Donne dopo il tumore, progetto per riportarle al lavoro
Il 42 per cento delle donne operate al seno per tumore ha problemi nel reinserimento al lavoro. Il 6 per cento, invece, non rientra più anche a causa di discriminazioni. Lo rivela uno studio dell’Associazione Onconauti e AUSL Bologna. Le difficolta sono legate a sintomi psichici e fisici secondari ai trattamenti che dopo un anno tendono a cronicizzarsi.
1071 diagnosi di tumore al giorno, 50% in età lavorativa
Le diagnosi di tumore in Italia sono 1071 al giorno e 496 le morti, secondo i dati LILT. Con le diagnosi in costante aumento, cresce anche il numero di donne operate al seno che sopravvivono a un tumore e convivono con gli effetti collaterali. Un report del National Health Institute USA (JAMA Oncology, Aprile 2023) evidenzia che negli ultimi 20 anni il numero di pazienti oncologici lungo-sopravviventi con limitazioni causate dalle terapie oncologiche è aumentato fino a raggiungere il 70% nel 2018.
In Italia, circa il 50% delle nuove diagnosi di tumore vengono effettuate in età lavorativa. Ogni anno circa 100mila persone si aggiungono ai quasi 1,5 milioni di “pazienti-lavoratori” oncologici che sono rientrati al lavoro dopo un tumore. Fra questi, le donne operate al seno sono il gruppo più numeroso, con circa 30-40mila casi annui stimati di rientro al termine dei trattamenti e più di 800mila lungo-sopravviventi che spesso hanno difficoltà nel reinserimento lavorativo.
Il progetto per la prevenzione
Un nuovo progetto congiunto dell’Associazione Onconauti con la Polizia di Stato vuole agevolare il reintegro professionale e sociale delle donne affette da tumore che dopo aver superato la malattia trovano un ostacolo sul posto di lavoro. Il progetto, da titolo “Return to work”, è stato presentato ieri a Roma.
“Negli ultimi 10 anni – ha spiegato Stefano Giordani, Direttore Scientifico Associazione Onconauti – un numero sempre maggiore di pazienti per ridurre l’incidenza di recidive a distanza effettua terapie ormonali preventive fino a 7-10 anni dopo la diagnosi, e usa farmaci biologici per 2-3 anni. Inoltre, sempre più donne con malattia metastastica sono ormai da considerarsi lungo-sopravviventi e possono rientrare al lavoro, pur dovendo eseguire terapie ormonali, farmaci biologici e chemioterapia per il resto della vita. Sulle spalle dei Medici Competenti grava quindi un’enorme responsabilità, che non è però supportata da strumenti adeguati, in quanto nessuno ha mai misurato l’impatto psico-sociale e le conseguenze sulla capacità lavorativa di questa nuova realtà clinica”.
Il Piano Oncologico Nazionale e il Piano Nazionale di Prevenzione sottolineano l’importanza degli stili di vita salutari e del recupero del benessere nel follow-up oncologico. In particolare, gli ambienti di lavoro vengono identificati come “setting” di prevenzione. “Serve un ampio consenso tra Istituzioni, Società scientifiche, Aziende e Associazioni del Terzo Settore che favorisca una comunicazione tra Oncologi, MMG e Medici Competenti, e percorsi riabilitativi di ‘Return to Work’ dedicati al recupero funzionale delle pazienti lavoratrici. Intervenire sullo stile di vita è difficile, non bastano le raccomandazioni; servono dei percorsi di reinserimento lavorativo adeguati”, ha aggiunto Giordani.
Riabilitazione dopo il tumore
Il nuovo progetto prevede interventi integrati sullo stile di vita e ad oggi ha coinvolto oltre duemila pazienti. In particolare, il metodo di riabilitazione integrata oncologica ha come obiettivo quello di ridurre ansia, depressione, dolore, affaticamento e migliorare l’efficienza psico-fisica. “Il metodo della nostra associazione consiste in trattamenti non farmacologici che si sono dimostrati di provata efficacia scientifica – ha spiegato il dott. Giordani.
Ai pazienti – ha proseguito – viene offerto un programma personalizzato di attività (tra cui lezioni di yoga, agopuntura ecc.), interventi sullo stile di vita per un’alimentazione salutare e un’attività fisica regolare e il supporto psicologico (arteterapia, mindfulness, ecc). Vengono offerte, in caso di necessità, sedute di fisioterapia. La combinazione di questi tre elementi (trattamenti integrati, stile di vita corretto, supporto psicologico) in un percorso della durata di tre mesi ha dimostrato il miglioramento della qualità di vita e dei sintomi nell’86% dei partecipanti, che possono così riprendere l’attività lavorativa. Questi interventi, conferma la letteratura scientifica, sono inoltre anche in grado nei tumori più frequenti di ridurre il rischio di recidiva della malattia e aumentano la sopravvivenza. Fondamentali in questo percorso risultano la tecnologia per la Teleriabilitazione, la presenza sul territorio e la personalizzazione degli interventi”.
“Questa iniziativa rientra appieno nell’attività della struttura medica che abbiamo nell’ambito della polizia – ha detto Fabrizio Ciprani, direttore centrale della sanità della Polizia di Stato, durante la presentazione. “È molto importante favorire questi processi in quanto il lavoro è una terapia in sé e aiuta psicologicamente le donne che abbiano avuto un tumore e nel nostro ambito cerchiamo di incentivare questo processo”, ha concluso.