Oltre i pregiudizi e la malattia, anche se questa si chiama Charcot-Marie Tooth (più nota con l’acronimo CMT). La storia è quella di Alessandra Donati, classe 1966 e romagnola Doc, tornata a vivere grazie al golf nonostante da sempre stia lottando contro una neuropatia demielinizzante progressiva e senza cura. «Il golf – dice sorridendo – è la chiave della mia rinascita. Iniziare a giocare mi ha permesso di accettare la malattia e di sentirmi finalmente uguale agli altri. Sul green ho trovato solidarietà, amici e pace interiore. Ho iniziato tardi, ma adesso non voglio più smettere».
Un vero esempio
Quella di Alessandra è una storia che trasmette coraggio e che certamente dev’essere d’esempio nel modo di affrontare la vita. Lei ha trovato nel golf il proprio coraggio, ma di fondo è servita tata forza di volontà per non arrendersi mai. Neanche di fronte ad una malattia che si caratterizza per la perdita di tono muscolare e della sensibilità al tatto, in particolare agli arti inferiori al di sotto del ginocchio. Eppure Alessandra compete oggi ad alto livello. «Credevo fosse impossibile – dice – specie nelle mie condizioni. E invece il green mi sta dando tante soddisfazioni. Questo è uno sport che supera davvero ogni barriera. E permette di giocare alla pari con il tuo avversario». Attualmente al 54simo posto del Ranking European Disabled Golf Association (associazione europea che raggruppa tutti i golfisti disabili) e 6a Lady assoluta, la Donati ci ha preso gusto.
Verso l’Open di Svezia
«Il 3 aprile parteciperò alla Pro Am del Campionato Nazionale Open – torneo dell’Italian Pro Tour – al Golf Club Le Fonti di Castel San Pietro Terme (Bologna). Poi andrò in Francia per un altro torneo e quindi gareggerò sia all’Open d’Italia che all’Open di Svezia per disabili». Il green l’ha stregata. «Voglio confessare una cosa. Con il golf ho imparato ad accettare la mia malattia. Prima di conoscere questo universo tutto era più difficile. Mi vergognavo e comportavo come se non avessi nulla. Era la cosa peggiore che potessi fare. Le persone mi evitavano guardandomi con molto imbarazzo. Camminavo in maniera goffa e soffrivo di complessi d’inferiorità. Da quando ho cominciato ad accettarmi, sul green è cambiato tutto. Ho trovato amici e solidarietà. E persone che si sono aperte raccontandomi dei loro problemi e, in alcuni casi, delle loro malattie. E’ stato come rinascere, in maniera però consapevole».
Forza di volontà e tenacia.
Queste le caratteristiche di Alessandra. Che sul green non usufruisce di alcun vantaggio, se non di quello di poter contare su una golf cart (per spostarsi da una buca all’altra) per problemi certificati di deambulazione. Il suo desiderio? «Vorrei vedere sempre più donne sul green per rendere finalmente questo sport, assolutamente non d’élite, meno maschilista. Sono sicura che grazie alla Ryder Cup e ai progetti della Federgolf l’Italia riuscirà in questa impresa. L’edizione italiana della sfida Usa-Europa – conclude – è un’opportunità unica per il nostro Paese. La FIG, che a livello di atleti paralimpici sta facendo un grande lavoro, mettendo a disposizione maestri e anche wild-card per partecipare a gare nazionali, riuscirà a centrare questa mission».