Se arrivasse una cura per l’Alzheimer, i più grandi Paesi dell’UE, Italia compresa, non riuscirebbero a renderla disponibile in tempi brevi. A dirlo è uno studio effettuato dalla Rand Corporation, il think tank statunitense attivo fin dal dopoguerra.
L’analisi
I ricercatori, coordinati da Jodi Liu, hanno preso in esame i sistemi sanitari di Francia, Germania, Italia, Spagna, Svezia e Regno Unito, analizzando le sfide infrastrutturali che dovrebbero affrontare, a partire dal 2020, in caso di un’impennata improvvisa del numero di pazienti da sottoporre a screening per determinare l’idoneità a un trattamento che potrebbe prevenire o ritardare lo sviluppo dell’Alzheimer. Dai risultati emerge l’inadeguatezza dell’Europa nella gestione dello ‘tsunami demenze’: qualora si presentasse l’opportunità di un farmaco, almeno un milione di individui potrebbe restare senza accesso alla cura.
Le criticità
Tra i motivi, secondo l’analisi dei sei paesi, c’è la mancanza di medici e di facilities adeguate, per rendere possibile la diagnosi precoce e quindi di fatto per prescrivere e somministrare tempestivamente la terapia. Nonostante gli sforzi continui per sviluppare terapie per bloccare o almeno rallentare la progressione dell’Alzheimer, secondo gli studiosi poco è stato fatto per preparare i sistemi sanitari all’utilizzo di tali terapie. L’analisi si basa su uno scenario ipotetico in cui una terapia viene approvata per uso clinico nel 2020. In questo scenario nei sei paesi circa 7,1 milioni di individui con declino cognitivo lieve (condizione che mette a rischio di demenza) si attiverebbero per cercare una diagnosi precoce e a 2,3 milioni di loro potrebbe essere raccomandata la terapia. Gli esperti stimano ritardi che andrebbero dai 5 mesi per avere la terapia in Germania ai 19 solo per la valutazione del paziente in Francia. Il primo anno senza liste d’attesa potrebbe essere il 2030 in Germania, il 2033 in Francia, il 2036 in Svezia, il 2040 in Italia, il 2042 in Gran Bretagna e il 2044 in Spagna.