Tempo di lettura: 2 minutiChi inserisce nella propria alimentazione del pesce grasso ha un minor rischio (-17%) di avere un infarto o altre malattie cardiovascolari. La scoperta, per molti versi inattesa, è dell’equipe della Diabetologia del Policlinico Federico II di Napoli, guidata dalla prof.ssa Olga Vaccaro, che ha analizzato tutti i dati disponibili in letteratura sulla relazione tra il consumo di pesce e le malattie cardiovascolari. Insomma, se numerosi studi hanno dimostrato sino ad oggi che una alimentazione a base di pesce si associa alla riduzione del rischio di malattie cardiovascolari ischemiche, come l’infarto del miocardio, ora i ricercatori hanno dimostrato che è meglio preferire il pesce azzurro, anche detto pesce grasso al pesce bianco, noto come pesce magro. «Utilizzando una metodologia basata sulla sistematicità della ricerca, grazie a procedure statistiche in grado di combinare tutti i dati disponibili – spiega la professoressa Vaccaro – abbiamo analizzato una popolazione di 1,320,509 individui, seguiti per un periodo di tempo che va dai 4 ai 40 anni. I risultati hanno mostrato, con estrema chiarezza, che il consumo di 1-2 porzioni di pesce grasso a settimana si associa ad una riduzione significativa del rischio di infarto e di altre patologie cardiache che, per i casi fatali, si colloca intorno al 17%. Al contrario, il consumo abituale di pesce magro, pur non aumentando il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari, non si associa a questi benefici». Vale a dire che il consumo di pesce grasso, come sardine, sgombri ed altri pesci azzurri, riduce il rischio di malattie cardiovascolari e di mortalità precoce, mentre il pesce magro, come merluzzo, spigola, crostacei, molluschi, non ha lo stesso potenziale.
OMEGA 3
«I risultati di questo studio mettono in luce, per la prima volta, che l’effetto benefico sulla salute cardiovascolare attribuito finora al consumo di pesce in generale è in realtà limitato esclusivamente al pesce grasso», sottolinea Gabriele Riccardi, già direttore della Diabetologia Federiciana. «Questo ha una sua logica: il pesce grasso contiene, infatti, quantità fino a 10 volte più elevate di grassi cosiddetti omega-3, benefici per la salute, rispetto al pesce magro, inoltre, il pesce grasso è più ricco di molte altre sostanze salutari come calcio, potassio, ferro e Vitamina D, che possono contribuire all’impatto benefico del pesce azzurro sul cuore». Le conclusioni dello studio avranno implicazioni rilevanti per le scelte alimentari della popolazione adulta e per la preservazione dell’ecosistema marino. La consapevolezza che basta una alimentazione con una o due porzioni di pesce azzurro a settimana per ridurre marcatamente il rischio di malattie cardiache facilita l’adesione alle raccomandazioni nutrizionali in confronto al generico consiglio di consumare ogni tipo di prodotto della pesca con una frequenza maggiore. Guardando agli aspetti ambientali, la scelta preferenziale di pesce azzurro di piccola taglia, e con un breve ciclo di vita come alici, sardine, sgombri, aringhe e molti altri pesci meno noti ma molto diffusi nel mar Mediterraneo, ha un impatto rilevante sull’ecosistema marino ed è molto più sostenibile dell’utilizzo di specie, ritenute più pregiate, che arrivano sulla nostra tavola grazie all’acquacultura o alla pesca intensiva. All’innovativo studio, insieme ai professori Vaccaro e Riccardi, hanno preso parte le nutrizioniste Marilena Vitale ed Ilaria Calabrese, la dottoranda di ricerca in “Nutraceuticals Functional Foods and Human Health” Annalisa Giosuè e la diabetologa Roberta Lupoli.