Tempo di lettura: 3 minutiSono 603 le nuove startup italiane delle Life Science nate dal 2021 ad oggi, 48 delle quali nel primo trimestre dell’anno in corso. Sono destinatarie di quasi 2 miliardi di investimenti diretti: un’eredità positiva dell’era Covid che ha accelerato lo sviluppo della sanità digitale e ha trainato il settore delle scienze della vita. Quest’ultimo è quel ramo delle scienze naturali che si occupa degli organismi viventi. Oggi è al centro della continua innovazione tecnologica del comparto sanitario, in particolare a livello di produzione grazie alle imprese innovative. L’area del Biotech è la più presidiata, con 227 iniziative; seguono le nuove startup dell’area Med Tech, che sono 168, quindi le 112 iniziative in Digital Health le 96 di servizi di Life Science.
Il quadro è stato presentato oggi a Milano. Le parole-chiave sono state: “competenze” e “specializzazione degli investitori”. La giornata è stata un confronto fra imprese, mondo scientifico, tecnologie, venture capitalist e istituzioni, sul tema “L’Italia è (o non è) una Paese per l’innovazione nelle scienze della vita?”, anche in occasione dell’uscita della rivista INNLIFES. In particolare, per le startup delle LifeScience, ci sono fondi per 1,4 miliardi di euro di venture capital italiani, a cui si aggiungono 520 milioni della missione 6 del PNRR, dedicata alla ricerca biomedica, con la possibilità di attrarre risorse dalla missione 4 del PNRR, dedicata al technology transfer, che ha un plafond di 2,4 miliardi. “Stiamo lavorando alla specifica missione di modernizzare le strutture pubbliche sanitarie, far avanzare la medicina digitale e migliorare le terapie digitali”, ha annunciato, in apertura dei lavori, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con delega all’Innovazione, Alessio Butti.
L’ecosistema delle Life Science in Italia conta più di 5.600 imprese, nei settori farmaceutico, medical device e biotecnologie, con valore della produzione (dati 2021) di circa 250 miliardi di euro (+6,9% rispetto al 2020). “È un settore che ha il bisogno e l’opportunità di accelerare: INNLIFES nasce per agevolare questo processo di crescita – spiega Elena Paola Lanati, CEO di Indicon -. L’ecosistema che genera innovazione è spesso popolato da attori che neppure si conoscono fra loro. La rivista vuole dare il suo contributo a chiudere questi gap, innanzitutto in tema di conoscenza, creando connessioni, informando, aiutando singole persone (business angel), società o istituzioni a capire cosa vuol dire individuare eccellenze e investire in start up”.
“Tutto oggi si muove in funzione della medicina preventiva e personalizzata, che cambia le logiche dell’innovazione in funzione della capacità di gestire le quantità di dati disponibili. Si tratta di fare non più un solo prodotto per tanti, ma tanti prodotti per ciascuno”, ha sottolineato Gianmario Verona Presidente del Consiglio di Sorveglianza della Fondazione Human Technopole. Per riuscirci, le tecnologie informatiche, l’intelligenza artificiale, la digitalizzazione, vanno innervate nel sistema Life Science “a partire dalla costruzione dei processi, da riprogettare in funzione dei nuovi strumenti, per poterne implementare al massimo le potenzialità”, come ha evidenziato Paolo Locatelli, responsabile scientifico dell’Osservatorio Sanità Digitale del Politecnico di Milano.
Un monito alle startup è stato lanciato da Giovanni Tamburi, presidente amministratore delegato di TIP, che ha diversificato nelle startup attraverso Digital Magics: “Devono imparare a fare sistema. La moltiplicazione di incubatori, emanazioni di università e istituzioni locali, ripropone l’eccessiva frammentazione che caratterizza il mondo delle imprese e non agevola la crescita e il trasferimento delle idee e delle ricerche verso lo sviluppo per l’applicazione su scala industriale”.
La dimensione dell’opportunità rappresentata dallo sviluppo delle Life Science, dalle quali nascono nuovi farmaci e terapie avanzate per combattere le malattie e migliorare la qualità della vita delle persone, viene dai numeri del settore farmaceutico, che in Europa e nel mondo è il primo per intensità di R&D, raggiungendo nel 2021 il 16,6% (pari a oltre 200miliardi di dollari) degli investimenti in rapporto al fatturato. Nel solo comparto Biotech, non a caso quello che annovera anche il maggior numero di startup, gli analisti prevedono a livello globale una crescita di tre volte entro i prossimi anni, passando dai 223 miliardi di euro del 2020 alla proiezione di 731 miliardi di euro nel 2028. Durante la pandemia, il LifeScience ha acquistato ulteriore rilevanza e ampiezza, facendo crescere gli investimenti in Digital Health per il 92% delle aziende italiane della farmaceutica.
Ma l’Italia del farmaco, pur continuando ad essere leader d’Europa per produttività, con oltre 34 miliardi di euro di valore della produzione, davanti a Germania (32,4 miliardi di euro) e Regno Unito (25,3 miliardi di euro), resta indietro per attrazione di investimenti in R&D rispetto ai principali partner. Ad oggi (dati EPPIA), è ferma al 4% del totale come investimenti innovativi in ricerca e sviluppo dell’industria farmaceutica in Europa, mentre la Germania ha il 20%, il Regno Unito il 14%, la Francia l’11%. “Con INNLIFES, a partire da questa giornata – ha commentato il direttore editoriale della rivista, Angelica Giambelluca -, daremo voce ai protagonisti delle LifeScience, dai ricercatori agli imprenditori, passando per i rappresentanti delle istituzioni, di medici e pazienti, per contribuire a fare sistema: l’Italia è un paese di innovatori, ma, come messo chiaramente in luce dal confronto sviluppato in questa giornata, deve accelerare in competitività e in capacità di attrarre e produrre innovazione al servizio delle persone”.
Life Science: 603 startup innovative in due anni, 2 mld di investimenti
News PresaSono 603 le nuove startup italiane delle Life Science nate dal 2021 ad oggi, 48 delle quali nel primo trimestre dell’anno in corso. Sono destinatarie di quasi 2 miliardi di investimenti diretti: un’eredità positiva dell’era Covid che ha accelerato lo sviluppo della sanità digitale e ha trainato il settore delle scienze della vita. Quest’ultimo è quel ramo delle scienze naturali che si occupa degli organismi viventi. Oggi è al centro della continua innovazione tecnologica del comparto sanitario, in particolare a livello di produzione grazie alle imprese innovative. L’area del Biotech è la più presidiata, con 227 iniziative; seguono le nuove startup dell’area Med Tech, che sono 168, quindi le 112 iniziative in Digital Health le 96 di servizi di Life Science.
Il quadro è stato presentato oggi a Milano. Le parole-chiave sono state: “competenze” e “specializzazione degli investitori”. La giornata è stata un confronto fra imprese, mondo scientifico, tecnologie, venture capitalist e istituzioni, sul tema “L’Italia è (o non è) una Paese per l’innovazione nelle scienze della vita?”, anche in occasione dell’uscita della rivista INNLIFES. In particolare, per le startup delle LifeScience, ci sono fondi per 1,4 miliardi di euro di venture capital italiani, a cui si aggiungono 520 milioni della missione 6 del PNRR, dedicata alla ricerca biomedica, con la possibilità di attrarre risorse dalla missione 4 del PNRR, dedicata al technology transfer, che ha un plafond di 2,4 miliardi. “Stiamo lavorando alla specifica missione di modernizzare le strutture pubbliche sanitarie, far avanzare la medicina digitale e migliorare le terapie digitali”, ha annunciato, in apertura dei lavori, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con delega all’Innovazione, Alessio Butti.
L’ecosistema delle Life Science in Italia conta più di 5.600 imprese, nei settori farmaceutico, medical device e biotecnologie, con valore della produzione (dati 2021) di circa 250 miliardi di euro (+6,9% rispetto al 2020). “È un settore che ha il bisogno e l’opportunità di accelerare: INNLIFES nasce per agevolare questo processo di crescita – spiega Elena Paola Lanati, CEO di Indicon -. L’ecosistema che genera innovazione è spesso popolato da attori che neppure si conoscono fra loro. La rivista vuole dare il suo contributo a chiudere questi gap, innanzitutto in tema di conoscenza, creando connessioni, informando, aiutando singole persone (business angel), società o istituzioni a capire cosa vuol dire individuare eccellenze e investire in start up”.
“Tutto oggi si muove in funzione della medicina preventiva e personalizzata, che cambia le logiche dell’innovazione in funzione della capacità di gestire le quantità di dati disponibili. Si tratta di fare non più un solo prodotto per tanti, ma tanti prodotti per ciascuno”, ha sottolineato Gianmario Verona Presidente del Consiglio di Sorveglianza della Fondazione Human Technopole. Per riuscirci, le tecnologie informatiche, l’intelligenza artificiale, la digitalizzazione, vanno innervate nel sistema Life Science “a partire dalla costruzione dei processi, da riprogettare in funzione dei nuovi strumenti, per poterne implementare al massimo le potenzialità”, come ha evidenziato Paolo Locatelli, responsabile scientifico dell’Osservatorio Sanità Digitale del Politecnico di Milano.
Un monito alle startup è stato lanciato da Giovanni Tamburi, presidente amministratore delegato di TIP, che ha diversificato nelle startup attraverso Digital Magics: “Devono imparare a fare sistema. La moltiplicazione di incubatori, emanazioni di università e istituzioni locali, ripropone l’eccessiva frammentazione che caratterizza il mondo delle imprese e non agevola la crescita e il trasferimento delle idee e delle ricerche verso lo sviluppo per l’applicazione su scala industriale”.
La dimensione dell’opportunità rappresentata dallo sviluppo delle Life Science, dalle quali nascono nuovi farmaci e terapie avanzate per combattere le malattie e migliorare la qualità della vita delle persone, viene dai numeri del settore farmaceutico, che in Europa e nel mondo è il primo per intensità di R&D, raggiungendo nel 2021 il 16,6% (pari a oltre 200miliardi di dollari) degli investimenti in rapporto al fatturato. Nel solo comparto Biotech, non a caso quello che annovera anche il maggior numero di startup, gli analisti prevedono a livello globale una crescita di tre volte entro i prossimi anni, passando dai 223 miliardi di euro del 2020 alla proiezione di 731 miliardi di euro nel 2028. Durante la pandemia, il LifeScience ha acquistato ulteriore rilevanza e ampiezza, facendo crescere gli investimenti in Digital Health per il 92% delle aziende italiane della farmaceutica.
Ma l’Italia del farmaco, pur continuando ad essere leader d’Europa per produttività, con oltre 34 miliardi di euro di valore della produzione, davanti a Germania (32,4 miliardi di euro) e Regno Unito (25,3 miliardi di euro), resta indietro per attrazione di investimenti in R&D rispetto ai principali partner. Ad oggi (dati EPPIA), è ferma al 4% del totale come investimenti innovativi in ricerca e sviluppo dell’industria farmaceutica in Europa, mentre la Germania ha il 20%, il Regno Unito il 14%, la Francia l’11%. “Con INNLIFES, a partire da questa giornata – ha commentato il direttore editoriale della rivista, Angelica Giambelluca -, daremo voce ai protagonisti delle LifeScience, dai ricercatori agli imprenditori, passando per i rappresentanti delle istituzioni, di medici e pazienti, per contribuire a fare sistema: l’Italia è un paese di innovatori, ma, come messo chiaramente in luce dal confronto sviluppato in questa giornata, deve accelerare in competitività e in capacità di attrarre e produrre innovazione al servizio delle persone”.
La sanità come investimento. Mennini: serve programmazione e pianificazione
PartnerProsegue il progetto Health su Sky TG24, in sinergia con la Fondazione Mesit, per la promozione della salute e della prevenzione. Domenica 4 giugno è stato il professor Francesco Saverio Mennini (Research Director EEHTA del Ceis Center for Economic and International Studies di Tor Vergata e presidente SIHTA) a sottolineare l’importanza di una sanità sostenibile e adeguatamente finanziata. Prima di ogni altra cosa, Mennini ha chiarito che «l’esigenza di una nuova governance in sanità è importantissima». In altre parole, è «determinante iniziare nuovamente a parlare di programmazione sanitaria, visto che è dal 2006 / 2007 che non abbiamo un piano nazionale. Questo è uno degli obiettivi principali dell’attuale ministero della Salute, iniziare ad attuare un percorso di programmazione e pianificazione sanitaria correlata alla sostenibilità del sistema e alle risorse da mettere in campo».
UN BUON INVESTIMENTO
Al centro dell’intervento di Mennini il concetto fondamentale di salute come investimento. Troppo spesso, ha ricordato, la salute viene vista come un costo da sopportare. Una visione miope, che non tiene in considerazione tutte le variabili. «Ce lo ha dimostrato la pandemia, aver investito in quel periodo con un obiettivo specifico ha portato ad un enorme beneficio, non solo in termini di salute, ma anche dal punto di vista economico e finanziario in termini di Pil». Inoltre, il concetto di valore deve essere sempre molto chiaro quando si parla di tecnologie sanitarie.
TECNOLOGIE PER LA SALUTE
«È necessario riconoscere il corretto valore delle tecnologie sanitarie, seguendo delle logiche attente per far sì che queste tecnologie siano velocemente rese disponibili per i pazienti». Centrale poi il tema degli investimenti, con valutazioni critiche su quanto fatto negli anni che hanno preceduto la pandemia. «Purtroppo, nel periodo pre-pandemico la spesa pubblica è stata caratterizzata da un forte rallentamento. Nel 2023 c’è stato per la prima volta negli ultimi 20 anni, con esclusione del periodo pandemico, un incremento reale della spesa sanitaria. Il rapporto della spesa sanitaria sul Pil è stato del 6,7%, credo che sia un segnale importante di come finalmente si stia guardando alla sanità come ad un investimento importante per il nostro Paese. Non si deve però parlare solo di risorse aggiuntive, si deve fare in modo che queste risorse siano destinate ad obiettivi specifici». Accedi alla VideoGallery per vedere l’intervista integrale.
Un test del sangue per individuare precocemente il cancro
News Presa, Ricerca innovazioneUn test del sangue che punta ad individuare fino a 50 diverse neoplasie. È lo scenario più che realistico che si apre grazie ad uno studio Usa condotto nel Regno Unito. Sono stati proprio i ricercatori servizio sanitario nazionale britannico (Nhs) a giudicare “promettenti” i risultati dei test condotti su migliaia di volontari che hanno donato il loro sangue per consentire di portare avanti questo studio.
ATTNEDIBILE
Secondo quanto riportato dal popolare network Bbc, che cita i risultati di un paper redatto in vista di una conferenza medica organizzata a Chicago dall’American Society of Clinical Oncology, la sperimentazione britannica del Galleri test è la prima al mondo su un campione di questa entità. Quindi molto attendibile. In particolare, lo studio ha coinvolto ben 5.000 pazienti con sintomi sospetti. Donne e uomini che si sono rivolti a ospedali e strutture sanitarie pubbliche d’Inghilterra e Galles
CONFERME
Dell’intero campione analizzato, in due terzi dei casi ci sono state conferme del sospetto diagnostico. I dati sono poi stati confermati da successive biopsie ed ecografie che hanno aiutato anche i medici, nell’85% di questi, a identificare esattamente il punto d’insorgenza del tumore. Il 75% delle persone testate con risultato positivo aveva in effetti il cancro, stando ai numeri pubblicati. Mentre solo il 2,5% degli esiti negativi si è rivelato alla fine fallace e smentito con altri mezzi diagnostici dalla presenza d’un tumore.
WORK IN PROGRESS
Ovviamente, lo studio è tutt’altro che concluso. Si tratta ancora di un lavoro da sviluppare e portare avanti, come sottolineato dall’’università di Oxford, ma sin d’ora si può affermare che nell’ambiente c’è un grande ottimismo. Il test, assieme ad altri studi che si stanno portando avanti anche in Italia, potrebbe diventare presto uno strumento efficace in più per la diagnosi tempestiva di patologie oncologiche.
Olio d’oliva potrebbe ridurre anche rischio di tumore al seno
Alimentazione, PrevenzioneL’olio extravergine d’oliva è un caposaldo della dieta mediterranea. Rientra a tutti gli effetti nel gruppo degli alimenti nutraceutici: infatti consumarlo con regolarità riduce il rischio di diabete, deficit cognitivi legati all’invecchiamento e alcuni tumori. Tant’è che nel 2018 la Food and Drug Administration (FDA) americana ha incluso alcuni dei principali micronutrienti dell’olio extra vergine d’oliva nel gruppo delle sostanze dotate di proprietà farmaceutiche. Da tempo gli scienziati ne lodano le proprietà salutari e i dati a supporto aumentano. Ad esempio sembra ridurre del 19% la mortalità cardiovascolare, come dimostra l’ultimo studio pubblicato sul Journal of the American college of cardiology.
Il consumo regolare di olio di oliva potrebbe inoltre contribuire a prevenire l’insorgenza del tumore al seno. Quest’ultima è la neoplasia più diffusa in Italia, diagnosticata ogni anno a oltre 55 mila persone, nonché la prima causa di morte per le donne. Per indagare il ruolo dei nutrienti è stata avviata una ricerca condotta dalla dott.ssa Emilia Ruggiero, ricercatrice dell’Istituto Neurologico Mediterraneo Neuromed di Pozzilli, attraverso uno studio finanziato dall’azienda Monini per il 2023, tramite bando pubblico promosso da Fondazione Umberto Veronesi.
“Per decenni – ha spiegato la dott.ssa Ruggiero, nell’ambito dell’annuale cerimonia dedicata ai finanziamenti alla ricerca scientifica di Fondazione Umberto Veronesi, presso l’Università Statale di Milano – i Paesi del Mediterraneo hanno avuto una minore incidenza di tumore al seno a livello mondiale e questo ha fatto ipotizzare che le abitudini alimentari potessero spiegare almeno in parte questi dati. L’adesione a una dieta mediterranea nel suo complesso è in grado di ridurre il rischio di tumore al seno, ma il ruolo dei suoi componenti chiave, come appunto l’olio di oliva, è stato poco esplorato. Il progetto punta proprio a capire se l’olio di oliva, e in particolare la sua componente di grassi monoinsaturi, possa avere un ruolo nella prevenzione primaria del tumore al seno, nell’ambito di un’alimentazione di tipo mediterraneo”.
Lo studio utilizzerà il database del progetto epidemiologico Moli-sani. Lo studio dal 2005 ha coinvolto circa 25.000 cittadini, residenti appunto in Molise, per conoscere i fattori ambientali e genetici alla base delle malattie cardiovascolari e dei tumori. Di fatto un’intera regione italiana si è trasformata in un grande laboratorio scientifico. In questo caso specifico verranno utilizzati i dati di oltre 11.000 donne per le quali sono state raccolte dettagliate informazioni alimentari. I risultati dello studio potranno fornire nuove evidenze sul ruolo dell’olio d’oliva per la salute e rappresentare un riferimento per definire future strategie di prevenzione.
Il lockdown ha alterato la nostra memoria
News Presa, Psicologia, Ricerca innovazioneSi potrebbe definire “effetto carcere”, una difficoltà a collocare gli eventi nel tempo a causa della reclusione. L’aspetto inquietante è che questo effetto carcere, frequente nelle persone private della libertà, è stato riscontrato in molti cittadini sottoposti al lockdown. In altre parole, il famoso “restiamo a casa” ha in qualche modo alterato la capacità di percepire il tempo. A dimostrarlo è uno studio pubblicato sulla rivista Plos One, condotto da Daria Pawlak e Arash Sahraie della University of Aberdeen.
LO STUDIO
Stando a ricerche precedenti è risultato evidente che la pandemia ha influenzato la percezione del tempo. Inoltre, evidenze cliniche hanno dimostrato che i pazienti sembrano avere difficoltà nel fornire una cronologia accurata delle proprie condizioni mediche. Proprio per esaminare l’impatto della pandemia sulla percezione del tempo, un gruppo di ricercatori ha quindi condotto un sondaggio coinvolgendo 277 partecipanti. A questi è stato chiesto di indicare l’anno in cui si sono verificati vari eventi recenti di rilievo, come la data di conclusione della Brexit o l’ingresso di Meghan Markle nella famiglia reale britannica. I partecipanti hanno anche completato valutazioni standard riguardanti livelli di noia, depressione, resilienza e altri aspetti della salute mentale.
L’ANNO DIMENTICATO
Benché sia abbastanza ovvio che un evento remoto sia più difficile da collocare nel tempo, cosa confermata dagli studi, la singolarità è stata riscontrata per l’anno 2021, un anno prima del sondaggio. I ricercatori hanno appurato che per gli intervistati collocare nel tempo eventi relativi a quest’anno è risultato particolarmente. In altre parole, molti partecipanti hanno avuto difficoltà a ricordare eventi che coincidevano con il lockdown.
LIMITAZIONI
Gli autori suggeriscono che un ricordo accurato della tempistica degli eventi richiede un “ancoraggio” agli eventi della vita, come le feste di compleanno e le vacanze, eventi che sono mancati durante i lockdown. «Il nostro studio – scrivono gli autori – evidenzia un’alterazione del paesaggio temporale durante la pandemia. Le limitazioni imposte durante la pandemia hanno impoverito il nostro paesaggio temporale, influenzando la percezione del tempo degli eventi. Possiamo ricordare che sono accaduti, ma non ricordiamo quando».
Pavimento pelvico, ginecologa spiega perché e come va allenato
Benessere, PrevenzioneQuando si parla di allenamento, i muscoli del pavimento pelvico non vengono quasi mai menzionati. Eppure hanno un ruolo fondamentale per il contenimento dei liquidi, per il sostegno degli organi e nella funzione sessuale. Il pavimento pelvico, o perineo, è il diaframma che chiude la cavità addominale verso il basso ed è l’insieme dei muscoli che vanno dal pube al coccige. È presente sia nell’uomo, sia nella donna, ma nel sesso femminile tende a maggiore fragilità per motivi anatomici. Allenare questi muscoli protegge dal rischio di disfunzioni. In particolare uno studio, che includeva un follow-up di 10 anni dopo gli esercizi per i muscoli del pavimento pelvico di Kegel, ha dimostrato che nel 66 per cento dei casi, gli effetti positivi di Kegel persistevano per almeno dieci anni.
Lo stress
Più della meta’ delle donne soffre di incontinenza da stress, secondo un sondaggio di Intimina. Su oltre 5 mila donne intervistate, si tratta del 58 per cento. “Significa – spiega la ginecologa Manuela Farris – che quando ridono, tossiscono, starnutiscono o sollevare qualcosa di pesante, possono rilasciare dell’urina”. Inoltre il 43 per cento ha affermato di aver avuto rapporti sessuali dolorosi. Ma la maggior parte non sa che questo è un sintomo di disfunzione del pavimento pelvico che può essere curato.
“La maggior parte delle persone non conosce questi muscoli fino a quando non c’è qualcosa di “sbagliato” e non si verificano sintomi. Spesso presentano sintomi di incontinenza urinaria, dolore pelvico, costipazione, urgenza/frequenza urinaria e – continua la specialista – anche dolore nei rapporti e difficoltà nei rapporti sessuali. Dedico molto tempo nelle spiegazioni sull’importanza di allenare i muscoli del pavimento pelvico, accorgendomi che non è una pratica così diffusa tra la popolazione femminile”.
Il pavimento pelvico
Tutti i muscoli hanno bisogno di essere allenati, compreso il pavimento pelvico che può risentire di una mancanza di allenamento. In entrambi i sessi, gli esercizi di Kegel possono essere utili per prevenire l’incontinenza in età più avanzata e nello stesso tempo possono migliorare la sessualità.
Per le donne, “la fase prima della menopausa, in particolare, è il momento in cui i livelli ormonali iniziano a ridursi lentamente, soprattutto gli estrogeni – continua FARRIS – ed è per questo che le donne potrebbero riscontrare alcuni problemi o cambiamenti nella vagina. L’estrogeno è responsabile della idratazione e dell’elasticità dei tuoi tessuti”.
Il pavimento pelvico è un gruppo di muscoli e legamenti che supportano la vescica, l’utero e l’intestino. Quando il pavimento pelvico si indebolisce, viene meno il sostegno degli organi pelvici e si possono presentare problemi di incontinenza e di prolasso. La maggior parte delle donne intervistate ha avuto problemi al pavimento pelvico almeno una volta. Tuttavia la maggior parte delle donne non fa mai gli esercizi di Kegel. In cima alla lista c’è l’Italia (52%), seguita da Francia (49%), Germania (47%), Paesi Bassi (45%), Spagna (40%), Croazia (38%), Regno Unito (32%) e Svezia (30%).
Gli esercizi di Kegel
Per cominciare, basta contrarre i muscoli pelvici per circa 5, 10 secondi, e rilasciarli per lo stesso tempo. Si può ripetere la serie 10 volte, 2 o 3 volte al giorno. Gli esercizi di Kegel, se eseguiti correttamente, possono aiutare a rafforzare i muscoli del pavimento pelvico. Oggi esistono anche dispositivi intelligenti che registrano la forza pelvica e impostano automaticamente i livelli di esercizio.
Acari della polvere, come eliminarli
Bambini, Genitorialità, News PresaNei bambini le allergie sono abbastanza comuni. Un mondo che spesso i neogenitori ignorano ma che, necessariamente, devono imparare a conoscere. Ecco perché il network editoriale PreSa Prevenzione e Salute ha scelto di dedicare a questo tema alcuni articoli che, in modo semplice e diretto, possano essere d’aiuto e offrire qualche spunto interessante. Una delle allergie più comuni, che in realtà non è propria solo ai bambini, è quella agli acari della polvere.
COME RAGNI
Ma cosa gli acari della polvere? Ad occhio nudo non si vedono, ma se usassimo un microscopio ci accorgeremmo che sono “animaletti” simili a ragni. Le nostre case sono spesso perfette per la loro sopravvivenza. Sono infatti ambienti umidi e caldi, veri e propri giacigli nei quali crescere e proliferare. Gli acari vivono negli oggetti impolverati. Si pensi a tappeti, tende, libri. Ma anche pupazzi di peluche e, più di ogni altra cosa, nei materassi e nei cuscini.
PICCOLI SEGRETI
Come detto, i bambini sono estremamente sensibili alla presenza degli acari della polvere. Spesso a causa di questi animaletti si scatenano fastidiose allergie. Come fare? Tende, fodere, coperte e lenzuola vanno lavate in lavatrice ad alte temperature. I peluche vanno lavati ogni 2 settimane ad alte temperature dopo aver “soggiornato” in freezer per 24 ore. Chiaramente, arieggiare casa e pulire regolarmente è il modo migliore per tenere lontani gli acari. Inoltre, è bene evitare aria secca o troppo umida. Areare le stanze durante le attività domestiche che producono umidità (cucina, doccia) ed evitare di stendere i panni bagnati in casa.
BPCO terza causa di morte ma sintomi trascurati. Fumo primo fattore
Associazioni pazienti, PrevenzioneLa broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) è una malattia respiratoria cronica che “toglie il respiro” a oltre 3,5 milioni di italiani. Se non viene trattata causa la perdita progressiva della capacità polmonare. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la BPCO è la terza causa di morte dopo le patologie cardiovascolari e i tumori, e quinta per disabilità e qualità di vita. Impattano soprattutto i peggioramenti repentini dei sintomi respiratori – le cosiddette riacutizzazioni – che si ripercuotono sullo stato di salute, ospedalizzazioni e aumento della mortalità. L’abitudine al fumo e l’inquinamento sono fattori di rischio.
L’Associazione Respiriamo Insieme e l’Associazione Pazienti BPCO hanno lanciato un’alleanza per la BPCO rivolta a tutti gli attori del sistema salute nel corso della conferenza stampa “A perdifiato: verso una nuova gestione senza affanni della BPCO tra ospedale e territorio”. Durante l’evento al Senato su iniziativa del Senatore Francesco Zaffini, Presidente della 10a Commissione Sanità si è discusso della possibilità di istituire un Registro nazionale di patologia per la sorveglianza epidemiologica e far emergere il sommerso, e rafforzare l’integrazione ospedale-territorio per migliorare la presa in carico. La patologia è ancora sottovalutata, ma impatta a livello clinico e socioeconomico.
BPCO, sintomi trascurati. Il racconto
Ad aprire l’evento, la testimonianza di Marco, paziente BPCO con una lunga storia da fumatore, comune a quella di tanti altri pazienti che restano sottotraccia per anni prima di ricevere una diagnosi. Uno degli ostacoli è l’incapacità di riconoscere i “sintomi spia” quali fame d’aria (dispnea), fiato corto, respiro sibilante e tosse, quest’ultima confusa con una “banale” tosse del fumatore.
“I primi segnali li ho avvertiti praticando sport, mi mancava il fiato anche dopo un breve sforzo, finché persino una passeggiata in leggera salita è diventata insostenibile”, ha raccontato Marco. “Poi mi sono accorto di avere l’affanno mentre salivo le scale, facevo la doccia o mi allacciavo le scarpe, per non parlare delle difficoltà nel lavoro. Tutto ciò che prima facevo naturalmente a un tratto sembrava complicato. Sono andato avanti così per anni, finché una mattina la mia compagna mi ha fatto notare che nel sonno emettevo degli strani sibili, ho avuto paura e ho deciso di rivolgermi a uno specialista”.
“Il 6% degli adulti italiani affetti da BPCO è solo la punta dell’iceberg” – ha dichiarato Simona Barbaglia, presidente dell’Associazione Respiriamo Insieme. “La BPCO è una malattia sociale ancora misconosciuta e in parte sommersa, correlata a un forte carico di morbilità e mortalità, che può essere contrastata solo con un intervento strutturato e condiviso tra tutti gli attori sanitari. È necessaria una grande opera di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sui rischi connessi alla malattia e sull’utilità dello screening spirometrico per la diagnosi precoce. Bisogna inoltre ripensare il modello assistenziale mettendo al centro il paziente, supportandolo nell’educazione terapeutica per il corretto utilizzo dei degli inalatori, e prevedendo percorsi diagnostico-terapeutico-assistenziali efficaci e omogenei sul territorio nazionale”.
Il rischio delle riacutizzazioni
“Per una corretta gestione della BPCO è essenziale che il paziente sia sempre più consapevole della sua malattia e in grado di tenere sotto controllo i cosiddetti ‘sintomi spia’ per gestirla in maniera adeguata. Infatti, riconoscere il peggioramento dei sintomi consente al paziente di rivolgersi tempestivamente al proprio medico e ridurre il rischio delle riacutizzazioni, dall’impatto sociale ed economico importante”, ha aggiunto Salvatore D’Antonio, presidente dell’Associazione Pazienti BPCO.
“La gestione della BPCO, e più in generale delle cronicità, richiede l’implementazione di modelli assistenziali incentrati sulla persona e sulla continuità della presa in carico, che non possono prescindere da una forte integrazione tra ospedale e territorio e dalla sinergia interprofessionale. La sanità italiana sta vivendo una fase di ricostruzione e iniziative come questa sono essenziali per identificare proposte d’azione concrete e condivise. Rinnovo la disponibilità a intraprendere iniziative che possano dare risposte ai bisogni dei pazienti con BPCO, ha dichiarato il Sen. Francesco Zaffini, presidente 10a Commissione del Senato.
“Per contrastare le patologie ad alta prevalenza come la BPCO è necessario intervenire sui fattori di rischio e sulla tempestività della diagnosi che, oltre a sollevare i pazienti dagli esiti di una malattia potenzialmente invalidante, concorrono a rendere il nostro Servizio Sanitario Nazionale più sostenibile. Investire in iniziative capillari di prevenzione e screening equivale a investire in salute, consentendo di ridurre l’impatto della BPCO sui costi sanitari e sociali”, ha dichiarato l’On. Ugo Cappellacci, presidente della XII Commissione della Camera dei Deputati.
Psoriasi: ostacolo per la realizzazione personale. Sondaggio pazienti
Associazioni pazienti, PsicologiaI pazienti percepiscono la psoriasi come un ostacolo insuperabile per la propria realizzazione personale. A evidenziarlo è un sondaggio di APIAFCO, con 11 domande sul vissuto personale, rivolto negli ultimi due mesi ai pazienti. Le risposte sono state 369 da tutta Italia (il 63,3% sono donne con un’età media di 36 anni). In totale hanno partecipato pazienti dagli 11 agli 87anni.
I dati mostrano che la psoriasi non è mai vissuta come una “patologia leggera o ininfluente”. La malattia infatti incide a più livelli sulla quotidianità per il 90% delle persone. La psoriasi viene percepita come “un macigno” dal 34,4% dei pazienti oppure come un pesante “compagno di viaggio” (29,3%).
Psoriasi e impatto sul lavoro
L’impatto nel convivere con la malattia dipende soprattutto dalla gravità della patologia. C’è un 26,5% di persone che ritiene la psoriasi un ostacolo superabile, che nei rapporti con la famiglia sia solo uno dei tanti fatti della vita (42,5%), mentre sul lavoro rappresenta un aspetto ininfluente (53%). Percentuali che indicano anche “leggerezza” nel convivere con questa patologia infiammatoria cutanea, cronica e recidivante che si manifesta in forme differenziate e che si esprime con aggressività molto diverse.
I progetti personali
Tuttavia, più si entra in una sfera di percezione di sé e di rapporto intimo con gli altri, e più il peso della psoriasi emerge. Nella progettazione del futuro, ad esempio, la malattia è causa di preoccupazione (47,6%), motivo di ansia (15,2%), oppure obbliga ad avere un plus di attenzione che agli altri non è richiesta (24,5%). Nei progetti di viaggi e vacanze la psoriasi è motivo di timore e preoccupazione (37,7%), motivo di specifica attenzione (23,4%), oppure causa di fastidiosa complessità organizzativa (12,7%). Nello sport – e quindi nelle situazioni in cui è in qualche grado prevista l’esposizione della propria pelle – ci si sente in grave imbarazzo (22,8%), oppure proprio si è costretti a cambiare attività (13,5%), quando addirittura non ci si vede obbligati a interrompere lo sport preferito (21,7%).
La percezione di sé e i rapporti
Nella sfera delle amicizie chi ha la psoriasi vive una pesantissima insicurezza personale (26,5%) che genera il timore di nuovi incontri (18.6%). Questa insicurezza nell’intimità e della sessualità diventa causa di vergogna (23,1%), motivo di blocco psicologico (17.7%) e anche causa di frustrazione e rinuncia (14.9%), a conferma della relazione problematica con se stessi e con la rappresentazione del proprio corpo. Tuttavia in questo ambito c’è anche un’alta percentuale (43,1%) di persone che giudica la sua patologia come un aspetto sopportabile. Infatti nei casi di psoriasi lieve è più facile convivere con la malattia, a patto di gestirla con il controllo continuo di uno specialista.
Il Sondaggio indaga la qualità della vita del paziente con psoriasi. Il quadro che ne emerge – commenta Valeria Corazza, Presidente dell’Associazione Psoriasici Italiani Amici della Fondazione Corazza – è indicativo della quotidianità di tanti italiani che non vivono una vita leggera e spensierata, ma che ogni volta che si alzano, che vanno al lavoro, che stanno con gli amici, che incontrano nuove persone, che fanno sport o che allacciano nuove relazioni sentimentali, devono fare i conti con un fastidioso compagno di viaggio. Siamo fermamente convinti come Associazione che questa fotografia debba essere condivisa, affinché tutte le Istituzioni e le agenzie sanitarie, educative e sociali, sappiano cosa significa vivere con la psoriasi e quale è il peso che questa malattia scarica sulle spalle di circa due milioni di italiani”.
Bimbi, una foto alla popò per capire se il fegato sta bene
News PresaUn’App per aiutare i neogenitori ad intercettare precocemente eventuali problemi di colestasi neonatali. L’idea, che prende il nome di PopòApp, è stata tradotta in realtà dall’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù in collaborazione con l’Associazione nazionale italiana bambini epatopatici cronici. Grazie ad una semplice foto alla popò nel pannolino e pochi semplici passaggi con lo smartphone è possibile capire se c’è un accumulo di bile nel fegato che può avere effetti molto gravi sulla salute dei bambini. Un aiuto importante per le mamme e i papà che vivono le difficoltà genitoriali.
COLESTASI
Ma cosa le colestasi neonatali? Si tratta di disordini caratterizzati dall’accumulo di bile nel fegato come conseguenza della riduzione o dell’arresto del normale flusso biliare verso l’intestino. Le cause di questi disordini sono varie: problemi metabolici, difetti genetici, malformazioni, infezioni, ma nella maggior parte dei casi sono dovute a problemi delle vie biliari. Diagnosticare le colestasi infantili è molto di difficile anche se i sintomi sono caratteristici. In genere si presentano durante le prime 2 settimane di vita del neonato e sono principalmente l’ittero, l’urina scura e le feci di colore chiaro.
COME FUNZIONA
L’app del Bambino Gesù, sviluppata con un algoritmo di intelligenza artificiale, facilita l’identificazione precoce di colestasi nelle prime settimane di vita dei bambini mediante il riconoscimento delle feci ipo-acoliche. Il sistema consente ai genitori o ai medici di effettuare una valutazione colorimetrica scattando una foto alla popò sul pannolino. L’algoritmo confronta il colore della foto con la carta colorimetrica, restituendo una prima indicazione. Una volta ricevuto il risultato preliminare, l’app consente di contattare il Centro specializzato per approfondire il test tramite una visita o una televisita del bambino, allegando la foto scattata. Si tratta di una app molto affidabile, visto che i risultati della ricerca su 160 immagini campione hanno evidenziato una precisione dell’app pari al 99,4%, con un valore predittivo positivo del 98,4% e una sensibilità del 100% senza falsi negativi.