Un filtro da inserire nel naso potrebbe diventare la nuova frontiera dei dispositivi di protezione contro il Sars-Cov 2. Inoltre, i filtri endonasali potrebbero bloccare anche altri virus o patogeni. Se ne è parlato in una delle sessioni parallele all’interno del XV Congresso Nazionale della Società Italiana di Health Technology Assessment, che si è tenuto a Roma dal 25 al 27 ottobre.
I filtri endonasali
Nascono già negli anni 60 e hanno la forma di una piccola spirale, capace di bloccare gli agenti infettivi o il polline. Inoltre, consentono di regolare il flusso d’aria, quindi possono essere indossati anche durante l’allenamento. Si tratta di dispositivi ancora considerati orfani di sufficienti evidenze scientifiche, ma promettenti. “Quando siamo di fronte a una scarsità di evidenze – spiega Giandomenico Nollo, vicepresidente vicario della società – l’evidence base si ferma. L’approccio di HTA più moderno cerca invece di capire quali sono i percorsi per colmare le lacune”. In questo particolare caso, la Fondazione Smith Kline ha riunito più esperti per costruire assieme un percorso di sviluppo delle evidenze, là dove ancora mancano.
Studi scientifici
“Come esperti di HTA – continua Nollo – stiamo lavorando per validare un prodotto che ha ancora molto da imparare in termini di ricerca ma che mostra già delle evidenze. Alcuni studi clinici infatti affermano che questi dispositivi hanno un’efficacia nel contrasto delle allergie. Va ricordato che tutti i meccanismi di contrasto, come le mascherine, sono complementari, ognuno è uno strato protettivo”.
Il protocollo per misurare l’efficacia dei filtri endonasali è stato tracciato in un lavoro pubblicato sulla rivista International Journal of environmental research and public health. Francesco Broccolo, virologo e ricercatore dell’Università Bicocca di Milano è tra gli autori dello studio. L’esperto spiega come il team abbia ricreato la condizione in laboratorio grazie a un naso artificiale inserito in una camera contenuta in una cappa, nel rispetto della sicurezza degli operatori. “Il virus viene nebulizzato – spiega -, proprio come avviene nella respirazione o con uno stranuto. Tramite dei test viene poi valutata la capacità di filtro del dispositivo, osservando i microorganismi che riescono a passare e, in particolare, il virus ancora attivo. Il laboratorio in collaborazione con Università di Trieste, Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano Isontina, IRCCS Burlo Garofolo, Consorzio INSTM e Società Italiana di Medicina Ambientale è quindi predisposto per le ricerche da parte delle aziende che vogliono testare l’efficacia dei dispositivi”.