La Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) è una malattia degenerativa caratterizzata una paralisi progressiva di tutta la muscolatura scheletrica con conseguente immobilità degli arti, blocco della parola e della deglutizione e, infine, perdita del respiro. Ai devastanti effetti sul corpo si aggiungono quelli sociali, economici, psicologici che si abbattono sul paziente e i familiari.
La ricerca sulle cause e i meccanismi di malattia è l’unica via per arrivare a individuare una terapia efficace. Negli ultimi anni sono stati fatti enormi passi avanti in campo genetico e uno studio pubblicato lo scorso anno sulla prestigiosa rivista “New England Journal of Medicine”, sta animando i pensieri e le speranze del mondo scientifico. A fare il punto è il professor Mario Sabatelli, docente di neurologia all’Università Cattolica campus di Roma, Direttore Centro Clinico Nemo Adulti- Policlinico Gemelli e Presidente della Commissione Medico Scientifica di AISLA.
“Nel 10% dei casi la SLA è familiare, mentre nel restante 90% la malattia si manifesta come forma sporadica. Dei tanti geni identificati fino a oggi, il gene SOD1, è responsabile di circa il 2% delle SLA”.
“Nel luglio 2020 – spiega il professore – è stato pubblicato sul NEJM uno studio sull’uso del Tofersen (noto anche come BIIB067), un oligonucleotide antisenso in grado di legarsi specificamente all’RNA messaggero di SOD1, come possibile trattamento per le persone affette da SLA con mutazioni nel gene SOD1(Miller et al.)”. Lo studio è stato condotto su un piccolo numero (50) persone con SLA da mutazione SOD1. La dose di 100 mg ha determinato una riduzione significativa della concentrazione della proteina tossica nel liquor e l’analisi del decorso clinico, effettuato mediante scale standard, ha mostrato una differenza tra placebo e pazienti che hanno ricevuto il farmaco. “La differenza – spiega Sabatelli – era molto marcata nel sottogruppo di ammalati con una mutazione associata a una forma aggressiva di malattia (fast progressors). In questo gruppo, in chi ha ricevuto il farmaco la scala ALS-FRS è rimasta invariata a 85 giorni e la misurazione della respirazione ha mostrato una perdita media di 5 punti percentuali a fronte di un caduta severa dei valori nelle persone che hanno ricevuto placebo. Nonostante il piccolo numero di pazienti incluso nello studio e il breve follow-up impongano una necessaria cautela nel fare considerazioni conclusive, i dati pubblicati appaiono di straordinaria importanza.
Innanzitutto per la prima volta si utilizza un farmaco con un razionale molto solido in un contesto di medicina di precisione: la causa (mutazione SOD1) e il meccanismo patogenetico (effetto tossico della proteina mutata) non sono ipotesi ma evidenze dimostrate. Inoltre l’effetto clinico osservato appare rilevante perché le forme di SLA a rapida progressione da mutazione SOD1 hanno un decorso stereotipato, invariabilmente molto aggressivo. Entro pochissimi mesi avremo il risultato del secondo studio attualmente in corso e in questa previsione pochi giorni fa è stato avviato il programma di accesso a tale terapia che si svolgerà tra luglio e novembre in due tappe, dando priorità agli ammalati con forme rapidamente progressive. Anche se – prosegue l’esperto – va ribadito ancora una volta con chiarezza, non vi è ancora certezza dei risultati e la terapia potrà interessare solo il 2% delle persone con SLA, cioè quelli con mutazione del gene SOD1, questo è un momento importante nella storia di questa malattia nella speranza che un primo successo possa determinare una sorta di effetto a cascata sulla ricerca di altri farmaci”.