenza di segnali a 100 al secondo. Questi segnali sono portati alle reti nervose che controllano il muscolo e ne ottimizzano il funzionamento.
«L’effetto della stimolazione perdura nel tempo: tecnicamente – spiega il professor Filippi – si tratta di un ‘potenziamento a lungo termine’ delle reti nervose deputate al controllo motorio».
Allenamento senza sudore. Il nuovo studio
Il nuovo studio, basato su un riesame complessivo degli studi precedenti, ha evidenziato due aspetti innovativi. «La fisioterapia e l’allenamento sportivo sono esercizio-specifici. Migliorano cioè solo l’atto motorio in cui ci si è esercitati, come piegare e stendere un ginocchio stando seduti, non salire un gradino – aggiunge il fisiologo Filippi -. Oppure aumentare la resistenza alla fatica, non lo sprint. Il trattamento in questione migliora la funzione motoria per qualunque movimento il muscolo sia chiamato a svolgere. Questa mancanza di specificità è un risultato del tutto innovativo, in grado di semplificare moltissimo il miglioramento motorio». In secondo luogo, il soggetto, dopo il trattamento, risponde alla fisioterapia tradizionale in modo del tutto più rapido ed efficace e la stessa risposta si ha nell’allenamento sportivo, ovvero “imparo senza faticare”. Il protocollo studiato si presenta come il primo passo concreto in questa direzione.
L’applicabilità del protocollo si estende quasi a qualunque problema del movimento. La procedura, già da tempo, tratta le disabilità sia della primissima infanzia, sia di ultranovantenni, affetti da problemi neurologici anche gravi. Tuttavia, anche in molti problemi ortopedici o sui semplici e comuni dolori artrosici l’azione può essere risolutiva, come documentato dalla letteratura scientifica.
«I prossimi passi della ricerca – conclude Filippi – sono destinati a cercare di evidenziare meglio i meccanismi di azione, così da giungere a ottimizzare l’interazione del nuovo trattamento con la riabilitazione tradizionale e con la preparazione atletica di vertice».
Ripassi nel pomeriggio: chi c’è dietro al camice del farmacista
Farmaceutica, Ricerca innovazioneQuello della distribuzione intermedia è il meccanismo invisibile dietro al camice bianco del farmacista. Permette di trovare il farmaco in farmacia a poche ore dalla richiesta.
Le aziende di Distribuzione Intermedia sono riunite in Federfarma Servizi. Negli ultimi tre anni le aziende associate hanno assistito le farmacie veicolando sul territorio 2 miliardi e 700 milioni di unità. In particolare: 6 milioni di vaccini, 25 milioni di tamponi e test Covid, 175 milioni di mascherine, oltre a 2 miliardi di farmaci e 600 milioni di parafarmaci e dispositivi medici.
Durante la pandemia il settore delle aziende di Distribuzione Intermedia ha lavorato senza sosta e senza alcuna riduzione del ritmo del servizio – pubblico ed essenziale per legge – per rispondere all’emergenza sanitaria. “A distanza di tre anni, il settore è piegato dal caro energia e carburanti e dall’aumento dei costi finanziari, che mettono a rischio la sostenibilità del sistema”.
“Il bisogno di un farmaco o un dispositivo è immediato e come tale la richiesta deve essere soddisfatta in poche ore. Come si può immaginare, una farmacia di medie dimensioni non può avere tutte le referenze disponibili. Una quota importante dei farmaci, inoltre, dev’essere conservata a temperatura controllata e in celle frigorifere – spiega Antonello Mirone, Presidente di Federfarma Servizi. Si tratta di un processo invisibile ma essenziale, come il servizio che svolgiamo per la comunità: le farmacie hanno disponibili centinaia di prodotti, ma non possono stoccare l’intero prontuario; quindi, richiedono alle nostre aziende ciò di cui hanno bisogno”.
Come il farmaco arriva al farmacista
Un lavoro talmente capillare da prevedere anche più consegne al giorno che raggiungono anche le più piccole farmacie rurali, grazie a ordini inoltrati per via telematica. “Se vogliamo usare una metafora – aggiunge Mirone – siamo il muscolo che permette al braccio di porgere il prodotto di cui i cittadini hanno bisogno per la propria salute”.
“L’emergenza pandemica – continua il Presidente di Federfarma Servizi – è stata un pressure test anche per i nostri addetti, che hanno lavorato incessantemente dietro le quinte. Si pensi solo al reperimento di mascherine, tamponi e farmaci per il virus Sars-Cov-2 in aggiunta alle ordinarie necessità quotidiane. Solo nel triennio 2020-2023, i distributori intermedi affiliati a Federfarma servizi hanno effettuato quasi 50 milioni di consegne”.
Nonostante i numeri della pandemia vadano verso la normalizzazione, il settore è oggi messo ulteriormente alla prova dalla carenza di diversi farmaci. A causa dell’alterazione degli equilibri internazionali mancano alcuni antibiotici e molecole attive sul sistema cardiovascolare. Anche a livello internazionale, infatti, la filiera soffre la mancanza di materie prime e l’aumento dei prezzi che si sommano all’incremento del prezzo del carburante necessario all’illuminazione, all’automazione e a tenere accesi gli impianti di raffreddamento 24 ore su 24, 7 giorni su 7.
“Siamo in attesa dal 2010 di una riforma della remunerazione, oggi ancora più urgente alla luce dei costi di carburante ed energia e del pesante incremento dei costi finanziari, pena l’insostenibilità e la rimodulazione del servizio, a tutto danno dell’assistenza alla salute della popolazione – spiega il Presidente Mirone.
“Siamo già in estremo ritardo: se non si affronta questa emergenza sul piano dell’azione politico-istituzionale, per le nostre farmacie ‘ripassi nel pomeriggio’ – chiosa il Presidente Mirone – rischia di trasformarsi in un lontano ricordo”.
Ipercolesterolemia: 80% dei pazienti non raggiunge valori target, Aifa approva nuovo trattamento first in class
Benessere, Medicina funzionale, News PresaFino all’80% dei pazienti affetti da ipercolesterolemia non riesce a raggiungere i target di colesterolo LDL raccomandati dalle nuove linee guida internazionali. Nonostante assuma terapie ipolipemizzanti, rimane ad un rischio maggiore di sviluppare eventi come infarto o ictus.
L’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha approvato la rimborsabilità del trattamento first-in-class di acido bempedoico e dell’associazione a dose fissa di acido bempedoico ed ezetimibe. Il trattamento riguarda i pazienti adulti i cui livelli di colesterolo LDL (C-LDL) nel sangue restano troppo elevati nonostante l’assunzione di trattamenti come le statine e altre terapie ipolipemizzanti. In Italia l’acido bempedoico e la sua associazione a dose fissa con ezetimibe sono prescrivibili in regime di rimborsabilità tramite una scheda di prescrizione.
Le malattie cardiovascolari (MCV) rappresentano oggi la prima causa di morte nel mondo. Si stimano circa 17,9 milioni di decessi ogni anno, di cui l’85% causati da infarto o ictus. In Italia le malattie cardiovascolari sono responsabili del 35.8% di tutti i decessi (32.5% negli uomini e 38.8% nelle donne), superando i 230.000 casi annui. Solo nel 2017, 47.000 dei decessi dovuti a MCV sono stati attribuiti a ipercolesterolemia.
Ipercolesterolemia, “the lower the better”
“The lower the better”: più basso è il livello di C-LDL di una persona, minore è il suo rischio cardiovascolare. Le più recenti linee guida per la gestione delle dislipidemie (ESC/EAS 2019) hanno rivisto gli obiettivi C-LDL indicando un target di <55mg/dL nei pazienti a rischio molto alto e <70mg/dL per i pazienti a rischio alto. Più dell’80% dei pazienti non raggiunge il target di C-LDL, nonostante l’assunzione di trattamenti come le statine e altre terapie ipolipemizzanti. Ciò determina un aumento del rischio di infarto o ictus, responsabili dell’85% dei decessi causati da malattia cardiovascolare aterosclerotica.
Negli studi clinici condotti su oltre 4.000 pazienti a rischio alto e molto alto di eventi cardiovascolari, l’acido bempedoico e la sua associazione a dose fissa con ezetimibe hanno dimostrato riduzioni significative del C-LDL con un buon profilo di tollerabilità. Grazie al suo specifico meccanismo d’azione, l’acido bempedoico non viene attivato nel muscolo scheletrico, riducendo così il potenziale di effetti indesiderati muscolo-correlati come le mialgie.
“L’accumulo di lipidi nella parete dei vasi sanguigni, soprattutto di quelli trasportati dalle LDL (le lipoproteine aterogene per eccellenza) è in grado di causare una infiammazione del vaso, un processo noto come aterosclerosi. La aterosclerosi determina la formazione di placche, che complicandosi limitano il flusso di sangue al cuore o al cervello, con conseguenze che possono essere in alcuni casi fatali.
L’evidenza è ormai chiara ed indiscutibile: il colesterolo delle LDL è una causa diretta e comprovata di eventi come infarti, ictus e, quindi anche e, di morte per malattie cardiovascolari su base ischemica. Di conseguenza, le ultime linee guida dell’ESC invitano a ridurre il più possibile il C-LDL, il cosiddetto colesterolo cattivo, nelle persone ad alto rischio. – ha spiegato Marcello Arca, Past President della Società Italiana per lo studio della Aterosclerosi (SISA) – La disponibilità in Italia dell’acido bempedoico e dell’associazione fissa di acido bempedoico ed ezetimibe fornirà nuove importanti opzioni terapeutiche per aiutare i pazienti a raggiungere i loro obiettivi di colesterolo LDL”.
Ridurre i livelli di C-LDL
L’acido bempedoico è un nuovo trattamento orale, first-in-class (primo nel suo genere con questo meccanismo d’azione). Va assunto una volta al giorno e può essere associato ad altri trattamenti ipolipemizzanti per ridurre ulteriormente i livelli di C-LDL. L’acido bempedoico fornisce ai pazienti una riduzione aggiuntiva dal 17 al 28% del C-LDL in aggiunta alle statine alla massima dose tollerata, con o senza altre terapie orali ipolipemizzanti. Negli studi clinici è stata osservata una riduzione di circa il 18% del C-LDL con le statine ad alta intensità e una riduzione del C-LDL fino al 28% nei pazienti che non assumevano statine. Invece l’associazione fissa acido bempedoico/ezetimibe, ha dimostrato una riduzione di circa 38% del C-LDL rispetto al placebo, in aggiunta alla terapia ipolipemizzante di background.
“L’acido bempedoico rappresenta un nuovo efficace strumento nell’armamentario terapeutico soprattutto per i pazienti a più alto rischio cardiovascolare che non hanno raggiunto gli obiettivi terapeutici nonostante le terapie ipolipemizzanti in corso, e per i pazienti intolleranti. – ha dichiarato Fulvio Colivicchi, Presidente dell’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO) – “Questo farmaco ha il vantaggio di poter essere associato a qualsiasi terapia ipolipemizzante, di avere un buon profilo di tollerabilità e di essere facilmente accessibile dal momento che potrà essere prescritto sia dagli specialisti che dai medici di medicina generale.”
Il meccanismo d’azione
L’acido bempedoico è un profarmaco che agisce sul noto processo di sintesi del colesterolo, a monte del target epatico delle statine, inibendo un nuovo target molecolare: l’ATP citrato liasi (ACL), un enzima coinvolto nella produzione di colesterolo nel fegato.
L’associazione a dose fissa di acido bempedoico ed ezetimibe è un nuovo trattamento orale in monosomministrazione giornaliera che combina due metodi complementari per ridurre il colesterolo in una singola compressa orale da assumere una volta al giorno. L’acido bempedoico inibisce la produzione di colesterolo nel fegato, mentre l’ezetimibe riduce l’assorbimento del colesterolo alimentare nell’intestino.
Grazie al suo specifico meccanismo d’azione, l’acido bempedoico non è attivo nel muscolo scheletrico, pertanto non si prevede che possa provocare effetti indesiderati muscolo-correlati come ad esempio le mialgie.
L’ipercolesterolemia non ha sintomi evidenti
“L’ipercolesterolemia è una malattia silenziosa, perché non ha sintomi evidenti, ma ormai le evidenze scientifiche hanno dimostrato che contribuisce in modo sostanziale ad eventi come infarti e ictus, con un impatto devastante sulla vita dei pazienti e delle loro famiglie.
Siamo sempre molto partecipi ogni volta che in Italia vengono messi a disposizione nuovi trattamenti che aiuteranno i troppi pazienti che risultato non aderenti ai trattamenti prescritti, spesso proprio a causa di effetti collaterali delle terapie, o che non riescono comunque a raggiungere i target ottimali di C-LDL”- ha dichiarato Emanuela Folco, Presidente della Fondazione Italiana per il Cuore – “E contemporaneamente auspichiamo che si rinsaldi sempre di più la collaborazione di tutti gli attori coinvolti, affinché cresca in primis la consapevolezza del pubblico sui gravi rischi della ipercolesterolemia e si realizzi una più solida alleanza medico-paziente”.
Malattie rare e il valore del tempo
Benessere, News Presa, One health, PartnerTornano le Pillole di Salute ideate dal network editoriale PreSa in collaborazione con Radio Kiss Kiss. Sabato 11 marzo, il Professor Maurizio Scarpa (Direttore dell’European Reference Network per le Malattie Metaboliche e Direttore del Centro di Coordinamento per le Malattie Rare dell’Azienda Sanitaria Universitaria di Udine) affronterà il tema delle Malattie Rare. L’occasione per fare il punto sulla situazione italiana e sull’esigenza di arrivare ad una diagnosi nel più breve tempo possibile. Ma anche per informare i radioascoltatori sulle nuove opportunità, alcune delle quali legate alle terapie domiciliari, che puntano a migliorare la qualità di vita dei pazienti con patologia rara.
L’appuntamento è dunque sabato 11 marzo alle 11:35 circa sulle frequenze di Radio Kiss Kiss. Stay Tuned!
“Contenuto realizzato da Radio Kiss Kiss in collaborazione con PreSa, con il supporto di Sanofi”
Cardarelli, concorso deserto
News PresaCardarelli, concorso deserto. In tanti si lamentano per la mancanza di opportunità di lavoro, ma alla prova dei fatti sembra che in pochi abbiano voglia di trovare un impiego. Una realtà che stupisce, perché in questo caso non si parla di lavori sottopagati e precari (spesso proposti in nero), bensì di impieghi a tempo pieno e indeterminato della pubblica amministrazione. Torna così centrale un tema che particolarmente ha infiammato le arene televisive negli ultimi mesi, complici i cambiamenti proposti dal Governo in fatto di Reddito di Cittadinanza.
CONCORSI DESERTI
Ad accendere un faro su una questione che deve far riflettere è stavolta il Cardarelli di Napoli, che ieri (8 marzo) e di oggi (9 marzo) ha proposto al Palapartenope le prove scritte per reclutare personale a tempo indeterminato nelle qualifiche di assistenti informatici e geometri. Si tratta di due concorsi che erano stati banditi negli anni precedenti ma che negli ultimi mesi avevano avuto un nuovo impulso nell’ambito del piano di rinnovamento e potenziamento organizzativo che l’Ospedale sta portando avanti.
I DATI
Il concorso di assistente tecnico informatico aveva visto la candidatura di 211 persone, ma alla prova scritta effettuata nella giornata di ieri si erano presentato solo in 36. Nella giornata di oggi, invece, si è tenuta la prova scritta per il concorso a tempo indeterminato di assistente tecnico geometra; in questo caso i candidati erano 440 ma i partecipanti sono stati 79. In entrambi i casi il rapporto tra iscritti e partecipanti è stato del 17%. Il titolo di questa strana storia potrebbe essere dunque: Cardarelli, concorso deserto.
CRISI
Immaginando un grande afflusso di partecipanti, l’Azienda Cardarelli aveva scelto di far svolgere le prove nei locali del Palapartenope, che può accogliere comodamente centinaia di persone. Vista l’affluenza reale, le prove si sono svolte in un clima quasi surreale. Ora, data la ridotta partecipazione alla prova scritta, il Cardarelli ha programmato di accelerare sulle prossime prove, così da velocizzare l’entrata in servizio di quanti risulteranno vincitori. Resta tutto da indagare un fenomeno che appare paradossale, con tantissimi giovani pronti a denunciare la mancanza di occupazione, ma allo stesso tempo prove di concorso che vanno deserte. In questo manicomio – avrebbe detto qualcuno – succedono cose da pazzi. Cardarelli, concorso deserto
Confessione on line di Fedez
PsicologiaConfessione on line di Fedez. In una sua recente storia, Fedez ha affrontato un tema che per molti è ancora tabù: l’assunzione di psicofarmaci. Il rapper è tornato su Instagram per raccontare ai suoi follower delle enormi difficoltà che ha dovuto superare a causa di uno psicofarmaco che, a quanto pare, non era adatto alla sua condizione. «Da gennaio prendo un antidepressivo molto forte che mi ha cambiato molto – ha detto – mi ha agitato tanto e mi ha dato degli effetti collaterali dal punto di vista fisico molto forti fino a provocarmi tic nervosi alla bocca, non permettendomi di parlare in modo libero. Per queste ragioni ho sospeso il farmaco senza scalarlo».
EFFETTO REBOUND
Fedez ha poi spiegato ai suoi follower di aver avuto quello che in medicina si definisce “effetto rebound”. Di cosa si tratta? Semplificando, si può dire che consiste nel ripresentarsi di una malattia, o in questo caso di sintomi, dopo la sospensione di un trattamento farmacologico. La cosa che sorprende, e che il rapper ha messo molto in evidenza è che la gravità dei sintomi è spesso peggiore rispetto ai livelli di trattamento. Ma il cantante ha anche sottolineato che nel suo caso non c’erano alternative, visto che a causa di quello psicofarmaco stava veramente male.
SOTTO CONTROLLO
Un aspetto che andrebbe certamente messo in evidenza, rispetto alla storia postata on line da Fedez, è che in nessun modo questo racconto di un’esperienza personale deve far credere che l’uso di psicofarmaci possa essere di per sé un male. Esistono, infatti, delle condizioni cliniche che vanno trattate con l’aiuto di farmaci. Esattamente come si assumono farmaci per altre patologie lo si può e lo si deve fare per alcune condizioni di sofferenza psichica. Importante, anzi determinante, è farlo stretto controllo medico. In questo caso, come del resto avviene con altri farmaci, il fai da te è assolutamente da evitare.
ROMPERE UN TABÙ
La confessione on line di Fedez ha il grande valore di affrontare una questione della quale parlano in pochi, ancor più se riguarda il proprio vissuto. Ha il grande valore, insomma, di rompere un tabù. Il rapper ha poi parlato della moglie, Chiara Ferragni, ringraziandola per essergli stata accanto: «In questo periodo ne sono state dette di ogni su di lei, l’unica persona che mi è stata accanto e mi spiace abbia dovuto subire una tempesta di merda mediatica immeritata». Poi un consiglio ai suoi follower: «Qualsiasi evento traumatico della vostra vita prendetevi cura della vostra salute mentale».
Protesi al seno, verranno tracciate
Benessere, Medicina estetica, Medicina funzionale, News PresaProtesi al seno, verranno tracciate. Tante donne vorrebbero ricorrere alla chirurgia plastica per avere un seno pieno e sempre giovane, molte di loro hanno però il timore che le protesi possano portare a lungo andare a problemi di salute. Francesco D’Andrea, membro della Commissione regionale sulle protesi mammarie e direttore del Dipartimento di Medicina Estetica e Chirurgia Plastica dell’Università Federico II spiega che si tratta di un «falso mito, le protesi attualmente disponibili sono sicure e ben tollerate. Sono utilizzate sia in campo oncologico, per ricostruite seni demoliti per asportare tumori, sia in estetica per restituire armonia ad una parte del corpo molto in visa».
I NUMERI
Insomma, le protesi non provocano tumori e non sono causa di malattie autoimmuni. Sono addirittura 50.000 gli interventi che ogni anno restituiscono un seno nuovo ad altrettante donne, e la Campania è una delle regioni in cui si eseguono più interventi in assoluto sul territorio nazionale.
GRANDI O PICCOLE
Dal 2012 ad oggi oltre la metà delle pazienti della chirurgia plastica hanno ricevuto impianti tra 100 e 200 grammi (fino alla terza taglia di reggiseno scarsa, in relazione alla corporatura). Il 40% sono arrivate fino a tre etti, il 15% quattro, il 4% cinque etti, appena l’2% sei etti. Tra le più diffuse, si menzionano le Protesi in gel di silicone che hanno uno storico di oltre 40 anni di uso permettendo di poter valutare con precisione le statistiche di rischio.
REGISTRO NAZIONALE
In fatto di protesi al seno, la grande novità è che dal 2 febbraio 2023 è entrato in vigore il regolamento di istituzione del Registro nazionale degli impianti protesici mammari. Le Regioni e Province Italiane entro 180 giorni dovranno istituire il proprio Albo che arricchisce con i loro dati quello nazionale. Ci sono delle Regioni, tra cui Liguria e Lombardia, dove dai dati emerge un aumento del 30% delle richieste delle protesi mammarie, e regioni quali Calabria, Sardegna e Friuli-Venezia Giulia dove è ancora presente un assenza di dati.
A TUTELA DELLA SALUTE
In Campania, dove il governatore Vincenzo De Luca ha istituito una Commissione ‘’ad hoc’’. «Il Registro delle protesi mammarie italiano – prosegue D’Andrea -è il primo a livello europeo ad essere obbligatorio e a raccogliere dati relativi all’impianto e alla rimozione delle protesi, rappresenta uno strumento fondamentale per la tutela della salute delle pazienti che impiantano protesi e per raccogliere dati utili alla comunità scientifica e ai produttori di protesi per migliorarne l’efficacia e l’efficienza».
CONTROLLI SERRATI
A garantire la sicurezza delle protesi è anche l’attività di sorveglianza del Ministero della Salute. In Italia, solo gli specialisti in chirurgia plastica, chirurgia generale, chirurgia toracica e di ginecologia sono autorizzati ad inserire ed utilizzare protesi mammarie. Per stabilire quali tipi di protesi risulta più adatta e idonea al proprio fisico ci si deve rivolgere ad un professionista della materia. «Esiste una legge del 2012 che disciplina l’uso delle protesi mammarie e che aspettava il Registro per essere operativa in tutti i suoi aspetti», prosegue lo specialista. «Questo consentirà di tutelare chi richiede questa chirurgia, evitando che chiunque possa eseguire questi interventi».
TRACCIABILITÀ
Non sarà più consentito infatti che in maniera incontrollata il semplice laureato in medicina o lo specialista in discipline lontane dalla chirurgia plastica possa impiantare protesi. Il Registro infatti consentirà la tracciabilità degli impianti, ma anche di chi li ha impiantati. Mettendo uno stop importante all’abusivismo della professione per risultati sicuri ed efficaci bisogna sempre rivolgersi a specialisti del settore.
Postura e smart working. L’esperto spiega come salvare la schiena e non solo
Benessere, News Presa, Rubriche, Stili di vitaLe spalle curve, la testa inclinata e il collo in avanti: tanti trascorrono ore davanti al computer con una postura sbagliata. Spesso lo fanno senza accorgersi. Di conseguenza, in molti sperimentano a fine giornata i dolori alla schiena, alla cervicale e non solo. Insomma, il cosiddetto lavoro agile, così agile non è per la postura. Infatti, sebbene abbia indiscutibili vantaggi, in termini di risparmio di tempo per i lavoratori e di costi per le aziende, lo smart working va fatto con consapevolezza per non incorrere in problemi di postura. Tuttavia, con semplici attenzioni si possono prevenire.
Postura corretta, i punti fondamentali
Lo smart working è ormai parte di molti lavori. Il dott.Giuseppe FALVELLA, fisioterapista, specializzato in rieducazione posturale, ortopedica e sportiva, spiega i punti fondamentali per mettere al riparo dai rischi la schiena e non solo.
“I problemi posturali legati allo smart working sono sempre più frequenti. Dalla pandemia in poi sono aumentati i pazienti che si rivolgono a me per via di ripercussioni dovute al cambio di abitudini sul lavoro. Uno degli aspetti che molti trascurano, ma che invece è di fondamentale importanza per prevenire disturbi, è il movimento. Il movimento, infatti, è vita e deve essere considerato anche durante il lavoro al computer.
La staticità prolungata, cioè lo star seduti tante ore al giorno senza mai alzarsi può portare problematiche di carattere venoso. Stando fermi, infatti, non attiviamo le pompe muscolari che favoriscono il ritorno al cuore. Quindi, in sostanza, il sol fatto di stare seduti per molte ore, senza mai alzarsi, già porta con sé un rischio non trascurabile. L’ideale è alzarsi ogni mezz’ora per poco tempo, magari muovendosi nella stanza, per poi tornare seduti”. Si tratta di piccole abitudini che non incidono sul lavoro, ma fanno una grande differenza in termini di salute. Inoltre anche il cervello sarà più attivo.
“Stare tanto tempo seduti con una postura scorretta – continua l’esperto – porta anche il bacino a posizionarsi in modo sbagliato. Ciò determina un sovraccarico su tutta la colonna vertebrale. Le conseguenze a lungo termine possono essere tante, tra cui protusioni ed ernie. Una soluzione per supportare una corretta seduta è avere una poltrona ergonomica in casa, con dei braccioli e un buon supporto lombare. Si tratta di un ottimo investimento per la nostra salute e fa una grande differenza, rispetto alle classiche sedie da cucina o salotto che spesso si utilizzano per lavorare al pc dentro casa. Tornando all’importanza del movimento, l’ideale sarebbe alzarsi ogni mezz’ora per 3-4 minuti, per attivare la muscolatura degli arti inferiori e favorire il ritorno della circolazione sanguigna. Tuttavia anche pochi secondi limitano i rischi.
Anche l’altezza del monitor va regolata
Un altro aspetto fondamentale a cui prestare attenzione è la posizione del monitor del computer. Lo schermo dovrebbe stare sempre all’altezza degli occhi. Lo stesso discorso vale per il cellulare. Quindi, se si usa un portatile, consiglio di utilizzare dei libri per fare in modo che sia alla giusta altezza, oltre a una tastiera esterna, per evitare di guardare in basso e non sforzare la cervicale. In sostanza lo sguardo deve essere sempre dritto, rivolto verso il monitor posizionato di fronte al volto. Questo accorgimento risulta più difficile da considerare quando si utilizza il cellulare. Tuttavia è importante fare attenzione, soprattutto perché sta aumentando sempre di più il tempo di utilizzo degli smartphone. Oltre ad essere all’altezza degli occhi, lo schermo del pc deve essere posto centralmente suo tavolo, per bilanciare il peso dei gomiti. Infatti, tenendo il monitor verso un lato, si tenderà a fare più pressione su un gomito rispetto all’altro.
L’angolo corretto dei gomiti è di 90°, un angolo retto. Durante le pause veloci, l’ideale per proteggere la schiena è fare dei semplicissimi esercizi di stretching, facili allungamenti per dare beneficio al corpo. La respirazione è un altro aspetto fondamentale che molti sottovalutano. Deve essere regolare e attiva. Può sembrare un’informazione scontata, ma non lo è, perché molte persone quando lavorano, tendono a sottovalutare il respiro. Aiuta molto effettuare anche dei piccoli esercizi respiratori.
La postura influenza anche il respiro
Le posture scorrette possono far lavorare male anche il diaframma. Quest’ultimo è un muscolo che separa la cavità toracica dalla cavità addominale. Se il diaframma non si abbassa e si alza lentamente, il respiro si accorcia. In tal caso i polmoni non si dilatano correttamente e quindi viene meno una giusta ossigenazione. Ciò è importante non solo dal punto di vista posturale e fisico”. Infatti, anche un cervello che non è ben ossigenato è meno produttivo.
“Inoltre – sottolinea l’esperto – agisce a livello psicologico, perché la corretta ossigenazione migliora anche lo stato emotivo e aiuta a tenere a bada ansia e stress. Sembrano piccole cose, ma in realtà hanno un fortissimo impatto sulla nostra salute, soprattutto se si pensa a tutto il tempo che trascorriamo al lavoro. Un altro consiglio riguarda i piedi, l’ideale è mantenerli ben saldi a terra, senza incrociare le gambe, per la postura e per non ostacolare la circolazione sanguigna. L’idratazione è un altro fattore da tenere sempre presente, bere tanto durante il lavoro è importante non solo per il cervello, i muscoli e le ossa, ma anche a livello intestinale. Infine c’è da considerare l’illuminazione, una buona luce aiuta a non sovraccaricare le strutture visive. Questi sono consigli pratici e veloci che tutti possono mettere in pratica senza grandi sforzi. L’importante – conclude l’esperto – è fare attenzione all’inizio per poi man mano farli diventare una sana abitudine”.