Per i pazienti oncologici le cure sul territorio migliorano la qualità di vita a patto di mantenere uno stretto rapporto con l’oncologo ospedaliero. A un anno dal via libera del Dm77 che ha aperto alla deospedalizzazione per i malati cronici, il CIPOMO ha lanciato una Survey da cui sono emersi alcuni aspetti critici.
Pazienti oncologici: i dati della Survey
La deospedalizzazione, cioè la possibilità di essere seguiti fuori dall’ospedale, può migliorare la qualità di vita dei pazienti oncologici. Infatti, per il 30,7% degli assistiti è un’opportunità per sentirsi più liberi e a proprio agio. Per il 10,8% è anche un modo per sentirsi meno malato. Dall’altra parte, circa il 30% la percepisce con timore e pensa che potrebbe “non essere curato al meglio”. Quasi il 13% teme di non poter più essere visitato in ospedale mentre il 5,27% ha paura di essere abbandonato.
Per effettuare le visite di controllo dopo le terapie, il 59,67% dei pazienti oncologici vorrebbe essere seguito in ospedale dall’oncologo, il 5,47% dal medico di famiglia, il 35,4% da entrambi e solo il 9,45% da un possibile oncologo del territorio.
La Survey condotta dal CIPOMO, il Collegio Italiano Primari Oncologi Medici Ospedalieri, ha coinvolto 1.443 pazienti oncologici in tutte le regioni italiane. I dati preliminari sono stati presentati in anteprima al XXVII Congresso Nazionale “L’Oncologia tra i successi di oggi e i traguardi di domani”, appena concluso. Obiettivo dell’indagine è stato quello indagare il gradimento dei pazienti oncologici sul DM77 che riforma la sanità territoriale.
“Il Decreto Ministeriale 77, con fondi del Pnrr, ha aperto le porte alla deospedalizzazione per i malati cronici e ha definito le strutture territoriali dove verranno erogate una serie di prestazioni che saranno gestite da medici di base e/o personale infermieristico – spiega Sandro Barni, già Direttore di oncologia all’Asst BG Ovest Ospedale di Treviglio e primo autore della ricerca – per quanto riguarda l’oncologia, non sono ancora state stabilite le tipologie di prestazioni e le modalità di coinvolgimento dell’oncologo. Soprattutto nessuno ha mai chiesto cosa ne pensano i pazienti”.
Gli intervistati hanno un’età media di 64 anni (il 58% donne, il 42% maschi). Sono state rivolte 11 domande su quali attività potevano essere svolte fuori dall’ospedale e dove; da chi si vorrebbe essere seguiti; qual è la sensazione di essere seguiti vicino casa; qual è il disagio maggiore quando si va in terapia; qual è il tempo massimo o la distanza tollerabile per la terapia e se la telemedicina o la posta elettronica favoriscano il passaggio all’assistenza territoriale.
Dalle risposte dei pazienti è emerso che le cure sul territorio posso apportare dei benefici, ma a condizione di poter mantenere uno stretto rapporto con l’oncologo ospedaliero e con la collaborazione del Medico di medicina generale. A parità di sicurezza ed efficacia delle cure, il 19,1% pensa che accetterebbe di effettuare fuori dall’ospedale la chemioterapia orale, il 26,68% il follow-up (FU), il 19,15% alcune terapie parenterali, il 32,16% gli esami di base. Il 21,83% preferisce il domicilio, il 36,31% una struttura sanitaria vicina a casa, il 37,54% l’ospedale.
I disagi più frequenti
Per quanto riguarda l’utilizzo di nuovi strumenti tecnici, come la telemedicina e la posta elettronica, per favorire la deospedalizzazione, il 44,15% li vede di buon occhio, ma c’è anche chi diffida (circa il 16%) e il 30,7% non sa rispondere.
La Survey ha anche indagato su quali siano le criticità legate al recarsi in ospedale per le terapie. Il 41% punta il dito sui tempi di attesa, 20,4% sulla mancanza di parcheggio, il 17% sulla rotazione dei medici, il 12,76% sul tempo di viaggio. Da sottolineare inoltre che per il 39,5% dei malati oncologici la distanza non è importante, ma solo la continuità delle cure.
“La preferenza espressa dai pazienti per la prosecuzione delle visite di controllo con l’Oncologo in Ospedale ci ha inizialmente sorpresi – confermano Carlo Aschele e Michela Giordano – ma ad una lettura più attenta appare invece ben comprensibile in quanto riflette la forza delle relazioni di cura che si creano tra medico e paziente in oncologia, relazioni di particolare valore per quest’ultimo e quindi verosimilmente più strette rispetto a quanto avviene in altre malattie croniche, e che vanno assolutamente salvaguardate”.
“I pazienti oncologici – conclude Luigi Cavanna, Presidente CIPOMO – esprimono un certo numero di bisogni non nascondendo anche una serie di timori legati ad un’organizzazione sul territorio che va definita in maniera organica. Crediamo che le istituzioni debbano tenere conto dei pareri esternati dai pazienti”.