In Italia cresce l’incidenza delle diagnosi in età pediatrica delle malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI). Esiste una fase di transizione che porta ragazze e ragazzi da un centro pediatrico ad uno destinato agli adulti. Se n’è parlato nell’ultima sessione del XIII Congresso nazionale dell’Italian Group For The Study Of Inflammatory Bowel Disease (IG-IBD).
A questa fase di transizione, dal prossimo anno, sarà dedicato un progetto promosso da IG-IBD, insieme alla Società Italiana di Gastroenterologia Epatologia e Nutrizione Pediatrica (SIGENP) e all’associazione dei pazienti AMICI Italia. L’obiettivo è censire i centri pediatrici presenti sul territorio e sensibilizzare i sanitari affinché vi sia una standardizzazione del metodo e una corretta continuità assistenziale.
“Sviluppare le conoscenze e creare standard nazionali che instradino il processo di transizione è prioritario”. Lo ha sottolineato Flavio A. Caprioli, Segretario Generale dell’IG-IBD, professore associato all’Università degli Studi di Milano e medico gastroenterologo presso la Fondazione IRCSS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano.
Malattie infiammatorie croniche intestinali, l’età della transizione
“L’età della transizione corrisponde alla fase di passaggio dall’adolescenza all’età adulta – spiega la professoressa Fabiana Castiglione, responsabile della IBD Unit di Gastroenterologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria “Federico II” di Napoli, membro del progetto per conto di IG-IBD. “Fra i 16 e i 18 anni, inizia ad esserci una adeguata conoscenza di se stessi, della malattia e una sufficiente maturità per essere in grado di comprendere le problematiche legate alla patologia e le modalità di trattamento”. Inoltre, dal punto di vista organizzativo, “i Centri pediatrici possono gestire i pazienti fino al compimento dei 18 anni”. .
Esordio delle malattie nel 25% dei casi in età pediatrica
“Negli ultimi 20 anni, l’esordio delle malattie nel 25% dei casi si è spostato nella età pediatrica e adolescenziale”, spiega il professor Paolo Lionetti, responsabile della struttura complessa di gastroenterologia e nutrizione dell’Ospedale pediatrico Meyer di Firenze, past president della SIGENP e ordinario dell’Università di Firenze, che ha attivato un ambulatorio congiunto dodici anni fa. Nei bambini, uno dei problemi in particolare che la malattia di Crohn porta con sé è la scarsa crescita nel 40% dei casi.
La terapia nelle malattie infiammatorie croniche intestinali
“In pediatria abbiamo raccolto un’ottima esperienza dalla terapia nutrizionale”, afferma Lionetti. “Come trattamento di prima linea usiamo una dieta liquida esclusiva, capace di indurre la remissione. Negli ultimi anni abbiamo iniziato, inoltre, in aggiunta ai farmaci, ad usare una dieta specifica per la malattia di Crohn che sta dando risultati incoraggianti. È una dieta che esclude prodotti processati dall’industria. Nell’adulto la terapia nutrizionale è scarsamente accettata ma negli anni noi pediatri ci auguriamo che le terapie di supporto nutrizionali, applicate in pediatria, possano essere impiegate anche nell’età adulta, partendo dai pazienti che hanno avuto l’esordio in età pediatrica”.
“I farmaci che usiamo nel bambino sono gli stessi usati per l’adulto. Va ricordato come in alcune fasi, ad esempio, prima della pubertà, sia importante tenere sotto controllo l’infiammazione che da sola riduce la crescita. In secondo luogo, per la popolazione pediatrica occorre fare il possibile al fine di garantire la crescita e lo sviluppo puberale. Abbiamo la necessità di lavorare con i farmaci e le terapie nutrizionali per controllare l’andamento della malattia”, aggiunge la professoressa Marina Aloi, associato di Pediatria presso la Sapienza Università di Roma e responsabile del Registro nazionale delle Ibd pediatriche della SIGENP. Uno dei grandi problemi ancora esistenti, sottolinea, è il fatto che “dall’approvazione di un nuovo farmaco passano almeno cinque anni prima che venga validato anche per l’età pediatrica. Molto spesso, siamo costretti per questo a usare farmaci off label”.
Fattori di rischio psicologici
Un altro punto cardine è lo stato di malattia della persona: “Si cerca – afferma Castiglione – di trasferire il paziente in una fase di remissione e di stabilità per non aggiungere ulteriori fattori di rischio psicologici derivanti dal cambiamento di terapie in un momento della storia della patologia già di per sé difficile da affrontare”.
Il pericolo di una transizione inadeguata è che il paziente possa dimostrare una scarsa aderenza alle terapie e una ridotta compliance. “Le malattie infiammatorie croniche intestinali – ricorda la specialista – hanno fasi di remissione ma anche frequenti riacutizzazioni o complicanze che richiedono l’attenzione immediata dello specialista”. A maggior ragione, “abbiamo necessità di standardizzare il follow-up in questa particolare età, identificando dei modelli di approccio che possano essere vantaggiosi per il paziente e per il medico che lo ha in cura”.
“La crescente incidenza delle malattie croniche – dichiara Giuseppe Coppolino, presidente di AMICI Italia – pone importanti sfide al sistema socio-sanitario, evidenziando l’importanza del ruolo del coinvolgimento attivo del paziente e dei suoi familiari nel processo di cura, con l’obiettivo di ridurre i costi a carico della sanità e delle famiglie e di promuovere la salute e il benessere in situazioni di malattia”.