Poliposi nasale, ecco come affrontarla
La difficoltà nel respirare dal naso, un mal di testa insistente dato da una sensazione di compressione o la perdita dell’olfatto, possono essere il sintomo di quella che gli specialisti chiamano rinosinusite cronica con polipi nasali. Il problema, ce lo dicono i dati, è più frequente di quanto si possa credere: in Europa circa l’11% della popolazione ne soffre, e in Italia si va dal 4 al 10%. «Abbiamo a che fare con una patologia infiammatoria che ha un forte impatto sulla qualità di vita dei pazienti, con un’eziologia non del tutto chiara e un quadro clinico molto variabile», spiega il professor Carlo Antonio Leone, direttore dell’U.O.C. di Otorinolaringoiatria e Chirurgia cervico-facciale dell’Azienda dei Colli. Una patologia della quale non si conosce ancora del tutto l’origine, dunque, ma che oggi può essere trattata con risultati fino a poco tempo fa impensabili. «Spesso si associa ad altre malattie legate ad un’iper risposta immunitaria – aggiunge il professor Leone -, si pensi all’asma o alla dermatite atopica. Notiamo anche una lieve prevalenza tra gli uomini, con un picco d’incidenza tra i 45 e i 65 anni. In alcuni casi osserviamo delle poliposi nasali anche in età pediatrica, in bambini disreattivi». Come detto, i sintomi sono i più vari. Si va dall’ostruzione nasale, alla perdita dell’olfatto, al dolore facciale o persino ad una sensazione di spossatezza.
TIPIZZAZIONE
La cosa importante da comprendere è che le poliposi non sono tutte uguali. «Alcune sono particolarmente severe e recidivanti, altre no. Quindi in questi anni abbiamo osservato pazienti che una volta operati hanno tenuto a bada il problema con cortisonici ad uso locale o sistemico, e pazienti che invece sono stati costretti ad operarsi più e più volte». La grande novità, una notizia epocale per chi si vede la vita distrutta dalla poliposi nasale severa, è che oggi le armi terapeutiche si sono molto affinate. C’è stato un cambio di strategia terapeutica, con un passaggio da una terapia sintomatica ad una eziopatogenetica. Gli specialisti hanno infatti a disposizione anche farmaci biologici che riescono ad impedire le recidive. A confermarlo è proprio il professor Leone: «La chirurgia, anche se oggi è mini-invasiva, risolve solo i sintomi. Usando un endoscopio dotato di telecamera Hd, il chirurgo rimuove i polipi e amplia i condotti dei seni paranasali, così da favorire l’azione dei farmaci per uso locale. A fare la differenza sono invece gli anticorpi monoclonali usati nell’ambito di quelle che sono a tutti gli effetti delle terapie personalizzate». La citologia nasale e gli studi immunologici consentono infatti di mettere in campo una terapia mirata basata proprio sui farmaci biologici che colpiscono alcuni elementi della cascata infiammatoria. «In particolare nel processo infiammatorio che porta alla poliposi nasale, i bersagli sono l’interleuchina 4 e l’interleuchina 13, entrambe responsabili dell’infiammazione che produce l’iperplasia della mucosa». Visto che alla base delle poliposi nasali severe ci sono meccanismi simili a quelli dell’asma e della dermatite atopica, non è raro che si manifestino delle comorbilità: pazienti affetti da poliposi e dermatite atopica, o da poliposi e asma. In collaborazione con la professoressa Gabriella Fabbrocini della Federico II, il Centro diretto dal professor Leone (il primo a livello italiano per numeri di casi trattati) ha portato avanti una sperimentazione del monoclonale “dupilumab”, con l’importante pubblicazione di un lavoro internazionale su questa comorbilità.
I SINTOMI
Il professor Leone non ha dubbi: «Il sintomo più comune è la difficoltà respiratoria nasale, ma bisogna prestare attenzione anche ad eventuali alterazioni dell’olfatto e, se si nota qualcosa che non va, serve una visita dall’otorinolaringoiatra». Peraltro, questi specialisti possono oggi fare delle endoscopie che permettono di valutare le dimensioni del polipo, o esami citologici che consentono di individuare i fenotipi e arrivare così ad una terapia personalizzata. Il Monaldi è certamente il Centro di riferimento più adatto per questo tipo di esami e per le somministrazioni dei monoclonali. «Anche se col tempo le terapie possono essere autosomministrate – conclude Leone – , è essenziale che si parta sempre sotto controllo specialistico. Inoltre, i pazienti che hanno alla base una disreattività immunologica devono essere trattati in maniera multidisciplinare. Solo così si può offrire a ciascun paziente una terapia personalizzata e veramente efficace».