PMA, a Eshre 23 studio sul perché non si impianta l’embrione
Il perché un embrione non sempre si impianti nell’utero materno per dare luogo a una gravidanza a termine è un punto interrogativo per specialisti di Procreazione medicalmente assistita (PMA) e aspiranti genitori. Alla ricerca di una spiegazione degli studiosi italiani hanno realizzato una meta-analisi di tutti i possibili elementi che portano a un insuccesso anche dopo un trasferimento di embrioni euploidi.
Il lavoro dal titolo ‘Opening the black box: why do euploid blastocysts fail to implant? A systematic review and meta analysis’ è stato pubblicato sulla rivista Human Reproduction Update. Gli autori, afferenti al gruppo Genera e a Juno Genetics, hanno presentato i risultati al 39esimo congresso della Società europea di Medicina della riproduzione ed embriologia (ESHRE) appena concluso a Copenhagen.
Lo studio sulla ‘scatola nera’ della PMA
Lo studio è durato due anni. Il team di ricercatori guidato da Danilo Cimadomo, Laura Rienzi e Antonio Capalbo, ha collaborato con colleghi americani della Columbia University di New York e dell’università Federico II di Napoli. Dopo aver analizzato migliaia di lavori presenti nella letteratura scientifica, hanno provato a dare una spiegazione al fallimento di impianto o l’aborto dopo il trasferimento di embrioni euploidi.
“Oggi la scienza ci consente di arrivare fino a un certo limite – spiega Rienzi – per cercare il successo nella PMA. Lo strumento massimo che abbiamo è poter arrivare a coltivare gli embrioni a blastocisti e poi procedere con il test genetico pre-impianto. Un embrione euploide (cioè risultato cromosomicamente sano al test pre-impianto) ha fra il 45 e il 65% di chance di essere un bambino sano che nasce. Viceversa, c’è un 45-55% di embrioni euploidi che non si impianta. Questo range di non impianto è la ‘scatola nera’.
Per cercare di aprirla e di descriverne il contenuto abbiamo passato in rassegna tutti i lavori precedenti che avevano investigato i fattori associati al fallimento di impianto di embrioni euploidi. In tutto, abbiamo ‘screenato’ oltre 1.600 studi e ne abbiamo individuati 416 che rientravano nei parametri di valutazione attendibili per rispondere a questa domanda”.
I risultati
Dai dati sono emerse alcune associazioni: “sono state individuate diverse caratteristiche – spiega Cimadomo – che hanno una maggiore influenza sul mancato impianto. A livello dell’embrione, incide una scarsa qualità del trofoectoderma o della blastocisti in toto e uno sviluppo più lento. Anche in presenza di blastocisti euploide, in donne ‘over 38’ si ha una lieve riduzione del tasso di successo. Inoltre, incide l’obesità (BMI oltre 30) e un’esperienza pregressa di fallimento d’impianto. In questa fase non sono stati trovati elementi riconducibili al fattore maschile.
Dal punto di vista clinico: nel contesto della diagnosi pre-impianto, è apparso meglio congelare l’embrione piuttosto che allungare di un giorno la coltura in attesa dell’esito diagnostico per eseguire il transfer a fresco. Inoltre, una tecnica di biopsia meno invasiva che non prevede la rimozione dell’embrione dall’incubatore in terza giornata di coltura, è apparsa associata a migliori risultati in termini di gravidanza. Questi – evidenzia l’esperto – sono i fattori che sono risultati significativi al fine di comprendere il perché di un fallimento”.