Tempo di lettura: 4 minutiSono trascorsi due anni dall’inizio della guerra in Ucraina. Il rapporto delle Nazioni Unite del 5 ottobre 2023 parlava già di oltre 10 mila morti tra i civili e diverse decine di migliaia di feriti. Analizzando la letteratura disponibile, esistono solo 18 studi sulle cicatrici di guerra indicizzati su PubMed, prevalentemente dedicati alla chirurgia maxillofacciale e ad alcuni dati statistici che indicano agli eserciti dopo quanto tempo possono richiamare i feriti alle armi. Secondo tali studi, le principali ferite sono da ustione, conseguenza del fatto che intorno alle zone con esplosioni l’aria diventa rovente per un raggio di decine di metri e tutti coloro che vengono coinvolti da tali onde d’urto termiche sono esposti a lesioni a mani, volto e collo, le parti generalmente non coperte dall’abbigliamento. Per offrire cure a chi porta ogni giorno i segni della guerra sulla propria pelle, RigeneraDerma presenta Mission to Kiev.
Progetto per restituire un volto alle donne vittime di violenza
Nato per curare le donne oggetto di violenza, il progetto RigeneraDerma viene oggi rivolto gratuitamente anche a militari e civili feriti nel corso della guerra d’Ucraina. Ideata da Maurizio Busoni, Professore presso il Master di Medicina Estetica delle Università di Barcellona e Camerino, la missione umanitaria si avvale del Patrocinio dell’Università di Verona con la collaborazione del Professor Andrea Sbarbati e dell’Ingegner Sheila Veronese, del Professor Francesco D’Andrea dell’Università Federico II di Napoli, del Dottor Andrzej Ignaciuk, Past Presidente UIME Union Internationale de Mèdicine Esthétique di Varsavia e di un gruppo di medici ucraini. La metodologia Biodermogenesi per la rigenerazione dei tessuti cutanei, sarà messa a disposizione dei medici ucraini aderenti all’iniziativa che erogheranno le terapie ai pazienti dopo specifica formazione. Referente in Ucraina è la Dottoressa Anna Shemetillo, Medical Director Academy of Advanced Aesthetics UA di Kiev.
«Le cicatrici di guerra sono la conseguenza di traumi da arma da fuoco ed hanno caratteristiche peculiari. Si tratta infatti di ferite spesso estese, di tipo lacerocontuso, infette e con perdita di tessuto. La guarigione di tale ferite è verso cicatrici di tipo patologico, ispessite, spesso dolenti e retraenti con associati disturbi funzionali se localizzate in zone flesso estensorie, quali arti e collo. La terapia non è di facile realizzazione», spiega il Professor Francesco D’Andrea, Direttore del Dipartimento di Chirurgia plastica ed estetica del Policlinico Federico II di Napoli e past president della SICPRE Società di chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica.
Approccio innovativo
«Le ferite di guerra rappresentano da sempre una sfida per la medicina, perché nascono in situazioni difficili e sono poco prevedibili, sia per la sede, sia per il meccanismo di formazione. Sono sempre state una sfida per l’umanità. Si potrebbe dire che la medicina è nata per curare le ferite di guerra. E questa sfida non è stata ancora vinta. Nella cicatrice noi abbiamo un esempio di quello che avviene in ogni parte del corpo durante l’invecchiamento, ma in modo acuto. Si generano, infatti, fenomeni di atrofia, di ipertrofia, che portano ad un tessuto fibrotico con problemi vascolari, come succede nei tessuti invecchiati. È come se il tessuto invecchiasse nel giro di pochi giorni o mesi. Oggi abbiamo a disposizione delle metodiche in grado di ringiovanire il tessuto. Potremmo dire, in termini tecnici, di mesenchimalizzare il tessuto, e abbiamo il dovere morale di sviluppare queste tecnologie perché possono essere utili in tante situazioni patologiche, anche al di fuori del contesto di guerra. L’Università di Verona da tempo studia il trattamento presentato sia dal punto di vista anatomico-funzionale, sia bio-ingegneristico. I risultati di questi studi sono stati pubblicati su riviste scientifiche internazionali. In particolare, sono state evidenziate possibilità di induzione di fenomeni rigenerativi dei tessuti», sottolinea il Professor Andrea Sbarbati, Ordinario di Anatomia Umana, Direttore della sezione di Anatomia Umana e Istologia, Università degli Studi di Verona.
Ferite di guerra: come trattarle
«Per capire come trattare le ferite di guerra è fondamentale capire come si determinano. Focalizzandosi, in particolare, su quelle causate da arma da fuoco o esplosivo, si deve considerare che la ferita è generata da una scottatura termica associata ad una bruciatura chimica. L’effetto termico si esaurisce con il raffreddamento dei tessuti. Gli agenti chimici, invece, continuano ad erodere anche in profondità i tessuti fino a che l’ultima molecola di agente non viene lavata via dal corpo. Curare questo genere di danni significa ristrutturare tutti i tessuti coinvolti, talvolta rigenerandoli. Perché tanto più profonda è la ferita, tanto più estesa la cicatrice, e tanto più grave il danno funzionale, e, conseguentemente, il danno sociale», evidenzia l’Ingegner Sheila Veronese, esperta di Medicina rigenerativa, si occupa di dispositivi bio-medicali, dal funzionamento alle interazioni fisiologiche presso il Dipartimento di Scienze Neurologiche, Biomediche e del Movimento dell’Università degli Studi di Verona.
Nasce la scala di valutazione delle ferite
«Nonostante la storia dell’umanità sia stata scandita dalle guerre, nessuno si è preoccupato di curare le cicatrici dei feriti sopravvissuti, che sono stati abbandonati a loro stessi, con problemi di relazione causati proprio dalle cicatrici, talvolta deturpanti, e molte volte impossibilitati a rientrare nel mondo del lavoro, perdendo di conseguenza la propria indipendenza economica. Ad oggi non esiste un protocollo terapeutico convalidato, né una scala di valutazione del danno. Pertanto siamo partiti dallo studio delle cicatrici di guerra e delle loro conseguenze, quali ad esempio dermatiti gravi e talvolta croniche o devastanti forme di tumore cutaneo come le ulcere di Marjolin, sviluppando una scala di valutazione di tali cicatrici che abbiamo chiamato POWASAS, Patient and Observer WAr Scar Assessment Scale. La scala verrà adottata per tutta la durata di Mission to Kiev e permetterà inizialmente di determinare la gravità delle lesioni e successivamente di valutare i miglioramenti apportati. Saranno quindi raccolti i dati di tutti i pazienti curati al fine di pubblicare degli studi clinici destinati a ridurre il vuoto informativo nell’ambito della cura delle cicatrici di guerra», conclude Maurizio Busoni.