Tempo di lettura: 5 minutiI dati sui rischi clinici dell’obesità nel mondo messi a disposizione dal New England Journal of Medicine in “Health Effects of Overweight and Obesity in 195 Countries over 25 Years” continuano ad essere preoccupanti, in particolare per i giovani. Come si legge nella ricerca pubblicata a giugno 2017, “nel 2015, l’eccesso di peso ha interessato 2,2 miliardi di bambini e adulti in tutto il mondo, o il 30% della popolazione mondiale. Quasi 108 milioni di bambini e più di 600 milioni di adulti con BMI superiore a 30, la soglia per l’obesità, secondo lo studio. La prevalenza dell’obesità è raddoppiata dal 1980 in più di 70 paesi ed è continuamente aumentata nella maggior parte delle altre nazioni. Sebbene la prevalenza dell’obesità nei bambini sia inferiore a quella degli adulti, il tasso di crescita dell’obesità infantile in molti paesi è stato superiore a quello degli adulti. Tra i 20 paesi più popolosi, il livello più elevato di obesità tra i bambini e i giovani adulti è stato negli Stati Uniti con quasi il 13%; l’Egitto risulta tra i paesi in testa alla lista per l’obesità adulta con circa il 35%. I tassi più bassi sono stati rispettivamente in Bangladesh e in Vietnam, all’1%. La Cina con 15,3 milioni e l’India con 14,4 milioni ha avuto il maggior numero di bambini obesi; Gli Stati Uniti con 79,4 milioni e la Cina con 57,3 milioni ha avuto il maggior numero di adulti obesi nel 2015”.
Secondo alcuni dati presentati in occasione dell’European Obesity Day 2017, lo scorso maggio, le persone obese in Italia sono 6 milioni, con oltre 100mila nuovi casi all’anno, circa 57mila morti per cause legate all’eccesso di peso e un impatto economico sul SSN di oltre 4,5 miliardi di euro l’anno: tra i fattori considerati, oltre ai costi sanitari in senso stretto, anche calo di produttività, assenteismo, mortalità precoce. Un’indagine condotta da EASO – European Association for the Study of Obesity evidenzia come tra la popolazione italiana vi sia un’errata percezione sulla natura, le cause e le cure per contrastare l’obesità. In termini di percezione, infatti, il 50% degli italiani ritiene che il proprio peso sia normale, mentre il 42% pensa di essere in sovrappeso. Circa il 10% di coloro che si descrivono in salute, è in realtà in sovrappeso; mentre il 18% di coloro che si descrivono in sovrappeso, risulta essere obeso. Da non dimenticare la gestione dell’obesità nei giovanissimi: nel nostro paese i bambini in sovrappeso sono il 20,9 per cento e quelli obesi il 9,8 per cento; oppure, coloro che sono colpiti da patologie psichiatriche correlate come i disturbi depressivi maggiori, del comportamento alimentare, crisi di iperalimentazione emozionale, schizofrenia o disturbi bipolari, un problema, quest’ultimo, molto frequente e che deve necessariamente essere affrontato prima e dopo l’intervento chirurgico.
Le alterazioni metaboliche associate al diabete portano ad un incremento della morbidità e della mortalità, soprattutto cardiovascolare. Nella stragrande maggioranza dei casi, il diabete tipo 2 si associa ad eccedenza ponderale tanto che, negli ultimi anni, è stato coniato il termine di “diabesità”. Di conseguenza, una volta escluse malattie endocrine che possano generare aumento di peso e alterazioni glicemiche, la cura del diabete non può prescindere dalla cura dell’obesità.
Dal greco barus ossia peso, la chirurgia bariatrica si effettua per trattare chirurgicamente l’obesità – in Italia poco più di 50 centri specializzati con almeno 50/100 interventi mese, da Nord a Sud – e già da qualche tempo può chiamarsi chirurgia metabolica poiché ha dimostrato la sua efficacia nel migliorare il controllo glicemico nei pazienti diabetici, indipendentemente dall’effetto sul peso. “Infatti, la remissione del diabete, ossia il ritorno dei valori della glicemia e dell’emoglobina glicolisata nei limiti della norma – sottolinea la prof.ssa Geltrude Mingrone, direttore della UOC Patologie dell’obesità al Policlinico Universitario A. Gemelli in occasione della Lettura magistrale ‘Dalla chirurgia bariatrica alla chirurgia metabolica: i risultati a lungo termine’ con cui si è aperto oggi a Firenze il II° Congresso nazionale SINuC – si osserva già pochi giorni dopo l’intervento chirurgico, quando il cambiamento di peso è minimo. Dopo chirurgia metabolica, in particolare bypass gastrico e diversione bilio-pancreatica, il diabete rimane in remissione almeno fino a 5 anni in circa il 40% dei pazienti, i quali perciò non hanno più bisogno di terapia farmacologica. Nel 70% ed oltre dei pazienti la sola terapia farmacologica orale consente un ottimo controllo glicemico ed anzi, le complicanze micro e macrovascolari del diabete si presentano largamente ridotte rispetto ai soggetti in terapia medica”.
“Il bypass del duodeno e del digiuno, infatti – prosegue la Mingrone – riduce la secrezione di ormoni che inducono insulino-resistenza e che rappresenta, com’è noto, il difetto maggiore nel diabete di tipo 2 o dell’adulto. Inoltre, dopo chirurgia metabolica la secrezione intestinale di GLP1, un ormone che riduce l’appetito e che migliora la secrezione insulinica nella prima fase, è molto aumentata contribuendo al miglioramento del controllo glicemico. Infine, l’identificazione degli ormoni intestinali che inducono insulino-resistenza permetterà in futuro di individuare e mettere a punto nuovi farmaci in affiancamento o in parziale sostituzione dell’approccio chirurgico metabolico”.
Sulla base di tali evidenze, le associazioni diabetologiche internazionali e nazionali sono giunte perciò ad un accordo secondo il quale:
• La chirurgia metabolica dovrebbe essere raccomandata per trattare il diabete di tipo 2 in pazienti con obesità di classe III (BMI ≥40 kg/m2) e nei pazienti con obesità di classe II (BMI 35.0-39.9 kg/m2) quando non si riesca a controllare adeguatamente l’iperglicemia modificando lo stile di vita e con una terapia medica ottimale;
• La chirurgia metabolica dovrebbe essere presa in considerazione in pazienti con diabete di tipo 2 e BMI pari a 35-40 kg/m2 con diabete in buon controllo glicemico; con BMI 30.0-34.9 kg/m2 se l’iperglicemia è controllata in modo inadeguato nonostante la somministrazione di farmaci per via orale o iniettiva.
“Ora sappiamo che i notevoli effetti della chirurgia metabolica non sono solo una conseguenza della perdita di peso. – scrive Francesco Rubino (King’s College di Londra e primo autore delle linee guida) in ‘Medical Research. Time to think differently about diabetes’ pubblicato su Nature, 2016 – I cambiamenti nell’anatomia gastrointestinale possono influenzare direttamente l’omeostasi del glucosio. Ci sono inoltre studi che suggeriscono come l’intervento chirurgico potrebbe aumentare la produzione di alcuni acidi biliari che rendono le cellule più sensibili all’insulina, o aumentare l’uptake del glucosio da parte delle stesse cellule gastrointestinali, abbassando così i livelli della glicemia. Sembrano inoltre giocare un ruolo anche i cambiamenti indotti dall’intervento chirurgico sul microbiota intestinale”.
Ricordiamo che il BMI – Body Mass Index o Indice di Massa Corporeo – sta ad indicare il rapporto tra peso e altezza al quadrato: se supera i 25 kg/m2 è indice di sovrappeso mentre se pari o superiore a 30, di obesità. Altrettanto importante è la misura del girovita. Anzi, il calcolo del rapporto tra circonferenza di vita e altezza di una persona sembra essere il modo più preciso ed efficace per identificare se si è o meno a rischio di obesità nella pratica clinica, secondo uno studio condotto da Leeds Beckett University. La ricerca, “Prediction of whole-body fat percentage and visceral adipose tissue mass from five anthropometric variables” pubblicata a giugno sulla rivista Plos One conferma l’attenzione alla circonferenza vita, misura che registra in particolare il rapporto tra l’obesità viscerale e il rischio di morbilità e mortalità. Si considerano obesi gli uomini con girovita uguale o superiore a 102 cm, mentre per le donne il valore è di 88 centimetri.
Eppure, a fronte dei circa 600 mila pazienti che ne avrebbero bisogno, sono solo 15 mila gli interventi di chirurgia metabolica che ogni anno vengono effettuati in Italia, dove si stima che l’1% sia colpito da obesità conclamata riconosciuta dal Servizio Sanitario Nazionale e causa di patologie associate a carico del cuore, dell’apparato muscolo-scheletrico, dei grandi vasi e del sistema metabolico (diabete, ipertensione, malattie polmonari, gravi artriti, ecc.) oltre che mortalità.
Con la chirurgia metabolica, dunque, si può assicurare una più soddisfacente e sana qualità di vita per i pazienti ma anche una riduzione dei costi in terapie farmacologiche per il Servizio sanitario nazionale.
Nuove prospettive della chirurgia oncologica
Ricerca innovazioneAumentano in Campania i casi di tumore della prostata, della vescica, delle vie urinarie e i tumori renali. Il dato emerge da una reunion di esperti tenutasi il 26 e 27 giugno all’ospedale Umberto I di Nocera, voluta e organizzata dal professor Roberto Sanseverino, direttore del reparto di Urologia. Obiettivo dell’incontro «fare il punto della situazione sull’incidenza di queste neoplasie – spiega il professore -, ma prima ancora discutere del cambio di passo segnato in questi anni grazie allo sviluppo di una nuova concezione della chirurgia e di avanzati sistemi tecnologici».
Un fenomeno multifattoriale
Quanto alle cause di una riscontrata «super incidenza» di queste neoplasie in Campania, per Sanseverino non esiste una sola e unica causa. «Per comprendere il fenomeno – dice – serve un’analisi multifattoriale. Certamente esiste una diretta correlazione con il fumo di sigaretta, e poi ci sono gli agenti inquinanti che purtroppo nelle grandi metropoli sono maggiormente presenti. Benché il trend in aumento sia nazionale, dobbiamo dire che Napoli e tutta la fascia vesuviana fanno registrare dati fuori scala».
Salvare la funzione degli organi
Il tema portante dell’incontro tenutosi a Nocera è stato lo sviluppo della chirurgia oncologica in urologia e soprattutto la tendenza a coadiuvare la radicalità della chirurgia con la salvaguardia dell’organo, per garantire una buon qualità di vita dei pazienti a seguito dell’intervento. «La chirurgia – aggiunge Sanseverino – è cambiata. Anzi è cambiato il modo di intendere l’approccio chirurgico, prima si cercava a tutti costi una chirurgia radicale, arrivando spesso a mutilare i pazienti. Certo si curava, ma con un impatto devastante sulla qualità di vita. Oggi si guarda alla radicalità oncologica, ma preservare in modo efficace la funzione dell’organo sul quale si interviene».
Nuove tecnologie
Due i fattori principali di questo cambiamento: una diagnosi precoce che consente di scoprire e trattare la malattia tumorale in una fase nella quale la chirurgia conservativa è ancora possibile, e in secondo luogo l’evoluzione tecnologica che mette a disposizione dei chirurghi strumenti prima impensabili. «Oggi abbiamo a disposizione tecnologie che stanno lentamente entrando a far parte anche dell’uso comune, ad esempio schermi 4K e immagini 3D. In questo modo possiamo vedere dettagli anatomici che ad occhio nudo sarebbero difficilmente distinguibili». Questo permette di ridurre i rischi, sia durante la procedura chirurgica che nel post operatorio. Volendoli elencare in maniera schematica i principali vantaggi della tecnica laparoscopica sono diversi. Si parte da un minor dolore al risveglio, incisioni piccole e ridotta apertura della parete addominale. Quindi tempi di recupero rapidi, minor sanguinamento durante l’operazione, minori i rischi di sviluppare infezioni. «La nostra decisione di specializzarci in questo campo conclude il professore – è legata alla convinzione che questo sia il futuro della chirurgia».
Ugo Cesari: «La voce dei castrati? Ve ne svelo i segreti»
News Presa«La voce dei castrati tra mito e realtà», questo il titolo di un appuntamento che promette di svelare curiosità e falsi miti sulle voci più famose del mondo. Ad organizzarlo, il professor Ugo Cesari, foniatra di fama internazionale e direttore del master post-laurea in Fisiopatologia e Riabilitazione della Voce Cantata della Federico II. In una Napoli d’altri tempi la castrazione dei ragazzini era una pratica tanto diffusa da essere addirittura considerata una pratica normale in molte famiglie indigenti. Si castravano i ragazzini con l’idea che in questo modo avrebbero conservato una «voce da usignolo» in un corpo adulto.
Al Conservatorio
Il 28 giugno (ore 18) al Conservatorio di San Pietro a Majella il professor Cesari ha chiamato accanto a sé Elsa Evangelista, il professor Gennaro Rispoli (chirurgo e direttore del Museo delle Arti e Scienze Sanitarie dell’Ospedale Incurabili) e il maestro Domenico Sapio. Dopo un affascinante viaggio nella Napoli esoterica del ‘700, il professore svelerà i risultati delle ricerche condotte all’interno del prezioso Archivio del Conservatorio, e soprattutto mostrerà quanto scoperto grazie alle indagini endoscopiche su alcuni cantanti falsettisti e sopranisti di professione.
Questione di tecnica
«Oggi – anticipa Cesari – abbiamo la possibilità di eguagliare la voce degli evirati cantori grazie alle moderne tecniche di canto. Tecniche che, grazie all’endoscopia flessibile, possiamo letteralmente vedere a video. Si tratta di un lavoro lungo, che richiede anni di applicazione, ma comunque è possibile raggiungere una voce come quella del Farinelli o del Matteuccio senza dover ricorrere ad un intervento chirurgico così traumatizzante come quello della castrazione».
Sport: arriva obbligo defibrillatore anche per gare dilettantistiche
PrevenzioneDal 1° luglio entra in vigore l’obbligo, anche per le società sportive dilettantistiche, del defibrillatore semiautomatico.
I chiarimenti per l’applicazione definitiva della legge 189/2012 (la legge Bladuzzi) li detta il decreto interministeriale Salute-Sport del 21 giugno su “Linee guida sulla dotazione e l’utilizzo di defibrillatori semiautomatici e di eventuali altri dispositivi salvavita da parte delle associazioni e delle società sportive dilettantistiche”.
Il decreto chiarisce alcuni passaggi ancora controversi del decreto 24 aprile 2013 “Disciplina della certificazione dell’attivita’ sportiva non agonistica e amatoriale e linee guida sulla dotazione e l’utilizzo di defibrillatori semiautomatici e di eventuali altri dispositivi salvavita” e prevede che l’obbligo di dotazione e impiego del defibrillatore semiautomatico sia da parte delle società sportive dilettantistiche. Insomma è obbligatorio l’utilizzo di un impianto sportivo che sia dotato di defibrillatore semiautomatico o a tecnologia più avanzata e sia presente una persona formata al suo utilizzo durante le gare inserite nei calendari delle Federazioni sportive nazionali, durante lo svolgimento di attività sportive competitive e ‘attività agonistiche di prestazione’ organizzate dagli Enti di promozione sportiva e da altre società dilettantistiche.
Dall’obbligo sono esenti le attività a ridotto impegno cardiocircolatorio e quelle svolte al di fuori degli impianti sportivi, in cui non si può garantire la presenza del defibrillatore durante il loro svolgimento.
Tra le attività escluse dall’obbligo di legge, ci sono: tiro a segno con armi sportive da caccia e archi al biliardo, bocce al bridge, dama alle freccette, lippa, morra, birilli e piastrelle al minigolf. Sono esenti anche motonautica e vela, ma quelle radiocomandate, si intende e poi l’aeromodellismo, i tiro a segno, la pesca con la canna, il tiro al volo e attività di questo tipo.
Artisti sul palco per i piccoli malati del Lazio
News PresaIn occasione dei 20 Anni dell’Associazione Andrea Tudisco Onlus, Enrico Brignano, Fabrizio Frizzi, Andrea Perroni, Antonio Giuliani, Pablo e Pedro, Flora Canto, Camilla Filippi, Barbara Foria, Samuel Perone Samanta Togni, ieri sera sono saliti sul palco del Teatro Olimpico di Roma, per la VIII Edizione dello Spettacolo di Solidarietà “Ridiamoci Su“, evento di sensibilizzazione per il diritto alla salute dei bambini e di raccolta fondi a favore delle attività associative della Onlus. Il ricavato dello spettacolo con il contributo degli artisti, servirà a sostenere le attività di accoglienza integrata dell’Associazione, garantendo il diritto alla salute dei bambini che non potendo essere curati nelle strutture delle città di residenza, hanno bisogno di ricevere assistenza sanitaria nei reparti specializzati degli ospedali romani.
Lo spettacolo, condotto da Fabrizio Frizzi e Flora Canto, ha visto alternarsi i diversi artisti amici dell’Associazione, che si sono esibiti con i cavalli di battaglia del loro repertorio. La serata è stata occasione per sensibilizzare i partecipanti e l’opinione pubblica sui diritti dei piccoli malati e delle loro famiglie. Come ad esempio l’essere assistiti non solo nelle cure ospedaliere, ma in tutti quegli aspetti della vita familiare e sociale, quali gli affetti, il benessere psicofisico, una casa ospitale, che contribuiscono alla guarigione e alla gestione migliore possibile della malattia.
L’Associazione opera da tempo con l’obiettivo di tutelare il diritto alla salute dei bambini che non possono essere curati nelle strutture delle città di residenza, ma hanno bisogno di assistenza sanitaria nei reparti specializzati degli ospedali romani. Nel fare ciò l’Associazione offre gratuitamente ospitalità e assistenza ai bambini con gravi patologie e alle loro famiglie, permettendo così al bambino, di “vivere e combattere” la malattia e il disagio attraverso l’accoglienza e l’amore della famiglia e di una comunità.
L’Associazione gestisce quattro strutture di accoglienza e ogni anno ospita circa 130 nuclei familiari provenienti da tutti’Italia e da tutto il mondo. Contestualmente all’ospitalità, l’Associazione offre in piena gratuità una serie di servizi accessori: assistenza legale e psicologica, attività ludico-didattiche, accompagno in ospedale. Fornisce inoltre quotidianamente il servizio di clownterapia e ludoterapia ai reparti pediatrici e specialistici dei principali ospedali romani.
Ecco l’alimentazione che salva dal tumore
AlimentazioneLa buona cucina può ridurre il rischio di tumore al seno e di tumore all’ovaio, anche in donne che hanno ereditato la mutazione del gene Brca. La notizia arriva da uno studio unico al mondo realizzato da ricercatori milanesi e baresi. Pur in presenza di predisposizioni genetiche, se i soggetti più a rischio fossero disposti a seguire un comportamento alimentare consapevole, oltre ad un corretto follow up, il rischio di sviluppare un tumore sarebbe ridotto al minimo.
Donne informate
Da queste premesse nasce lo studio condotto dall’Istituto Tumori “Giovanni Paolo II” su un piccolo esercito di donne che negli ultimi due mesi ha modificato le proprie abitudini a tavola. Non tanto privazioni, ma alternative gastronomiche eccelse e più salutari. L’ipotesi? Un notevole ridimensionamento del rischio oncologico eredo-familiare. Dopo aver frequentato per settimane le cucine dell’Istituto Tecnico Alberghiero “Perotti” di Bari, guidato dalla dirigente professoresse Rosangela Colucci, “indottrinate” sulle buone maniere ai fornelli da uno chef professionista, il professor Antonio De Rosa, le protagoniste della sperimentazione hanno riproposto a casa le ricette apprese. E i successi sono stati più di uno: intanto, hanno preso atto degli errori nutrizionali più comuni; inoltre, le partecipanti hanno scoperto la bontà della pasticceria al naturale e il gusto altrettanto gradevole degli alimenti privi di burro e latte. Ma ancor più rilevanti appariranno gli esiti clinici che nei prossimi giorni saranno resi noti dal team di professionisti dell’IRCCS di Bari a capo dello studio.
Una sperimentazione sorprendente
Le conclusioni dello studio dell’Istituto Nazionale di Milano, insieme alle premesse e alle prospettive del progetto barese, saranno presentate durante la conferenza stampa in programma giovedì 29 giugno a partire dalle 11 nella sala convegni dell’Istituto guidato dal Direttore Generale Antonio Delvino. «Abbiamo invitato le donne portatrici della caratteristica genetica e visitate presso il Centro Studi tumori eredo-familiari del nostro istituto a entrare nel programma di educazione alimentare» spiega il direttore del Centro, Angelo Paradiso. A dare voce alla sperimentazione anche la dottoressa Stefania Tommasi. «Prima di cominciare, abbiamo valutato i parametri biologici e genetici delle donne e abbiamo effettuato misurazioni antropometriche, tra cui la massa muscolare. Al termine del periodo di educazione alle cucine, le “nostre signore” sono state sottoposte nuovamente a controlli per verificare gli effetti del nuovo stile di vita». E i risultati sono un viaggio all’insegna dell’emozione e della soddisfazione. «Verifichiamo cosa cambia, tra cui i parametri metabolici e soprattutto l’effetto su IGF-1, una proteina nel sangue che sembra svolgere un ruolo importante nel portare dal “rischio alla malattia”» aggiungono la dottoressa Ines Abbate dell’Istituto barese e la coordinatrice nazionale del progetto Patrizia Pasanisi della scuola del professor Franco Berrino nutrizionista ed epidemiologo di livello mondiale.
La “contaminazione” delle buone abitudini è già evidente. Lo studio, finanziato da AIRC (Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro) ha incontrato l’entusiastica approvazione delle donne, convinte di poter intraprendere la strada educativo-alimentare non solo per se stesse, ma anche per i loro cari, pronti anch’essi a condividere un atteggiamento più attivo contro una preventivabile malattia.
Peso e diabete si curano insieme. Ne parla la SINuC
News PresaI dati sui rischi clinici dell’obesità nel mondo messi a disposizione dal New England Journal of Medicine in “Health Effects of Overweight and Obesity in 195 Countries over 25 Years” continuano ad essere preoccupanti, in particolare per i giovani. Come si legge nella ricerca pubblicata a giugno 2017, “nel 2015, l’eccesso di peso ha interessato 2,2 miliardi di bambini e adulti in tutto il mondo, o il 30% della popolazione mondiale. Quasi 108 milioni di bambini e più di 600 milioni di adulti con BMI superiore a 30, la soglia per l’obesità, secondo lo studio. La prevalenza dell’obesità è raddoppiata dal 1980 in più di 70 paesi ed è continuamente aumentata nella maggior parte delle altre nazioni. Sebbene la prevalenza dell’obesità nei bambini sia inferiore a quella degli adulti, il tasso di crescita dell’obesità infantile in molti paesi è stato superiore a quello degli adulti. Tra i 20 paesi più popolosi, il livello più elevato di obesità tra i bambini e i giovani adulti è stato negli Stati Uniti con quasi il 13%; l’Egitto risulta tra i paesi in testa alla lista per l’obesità adulta con circa il 35%. I tassi più bassi sono stati rispettivamente in Bangladesh e in Vietnam, all’1%. La Cina con 15,3 milioni e l’India con 14,4 milioni ha avuto il maggior numero di bambini obesi; Gli Stati Uniti con 79,4 milioni e la Cina con 57,3 milioni ha avuto il maggior numero di adulti obesi nel 2015”.
Secondo alcuni dati presentati in occasione dell’European Obesity Day 2017, lo scorso maggio, le persone obese in Italia sono 6 milioni, con oltre 100mila nuovi casi all’anno, circa 57mila morti per cause legate all’eccesso di peso e un impatto economico sul SSN di oltre 4,5 miliardi di euro l’anno: tra i fattori considerati, oltre ai costi sanitari in senso stretto, anche calo di produttività, assenteismo, mortalità precoce. Un’indagine condotta da EASO – European Association for the Study of Obesity evidenzia come tra la popolazione italiana vi sia un’errata percezione sulla natura, le cause e le cure per contrastare l’obesità. In termini di percezione, infatti, il 50% degli italiani ritiene che il proprio peso sia normale, mentre il 42% pensa di essere in sovrappeso. Circa il 10% di coloro che si descrivono in salute, è in realtà in sovrappeso; mentre il 18% di coloro che si descrivono in sovrappeso, risulta essere obeso. Da non dimenticare la gestione dell’obesità nei giovanissimi: nel nostro paese i bambini in sovrappeso sono il 20,9 per cento e quelli obesi il 9,8 per cento; oppure, coloro che sono colpiti da patologie psichiatriche correlate come i disturbi depressivi maggiori, del comportamento alimentare, crisi di iperalimentazione emozionale, schizofrenia o disturbi bipolari, un problema, quest’ultimo, molto frequente e che deve necessariamente essere affrontato prima e dopo l’intervento chirurgico.
Le alterazioni metaboliche associate al diabete portano ad un incremento della morbidità e della mortalità, soprattutto cardiovascolare. Nella stragrande maggioranza dei casi, il diabete tipo 2 si associa ad eccedenza ponderale tanto che, negli ultimi anni, è stato coniato il termine di “diabesità”. Di conseguenza, una volta escluse malattie endocrine che possano generare aumento di peso e alterazioni glicemiche, la cura del diabete non può prescindere dalla cura dell’obesità.
Dal greco barus ossia peso, la chirurgia bariatrica si effettua per trattare chirurgicamente l’obesità – in Italia poco più di 50 centri specializzati con almeno 50/100 interventi mese, da Nord a Sud – e già da qualche tempo può chiamarsi chirurgia metabolica poiché ha dimostrato la sua efficacia nel migliorare il controllo glicemico nei pazienti diabetici, indipendentemente dall’effetto sul peso. “Infatti, la remissione del diabete, ossia il ritorno dei valori della glicemia e dell’emoglobina glicolisata nei limiti della norma – sottolinea la prof.ssa Geltrude Mingrone, direttore della UOC Patologie dell’obesità al Policlinico Universitario A. Gemelli in occasione della Lettura magistrale ‘Dalla chirurgia bariatrica alla chirurgia metabolica: i risultati a lungo termine’ con cui si è aperto oggi a Firenze il II° Congresso nazionale SINuC – si osserva già pochi giorni dopo l’intervento chirurgico, quando il cambiamento di peso è minimo. Dopo chirurgia metabolica, in particolare bypass gastrico e diversione bilio-pancreatica, il diabete rimane in remissione almeno fino a 5 anni in circa il 40% dei pazienti, i quali perciò non hanno più bisogno di terapia farmacologica. Nel 70% ed oltre dei pazienti la sola terapia farmacologica orale consente un ottimo controllo glicemico ed anzi, le complicanze micro e macrovascolari del diabete si presentano largamente ridotte rispetto ai soggetti in terapia medica”.
“Il bypass del duodeno e del digiuno, infatti – prosegue la Mingrone – riduce la secrezione di ormoni che inducono insulino-resistenza e che rappresenta, com’è noto, il difetto maggiore nel diabete di tipo 2 o dell’adulto. Inoltre, dopo chirurgia metabolica la secrezione intestinale di GLP1, un ormone che riduce l’appetito e che migliora la secrezione insulinica nella prima fase, è molto aumentata contribuendo al miglioramento del controllo glicemico. Infine, l’identificazione degli ormoni intestinali che inducono insulino-resistenza permetterà in futuro di individuare e mettere a punto nuovi farmaci in affiancamento o in parziale sostituzione dell’approccio chirurgico metabolico”.
Sulla base di tali evidenze, le associazioni diabetologiche internazionali e nazionali sono giunte perciò ad un accordo secondo il quale:
• La chirurgia metabolica dovrebbe essere raccomandata per trattare il diabete di tipo 2 in pazienti con obesità di classe III (BMI ≥40 kg/m2) e nei pazienti con obesità di classe II (BMI 35.0-39.9 kg/m2) quando non si riesca a controllare adeguatamente l’iperglicemia modificando lo stile di vita e con una terapia medica ottimale;
• La chirurgia metabolica dovrebbe essere presa in considerazione in pazienti con diabete di tipo 2 e BMI pari a 35-40 kg/m2 con diabete in buon controllo glicemico; con BMI 30.0-34.9 kg/m2 se l’iperglicemia è controllata in modo inadeguato nonostante la somministrazione di farmaci per via orale o iniettiva.
“Ora sappiamo che i notevoli effetti della chirurgia metabolica non sono solo una conseguenza della perdita di peso. – scrive Francesco Rubino (King’s College di Londra e primo autore delle linee guida) in ‘Medical Research. Time to think differently about diabetes’ pubblicato su Nature, 2016 – I cambiamenti nell’anatomia gastrointestinale possono influenzare direttamente l’omeostasi del glucosio. Ci sono inoltre studi che suggeriscono come l’intervento chirurgico potrebbe aumentare la produzione di alcuni acidi biliari che rendono le cellule più sensibili all’insulina, o aumentare l’uptake del glucosio da parte delle stesse cellule gastrointestinali, abbassando così i livelli della glicemia. Sembrano inoltre giocare un ruolo anche i cambiamenti indotti dall’intervento chirurgico sul microbiota intestinale”.
Ricordiamo che il BMI – Body Mass Index o Indice di Massa Corporeo – sta ad indicare il rapporto tra peso e altezza al quadrato: se supera i 25 kg/m2 è indice di sovrappeso mentre se pari o superiore a 30, di obesità. Altrettanto importante è la misura del girovita. Anzi, il calcolo del rapporto tra circonferenza di vita e altezza di una persona sembra essere il modo più preciso ed efficace per identificare se si è o meno a rischio di obesità nella pratica clinica, secondo uno studio condotto da Leeds Beckett University. La ricerca, “Prediction of whole-body fat percentage and visceral adipose tissue mass from five anthropometric variables” pubblicata a giugno sulla rivista Plos One conferma l’attenzione alla circonferenza vita, misura che registra in particolare il rapporto tra l’obesità viscerale e il rischio di morbilità e mortalità. Si considerano obesi gli uomini con girovita uguale o superiore a 102 cm, mentre per le donne il valore è di 88 centimetri.
Eppure, a fronte dei circa 600 mila pazienti che ne avrebbero bisogno, sono solo 15 mila gli interventi di chirurgia metabolica che ogni anno vengono effettuati in Italia, dove si stima che l’1% sia colpito da obesità conclamata riconosciuta dal Servizio Sanitario Nazionale e causa di patologie associate a carico del cuore, dell’apparato muscolo-scheletrico, dei grandi vasi e del sistema metabolico (diabete, ipertensione, malattie polmonari, gravi artriti, ecc.) oltre che mortalità.
Con la chirurgia metabolica, dunque, si può assicurare una più soddisfacente e sana qualità di vita per i pazienti ma anche una riduzione dei costi in terapie farmacologiche per il Servizio sanitario nazionale.
Acqua: tutti i benefici dell’idroterapia. Gli studi
PrevenzioneL’acqua è l’origine di tutte le cose diceva Talete 2600 anni fa. Un uomo può resistere diversi giorni senza mangiare, ma non senza bere. Di acqua è composto la maggior parte del nostro corpo.
L’acqua depura l’organismo dalle scorie e reidrata le cellule, ma viene utilizzata anche nei trattamenti per la cura di molte patologie. L’idroterapia, ad esempio, sfrutta le sue proprietà per alleviare alcuni disturbi. La sua storia nasce con gli Egizi, ma furono i Greci a comprenderne per primi le potenzialità terapeutiche. Oggi è consigliata per aiutare i muscoli e alleviare alcuni tipi di dolore, per combattere l’ansia e lo stress.
La virtù salutare dell’acqua è stata riscoperta molti anni dopo da Sebastian Kneipp e poi da Luigi Costacurta. Kneipp si rese conto che gli stimoli di acqua calda e fredda avevano effetti benefici per i vasi sanguigni ed i nervi della pelle e degli organi interni.
L’alternanza di bagni o docce a temperature differenziate, e stabilite in base alle caratteristiche di ogni soggetto, produce una forma di ginnastica circolatoria molto utile a livello dei vasi sanguigni e delle fasce muscolari. Ma anche la ginnastica in acqua aiuta a preservare le articolazioni perché azzera il peso del corpo.
Sono numerosi, in Italia, i centri termali e di idromassaggio dove è possibile godere dei benefici dell’idroterapia, ma si possono avere riscontri anche durante la semplice doccia quotidiana. Sono molte le tecniche e hanno tutte benefici terapeutici differenti.
Ci sono però delle controindicazioni. L’idroterapia, infatti, è una tecnica non adatta a chiunque: ad esempio, è sconsigliata ai malati di cuore e a chi soffre di pressione alta, ai bambini fino a due anni di età, in caso di disturbi neuropsichiatrici, alle donne in gravidanza e agli anziani con arteriosclerosi.
Tecniche
Doccia fredda
Stimola la circolazione sanguigna e linfatica, permette di alleviare lo stress e recuperare le energie. Secondo uno studio le persone che si immergevano per tre volte a settimana per sei settimane in acqua a 14°, mostravano alla fine un notevole aumento di globuli bianchi, in particolare di linfociti e monociti. Infine l’acqua fredda è utile contro la depressione perché stimola la produzione della noradrenalina.
Doccia di contrasto
Consiste nell’alternare acqua calda e acqua fredda durante la doccia, passando 20-30 secondi sotto l’acqua fredda per circa 5 volte nel corso della doccia. Questo aiuta a tonificare il corpo e riattivare la circolazione, rinforzando il sistema nervoso e aumentando la capacità di resistenza.
Spugnature
Le spugnature calde sono utili per alleviare dolori ai muscoli e favoriscono relax e distensione dei nervi se applicate nella zona cervicale. Quelle fredde invece sono utili per sgonfiare gambe, caviglie e piedi. All’acqua delle spugnature possono essere aggiunti estratti di piante.
Pediluvi
Getti d’acqua fredda sui piedi o immersioni aiutano a riattivare la circolazione, favorendo così lo sgonfiamento.
L’idromassaggio
uno dei bagni più rilassanti. Così come il bagno aromaterapico che con l’acqua calda non è solo un’ottima cura per lo stress. Se si sciolgono in acqua sali minerali o oli essenziali è possibile sfruttare i poteri aromaterapici di queste sostanze. Inoltre l’acqua calda è utile contro artriti e mal di schiena e favorisce la trasmissione di sostanze essenziali per osmosi.
Percorso Kneipp
Prende il nome dall’omonimo inventore, che per alleviare i dolori della tubercolosi faceva il bagno nel Danubio. Oggi il percorso Kneipp viene praticato in diversi centri termali e consiste nel passaggio in vasche a diverse temperature, in cui bisogna immergersi fino all’altezza delle ginocchia. Sul fondo vengono posti ciottoli di fiume che svolgono un massaggio plantare. Questa pratica permette di alleviare gonfiori e ritenzione idrica.
Bagno in mare
L’acqua di mare combatte raffreddore e sinusite. Disinfetta ed è ricca di Sali minerali.
Innovazioni in chirurgia oncologica: intervista al Prof. Sanseverino
PodcastVaccino anticancro, al Pascale parte la sperimentazione
Ricerca innovazioneIl vaccino contro il tumore del fegato non è più solo un sogno, al «Pascale», l’Istituto per i tumori di Napoli, sta per arruolare 40 pazienti che sperimenteranno il vaccino contro questo tipo di tumore. Si parte a settembre, ed è una notizia che sta facendo rapidamente il giro del mondo, dopo gli studi internazionali presentati all’ultimo congresso Asco che ha visto l’Istituto dei tumori di Napoli in prima linea per un altro vaccino, quello contro il tumore al seno.
Il primo al mondo
Ai primi di settembre, dunque, prenderà ufficialmente il via la sperimentazione sul vaccino terapeutico Hepavac, primo vaccino mondiale contro il cancro al fegato scoperto da un team di ricercatori del Pascale coordinato da Luigi Buonaguro. Dopo il nulla osta anche del Comitato Etico dell’Istituto dei tumori di Napoli tutto è pronto affinché vengano arruolati i primi 40 pazienti affetti da epatocarcinoma non metastatico. Dopo 3 anni di studi, che ha visto coinvolti, oltre all’Italia con il Pascale e il Sacro Cuore di Verona, altri 4 Paesi europei (Germania, Spagna, Belgio e Regno Unito) il protocollo vaccinale è stato approvato dalle Agenzie Regolatorie e la settimana scorsa ha avuto l’ok anche dal Comitato Etico del Pascale. Ultimo atto perché il vaccino prendesse il via. «Se i risultati saranno quelli auspicati – dice Luigi Buonaguro – il nostro sarà il primo vaccino al mondo per il tumore epatico candidato alla sperimentazione su vasta scala per testarne in maniera definitiva l’efficacia e fornire uno strumento terapeutico per i pazienti affetti da un tumore così letale».
La ricerca
Durante i primi tre anni del progetto i ricercatori del Pascale hanno identificato gli antigeni dell’epatocarcinoma, cioè le proteine presenti in grandi quantità solo sulle cellule tumorali. Questi antigeni sono risultati totalmente nuovi e specifici per il tumore del fegato, infatti non si trovano sulle cellule sane del fegato né in altri organi. Questi antigeni costruiscono il vaccino Hepavac. In questa fase della sperimentazione, che prenderà il via subito dopo l’estate, l’obiettivo primario è stabilirne la sicurezza e valutare la risposta immunitaria. Vale a dire che si valuteranno eventuali segni di risposta al vaccino da parte dei pazienti. Il campione (si diceva 40 pazienti) è troppo esiguo per valutarne anche l’efficacia, ma ovviamente il team di ricercatori del Pascale si augura che durante la sperimentazione il tempo libero da malattia si allunghi e si riduca il tasso di recidiva. La sperimentazione del vaccino Hepavac anticipa di soli 3 mesi un’altra sperimentazione: a inizio 2018 prenderà, infatti, il via il vaccino Globo HKLH come terapia adiuvante in donne con tumore al seno triplo negativo presentato all’ultimo Congresso Asco di Chicago da un altro oncologo del Pascale, Michelino De Laurentiis.
Polo d’eccellenza
«Sempre più il Pascale conferma il proprio livello di centro di riferimento per l’oncologia mondiale. – dice il direttore generale dell’Irccs partenopeo, Attilio Bianchi – Questi risultati si raggiungono grazie allo sforzo dei ricercatori, ma anche di tutto il personale medico e paramedico per la dedizione ai pazienti e alla ricerca applicata. Un grazie anche alla sensibilità del presidente della giunta regionale, Vincenzo De Luca che, con il protocollo d’intesa, ha creato le condizioni perché questo progresso clinico e scientifico abbia le basi per durare nel tempo verso nuovi e sempre più ambiziosi traguardi».
La noia fa bene: sviluppa la creatività. Lo dicono gli psicologi
Bambini, News PresaLe scuole sono chiuse e le vacanze per i più piccoli sono iniziate. I bambini sono affidati alle cure di madri e padri che cercano in tutti i modi di tenerli occupati. Invece, le ricerche dimostrano che un po’ di noia per i bambini è utile e sana.
Tra campi estivi, gli scacchi, le lezioni di inglese o quelle di nuoto, i bambini finiscono per non avere più tempo libero, o meglio, finiscono per non annoiarsi più. Gli psicologi e gli esperti di sviluppo infantile, invece, mettono in guardia da troppa pianificazione. Il suggerimento per i genitori è di lasciar perdere le ansie e le troppe attenzioni e permettere ai propri figli di sentirsi liberi. Il rischio altrimenti è quello che non riescano mai a capire cosa gli interessa veramente.
Già nel 1993 lo psicoanalista Adam Phillips nel suo libro ‘Sul bacio, il solletico e la noia’ scriveva che la “capacità di annoiarsi permette al bambino di crescere” perché la noia dà la possibilità di contemplare la vita, di analizzarla piuttosto che corrervi attraverso senza soffermarsi a pensare a ciò che succede. Secondo lo psicologo quindi i bambini devono prendersi il proprio tempo per capire ciò che più piace e ciò che più interessa loro, e per fare questo la noia è fondamentale.
Lyn Fry, psicologa infantile di Londra, focalizzandosi sulla formazione da dare ai bambini, suggerisce quindi di sedersi con i propri figli e fare un elenco di tutto ciò che i bambini vorrebbero fare nel loro tempo libero: possono essere attività di base come una partita a carte, la lettura di un libro, un giro in bicicletta, oppure attività più impegnative come cucinare o imparare a fare fotografie. Se poi il bambino dovesse lamentarsi della noia il genitore gli ricorderà della lista, suggerendogli di scegliere una di quelle attività da fare, lasciandolo libero di compiere le proprie scelte.
“Si lascia loro la responsabilità”, ha detto Fly. “E se non vorranno fare nulla di quello che c’è sulla lista si annoieranno un po’. Non c’è nulla di male, non è un problema, non è tempo sprecato. La noia è il fattore trainante, è ciò che porta a motivare se stessi a fare le cose. È il modo migliore per rendere i bambini autosufficienti”.