Tempo di lettura: 3 minuti«La possibilità per le persone con malattia rara di fare la terapia a casa è stata cruciale, soprattutto in un momento in cui i centri di competenza chiudevano per Covid e comunque c’era la paura di dover accedere agli ospedali, con un alto rischio di contagiarsi. Credo però che questa pandemia debba spingerci a rivedere molti aspetti del sistema sanitario nazionale ed insegnarci che sulle patologie rare si debba fare ancora molto». Annalisa Scopinaro, presidente di Uniamo, Federazione Italiana Malattie Rare, che riunisce le associazioni di persone con malattie rare d’Italia, non ha dubbi nel tracciare un quadro con molte luci, ma anche diverse ombre. Un quadro emerso con grande chiarezza nel corso dell’evento on line promosso dal EEHTA- CEIS della Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata che ha visto la partecipazione dei principali stakeholder del settore, tra i quali la senatrice Paola Binetti(Membro della XII Commissione Permanente Igiene e Sanità e Presidente dell’Intergruppo Parlamentare Malattie Rare), Fabiola Bologna(Segretario della XII Commissione Affari Sociali), Raffaele Migliorini(Coordinatore Generale Medico Legale –INPS), Patrizio Rossi(Sovrintendente Sanitario Nazionale – INAIL) ed Evelina Chiocca (Presidente Coordinamento Italiano Insegnanti di Sostegno – CIIS).
VACCINAZIONI
Un appuntamento che arriva a pochi giorni dalla Giornata dedicata alle malattie rare e che mira a portare all’attenzione dei media e dei cittadini l’impatto sociale e sanitario di questo gruppo di patologie e l’importanza dell’inclusione sociale, diventa ancor più importante in epoca pandemica. «Quest’esperienza – ha aggiunto Annalisa Scopinaro – dovrà guidarci anche quando avremo superato la pandemia, quando tutto sarà finito, per garantire una migliore gestione della terapia». Scopinaro ha tracciato anche una sorta di road map alla quale ci si dovrà attenere per riuscire a migliorare definitivamente un sistema già molto strutturato, che ha però ancora lacune importanti. «Guardando al Covid – ha spiegato – è fondamentale che si parta presto con le vaccinazioni alle persone con malattia rara. Oltre la pandemia, invece, sarà essenziale aprire all’assistenza territoriale mediante il coinvolgimento dei medici di famiglia e garantire la continuità assistenziale. Bisognerà trovare meccanismi attraverso i quali i Centri di Competenza possano essere collegati con il territorio e con i centri più vicini al paziente. Ancora, sarà cruciale migliorare la possibilità di intervenire tramite la teleassistenza e telemedicina, per dare un supporto sociale alle persone con malattia rara e alle loro famiglie, cosa che durante il Covid è mancata, e soprattutto assegnare risorse alle malattie rare tramite il Recovery Fund».
COSTI SOCIALI
Le malattie rare sono infatti ben più numerose di quanto si possa credere. Si tratta di circa 8.000 diverse patologie che, solo in Italia, colpiscono milioni di perone. Circa l’80% dei casi è di origine genetica, per il restante 20% si tratta di malattie multifattoriali derivate, oltre che da una suscettibilità individuale, anche da altri fattori (ad esempio, ambientali,alimentari) oppure dall’interazione tra cause genetichee ambientali. «Altissimo il loro costo sociale – ha svelato il professor Francesco Saverio Mennini – una recente analisi dell’EEHTA del CEIS ha evidenziato come i costi diretti non sanitari e indiretti a carico delle famiglie (perdita di produttività dei pazienti e dei caregiver) assieme ai costi a carico del sistema previdenziale, rappresentano, a seconda delle patologie che prendiamo in considerazione, dal 75 al 90% dei costi totali della malattia». I dati elaborati nello studio dell’EEHTA del CEIS evidenziano come ogni anno si spendono circa 115 milioni di euro a carico del sistema previdenziale. «Emerge con forza – conclude Mennini – il problema della presa in carico precoce e della diagnosi tempestiva delle malattie rare, per la quale è di fondamentale importanza lo screening neonatale». Altro tema emerso con grande forza durante l’evento on line è stato quello dell’inclusione scolastica in tempi di pandemia. «La pandemia, comprensibilmente ci ha colti impreparati – ha spiegato Evelina Chiocca – non poteva essere diversamente. Quello che lascia perplessi è che la stessa impreparazione l’abbiamo mostrata all’inizio del nuovo anno scolastico. Per gli alunni con patologia rara o con disabilità si sarebbe potuto fare di più. Sono mancate condizioni di reale inclusione e ci ritroviamo oggi con classi che ospitano di fatto solo alunni con disabilità e i loro insegnanti di sostegno. Sarebbe invece stato più giusto creare almeno un piccolo gruppo classe eterogeneo». Per Chiocca l’attuale organizzazione fa venir meno la componente di socializzazione che è parte integrante dell’apprendimento. «Non si tratta solo di garantire il diritto allo studio, è anche una questione di valori culturali che si vogliono sostenere».