Tempo di lettura: 4 minuti«La Grande Guerra a casa», è questo il titolo di una due-giorni che inaugura una mostra che rimarrà negli Incurabili per mesi, per ricordare non soltanto l’eroismo di chi era al fronte ma anche e soprattutto, quello di chi la guerra la affrontò “a casa”. A cominciare dai medici e paramedici che si presero cura dell’enorme numero di militari feriti che furono trasferiti e ospedalizzati a Napoli sotto le insegne della Croce rossa italiana. E con loro il dottor Giuseppe Moscati, che in qualità di direttore generale del Reparto medico militare – allestito proprio nell’ospedale “Incurabili” di Napoli – si occuperà personalmente di ben 2.524 soldati (come attestano i registri del nosocomio), salvando la vita a molti di essi. Una volta venuti a conoscenza de fatto che a Napoli era all’opera Giuseppe Moscati, infatti, le autorità militari cominciarono a far dirottare sullo storico ospedale di Caponapoli i casi più difficili o impossibili. Ma la manifestazione vuole essere anche un omaggio alle vittime e ai feriti del primo bombardamento aereo subito dalla città (nel marzo del 1918) e allo strazio di tutte mamme, le mogli e le fidanzate che avevano i loro uomini nelle lontane trincee del Piave e delle Alpi orientali (in tutta Italia furono mobilitati oltre 5 milioni di giovani).
Il programma
La kermesse prenderà avvio alle 11 di venerdì 15 settembre nel cortile barocco del complesso monumentale con l’inaugurazione della mostra “La Croce rossa nella Grande Guerra” organizzata e allestita dal Museo delle Arti sanitarie insieme con il Corpo della Croce Rossa militare italiana. In esposizione una serie di oggetti, anche rari, che costituiranno il filo conduttore del racconto di quegli anni difficili ripercorrendo le gesta della sanità militare, l’eroismo dei militari e il sacrificio dei civili. È il caso, ad esempio, della ricca esposizione di lettere e di cartoline d’epoca che attraverso la lettura dei testi permettono di rivivere la tensione e l’intensità di quegli anni. A restituire ulteriore “fisicità” alla memoria saranno poi le suggestive riproduzioni di una sala operatoria, di una medicheria da ospedale da campo, di un refettorio per i feriti (con oggetti originali), ma pure gli inquietanti set operatori usati dai chirurghi di guerra, con tanto di grosse seghe da amputazione, perché, purtroppo, quello era uno degli interventi più frequenti. E altre parti di quelle strutture che decenni dopo negli Usa chiameranno “Mobile Army Surgical Hospital”, cioè “Mash” (che diventerà anche il titolo di un bel romanzo di Richard Hooker, quindi del film capolavoro di Robert Altman a esso ispirato e infine a una celebre serie tv, che cercavano di sdrammatizzare la mattanza bellica). La mostra – a ingresso libero – rimarrà aperta per tre mesi e sarà il fulcro di una serie di iniziative che hanno come obiettivo primario quello di far conoscere ai più giovani le vicende umane e storiche del Primo conflitto mondiale, che in Italia provocò la morte di oltre un milione di civili (parte dei quali per la denutrizione e anche per la micidiale epidemia detta “Spagnola”) e di circa 650mila militari (378mila uccisi in azione o morti per le ferite riportate, 186mila morti di malattie, 87mila invalidi deceduti durante il periodo compreso tra il 1918 e il 1920 a causa delle ferite riportate in guerra). Al fine di tener viva la memoria di quell’immane sacrificio. Il Museo delle Arti sanitarie ha attivato una sinergia con il Provveditorato agli Studi di Napoli con l’obiettivo di coinvolgere durante il periodo dell’esposizione il maggior numero di studenti delle scuole medie e superiori di Napoli e provincia, grazie anche a una serie di letture, concerti, perfomance e convegni scientifici. Un progetto che si cercherà di ampliare anche al resto della Campania con la collaborazione dell’assessorato all’Istruzione e della presidenza della Regione. A chiudere la prima giornata della manifestazione sarà un’esibizione musicale degli allievi del Conservatorio di San Pietro a Maiella. E sempre nel segno della musica si caratterizzerà il secondo appuntamento, il giorno dopo: alle 18 di sabato infatti sarà di protagonista la prestigiosa Banda Militare del Centro di Mobilitazione Tosco-Emiliano con un vasto repertorio ispirato all’anniversario del conflitto e ai temi della due-giorni.
Bombe su Napoli
Tra le peculiarità della mostra ricorderemo la scheggia di bomba che afferisce al bombardamento aereo della città effettuato da uno Zeppelin della Marina imperiale tedesca, che nella notte tra il 10 e l’11 marzo 1918, a 4800 metri di altitudine, dunque ben al di là della portata dei cannoni antiaerei e delle fotoelettriche, sgancerà le sue bombe su Napoli. Per un errore di calcolo, però, gli ordigni finiranno fuori bersaglio colpendo Posillipo, i Quartieri Spagnoli, la zona dei Granili, piazza del Municipio, via Toledo, il Corso Vittorio Emanuele (centrando tra l’altro due chiese, la Galleria Umberto I, un ospizio delle Suore dei Poveri), Solo sulla via del ritorno, le bombe dell’aeromobile centrarono gli stabilimenti dell’Ilva di Bagnoli, che erano il vero obiettivo del raid insieme alle altre fabbriche belliche dell’area flegrea. Alla fine i morti saranno diciotto e i feriti un centinaio, ma da quel momento la popolazione vivrà nel terrore di altri attacchi aerei.
Valori positivi
Nelle parole del professor Gennaro Rispoli, fondatore e direttore del Museo delle Arti Sanitarie: «Innanzitutto ai più giovani vogliamo ricordare non solo le brutture della guerra ma anche e soprattutto la generosità mostrata nell’accoglienza ai feriti che giungevano qui dal fronte, compresi quelli nemici. E vogliamo anche sottolineare il ruolo professionale di Moscati, che proprio agli Incurabili selezionava i pazienti idonei a tornare in battaglia; un ruolo di grande responsabilità che il futuro santo svolse con rigore e umanità. Testimonianza importante – aggiunge il direttore del Museo napoletano – è pure quello della musica, che divenne un supporto fondamentale per battere prima del nemico la nostalgia di casa e l’angoscia dell’assalto. Quelle tenere parole sussurrate nei versi della ricca produzione canzonettistica partenopea riecheggiano, con intatta potenza, la voglia di pace di una gioventù che non poté vivere il suo tempo».
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Amianto: nel mondo 125 milioni di persone esposte. Allarme OMS
Economia sanitariaCirca 125 milioni di persone nel mondo sono esposte all’amianto sul posto di lavoro. Nel 2004, il cancro polmonare, il mesotelioma e l’asbestosi provocati dalle esposizioni hanno causato 107.000 morti e 1.523.000 anni di vita con disabilità.
L’OMS definisce l’amianto come un gruppo di minerali fibrosi naturali. Per le sue caratteristiche, tra cui la forte resistenza, è utilizzato per l’isolamento negli edifici e come ingrediente di un certo numero di prodotti, quali tegole per coperture, linee di alimentazione idrica e coperte per fuoco e frizioni e fodere, guarnizioni e pastiglie per automobili. Le principali forme di amianto sono crisotili (bianco) e crocidolite (blu). Altre forme includono l’amosite, l’anthophylite, tremolite e actinolite.
Tutte le forme di amianto sono cancerogene per gli esseri umani. L’esposizione provoca cancro del polmone, della laringe e delle ovaie e anche del mesotelioma (cancro pleurico e peritoneale), ma è anche responsabile di altre malattie come l’asbestosi (fibrosi dei polmoni) e le placche, l’ispessimento e l’effusione nella pleura.
Circa la metà delle morti da cancro professionale sarebbe causata da amianto, inoltre, diverse migliaia di decessi annualmente potrebbero dipendere dall’esposizione in casa.
È stato anche dimostrato che la coesposizione ai fumi del tabacco e alle fibre di amianto aumenta il rischio per il cancro ai polmoni: più è il fumo, maggiore è il rischio.
L’Oms ha da poco pubblicato una scheda informativa per l’eliminazione delle malattie correlate all’amianto. Dovrebbe avvenire interrompendo l’uso di tutti i tipi di amianto; sostituendolo con materiali più sicuri; adottando misure per prevenire l’esposizione all’amianto e durante la sua rimozione; migliorando la diagnosi precoce, il trattamento, la riabilitazione sociale e medica delle malattie legate ad esso e creando registri di persone con esposizioni passate e / o correnti.
La risoluzione 58.22 dell’Assemblea mondiale sulla prevenzione del cancro sollecita gli Stati membri a prestare particolare attenzione ai tumori per i quali l’esposizione evitabile è un fattore, compresa l’esposizione a sostanze chimiche sul luogo di lavoro e nell’ambiente.
Con la risoluzione 60.26, l’Assemblea mondiale della sanità ha chiesto all’OMS di svolgere una campagna globale per l’eliminazione delle malattie legate all’amianto “… tenendo conto di un approccio differenziato per regolare le sue varie forme – in linea con gli strumenti giuridici internazionali pertinenti e le ultime prove Per interventi efficaci … “.
Gli interventi a basso costo per la prevenzione delle malattie polmonari occupazionali dall’esposizione all’amianto sono tra le opzioni politiche per l’attuazione del ” Piano d’azione globale per la prevenzione e il controllo delle malattie non trasmissibili ” (2013-2020), come approvato dalla sesta sesta Assemblea in risoluzione WHA66.10 nel 2013.
Promuoviamo salute
Oncogenetica, così si legge il «libro della vita»
Ricerca innovazioneDi recente, nella cura dei tumori, si è fatto strada un nuovo approccio che risponde al nome di oncogenetica. Si tratta in realtà di prevenire il rischio per quel che riguarda i tumori ereditari grazie a test di diagnosi molecolare. In sostanza, dall’analisi dei nostri geni i medici possono predire il rischio di sviluppare un tumore e cambiare quindi un destino che è scritto nel codice stresso del nostro corpo. Uno dei riferimenti nazionali di questa nuova via è il laboratorio di diagnostica molecolare e farmacogenetica dell’Istituto tumori di Bari. Una fucina di studi e analisi in pieno fermento da oltre 13 anni.
Il libro della vita
Gli studi di una o più alterazioni dei geni, come se si sfogliasse il libro della vita, sono alla base della medicina di precisione. Per questo è possibile portare avanti terapie personalizzate in base al profilo molecolare del tumore. Da anni l’Istituto di ricerca guidato dal Antonio Delvino sta lavorando nell’ottica di una oncologia personalizzata, anche tramite l’uso di nanoparticelle, indirizzando i percorsi diagnostici, la frequenza con cui sottoporre i pazienti ai controlli e l’efficacia predittiva delle terapie. Inoltre, l’utilizzo della biopsia liquida (un semplice prelievo di sangue venoso sul quale possono essere eseguite analisi molecolari quando non è possibile disporre di tessuto tumorale) rende concreta la possibilità di monitorare, con approcci non invasivi, la risposta dei pazienti, in maniera precisa e compatibile economicamente con il sistema sanitario.
Approccio molecolare
«Parlare di “medicina di precisione” e di “terapie personalizzate” significa sapere se c’è una specifica alterazione genetica o un profilo genetico che possa permettere all’oncologo di impostare terapie a bersaglio molecolare», spiega la dottoressa Stefania Tommasi, dirigente medico presso il Laboratorio di diagnostica molecolare e farmacogenetica del “Giovanni Paolo II”. «L’approccio molecolare permette anche di monitorare la risposta alla terapia utilizzando la “biopsia liquida”, un prelievo di sangue in cui è possibile, con opportuni accorgimenti, analizzare alterazioni molecolari utili per un eventuale cambio di terapia». Lo sviluppo di questo progetto si inserisce nel quadro delle sfide verso cui è proiettato l’Oncologico barese. «Questo è proprio alla base di una nuova impostazione per i trials clinici – conclude il direttore scientifico Nicola Silvestris – in cui è possibile costruire un percorso personalizzato capace di interpretare la dinamicità della storia naturale della malattia oncologica».
Esperti a confronto
Da una collaborazione fra Irccs Giovanni Paolo II e l’Irccs Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo (FG) è nata l’idea del convegno dal titolo “Il ruolo della genetica in oncologia: patologie ereditarie e non solo” in programma domani, a partire dalle 14, nella sala conferenze di via Orazio Flacco. L’incontro, organizzato con il coinvolgimento dei medici di medicina generale, ha lo scopo di evidenziare l’importanza e il ruolo della genetica in campo oncologico, sia in ambito diagnostico che di ricerca, focalizzando l’attenzione delle tematiche trattate su alcuni tra i tumori più diffusi. Il programma è rivolto a un’ampia platea di uditori, dai professionisti e operatori del settore (medici di medicina generale, medici genetisti, oncologi, biologi, infermieri) ai pazienti, ai loro familiari, ai «non addetti ai lavori».
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Così i medici napoletani vissero «La grande guerra a casa»
News Presa«La Grande Guerra a casa», è questo il titolo di una due-giorni che inaugura una mostra che rimarrà negli Incurabili per mesi, per ricordare non soltanto l’eroismo di chi era al fronte ma anche e soprattutto, quello di chi la guerra la affrontò “a casa”. A cominciare dai medici e paramedici che si presero cura dell’enorme numero di militari feriti che furono trasferiti e ospedalizzati a Napoli sotto le insegne della Croce rossa italiana. E con loro il dottor Giuseppe Moscati, che in qualità di direttore generale del Reparto medico militare – allestito proprio nell’ospedale “Incurabili” di Napoli – si occuperà personalmente di ben 2.524 soldati (come attestano i registri del nosocomio), salvando la vita a molti di essi. Una volta venuti a conoscenza de fatto che a Napoli era all’opera Giuseppe Moscati, infatti, le autorità militari cominciarono a far dirottare sullo storico ospedale di Caponapoli i casi più difficili o impossibili. Ma la manifestazione vuole essere anche un omaggio alle vittime e ai feriti del primo bombardamento aereo subito dalla città (nel marzo del 1918) e allo strazio di tutte mamme, le mogli e le fidanzate che avevano i loro uomini nelle lontane trincee del Piave e delle Alpi orientali (in tutta Italia furono mobilitati oltre 5 milioni di giovani).
Il programma
La kermesse prenderà avvio alle 11 di venerdì 15 settembre nel cortile barocco del complesso monumentale con l’inaugurazione della mostra “La Croce rossa nella Grande Guerra” organizzata e allestita dal Museo delle Arti sanitarie insieme con il Corpo della Croce Rossa militare italiana. In esposizione una serie di oggetti, anche rari, che costituiranno il filo conduttore del racconto di quegli anni difficili ripercorrendo le gesta della sanità militare, l’eroismo dei militari e il sacrificio dei civili. È il caso, ad esempio, della ricca esposizione di lettere e di cartoline d’epoca che attraverso la lettura dei testi permettono di rivivere la tensione e l’intensità di quegli anni. A restituire ulteriore “fisicità” alla memoria saranno poi le suggestive riproduzioni di una sala operatoria, di una medicheria da ospedale da campo, di un refettorio per i feriti (con oggetti originali), ma pure gli inquietanti set operatori usati dai chirurghi di guerra, con tanto di grosse seghe da amputazione, perché, purtroppo, quello era uno degli interventi più frequenti. E altre parti di quelle strutture che decenni dopo negli Usa chiameranno “Mobile Army Surgical Hospital”, cioè “Mash” (che diventerà anche il titolo di un bel romanzo di Richard Hooker, quindi del film capolavoro di Robert Altman a esso ispirato e infine a una celebre serie tv, che cercavano di sdrammatizzare la mattanza bellica). La mostra – a ingresso libero – rimarrà aperta per tre mesi e sarà il fulcro di una serie di iniziative che hanno come obiettivo primario quello di far conoscere ai più giovani le vicende umane e storiche del Primo conflitto mondiale, che in Italia provocò la morte di oltre un milione di civili (parte dei quali per la denutrizione e anche per la micidiale epidemia detta “Spagnola”) e di circa 650mila militari (378mila uccisi in azione o morti per le ferite riportate, 186mila morti di malattie, 87mila invalidi deceduti durante il periodo compreso tra il 1918 e il 1920 a causa delle ferite riportate in guerra). Al fine di tener viva la memoria di quell’immane sacrificio. Il Museo delle Arti sanitarie ha attivato una sinergia con il Provveditorato agli Studi di Napoli con l’obiettivo di coinvolgere durante il periodo dell’esposizione il maggior numero di studenti delle scuole medie e superiori di Napoli e provincia, grazie anche a una serie di letture, concerti, perfomance e convegni scientifici. Un progetto che si cercherà di ampliare anche al resto della Campania con la collaborazione dell’assessorato all’Istruzione e della presidenza della Regione. A chiudere la prima giornata della manifestazione sarà un’esibizione musicale degli allievi del Conservatorio di San Pietro a Maiella. E sempre nel segno della musica si caratterizzerà il secondo appuntamento, il giorno dopo: alle 18 di sabato infatti sarà di protagonista la prestigiosa Banda Militare del Centro di Mobilitazione Tosco-Emiliano con un vasto repertorio ispirato all’anniversario del conflitto e ai temi della due-giorni.
Bombe su Napoli
Tra le peculiarità della mostra ricorderemo la scheggia di bomba che afferisce al bombardamento aereo della città effettuato da uno Zeppelin della Marina imperiale tedesca, che nella notte tra il 10 e l’11 marzo 1918, a 4800 metri di altitudine, dunque ben al di là della portata dei cannoni antiaerei e delle fotoelettriche, sgancerà le sue bombe su Napoli. Per un errore di calcolo, però, gli ordigni finiranno fuori bersaglio colpendo Posillipo, i Quartieri Spagnoli, la zona dei Granili, piazza del Municipio, via Toledo, il Corso Vittorio Emanuele (centrando tra l’altro due chiese, la Galleria Umberto I, un ospizio delle Suore dei Poveri), Solo sulla via del ritorno, le bombe dell’aeromobile centrarono gli stabilimenti dell’Ilva di Bagnoli, che erano il vero obiettivo del raid insieme alle altre fabbriche belliche dell’area flegrea. Alla fine i morti saranno diciotto e i feriti un centinaio, ma da quel momento la popolazione vivrà nel terrore di altri attacchi aerei.
Valori positivi
Nelle parole del professor Gennaro Rispoli, fondatore e direttore del Museo delle Arti Sanitarie: «Innanzitutto ai più giovani vogliamo ricordare non solo le brutture della guerra ma anche e soprattutto la generosità mostrata nell’accoglienza ai feriti che giungevano qui dal fronte, compresi quelli nemici. E vogliamo anche sottolineare il ruolo professionale di Moscati, che proprio agli Incurabili selezionava i pazienti idonei a tornare in battaglia; un ruolo di grande responsabilità che il futuro santo svolse con rigore e umanità. Testimonianza importante – aggiunge il direttore del Museo napoletano – è pure quello della musica, che divenne un supporto fondamentale per battere prima del nemico la nostalgia di casa e l’angoscia dell’assalto. Quelle tenere parole sussurrate nei versi della ricca produzione canzonettistica partenopea riecheggiano, con intatta potenza, la voglia di pace di una gioventù che non poté vivere il suo tempo».
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Anziani: troppe ore di TV al giorno aumentano rischio disabilità
PrevenzioneTroppo tempo seduti, guardando la TV e poco tempo in movimento possono contribuire alla perdita della capacità di camminare in età avanzata. Lo ha dimostrato un ampio studio condotto negli USA e pubblicato dal Journal of Gerontology. Il team di ricercatori fa parte della Scuola di Salute Pubblica di Milken Institute di George Washington di Washington ed è coordinato da Loretta Di Pietro. Sono stati analizzati i dati dello studio dietetico e sanitario nazionale NIH-AARP, iniziato nel 1995, quando i partecipanti avevano un’età compresa tra 51 e 70 anni e avevano compilato dei questionari che indagavano la loro storia medica, l’attività fisica e la dieta.
A distanza di dieci anni circa di follow-up erano già disponibili informazioni relative a più di 134.000 partecipanti che erano rappresentativi a livello nazionale e hanno poi risposto ad un’altra indagine. Alla fine del periodo di studio, circa il 30% dei partecipanti riferiva un certo grado di disabilità di mobilità, come per esempio difficoltà a camminare ad una velocità superiore a 2 miglia all’ora o non essere in grado di camminare affatto.
Invece, le persone che erano fisicamente più attive all’inizio del periodo di studio, (in movimento per più di 7 ore ogni settimana e sedute per meno di 6 ore al giorno) non avevano alcun rischio eccessivo di disabilità alla mobilità entro la fine del periodo di studio. In tutti i gruppi, inoltre, si è visto che aumentando la durata del tempo trascorso guardando la TV, aumentava anche la probabilità di avere una disabilità nel camminare a piedi. Ad esempio, chi vedeva la TV per oltre 5 al giorno all’inizio del periodo di studio, ha avuto un rischio maggiore del 65% di disabilità nel movimento entro la fine dello studio, rispetto a chi aveva trascorso un tempo minimo davanti al teleschermo.
promuoviamo salute
Antidepressivi: 16 mln di persone ne fanno uso continuativo
FarmaceuticaNel mondo sono circa 16 milioni le persone che fanno uso di antidepressivi in maniera continuativa, secondo le stime. L’uso prolungato di antidepressivi è una pratica in crescita soprattutto negli Stati Uniti. Secondo i dati forniti da uno studio del National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES), degli stimati 16 milioni di persone che hanno fatto uso di antidepressivi per più di 24 mesi, il 70 per cento sarebbero donne. Il libro di Julie Holland, “Moody Bitches”, sottolinea infatti come le emozioni delle donne vengano regolate sempre di più attraverso i medicinali.
“Le persone possono iniziare ad assumere antidepressivi per l’ansia, l’obesità, la menopausa. Puoi vedere la gente prendere i farmaci per qualsiasi cosa. Credo che siano tra le droghe più difficili da cui uscire, ancor di più che dall’alcool e dagli oppiacei,” ha detto il dottor Peter Breggin, un esperto di astinenza dagli psicofarmaci, in un’intervista ad Al Jazeera. “Durante l’astinenza può succedere praticamente qualsiasi cosa che sia emozionalmente e psichiatricamente devastante per il soggetto, dato che la serotonina è il neurotrasmettitore più diffuso nel cervello”.
Infatti, i medici raccomandano di assumere gli antidepressivi solo sotto stretto controllo medico. Ci sono forme di disturbo che necessitano soltanto della psicoterapia e ad accertare la necessità di uno psicofarmaco può essere soltanto un medico specialista. Tuttavia, si raccomandano che coloro che ne fanno uso ‘rompano’ la propria dipendenza attraverso una “riduzione graduale della dose, piuttosto che con un’interruzione repentina”.
Breggin ha detto alla giornalista di Al Jazeera Rebecca White che uscire da una dipendenza da psicofarmaci può causare una vasta gamma di sintomi, tra cui “sensazioni di shock nella testa, perdita dell’equilibrio, strane sensazioni in varie parti del corpo, depressione, disperazione, tendenza al suicidio, ansia disabilitante e disfunzione erettile persistente.” Un’articolo apparso su saloon us racconta cosa significa avere una relazione con un antidepressivo e provare a uscirne.
Un blogger, che appropriatamente scrive con il soprannome di “GLOOM” (oscurità), descrive l’astinenza come un “inferno sulla terra”. “E così è, per me e molte altre persone affette da disturbi d’ansia, la vita senza antidepressivi”.
L’articolo completo è stato pubblicato qui dalla scrittrice Joanna Rothkop.
promuoviamo salute
Quando le ossa diventano fragili come la porcellana
PrevenzioneIn Europa una donna su due dopo i 70 anni rischia di essere colpita da osteoporosi. Si tratta di una malattia particolarmente insidiosa, capace di portare a fratture delle ossa anche senza particolari traumi. Di questa malattia si è discusso in vista della Giornata Mondiale dell’Osteoporosi del 20 ottobre, a Roma, nel corso di un convegno organizzato dalla Fondazione italiana ricerca sulla malattie dell’osso (Firmo), in partnership con Amgen, con la presentazione de «Il Piatto Forte». La campagna ha l’obiettivo di fare informazione, sensibilizzare la popolazione sulle fratture da fragilità, che possono essere limitate grazie all’alimentazione corretta, attività fisica regolare e un trattamento farmacologico tempestivo e ben tollerato dal paziente.
Ossa di porcellana
Se non trattata, l’osteoporosi rende le tue ossa fragili come la porcellana, per questo dal 30 settembre prende il via un tour in diverse città italiane, con eventi di due giorni, tra gazebo e camper, con specialisti e anche la misurazione della densità minerale ossea agli utenti. Iniziativa importante che in occasione della presentazione ha visto un parterre di altissimo profilo, su tutti il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, che ha aperto i lavori ricordando che «le fratture ossee costano al sistema sanitario una cifra enorme, ma soprattutto alle persone che le subiscono, pensiamo alle fratture del collo del femore che possono compromettere la vita delle persone interessante, per questo motivo è importante procedere con un lavoro sulla prevenzione, partendo da piccoli con assunzione di calcio e vitamina D e coinvolgendo anche i medici di medicina generale sulle novità terapeutiche». Inoltre, tra i presenti: il presidente Firmo e direttore Sod Malattie del metabolismo minerale e ossea dell’azienda ospedaliera universitaria Careggi di Firenze, Maria Luisa Brandi, il presidente della Società italiana ortopedia e traumatologia (SIOT).
Più colpite le donne
Negli Stati Uniti e nell’Unione Europea sono affette da osteoporosi circa il 30% delle donne in post menopausa e si stima che di queste più del 40% riporterà una frattura nel corso della propria vita. In Italia vengono stimate almeno 3,5 milioni di donne con osteoporosi e più del 75% della popolazione femminile sopra i 60 anni di età soffrirebbe di fragilità ossea con aumento del rischio di fratture, che rappresentano una importante causa di disabilità, specie tra le persone anziane. Ogni anno si registrano circa ottomila ricoveri per fratture di femore in persone con oltre 65 anni. «Nel nostro Paese – spiega Maria Luisa Brandi, presidente Firmo-, il problema della fragilità ossea, che espone il paziente a un rischio elevatissimo di nuovi eventi fratturativi, con costi insostenibili per il Servizio sanitario è di fatto ignorato e per i pazienti fratturati presa in carico e continuità assistenziale dopo l’intervento chirurgico sono pressoché inesistenti».
Endometriosi, 900 chirurghi trasformano Castel dell’Ovo in una clinica
Ricerca innovazionePer tre giornate (dal 14 al 16 settembre, in occasione del 17° congresso internazionale) Napoli diventa capitale della lotta all’endometriosi. Storia e tecnologia si fonderanno infatti a Castel dell’Ovo nel corso della tre giorni per una full immersion che vedrà protagonisti più di 900 chirurghi ginecologi provenienti da 52 Paesi del mondo. Per la prima volta il castello, uno dei simboli della città di Napoli, ospiterà un congresso scientifico con supporti altamente tecnologici e sofisticati: trasmissioni audio e video in diretta dalla clinica Ruesch, proiezioni in 3D e dibattiti interattivi realizzati grazie ad un sofisticato sistema intranet e che renderanno questo congresso un evento unico nel suo genere.
La patologia
Quello dell’Endometroisi è certamente un argomento di particolare attualità se si considera la prevalenza attuale è stimata in circa 176 milioni di donne nel mondo. La patologia colpisce infatti fino al 17% delle donne in età riproduttiva e la prevalenza sale al 47% nelle pazienti con problematiche di infertilità. Parlare di endometriosi è fondamentale: purtroppo l’insufficiente conoscenza dell’argomento, da parte delle donne da un lato e della comunità medica dall’altro si correla ancora oggi con un ritardo diagnostico medio di circa 9 anni dall’insorgenza dei sintomi, e questo non solo nello scenario italiano ma internazionale. L’aspetto più grave è che una scarsa conoscenza del fenomeno può spesso indirizzare a diagnosi fuorvianti, con conseguenti trattamenti errati, quando non addirittura ad etichettare le pazienti come esclusivamente affette da disturbi di carattere psicogeno. Non da ultimo, anche in caso di identificazione corretta della malattia, che benché benigna può determinare un sovvertimento dell’anatomia degli organi pelvici paragonabile se non peggiore rispetto a quanto osservabile anche in condizioni neoplastiche, il trattamento delle pazienti in centri non adeguatamente specializzati può determinare il ripetersi di approcci chirurgici molteplici, non risolutivi, spesso inutili quando non addirittura dannosi .
Il programma
Il programma dell’evento prevede l’alternanza di letture magistrali con interventi di chirurgia laparascopica trasmessi in diretta nelle aule del congresso dalle sale operatorie della Clinica Ruesch di Napoli, uno dei fiori all’occhiello della sanità privata napoletana, struttura all’avanguardia ed attrezzata per procedure di chirurgia pelvica endoscopica avanzata. Una vera e propria «maratona chirurgica», con almeno 11 procedure in programma ad alta complessità, fino a pochi anni fa considerate off-limits, eseguite tutte con tecniche di chirurgia mini-invasiva endoscopica. La chirugia laparoscopica si caratterizza per gli enormi vantaggi per le pazienti in termine di ricovero più breve, minor dolore postoperatorio, ripresa più rapida con ritorno alle normali attività lavorative in tempi ridotti. La chirurgia mini-invasiva consente maggiore precisione del gesto chirurgico con comprovata riduzione delle complicanze.
Tecnologie 3D
Una grande novità nel mondo della chirurgia pelvica endoscopica è l’ausilio delle tecnologie 3D, che avranno ampio spazio nel corso delle procedure chirurgiche effettuate con trasmissione live nelle aule congressuali allestite ad hoc per la fruizione delle stesse da parte di tutti i partecipanti che, dalle sale di Castel dell’Ovo, avranno anche la possibilità di interagire direttamente con chairmen, discussants e con i chirurghi all’opera (collegamento audio/video con le sale operatorie) mediante l’allestimento di un sistema informatico a rete interna protetta che consentirà la comunicazione in tempo reale a mezzo smartphone per dibattiti interattivi. L’evento, ideato e promosso dal Prof. Mario Malzoni, Direttore del Centro di Chirurgia Pelvica Avanzata presso la Casa di Cura Malzoni (Avellino) e presidente in carica della Società Italiana di Endoscopia Ginecologica (SEGi)
Cancro. Solo il 60% di chi è guarito riesce a riavere posto di lavoro
Ricerca innovazioneSolo il 60% di chi è stato malato di tumore riesce a tornare al proprio posto di lavoro dopo le cure. Il reinserimento è più difficile per le donne e i soggetti più fragili.
A impedire di riprendere del tutto la vita lavorativa, ci sono molti fattori. Uno studio presentato al congresso europeo di oncologia (ESMO) in corso a Madrid ha cercato di analizzare questi ‘impedimenti’ in un contesto piuttosto privilegiato rispetto a molte altre realtà, la Norvegia. Elisabetta Iannelli, Segretario Generale di Favo, ha invece raccontato la dimensione italiana.
Nello studio, il NOR-CAYACS ha indagato la capacità lavorativa di 1.198 persone alle quali, nel periodo 1985-2009 (Cancer Registry Norway), era stato diagnosticato un tumore (melanoma, tumore del colon retto, tumore della mammella stadio I-III, linfoma non Hodgkin o leucemie) all’età di 19-39 anni e vivi nel settembre 2015 (l’età media al momento della survey era di 49 anni).
Dai risultati è emerso che solo il 60% degli intervistati aveva un posto di lavoro a tempo pieno, ad una distanza media di 13 anni dalla fine del trattamento oncologico. L’identikit di chi aveva totalizzato un basso punteggio di Work Ability Index era: donna, con basso grado di istruzione, depressa, con fatigue, lindema, ridotta qualità di vita fisica e scarso stato di salute autoriferito. I sopravvissuti ad un linfoma non Hodgin erano quelli con il minor punteggio di capacità lavorativa, mentre i soggetti con melanoma si collocavano all’estremo opposto.
“L’80% circa dei giovani affetti da tumore possono oggi essere curati – afferma il professor Gilles Vassal, direttore della Ricerca Clinica, Gustave Roussy, Villejuif (Francia) e Past President della European Society for Paediatric Oncology (SIOPE) – ma le cure sono intensive e due survivor su tre presentano conseguenze fisiche e psicologiche di lunga durata. Questo studio dimostra che sono proprio gli effetti somatici e psicologici delle terapie a ridurre la capacità lavorativa, più del cancro in sé. ”.
Gli effetti indesiderati dei trattamenti insomma possono comparire anche a distanza di mesi o anni dal termine della terapia, e se una persona si è ammalata di cancro in età giovanile, possono interferire con la carriera lavorativa. “Per questo i giovani che si ammalano di tumore – conclude Vassal – dovrebbero ricevere informazioni chiare sui potenziali effetti tossici dei trattamenti oltre che essere sottoposti ad attento monitoraggio per minimizzare la gravità delle conseguenze a lungo termine. Sono inoltre necessari degli studi clinici prospettici volti ad individuare trattamenti che riducano il rischio di tossicità tardive, senza al contempo mettere in predicato le probabilità di superare la malattia”.
Elisabetta Iannelli, Segretario Generale FAVO ha commentato: “Studi come quello norvegese presentato all’Esmo 2017 non fanno che confermare ciò che i pazienti, con il sostegno del volontariato oncologico, affermano da tempo: chi ha ricevuto una diagnosi di cancro, soprattutto se ne è totalmente guarito, può e vuole continuare a lavorare poiché il lavoro è terapeutico ed è fondamentale per il pieno ritorno alla vita dopo la malattia”.
“Perdere il posto di lavoro o essere licenziati, subire discriminazioni o demansionamenti in conseguenza del cancro – prosegue Iannelli – sono traumi dolorosi e lesivi della dignità della persona, oltreché profondamente ingiusti e, pertanto, inaccettabili. Lo studio Norvegese conferma che più della metà degli ex malati a distanza di oltre un decennio dalla diagnosi continua a lavorare a tempo pieno ma ci dice anche che i soggetti più fragili che, purtroppo, sono in prevalenza donne, sono a maggior rischio di esclusione sociale e di povertà (come confermato da alcuni studi sulla tossicità finanziaria). E’ ormai noto che effetti a lungo termine o tardivi connessi e conseguenti al cancro ed alle terapie antineoplastiche, costituiscono un rischio aggiuntivo di salute e possono essere un ostacolo invalidante anche sul lavoro, se non vengono poste in essere azioni concrete per rimuovere queste barriere culturali e sociali”.
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Yoga e meditazione, 25 minuti rilasciano endorfine e attivano energia
Stili di vitaSempre più spesso di sente parlare dei suoi effetti positivi, da qualche anno lo conferma anche la scienza. Con yoga e meditazione mindfulness cresce l’energia e migliorano le funzionalità cerebrali. Bastano soltanto 25 minuti al giorno per vedere gli effetti sulle funzioni cosiddette esecutive, correlate alla soluzione di problemi, sul comportamento legato al raggiungimento degli obiettivi, sulla capacità di controllo delle emozioni e degli impulsi, oltre che dei pensieri e delle azioni ripetitive. A evidenziarlo sono i dati di uno studio dell’Università di Waterloo, in Canada. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Mindfulness. Gli studiosi hanno preso in esame 31 studenti, che hanno completato 25 minuti di Hatha yoga, 25 minuti di meditazione mindfulness e 25 minuti di lettura tranquilla (un compito di controllo) in ordine casuale. Hanno scoperto che in chi svolgeva le attività di yoga e meditazione miglioravano le funzioni cerebrali, in particolare quelle di tipo esecutivo, misurate su una scala apposita. Non solo: a migliorare erano anche i livelli di energia, ma in questo caso lo hatha yoga offriva più vantaggi rispetto alla mindfulness. “Ci sono una serie di teorie sul perché gli esercizi fisici come lo yoga migliorano i livelli di energia e le prestazioni nei test cognitivi – evidenzia Kimberley Luu, autrice principale dello studio – queste includono il rilascio di endorfine, un aumento del flusso sanguigno nel cervello e una riduzione di focalizzazione sui pensieri ripetitivi. Anche se in definitiva questa è ancora una domanda aperta”. Insomma, queste pratiche basate sulla respirazione non promuovono soltanto il senso di rilassatezza, ma come conferma questa ricerca, sono per il cervello attivatori di energia.
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Malaria, ecco tutto quello che c’è da sapere
Partner, PrevenzioneLa malaria, a partire dai casi che hanno scioccato l’opinione pubblica. E ancora, la possibilità di contrarre una malattia a causa della puntura di un insetto, sino alla prevenzione e alle possibili strategie da mettere in campo. Ad affrontare uno dei temi più caldi del momento, ai microfoni di Radio Kiss Kiss, sarà il professor Carlo Tascini (direttore della Prima Divisione Malattie Infettive all’Ospedale Cotugno di Napoli). L’appuntamento è come sempre per sabato, alle 11 circa, con Good Morning Kiss Kiss, nell’approfondimento realizzato in partnership con il Network PreSa – Prevenzione e Salute.
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