Asma, in Italia si muore ancora. Gli allergologi lanciano l’allarme
Di asma grave si muore ancora. Succede in Italia, non in Paesi svantaggiati nei quali l’accesso alle cure è precluso a molti. Il nostro Paese, stando ai dati diffusi dall’Associazione Allergologi Immunologi Italiani Territoriali Ospedalieri (AAIITO) e dall’Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri (AIPO), i più colpiti sono i giovani e i giovanissimi. Addirittura in Italia si regista un numero di decessi legato ad asma grave ben più alto della media registrata nel resto dell’occidente. I dati sono ancora più allarmanti se si considera che l’asma è una delle malattie croniche più diffuse al mondo. Si parla di 300 milioni di persone colpite e i costi associati al trattamento sono altissimi, nei paesi sviluppati si stima un onere economico pari a circa l’1-2% del totale delle spese sanitarie.
Il registro
Per porre un argine a questa situazione 80 centri specialistici italiani hanno deciso di aderire all’iniziativa, nata in seno all’Associazione Allergologi Immunologi Italiani Territoriali Ospedalieri e all’Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri volta alla creazione di un Registro Nazionale Asma Grave. A questo 80 centri, afferenti alle due società scientifiche promotrici del progetto, si devono aggiungere i centri afferenti alla Società Italiana per le Malattie Respiratorie Infantili (SIMRI) che ha già dato vita a un registro focalizzato sull’asma nel Bambino. L’accostamento dei due registri (AIPO-AAIITO e SIMRI) consentirà di avere, per la prima volta in Italia, una visione d’insieme della patologia nell’adulto e nel bambino finalizzata a migliorare l’assistenza medica e la qualità degli interventi in emergenza.
Una nuova strada
Il Registro Nazionale Asma Grave, che partirà con il nuovo anno, è un progetto unico in Italia che consentirà di ottenere una quantità di dati aggregati mai prodotti da iniziative analoghe. «Conoscere meglio la patologia e le dinamiche a questa correlate», dice Stefano Gasparini (presidente AIPO). «Ci consentirà di intervenire laddove vite umane possono essere salvate con corretti stili di vita, con una migliore aderenza al trattamento e con adeguate terapie in fase di emergenza. Queste ultime, infatti, non sempre risultano idonee nell’indurre una risoluzione ottimale delle crisi più gravi».