Pediatri pronti a fare i test rapidi, ma «il rischio è alto».
Con le nuove previsioni del Governo anche i pediatri di famiglia (così come i medici di famiglia) sono chiamati ad un ruolo attivo nell’esecuzione di test rapidi e tamponi, ma questo apre ad una nuova polemica e al rischio, più che concerto, che gli studi si trasformino in luoghi di contagio. Molti degli studi medici, certo non a prova di pandemia, non hanno infatti percorsi separati per i pazienti che entrano ed escono, né luoghi adatti a gestire in sicurezza casi sospetti. Ecco perché i pediatri di famiglia si sono fatti sentire per voce del vice presidente nazionale Antonio D’Avino che spiega: «com’è giusto che sia, si va verso un coinvolgimento sempre maggiore dei pediatri di famiglia nella gestione dell’emergenza pandemica. Siamo pronti a fare la nostra parte, ma è cruciale che le Regioni e le ASL si impegnino per garantire le necessarie misure di sicurezza». D’Avino lancia un messaggio chiaro alle Istituzioni sanitarie e politiche regionali in vista delle nuove norme che consentiranno ai pediatri di famiglia di collaborare nell’effettuazione di tamponi rapidi.
GLI STUDI
«Il problema di molti studi professionali – spiega D’Avino – è che non sono stati concepiti per operare in un contesto di pandemia. In diverse strutture mancano percorsi separati di ingresso ed uscita e c’è un’alta possibilità che si possano generare dei focolai. Dobbiamo concordare le modalità organizzative per ottenere quegli standard ambulatoriali che ci consentano di rispondere con efficienza e sicurezza ai bisogni assistenziali della popolazione pediatrica. La pediatria di famiglia risponde alla chiamata delle istituzioni – prosegue D’Avino – ma dobbiamo definire il come, il quando e il perché. Come programmare la nostra collaborazione nel sistema sanitario regionale che è in un momento davvero critico; quando intervenire, chiedendo con forza che i dipartimenti di prevenzione aziendali facciano la loro parte e perché scegliere di suggerire un test rapido rispetto al tampone naso faringeo “tradizionale“ senza chiare indicazioni dell’Istituto superiore di sanità e del ministero della Salute». Un problema che spinge i pediatri di famiglia a chiedere un immediato tavolo regionale di confronto per individuare soluzioni operative efficaci. «Una delle possibili strade da percorrere è quella di strutture territoriali intermedie che possano essere funzionali ad una gestione dei piccoli pazienti in assoluta sicurezza. In questo modo per i pediatri di famiglia sarebbe possibile fornire tutta l’assistenza necessaria, sempre in sicurezza, poiché siamo già fortemente impegnati nella campagna vaccinale influenzale, oltre l’ordinaria attività di assistenza. Evitiamo di mettere a rischio la salute dei bambini, dei genitori e dei medici stessi, che in un momento del genere non possono ammalarsi perché devono garantire la funzionalità del sistema».