Diabete 2: all’origine tessuto adiposo ‘disfunzionale’, anche in soggetti normopeso
L’insulina resistenza nel diabete 2 non sarebbe un difetto primario, ma sarebbe dovuta all’aumento della massa grassa, tanto da proporre la definizione di ‘diabete basato sull’adiposità. Se n’è discusso di recente al 30º Congresso Nazionale di Diabetologia.
Dovremmo quindi parlare di ‘diabete grasso’? “Credo che sia tempo che si passi ad utilizzare una classificazione patogenetica piuttosto che continuare ad utilizzare l’indeterminatezza di un numero (tipo 2). In inglese certamente utilizzerei la definizione che dà il titolo Adiposity-Based Diabetes, in italiano potremmo utilizzare il termine di diabete adiposo o diabete lipotossico. Certo è che le prove a favore di un’origine legata alla incapacità di immagazzinare appropriatamente l’eccesso calorico sono davvero soverchianti” spiega il Prof. Paolo Sbraccia Direttore della UOC di Medicina Interna e Centro Obesità, Policlinico Tor Vergata e creator del simposio.
“Uno dei punti si svolta si è avuto nel 1977 quando Rosalyn Sussman Yalow ha dimostrato che nel diabete di tipo 2 l’insulina era inefficace e non carente, scoperta che le é valso il premio Nobel” prosegue Sbraccia “successivamente la corsa per scoprire i meccanismi alla base della resistenza ha lasciato indietro lo studio del tessuto adiposo. Lo avevano intuito anche Ippocrate e Morgagni, salvo poi cambiare direzione verso altre ipotesi. Ci riprovò nel 1947 Jean Vague nel 1947 che associò il fenotipo androide dell’obesità con lo sviluppo del diabete (ma anche con l’aterosclerosi e la gotta). Per tornare a parlare di grasso solo nel 1992, anno della scoperta della leptina, l’ormone responsabile del senso di sazietà e dell’aumento del dispendio energetico.
La Sindrome X e le altre teorie
Gerald Reaven dimostrò che il 25% degli individui sani presenta un livello di assorbimento del glucosio, determinato dalla secrezione di insulina, sovrapponibile a quello delle persone con diabete di tipo 2 e che quindi un certo di grado di resistenza sia comune anche nella popolazione normale (ma con il rischio di sviluppare la malattia). L’intuizione proposta fu che la resistenza all’insulina precede la malattia e non il contrario. All’esatto opposto, la presenza di obesità e in particolare della circonferenza della vita, pone a favore dello sviluppo di Sindrome metabolica (o Sindrome X): la resistenza all’insulina secondo questa tesi sarebbe secondaria all’aumento della massa grassa.
Si deve attendere il 1987 quando De Fonzo parla di ‘triumvirato’: la resistenza all’insulina a livello dei muscoli del fegato più l’insufficienza delle cellule beta sarebbero i fattori responsabili della malattia. Una triade a cui si sono aggiunti negli anni altri 5 elementi: l’ipofisi accelerata, la resistenza alle incretine nel tag del tratto gastrointestinale, l’eccesso di cellule Alfa, l’aumento del riassorbimento del glucosio a livello renale e la resistenza all’insulina a livello cerebrale.
A risolvere l’enigma è intervenuta la genetica che ha individuato non solo loci associati a fenotipi di resistenza all’insulina ma anche 53 geni associati ad una capacità limitata di immagazzinare il grasso in modo sano, rinforzando la tesi dell’insulino resistenza come un segno secondario di un tessuto adiposo disfunzionale. Anche lo studio Epic ha permesso di dimostrare che i fattori modificabili come l’obesità superavano il rischio genetico nel conferire il rischio di sviluppare diabete di tipo 2 con un impatto più elevato.
La chirurgia bariatrica
I chirurghi osservarono che poche settimane dopo l’intervento di chirurgia bariatrica e molto prima della perdita di peso si verificava un fenomeno che curava la malattia, ulteriori osservazioni hanno permesso di capire che durante le prime settimane dopo l’intervento si determinava una notevole diminuzione dell’apporto calorico con cambiamenti metabolici che determinavano una inversione dell’insulina resistenza. “Un tema cruciale per la comprensione e la gestione del diabete di tipo 2 è il ruolo centrale del tessuto adiposo. Le evidenze presentate confermano quanto sia fondamentale ripensare il diabete non solo come una malattia del metabolismo del glucosio, ma come un disturbo profondamente legato alla disfunzione del tessuto adiposo. Questo concetto supera la tradizionale dicotomia tra soggetti magri e obesi, dimostrando come anche individui normopeso possano essere a rischio se presentano un’eccessiva quantità di grasso viscerale” ha dichiarato il Professor Angelo Avogaro, Presidente SID che aggiunge: “Queste nuove conoscenze ci spingono a rivalutare le nostre strategie terapeutiche. Se in passato l’attenzione era focalizzata principalmente sulla riduzione dei livelli di glucosio nel sangue, oggi sappiamo che è altrettanto importante agire sulle cause alla radice della malattia, ovvero sulla disfunzione del tessuto adiposo”.
Il ruolo della distribuzione del grasso
L’aumento di tessuto adiposo non si verifica in maniera uniforme in tutti i soggetti. Esistono quindi soggetti normopeso ma ‘metabolicamente obesi’ e individui obesi ‘metabolicamente sani’. I primi vedono un BMI inferiore a 25 ma una percentuale di grasso corporeo aumentata e un aumento della circonferenza della vita con depositi di grasso viscerale che li rende maggiormente suscettibili allo sviluppo di diabete di tipo 2. Non a caso l’obesità è associata ad un aumento della secrezione di insulina anche in assenza di insulino-resistenza. Queste nuove evidenze rafforzano il concetto del buon controllo dell’eccesso di grasso attraverso uno stile di vita sano in prevenzione e attraverso l’utilizzo dei nuovi farmaci, sempre più efficaci, per il controllo del peso nel trattamento.