Solo il 2,7% degli ultrasessantacinquenni italiani con patologie croniche riceve assistenza domiciliare a lungo termine: un privilegio per pochi. Eppure è un’alternativa più efficace e sostenibile dal punto di vista economico, rispetto al modello che ruota attorno all’ospedale. In alcuni Paesi del Nord Europa l’assistenza in casa riguarda il 20% degli over65. In Italia, ci sono circa 3 milioni di persone con disabilità severe, dovute a malattie croniche, e che necessiterebbero di cure continuative, ma solo 370 mila vengono assistiti a domicilio. Non solo: le ore dedicate a ciascun assistito, la natura pubblica o privata degli operatori e il costo pro capite dei servizi risultano del tutto disomogenei nelle diverse aree italiane.
I dati del ministero, sono stati presentati nel corso della seconda edizione degli Stati Generali dell’assistenza a lungo termine (Long Term Care 2), organizzati da Italia Longeva, il network scientifico del Ministero della Salute dedicato all’invecchiamento attivo e in buona salute.
Precisamente, i dati regionali sono di fonte ministeriale, mentre Italia Longeva ha sviluppato un’analisi di dettaglio per comprendere come siano organizzati i servizi di assistenza a domicilio in 12 Aziende sanitarie presenti in 11 regioni italiane: un campione distribuito in modo bilanciato tra nord e centro-sud, relativo ad Aziende che offrono servizi territoriali a 10,5 milioni di persone, ossia quasi un quinto della popolazione italiana.
In pratica, l’Italia dedica in media, a ciascun paziente, 20 ore di assistenza domiciliare ogni anno, mentre altre nazioni europee garantiscono le stesse ore di assistenza in poco più di un mese. «I dati Istat – commenta il prof. Roberto Bernabei, presidente di Italia Longeva – ci dicono che quasi un italiano su 4 ha più di 65 anni, e che questo rapporto salirà a 1 su 3 nel 2050. Al contempo noi non auspichiamo, né saremmo in grado, di curare tutte queste persone in ospedale, e proprio da questa evidenza nasce il nostro sforzo, che si sostanzia anche nel dibattito animato da questi Stati Generali della Long Term Care, per individuare un modello alternativo. Però oggi scopriamo che assistiamo a domicilio meno di 3 anziani su 100. Tutti gli altri? A intasare i pronto soccorsi, nella migliore delle ipotesi, oppure rimessi alle cure fai- da-te di familiari e badanti, quando non abbandonati all’oblio di chi non ha le risorse per farsi assistere. A mio avviso – prosegue Bernabei – questi dati dovrebbero rappresentare non solo per i professionisti della salute, ma anche per i cittadini e per la politica, un campanello di allarme non più trascurabile».
Su un totale di 31 attività erogabili a domicilio (all’interno del panel di ASL analizzato) solo le ASL di Salerno e Catania le erogano tutte, seguite dalla Brianza e da Milano. Ci sono persino aree del Paese in cui l’assistenza domiciliare agli over65 è inesistente. Emergono poi differenze macroscopiche nel numero di ore dedicate dalle ASL agli over65: si va, per esempio, dalle oltre 40 ore annuali della ASL di Potenza alle 9 ore di Torino.
«L’Italia – commenta ancora Bernabei – non ha ancora dato una risposta univoca, né ha individuato un modello condiviso, per la gestione della più grande emergenza demografica ed epidemiologica del presente e del futuro. La nostra indagine dice anzitutto che l’assistenza domiciliare in Italia è una vera e propria Babele, nella quale ogni area del Paese parla una lingua diversa e sembra non esserci nessun dialogo. Tuttavia – prosegue Bernabei – da questa disomogeneità emergono due tendenze, che possono suggerire altrettante strategie per la domiciliarità che abbiamo il compito e la responsabilità di costruire: anzitutto, tranne rare eccezioni, le prestazioni sono quasi sempre insufficienti nelle aree in cui è meno sviluppata l’integrazione fra servizio sanitario e operatori sociali dei Comuni; in secondo luogo, il costo annuo per assistito a domicilio non cresce in maniera proporzionale al numero di ore dedicate a ogni paziente (over65): al di sopra di una certa soglia diminuiscono le successive richieste di assistenza e quindi sembra innescarsi un’economia di scala, che fa decrescere i costi marginali. In altre parole, al di sopra di un certo numero di ore ‘di qualità’, che devono essere considerate quelle ottimali, gli anziani iniziano a stare meglio, e l’assistenza domiciliare si conferma un ottimo investimento collettivo sulla salute dei nostri padri e dei nostri nonni».[wl_cloud][wl_chord]