Tempo di lettura: 3 minutiGrazie ad una partnership tra scienziati di tre Istituti di ricerca del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) è nato un innovativo sistema di nanomedicina, per migliorare l’efficacia dei trattamenti del tumore del colon-retto e ridurre gli effetti collaterali. Il gruppo, a prevalenza femminile, è composto da ricercatrici e ricercatori dell’Istituto di scienze applicate e sistemi intelligenti “Eduardo Caianiello” (Cnr-Isasi), dell’Istituto per l’endocrinologia e l’oncologia “Gaetano Salvatore” (Cnr-Ieos) e dell’Istituto di genetica e biofisica (Cnr-Igb) di Napoli, con il sostegno di Fondazione AIRC per la ricerca su cancro.
Nanoparticelle
Lo studio, che per la sua importanza è stato pubblicato sull’International Journal of Nanomedicine, spiega come si sia creato un sistema che usa nanoparticelle ibride, composte da diatomite (DNPs), oro (AuNPs), insieme a un farmaco anticancro, il tutto incapsulato in una matrice di gelatina. Le nanoparticelle sono state progettate per riconoscere e colpire selettivamente le cellule tumorali che esprimono la proteina L1CAM, un marcatore associato alla progressione del tumore e alle metastasi.
Ilaria Rea, ricercatrice presso il Cnr-Isasi, spiega che a rendere il sistema ancora più efficace è la gelatina che avvolge il farmaco. Il nanosistema realizzato si basa su un cuore di diatomite, una sostanza porosa derivata dai resti fossili di alghe microscopiche. La sua struttura offre importanti vantaggi in termini di biocompatibilità e capacità di trasporto di molecole farmacologiche. «Grazie al pH specifico dell’ambiente tumorale – prosegue Rea – la gelatina permette un rilascio mirato del farmaco, aumentando l’efficacia e riducendo al minimo gli effetti collaterali».
La diatoite
Un altro aspetto sostanziale è la versatilità della diatomite. Non solo è economica e abbondante, ma può essere facilmente modificata chimicamente affinché sia in grado di riconoscere in modo specifico le cellule tumorali. Per esempio, si possono aggiungere molecole specifiche sulla sua superficie, come quelle che interagiscono con proteine o recettori dei tumori, facendo così in modo che il farmaco sia rilasciato solo nelle aree cancerose, senza colpire i tessuti sani. Grazie alla sua elevata porosità e stabilità, la diatomite rappresenta dunque un’alternativa valida e sostenibile ai materiali sintetici tradizionalmente utilizzati in nanomedicina.
Il nanosistema e la proteina L1CAM
Lo studio si è concentrato su una proteina altamente espressa in diversi tipi di tumori, incluso il cancro al colon retto, e strettamente associata alla progressione tumorale, alla formazione di metastasi e alla resistenza ai trattamenti convenzionali. Questa proteina è una sorta di marchio molecolare delle cellule tumorali più aggressive. Enza Lonardo, ricercatrice presso il Cnr-Igb chiariche che si è scelto questa proteina per garantire che il nanosistema possa riconoscere e colpire selettivamente le cellule tumorali, evitando di danneggiare i tessuti sani. Attraverso l’integrazione di anticorpi specifici contro L1CAM, il nanosistema è in grado di legarsi esclusivamente alle cellule che esprimono questa molecola. Una volta raggiunto il tumore, il sistema rilascia il farmaco in maniera controllata.
L’integrazione con tecniche di imaging
Gli studi condotti finora hanno dimostrato che il nanosistema è in grado di ridurre significativamente la massa tumorale, senza causare effetti collaterali evidenti. Questo approccio potrebbe ridurre significativamente il rischio di recidive e migliorare la sopravvivenza a lungo termine dei pazienti. Una delle caratteristiche più innovative del nanosistema è l’integrazione con tecniche di imaging che non richiedono mezzi di contrasto, basate sulla spettroscopia Raman amplificata (SERS). Questa tecnologia consente di monitorare il comportamento del farmaco e la risposta del tumore senza l’utilizzo di marcatori fluorescenti o radioattivi, che vengono sostituiti da nanoparticelle d’oro.
Approccio sperimentale
«L’imaging ‘label-free’ può rappresentare una novità importante nella diagnostica», dice Anna Chiara De Luca, coordinatrice del laboratorio di biofotonica presso il Cnr-Ieos. La spettroscopia Raman amplificata permette di ottenere un segnale ottico estremamente sensibile, anche in presenza di quantità minime di farmaco. Inoltre questo metodo consente di monitorare in tempo reale il rilascio del farmaco e la sua distribuzione nel microambiente tumorale e simultaneamente fornisce anche dati preziosi per valutare l’efficacia dell’intervento. Si tratta di un approccio sperimentale che può permettere di rendere più preciso e mirato il trattamento in base alle esigenze specifiche di ogni paziente, aumentando l’efficacia della terapia e riducendo i tempi di risposta.
Dai laboratori agli ospedali
Il gruppo di ricerca sta già lavorando per ottimizzare il nanosistema e valutarlo ulteriormente in cellule in coltura ottenute da pazienti e in animali di laboratorio. Inoltre sono in corso collaborazioni con partner internazionali per accelerare la transizione di questa tecnologia dai laboratori alle applicazioni cliniche. L’obiettivo è portare questa innovazione nelle corsie ospedaliere il prima possibile perché, le ricercatrici ne sono certe, questa tecnologia potrà migliorare significativamente la qualità della vita dei pazienti oncologici, offrendo loro nuove speranze per il futuro.
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