Tempo di lettura: 8 minutiCollegato dal centro Covid-19 dell’Ospedale Santa Maria Nuova a Firenze, Federico Gelli, presidente della Fondazione Italia in Salute coorganizzatore del webinar con ISPE Sanità e lo Studio Legale Improda, ha aperto il confronto testimoniando in primo luogo il lavoro sul campo che sta conducendo in questi mesi di pandemia.
Sanità: il dibattito
Federico Gelli – “Con questa pandemia, è di fatto “saltato” ogni riferimento scientifico, in assenza del quale diventa molto complicato stabilire i gradi di responsabilità di un professionista”.
“Abbiamo lavorato e stiamo lavorando tutti in prima persona per attrezzare e proteggere i 15.000 dipendenti dell’azienda sanitaria Toscana Centro, mettendo in atto innumerevoli procedure di contenimento del contagio sulla scorta di precise attività di prevenzione del rischio, riconducibile al rischio biologico e non solo sanitario, anche e soprattutto in previsione di un’eventuale “seconda ondata” del virus in autunno. Personalmente – continua Gelli – temo che a settembre ci si debba preparare non solo ad un possibile ritorno del Sars Cov-2 ma che inizi anche una campagna di aggressione verso i professionisti sanitari finalizzata alrisarcimento”.
“Se questo dovesse accadere, ci tengo a sottolineare come le tutele previste dalla Legge 24/17 siano in sostanza difficilmente applicabili. Con questa pandemia, è di fatto “saltato” ogni riferimento scientifico, in assenza del quale diventa molto complicato stabilire i gradi di responsabilità di un professionista. Penso a quei medici, infermieri e operatori della sanità che non si sono tirati indietro per assistere i contagiati, con turni massacranti, spesso sprovvisti di adeguati dispositivi di protezione, spesso impiegati per necessità fuori dalle loro competenze professionali, e che in troppi casi hanno dato persino la vita per salvarne altre. Eroi, li abbiamo chiamati, e a ragione. Ecco perchè avevo proposto al Governo e alle forze politiche un emendamento, da inserire in uno degli strumenti normativi promossi in Parlamento, che innalzasseulteriormente le tutele e le garanzie nei confronti degli esercenti la professione sanitaria sulla responsabilità penale e civile. Un emendamento “coraggioso” che introduceva il livello di responsabilità civile e penale solo per dolo e colpa grave, ma andando a precisare i significati contestuali di colpa grave ai fini di circoscrivere, almeno per questa circostanza eccezionale dettata dalla pandemia, l’altrimenti attuale completa discrezionalità di giudizio affidata al magistrato. Pur avendone parlato più volte al ministro Speranza – conclude Gelli – ad oggi non si è riusciti purtroppo a trovare un punto d’incontro tra le forze di maggioranza per sostenere questo emendamento che andrebbe ad integrare la Legge 24/17. Coordinato a questo, mi auspico, certamente non da solo, che il legislatore intervenga costituendo un fondo ad hoc per tutte le richieste di risarcimento che perverranno e che saranno considerate risarcibili; istituendo, così, un meccanismo di rimborso forfettario che possa calmierare le denunce sia nei confronti dei medici che delle strutture”.
Walter Ricciardi – “C’è il rischio che gli italiani non abbiano imparato la lezione dell’emergenza COVID-19. Se vorremo dare una discontinuità al Paese, dobbiamo dotarci di visione e di una nuova leadership politica e professionale”.
In merito alle lezioni impartite al mondo dalla pandemia da Covid-19 e cosa il nostro Paese abbia imparato, è intervenuto quindi Walter Ricciardi, consulente del ministro Speranza e professore all’Università cattolica del S. Cuore, il quale ha ammesso come in una certa misura l’Italia abbia preso un paio di schiaffi dal virus, forse perfino meritati, e che compito dei decisori per l’immediato futuro sia soprattutto quello di evitare che si ripeta, con la partecipazione attiva di tutti. “Che gli italiani rischino di non aver imparato la lezione, lo dimostra il fatto che l’epidemia in Italia non è affatto finita. I numeri sui contagi, ancora oltre 200 positivi nella sola giornata del 10 luglio, e lo scoppio di focolai in molte Regioni suggeriscono una situazione ancora in allerta. Perchè tutto questo? Intanto, un problema di allocazione di risorse finanziarie. Il de-finanziamento del sistema sanitario nazionale negli ultimi 10 anni è stato devastante: pensavamo di sbarazzarci delle suppellettili dell’aereo sul quale voliamo ed invece abbiamo buttato via parte del motore. Quindi” ha proseguito Ricciardi “non mi pare che abbiamo imparato granchè sui finanziamenti. Basta guardare l’attuale discussione sul recepimento senza condizionalità dei 36 miliardi del MES, cosa che ci consentirebbe di mettere in sicurezza il SSN fino alle prossime 2 generazioni. Poi non mi sembra si sia imparata la lezione sulla frammentazione decisionale cui si è assistito in alcune Regioni. Sono quasi 20 anni che disponiamo di evidenze scientifiche, con i Rapporti dell’Osservatorio nazionale sulla Salute delle Regioni italiane, dove si sottolinea come questo regionalismo differenziato, non solidale, di fatto non funziona, non funziona per tutti. Tutto questo è ancor più devastante in presenza di un virus che certamente non sta a guardare governi regionali o nazionali per diffondersi. Il virus ha colpito e sta continuando a colpire tutto il mondo, non è cambiato, e se in Italia la sua patogenicità è oggi inferiore lo dobbiamo in buona parte alle misure prese e raccomandate dalla comunità scientifica. Ecco, questa è una lezione che abbiamo appreso senz’altro meglio di altri Paesi che ora vedono migliaia di morti e perfino la loro economia in grande difficoltà: abbiamo imparato cioè a seguire l’evidenza scientifica”.
Cosa fare nel prossimo futuro? Secondo Ricciardi, il punto non sta tanto e solo nelle risorse. “L’ultima riforma sanitaria nazionale è del 1999. Sarebbe ora di rimettere mano all’assetto strutturale del SSN trovando un nuovo equilibrio tra Stato e Regioni ma anche di governance e management a livello locale, aggiornando e attrezzando il ruolo delle aziende ospedaliere e quello della medicina generale. Ma il punto centrale è altrove. Se vorremo dare una discontinuità al Paese, dobbiamo dotarci di visione e di una nuova leadership politica e professionale che sappia essere trasformazionale e non più legata a modelli del passato. Leader politici e professionali che si chiedano cioè, alla luce di questa situazione, ‘cosa’ serve, chi fa cosa e come, in quanto tempo, e non il solo ‘quanto’ serve. Certo, oggi, con il 160% di debito pubblico mai registrato prima nella Storia, se l’Italia rinuncia ai soldi del MES, rischiamo di mettere la parola fine al SSN come lo conosciamo, fondato su uguaglianza, equità e universalità”.
Carlo Coletta – “L’assicurabilità dei rischi di RC sanitaria ha risentito fortemente sia dell’incertezza generata dal contesto giuridico sia dell’assenza di un moderno assetto di risk management nelle strutture sanitarie pubbliche, cosa che ha generato una fuga degli assicuratori e dei riassicuratori dal settore. L’esperienza COVID-19 ne ha sottolineato le difficoltà”.
Elemento centrale dell’intervento di Carlo Coletta, senior professional assicurativo e, tra l’altro, presidente di PACTA, l’associazione tra società di perizie e servizi assicurativi leader nel mercato italiano, è stato quello dell’assicurabilità dei rischi sanitari. “La gestione del rischio come struttura mentale e approccio culturale, da contrapporre alla gestione “ex post facto”delle emergenze, è presente solo a macchia di leopardo nel sistema economico-sociale italiano e in misura largamente inadeguata: la sanità, in particolare quella pubblica, non si sottrae purtroppo a questo ritardo culturale del Paese” inizia Coletta per proseguire sottolineando che “l’assicurabilità dei rischi di RC sanitaria ha risentito fortemente sia dell’incertezza generata dal contesto giuridico sia dell’assenza di un moderno assetto di risk management nelle strutture sanitarie pubbliche, cosa che ha generato di fatto una fuga degli assicuratori e dei riassicuratori dal settore. E’ pur vero che la riforma Gelli con la legge 24/17 ha introdotto importanti novità, ma la perdurante mancanza dei decreti attuativi contribuisce alla mancata attuazione del risk management nelle strutture pubbliche e, di conseguenza, alla perdurante difficile assicurabilità dei rischi: l’urgenza assoluta del risk management nella sanità è confermata dall’emergenza Covid e dalle riflessioni più ampie sul modo di fronteggiare i rischi, che siano sistemici e non. In un contesto che non può non essere internazionale, il risk management, nel processo assicurativo, deve consentire agli assicuratori di valutare i rischi sulla base di dati, informazioni e un track record attendibili e trasparenti, fondati su criteri internazionalmente riconosciuti: lasciamo che metodologie oggettive di risk management siano tracciate da esperti (senza reinventare la ruota, cercando per esempio soluzioni di tipo politico, magari frammentate regione per regione e che certamente non aiutano un processo che fa uso di metodologie oggettive, scientifiche). Il risk management deve essere la cinghia di trasmissione per inquadrare il problema e per rappresentarlo poi correttamente quando il rischio deve essere trasferito sui mercatiin modo sostenibile. Come si può pensare di collocare i rischi di RC del personale medico e delle strutture sanitarie nelle situazioni di emergenza senza disporre di un modello di risk management che sia efficiente, autorevole, affidabile, uniforme? Ancora, auspichiamo che i meccanismi di gara pubblica siano sottoposti ad esigenze obiettive di tecnica di economia assicurativa. Non possono basarsi sulla sola ricerca del massimo ribasso. Infine, la ritenzione dei rischi, piuttosto che auto-assicurazione, non deve essere una necessità per le strutture ma una scelta consapevole, professionale e bilanciata di risk management: il mestiere dell’assicuratore va lasciato agli assicuratori”.
Stefano M. Mezzopera – “Paradossale ma significativo che non si siano consultati per tempo i gestori del rischio per il Covid-19. Come sempre, è prevalso il modello emergenziale, non l’organizzazione”
Dal confronto portato da questo webinar ad oltre un centinaio di persone collegate, è emerso chiaramente come, con le parole del professor Stefano Maria Mezzopera della LUISS Business School e vice presidente di SIGeRIS – Società Italiana dei Gestori del Rischio, “nella gestione del rischio in sanità, al 90% dei casi il problema non è legato alla clinica o all’assistenza ma si lega ad una sola variabile, che si chiama organizzazione e che va posta prima di ogni altra, come ha sottolineato Ricciardi. Lo evidenzia bene il caso dell’auto-assicurazione, preferibilmente ritenzione dei rischi, una parola impropria per raccontare che le compagnie assicurative non assicuravano più i rischi perchè, semplicemente, non conoscevano qual era il rischio. E se manca l’organizzazione, credo proprio che si debba risalire all’approccio culturale. Per fortuna, dopo la legge 24/17 Gelli/Bianco, si è smesso di parlare di rischio clinico, farmacologico, assistenziale che di per sè non esistono. Esiste invece il rischio sanitario che poi, altro non è che un rischio organizzativo” ha puntualizzato Mezzopera. “Quindi, anche in sanità, non servono poi tante risorse in più ma sicuramente serve un’organizzazione più efficiente delle risorse che, insieme ad una base dati uniforme, sicura e condivisibile, ci consentirebbe di tornare sul podio dei migliori servizi sanitari nazionali, dal quarto al mondo in cui siamo oggi”.
Tra le risorse professionali, durante la gestione del Covid-19 in Italia, il professor Mezzopera denuncia il mancato consulto e utilizzo dei gestori del rischio i quali, pur sulla scorta di un modello sperimentato di risk management, sono stati pressochè assenti dalla scena. “Il Covid-19 ha visto tenere in disparte in molte realtà italiane il gestore del rischio che, invece, avrebbe avuto un ruolo anche predittivo di indiscutibile valore. Se un gestore del rischio competente avesse potuto disporre di dati aggregati, per esempio sulle polmoniti interstiziali, nei primi giorni di gennaio l’epidemia certamente avrebbe avuto un altro svolgimento. Questo perchè non è ancora stato riconosciuto al gestore del rischio lo stesso ruolo, diffusione e peso che ha in altre realtà. Come ci insegnano le direzioni strategiche in aeronautica, negli impianti nucleari, nella finanza, il gestore del rischio sta e deve stare a fianco di chi decide, fa parte della squadra – aperta a tutti i soggetti pertinenti al processo sanitario – organizzata e diretta da quel leader di cui accennava Ricciardi. Ma non ancora nella sanità italiana, dove spesso dietro la scritta “risk Manager” c’è una scrivania vuota. Questo proprio per quella mancanza di cultura e nonostante l’obbligo di segnalazione di eventi sentinella risalente ad almeno 10 anni fa. E purtroppo si è visto”.
Gabriella Napolano – “Per la specifica posizione dei medici potrebbe essere già sufficiente l’applicazione ed esatta interpretazione da parte dei giudici del canone di valutazione previsto dall’art. 2236 c.c. che, per la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, tra i quali può sicuramente rientrare la gestione dell’emergenza, rispondono solo in caso di colpa grave o dolo“
A chiudere i lavori del webinar è stata l’avvocato Gabriella Napolano dello Studio Legale Improda che ha avuto modo di dialogare con Federico Gelli in merito agli scenari normativi che si prospettano in tema di responsabilità sanitaria alla luce dell’emergenza ancora in atto. “In particolare, quali possibili scenari giuridici tenuto conto dell’attuale normativa esistente (Legge 24/17 Gelli-Bianco), in base alla quale le strutture sanitarie – sulle quali incombe anche l’esatto adempimento degli obblighi organizzativi della struttura stessa – saranno chiamate a rispondere alle eventuali richieste di risarcimento provenienti dai danneggiati, a titolo di responsabilità contrattuale. I medici che hanno operato quali dipendenti degli ospedali, invece, risponderanno a titolo di responsabilità extracontrattuale, laddove venga provato dal danneggiato di aver subito un danno casualmente collegato all’inesatto adempimento della prestazione medica posta in essere dal sanitario.
In assenza, ad oggi, di una normativa ad hoc che preveda una sorta di scudo sia penale che civile in favore delle strutture sanitarie e dei medici, è possibile prevedere un elevato numero di contenziosi a loro carico; ma, mentre, la posizione dei medici è più facilmente difendibile invocando anche l’applicazione del canone di valutazione della colpa previsto dall’art. 2236 c.c.; per le strutture sanitarie la situazione è più complicata, soprattutto riguardo all’ipotesi in cui il paziente abbia contratto il virus all’interno dell’ambiente ospedaliero.
In tali casi, infatti, la responsabilità della struttura potrebbe essere oggettivizzata, come avviene già nelle ipotesi di infezioni nosocomiali”. Quanto, invece, alla specifica posizione dei medici potrebbe essere già sufficiente l’applicazione ed esatta interpretazione da parte dei giudici del canone di valutazione previsto dall’art. 2236 c.c. che, per la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, tra i quali può sicuramente rientrare la gestione dell’emergenza, rispondono solo in caso di colpa grave o dolo.