Tempo di lettura: 3 minutiLa diagnosi di una malattia oncologica come il cancro è sempre un momento traumatico, molto importante e significativo, che mette in crisi gli equilibri psichici anche della persona apparentemente più forte e meno vulnerabile. Intorno al malato oncologico tutto cambia: crollano tutte le sicurezze, acquisite in tanti anni, i valori, le priorità, gli amici più stretti e i familiari da cui ci si aspetta continui sforzi e dimostrazioni d’affetto, spesso al di fuori delle normali possibilità, che mettono quest’ultimi in una
condizione di costante frustrazione e senso d’inutilità per non aver fatto abbastanza.
Meccanismi di adattamento
Dal punto di vista psicologico il malato di cancro mette in atto dei processi di adattamento alla sua condizione che, nella maggior parte dei casi, fa sviluppare una sintomatologia psicopatologica più o meno severa. La letteratura in questo ambito è molto vasta e quasi tutti gli studi hanno rilevato che circa il 50% dei pazienti oncologici sviluppa un disturbo psichiatrico clinicamente rilevante durante la sua malattia. I disturbi dell’adattamento colpiscono la maggior parte dei pazienti e sono connessi con il senso di fallimento ed impotenza nei confronti della malattia.I disturbi dell’umore, invece, per la loro frequenza, in particolare per il disturbo depressivo maggiore, rappresentano la sintomatologia psichiatrica più diffusa in oncologia. Quando si parla di depressione maggiore, viene quasi automatico pensare al rischio suicidario che, effettivamente, in questi pazienti è molto alto sia nelle fasi iniziali che terminali della malattia, quando vi è una grave debilitazione fisica, o quando c’è uno scadente supporto
familiare e sociale. I disturbi d’ansia, infine, rappresentano la risposta fobica alla chemioterapia, caratterizzata da nausea e vomito anticipatori.
I survivors
Allo stato attuale, un numero sempre maggiore di pazienti guarisce o, per lo meno, sopravvive sempre più a lungo. Basti pensare che dal 1970 ad oggi si è passati a percentuali di guarigione che vanno da zero ad oltre il 90% per i tumori al testicolo, al seno e alcune forme di leucemia nei bambini. Ecco che è nato un nuovo tipo di paziente nel vastissimo panorama dell’oncologia, i survivors, letteralmente i sopravvissuti”, tutti quei pazienti cioè che non trattano la malattia da più di 5 anni e che in Italia sono circa un milione. La condizione di survivors ci mette davanti ad un’altra questione: il ritorno alla normalità. In una società che ci vuole sempre pronti, sempre attivi e produttivi, tornare a lavoro per queste persone è un problema di non poco rilievo.Vivono infatti con una costante paura per il futuro, in cui si rinuncia a progetti ambiziosi e a lungo termine proprio per timore che il cancro si possa ripresentare, il tutto accompagnato da forti sensi di colpa per essere sopravvissuti rispetto a tanti altri malati meno fortunati. Dopo questo quadro è quindi doveroso parlare della psiconcologia perché, come abbiamo visto, il cancro non è solo una malattia del corpo che riguarda il singolo individuo, ma coinvolge
la vita del paziente a tutti i livelli, sociali, familiari ed emotivi. La figura dello psicologo dovrebbe essere sempre presente per sostenere in primo luogo il paziente e poi chi gli sta intorno. Il suo aiuto è di fondamentale importanza in tutte le fasi della malattia, a partire dalla diagnosi. Anche se molti medici sono a favore della comunicazione chiara di diagnosi e prognosi, la percentuale di pazienti veramente consapevole della propria malattia è ancora troppo bassa. In questa situazione l’intervento dello psicologo aiuterebbe all’accettazione della propria condizione che, evitando la negazione, attiverebbe delle reazioni emotive funzionali all’affrontare il problema, migliorando notevolmente la qualità della vita.
Caregivers
Quando ci si ammala di cancro ad “ammalarsi” è tutta la famiglia: su di essa grava gran parte del “peso della cura”. Assistere i caregivers aiuta a prevenire un senso di scoraggiamento patologico. In questo modo, fissando anche degli obiettivi di assistenza, i familiari avrebbero davvero la sensazione di essere utili e, nel caso in cui la malattia dovesse avere il sopravvento, non rimarrebbero con un continuo senso di colpa per non aver fatto abbastanza. Clicca qui per leggere altri articolo dello speciale
Luigi Gazzillo