Le nanoplastiche sono contaminanti emergenti. Solo negli ultimi anni sono iniziati ad apparire dati sui rischi per la salute umana e per l’ecosistema. Gli studi vanno avanti e la lista dei possibili danni continua ad allungarsi. Un ultimo studio collega le nanoparticelle plastiche a problematiche ossee. La complessa combinazione di sostanze chimiche altera il delicato equilibrio e la relazione esistente nel microambiente osseo. Ciò potrebbe aumentare il rischio di patologie legate all’impoverimento osseo. I risultati della ricerca sono stati pubblicati su Science Direct – Journal of Hazardous Materials.
Come nascono le nanoplastiche
La plastica è un materiale che dalla metà dello scorso secolo è andato sempre più diffondendosi. Tuttavia ci sono voluti molti decenni per osservarne gli effetti e la gestione inadeguata dei rifiuti ha creato un accumulo soprattutto nei mari, tanto da interferire con gli ecosistemi. La plastica si scompone continuamente nell’ambiente e con il tempo si disgrega in fibre minuscole, particelle in grado di fluttuare nell’aria ed entrare nelle vie respiratorie. Con la frammentazione nascono poi micro e nanoplastiche, misurate rispettivamente in micrometri (ovvero con dimensioni comprese tra 0,1 e 5.000 m, ovvero 5mm) e nanometri (le cui dimensioni vanno da 0,001 a 0,1 m, cioè da 1 a 100 nanometri).
Il team di scienziati
Lo studio è frutto di una collaborazione interdisciplinare, interdipartimentale e interuniversitaria tra Lavinia Casati, ricercatore di Patologia Generale presso il Dipartimento di Scienze della Salute della Statale di Milano, il laboratorio di Patologia Generale coordinato da Raffaella Chiaramonte, docente di Patologia Generale dello stesso Ateneo, e altri gruppi di ricercatori, tra cui il team di ricerca di Marco Parolini, docente di Ecologia del Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali, i ricercatori del Dipartimento di Biotecnologie Mediche e Medicina Traslazionale dell’Università degli Studi di Milano e dell’Università di Parma.
Le nanoplastiche sono in grado di entrare nelle cellule
“A oggi esistono pochi studi inerenti agli effetti indotti dall’esposizione alle nanoplastiche su modelli ecotossicologici e ancora meno studi sull’uomo”, spiega Lavina Casati, ultimo autore e corresponding author della ricerca. La ricerca ha permesso di descrivere l’azione di questi contaminanti sull’osso, attraverso un modello in vitro che potesse dare una visione ad ampio spettro. Per poter scattare la fotografia del microambiente osseo, gli scienziati hanno considerato tre principali tipologie cellulari coinvolte nel mantenimento della massa ossea. Utilizzando tecniche di colture cellulari, hanno esposto queste cellule alle nanoplastiche fluorescenti di dimensioni pari a 50 nanometri. Le nanoplastiche sono entrate nella cellula, come è emerso dalla localizzazione con tecniche di imaging e citofluorimetria.
I danni
In sostanza le nanoplastiche sono in grado di entrare nelle cellule in un modo che è sia attivo che passivo, e vanno a localizzarsi a livello citoplasmatico. Le nanoplastiche riducono la vitalità delle cellule, ne aumentano la morte e inducono la formazione di radicali liberi. Serviranno ulteriori studi per delineare la complessa interrelazione tra nanoplastiche e rimodellamento osseo. Tuttavia lo studio rappresenta un punto importante per capire l’impatto della nanoparticelle sul delicato equilibrio umano.