Dallo scorso sabato, per tutte le persone under-60 vaccinate in prima dose con Vaxzevria di AstraZeneca, è prevista la somministrazione in seconda dose di un vaccino a mRNA tra Comirnaty (Pfizer-BioNTech) e mRNA-1273 (Moderna). La decisione è stata presa dal CTS, (il comitato tecnico scientifico del Governo istituito per affrontare l’emergenza pandemia), dopo il decesso di Camilla, la giovane 18enne che nei giorni scorsi aveva ricevuto, durante un open-day, la prima dose di AstraZeneca. Se di quest’ultimo erano già note le possibili rare reazioni avverse, cosa sappiamo invece della nuova strategia “mix and mach”? I dati preliminari hanno dimostrato un’ottima risposta immunitaria, ma per alcuni esperti non ci sono ancora studi sufficienti, in quanto si è iniziato a testare questo approccio ancora da poco tempo.
Vaccini: quali differenze
In generale, abbiamo disponibili due categorie di vaccini contro ilCovid 19: quelli a mRNA (Pfizer-BioNTech e Moderna) e quelli a vettore virale (AstraZeneca e Janssen). Entrambi sono in grado di prevenire forme gravi di coronavirus e prevedono la somministrazione di due dosi, ad eccezione del vaccino di Janssen che prevede una singola dose. L’obiettivo dei vaccini è quello di indurre la produzione di anticorpi. Come? Facendo riconoscere al sistema immunitario la proteina spike del virus, in modo da farlo attivare. Tuttavia per rendere efficace l’effetto, soprattutto in vista delle nuove varianti, è necessario somministrare entrambi le dosi. Sulla variante indiana, per esempio, gli studi hanno dimostrato che dopo una sola dose l’efficacia del vaccino Comirnaty (Pfizer-BioNTech) e Vaxzevria (AstraZeneca) si attesta al 33%. Dopo la seconda dose si hanno di nuovo livelli alti di efficacia, quasi quanto a quelli ottenuti contro la variante inglese.
Seconda dose diversa dalla prima: cosa dicono i dati
Per quanto riguarda la strategia di effettuare dosi di due diversi tipi di vaccino, la decisione da parte dell’Italia segue quella di altre nazioni come Germania, Spagna, Francia, Danimarca, Norvegia e Canada. Gli studi che hanno indagato la strategia mix and match, con l’utilizzo di una prima dose AstraZeneca seguita da una dose Pfizer hanno dimostrato un’ottima risposta immunitaria. Due studi hanno inoltre registrato un risposta paragonabile a quella ottenuta con due dosi di Pfizer-BioNTech, con un livello di anticorpi neutralizzanti superiore di 10 volte a quello riscontrabile con la doppia dose di AstraZeneca. Tuttavia resta l’incognita dei numeri disponibili, ancora troppo ridotti per trarre solide conclusioni.