Tempo di lettura: 4 minutiRischio microbiologico, chimico, fisico, per presenza di allergeni, migrazione dei materiali destinati a venire a contatto con gli alimenti: il richiamo o il ritiro di un prodotto alimentare avviene principalmente per questi motivi.
Quella appena trascorsa è stata l’estate delle uova contaminate dal fipronil, ma ci sono casi che non arrivano sulle prime pagine dei giornali. Per rendersi conto del meccanismo quotidiano basta andare sul sito del ministero della Salute che riporta gli interventi avvenuti nel nostro Paese.
Nel 2017 sono più di cinquanta i casi segnalati. Ci si può fare un’idea di cosa succeda quando qualche prodotto non rispetta le condizioni di sicurezza alimentare, con tanto di nomi delle aziende coinvolte.
Tra i casi riportati ci sono quelli che riguardano il rischio chimico. È stata ritirata della carne suina per presenza di antibiotici sulfamidici. In un filone di tonno congelato sottovuoto è stata trovata istamina oltre il limite previsto. In un trancio di pesce spada, mercurio troppo elevato. L’alimento più a rischio è il pesce, ma non è fuori pericolo neanche la farina integrale di mais, che può avere un elevato contenuto di micotossine.
Il rischio microbiologico, invece, riguarda la presenza di salmonella, accertata in una salsiccia sarda, carne avicola; la pericolosa Listeria era invece in un formaggio francese, in una torta di ricotta e pera e (solo un sospetto) in un Taleggio Dop. Una crostatina senza glutine è stata contaminata da miceti; presunta presenza di muffa è stata segnalata in un pane a fette bio, le fumonisine (micotossine) in farina di mais.
Varia di molto, invece, la categoria incidentale che riguarda il rischio fisico ovvero la presenza di corpi estranei nell’alimento. In una confezione di maxiburger di carne Angus è stato trovato un corpo metallico di 0,5 centimetri.
Infine, il rischio di presenza di allergeni ha riguardato tracce di soia in farina di grano tenero, in un mix a base di farine, presenza di glutine oltre i limiti di legge in una polenta istantanea.
Il rischio migrazione di ingredienti, destinati a venire a contato con gli alimenti, ha interessato una confezione di sei coltelli con lama dentata prodotti in Cina, a causa del cromo. Un fustino in acciaio invece è stato ritirato per rischio migrazione di manganese.
Il un’intervista a De-gustare, il biologo, esperto di sicurezza alimentare Luciano Oscar Atzori, spiega a cosa si va incontro mangiando del cibo contaminato.
Per quanto riguarda il rischio microbiologico, «la Lysteria – spiega – è un batterio molto pericoloso, soprattutto per le donne in gravidanza. Può determinare una forma particolare di meningite e può essere anche letale. Riesce anche a moltiplicarsi a temperature di frigorifero (+4°C), che rallentano la moltiplicazione microbica, ma non la bloccano, il che lo rende particolarmente insidioso. In genere si annida in latticini e formaggi non stagionati».
«Le micotossine – continua Atzori– raramente si riesce a bloccarle nella materia prima, per esempio il mais, per cui si ritrovano poi nella catena alimentare, dal latte, ai biscotti, alla pasta. Spesso sono termoresistenti e i processi di bonifica attraverso la temperatura lungo la catena di produzione sono generalmente troppo rapidi per abbatterle. I vegani e vegetariani, che abitualmente pensano di essere fuori da alcune dinamiche di rischio, sbagliano. Idem per chi consuma un prodotto bio, che può essere anch’esso soggetto a contaminazione».
«In merito poi alla presenza di tracce di antibiotici negli alimenti – prosegue il biologo – la questione è misconosciuta. Tra un pollo di allevamento trattato con antibiotici, che presenta tracce perché non sono stati rispettati i tempi di sospensione, per esempio, e un secondo pollo che deriva da allevamento che ne fa uso massiccio, ma rispetta perfettamente i tempi di sospensione così da non lasciare residui, quest’ultimo è più pericoloso. L’antibiotico resistenza è dovuta all’utilizzo intensivo e continuato di antibiotici, che generano all’interno dell’animale microrganismi resistenti a seguito di spontanee mutazioni. E questi rischiano di entrare nella catena alimentare, allorché si mangia carne poco cotta».
«La migrazione di metalli è un altro problema serio – spiega Atzori nell’intervista- non si possono controllare tutti i materiali utilizzati che vengono a contatto con gli alimenti (imballaggi primari, attrezzi e utensili). Il cromo esavalente è altamente tossico per l’uomo, è un veleno che può causare problemi renali. Entro il 31 dicembre 2018 in Italia entrerà in vigore una normativa più restrittiva che prevede il cambiamento di un allegato delle acque potabili per questo metallo. A significare quanto sia grave il rischio di accumulo. La migrazione di pericolosi metalli può avvenire attraverso differenti macchinari (affettatrici, macchine per fare il caffè, grattugia formaggi). Un altro metallo pericoloso è l’alluminio, che si ritiene un co-fattore per lo sviluppo dell’Alzheimer. Viene utilizzato nella potabilizzazione delle acque: è probabile che si trovi anche lì, anche se non dovrebbe esserci in quanto ci sono limiti severissimi».
I casi che riguardano i primi sei mesi del 2017, riportati sul sito del Ministero, sono circa una cinquantina. Per Atzori, si tratta probabilmente di dati sottostimati. «Per quanto riguarda il tema generale della sicurezza alimentare – sottolinea Atzori – tempo fa ho evidenziato una falla nella normativa italiana nel sistema del Rasff. Finché sono gli organi di controllo a evidenziare il problema (di natura chimica, microbiologica eccetera) scatta subito il richiamo o il ritiro dei prodotti. C’è però il caso che sia l’azienda ad accorgersi di qualche anomalia, per esempio una contaminazione. La stessa deve allora ritirarlo (quando non è ancora arrivato al consumatore, ndr) o richiamarlo (se è già stato messo in circolo, ndr). La legge prevede che debba denunciare questo fatto con probabile conseguente sanzione amministrativa e/o penale. L’esito è che la maggior parte delle aziende interviene, ma non si autodenuncia».
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Sla, 120mila euro raccolti grazie alle «bottiglie solidali»
Associazioni pazientiBen 120mila euro sono stati raccolti grazie ai volontari di Aisla e ora andranno a sostenere le persone colpite dalla Sclerosi laterale amiotrofica (oltre 6mila in Italia). Ovviamente, un risultato così importate è stato possibile grazie al cuore delle migliaia di persone che hanno scelto di acquistare le bottiglie di Barbera d’Asti Docg negli Stand Aisla (presenti in 150 piazze italiane per la decima Giornata nazionale sulla Sla). Complessivamente, sono state 12.000 le bottiglie “solidali” acquistate dagli italiani. Un grazie l’Aisla lo ha voluto rivolgere alla Regione Piemonte, al Consorzio Barbera d’Asti e Vini del Monferrato, alla Fondazione Cassa di Risparmio di Asti e all’Unione Industriale della Provincia di Asti, che hanno sostenuto l’iniziativa nell’organizzazione e negli aspetti logistici, e ora l’intero ricavato della vendita delle bottiglie potrà essere destinato a progetti di assistenza delle persone con Sla.
Il simposio
Massimo Mauro, presidente di Aisal, parla di un grande successo e ringrazia «tutti quanti hanno scelto di sostenerci. Grazie alla loro generosità e all’impegno dei nostri 300 volontari potremo dare una risposta a tante richieste di aiuto di persone con Sla e delle loro famiglie. Vi diamo appuntamento al 29 settembre a Torino per il simposio sulla Sla, esperti da tutto il mondo ci parleranno degli sviluppi della ricerca e dei farmaci oggi disponibili per contrastare la Sla».
Altre tappe
Nei prossimi giorni sarà ancora possibile trovare i volontari di Aisla con le bottiglie di Barbera d’Asti DOCG in alcune città: Fiumicello (Udine, 19 settembre), Courmayeur, Asti, Fidenza (23 settembre), Iglesias (24 settembre), Santa Giustina (Belluno, 30 settembre), Alba (1 ottobre), Colorno (Parma, 8 ottobre). I fondi raccolti saranno utilizzati da Aisla, presente sul territorio italiano con 63 rappresentanze territoriali e 300 volontari in 19 regioni, per sostenere e rafforzare le attività gratuite a sostegno delle persone con Sla. Tra queste l’Operazione Sollievo, il progetto che consiste nell’aiutare le persone con Sla con consulenze psicologiche, legali e fiscali gratuite e aiuti concreti per le famiglie in difficoltà. Fino a oggi con l’Operazione Sollievo, progetto avviato nel 2013, Aisla ha potuto aiutare più di 200 famiglie destinando oltre 450 mila euro raccolti grazie alle donazioni della Giornata nazionale.
Il sostegno di Aisla alla ricerca
Fino al 2 ottobre sarà attivo il numero 45515 con cui sarà possibile donare 2 euro con un sms oppure 2 o 5 euro da rete fissa: i fondi serviranno in particolare per sostenere il progetto di ricerca clinica Promise, vincitore del Bando 2013 di AriSla, Fondazione italiana di ricerca sulla Sla. Lo studio di fase II ha l’obiettivo di testare l’efficacia del Guanabenz, un farmaco che agisce per contrastare l’accumulo patologico di proteine all’interno delle cellule e favorire l’eliminazione delle proteine alterate. La sperimentazione clinica, che coinvolge 24 centri clinici su tutto il territorio nazionale, è stata disegnata per valutare le potenzialità di questo farmaco nel rallentare il decorso della malattia: lo studio è già partito in 16 centri e sono già stati inclusi 75 pazienti». Dalla sua nascita, Aisla ha sostenuto la ricerca scientifica con oltre 4,5 milioni di euro raccolti grazie alle donazioni. In particolare, ha destinato oltre 2 milioni di euro ad AriSla che, dal 2009 ad oggi, ha finanziato 62 progetti di ricerca, di cui 6 (3 Pilot Grant e 3 Full Grant) solo nell’ultimo anno.
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Oms, Italia bocciata su prevenzione ictus e attacchi cuore
PrevenzioneNel mondo le malattie non trasmissibili fanno 15 milioni di morti all’anno. Sulle politiche per limitarle il nostro Paese è un po’ indietro. Molti degli obiettivi indicati dall’Organizzazione Mondiale della Salute sono stati raggiunti solo a metà. A fare il quadro della situazione è il ‘progress monitor’ per il 2017, appena pubblicato dall’OMS . Il documento raccoglie i dati di 194 paesi su 19 indicatori. Si va dalle politiche contro il fumo alla promozione degli stili di vita corretti. “I governi – si legge – devono aumentare gli sforzi per controllare le malattie non trasmissibili e raggiungere gli obiettivi prefissati, tra cui c’è la prevenzione della morte prematura di milioni di persone. Sono stati fatti passi limitati nella lotta contro queste patologie, soprattutto per quelle cardiovascolari e quelle respiratorie croniche, che sono i peggiori killer del mondo responsabili della morte di 15 milioni di persone tra 30 e 70 anni ogni anno”. Malattie cardiache, ictus, cancro, diabete e malattie polmonari croniche: sono responsabili di quasi il 70% di tutte le morti in tutto il mondo e sono classificate dall’Oms come malattie non trasmissibili (NCD). Quasi tre quarti di tutti i morti NCD e l’82% dei 16 milioni di persone che sono morti prematuramente o prima di raggiungere i 70 anni per queste cause, si verificano nei paesi a basso e medio reddito. L’aumento è dovuto a quattro principali fattori di rischio: l’uso del tabacco, l’inattività fisica, l’uso nocivo dell’alcol e delle diete insalubri.
Per quanto riguarda l’Italia, il documento ha censito 573mila morti l’anno a causa di malattie non trasmissibili, con un 9% di rischio di morte prematura. Fra i vari indicatori quello con il giudizio peggiore, ‘non raggiunto’, riguarda le terapie e il counseling per la prevenzione di ictus e attacchi cardiaci. ‘Parzialmente raggiunti’ invece gli obiettivi sul bando della pubblicità e sulle politiche ‘smoke-free’ per il fumo, sulla diminuzione della disponibilità, sull’aumento delle tasse e sulle restrizioni per la pubblicità per l’alcol e sulle restrizioni alla promozione dei sostituti del latte materno. Risultano completati a metà anche gli obiettivi sulle linee guida per cancro, diabete e malattie cardiovascolari. Insomma, c’è ancora tanto da fare e nonostante il cibo italiano sia apprezzato in tutto il mondo e associato nell’immaginario comune al benessere, l‘Italia tentenna su diete e attività fisica. Mostra una falla sulla prevenzione degli attacchi cardiaci e ictus.
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Cardarelli, ecco il “bar code” per identificare i pazienti
Ricerca innovazioneParte domani, 20 settembre, il progetto di identificazione del paziente fortemente voluto dalla direzione strategica del Cardarelli. Una sorta di assistente virtuale basato sull’utilizzo di braccialetti con “bar code”, tecnologia che consentirà nel tempo di automatizzare e dematerializzare moltissimi processi e dati clinici. In particolare, due saranno gli step da portare a termine al Cardarelli in questa prima fase. Si parte dal pronto soccorso, dove il triagista doterà ciascun paziente di un bracciale colorato (verde, giallo o rosso) a seconda della gravità del caso. Il braccialetto conterrà anche i dati anagrafici e un codice a barre, che seguirà il paziente durante tutto il periodo di permanenza nella struttura ospedaliera. In questo modo, oltre all’identificazione attendibile, sarà garantita anche l’univoca attribuzione del codice di gravità (triage) per consentire l’avvio del paziente stesso al percorso diagnostico-terapeutico più appropriato. Il progetto del Cardarelli ha l’obiettivo di rendere unico il paziente: la corretta e sicura identificazione del malato da parte degli operatori sanitari è infatti fondamentale per garantire cure appropriate. Il braccialetto rappresenta un utile strumento per migliorare la sicurezza e ridurre eventuali rischi in relazione sia alla diagnosi che alla terapia. Tale tecnologia rappresenta un utile strumento anche in considerazione della durata dell’attesa per i pazienti con bassa priorità di accesso e dei possibili spostamenti del paziente verso altri Servizi, esterni al Pronto Soccorso del Cardarelli, durante la fase dell’inquadramento diagnostico. Il braccialetto viene rimosso solo alla dimissione del paziente e quindi risulta utile in degenza, in sala operatoria, in diagnostica, in terapia intensiva. Una volta in reparto il bracciale sarà di colore bianco e conterrà tutte le informazioni utili ad aiutare i sanitari nel percorso di cura.
La carica dei 300
La sperimentazione dell’utilizzo del braccialetto identificativo parte, come detto, dal pronto soccorso. Tradotta in cifre l’iniziativa riguarderà, per il solo pronto soccorso circa 300 pazienti al giorno. Per il 2018 l’applicazione del braccialetto identificativo sarà infine estesa ai restanti reparti dell’ospedale. Le applicazioni future, attraverso la lettura del codice a barre riportato sul braccialetto, potranno riguardare l’implementazione di procedure informatizzate che gestiscono i processi a maggior rischio: trasfusioni di sangue, procedure chirurgiche, diagnostica per immagine e gestione trasporti .L’identificativo dell’evento (sia di ricovero o di pronto soccorso) potrà infatti permettere la realizzazione di integrazioni tra diversi processi di automatizzazione già in atto in Azienda. In tutti questi casi il barcode con l’identificativo potrà essere utilizzato per la verifica del paziente, per esempio dalla verifica della sacca da trasfondere alla presa in carico del paziente da trasportare. L’identificazione di un paziente la tracciabilità dei suoi percorsi assistenziali e il monitoraggio dei suoi spostamenti all’interno di una struttura rappresentano quindi un valore aggiunto, consentono la ricostruzione del percorso clinico seguito dal paziente e la verifica, in tempo reale, delle cure. La riduzione degli errori di gestione operativa e documentale, la verifica della situazione (posizione, fase della cura) dei pazienti di interesse e, in sintesi, una maggiore sicurezza.
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Sicurezza alimentare: a rischio contaminazione anche vegani e vegetariani
AlimentazioneRischio microbiologico, chimico, fisico, per presenza di allergeni, migrazione dei materiali destinati a venire a contatto con gli alimenti: il richiamo o il ritiro di un prodotto alimentare avviene principalmente per questi motivi.
Quella appena trascorsa è stata l’estate delle uova contaminate dal fipronil, ma ci sono casi che non arrivano sulle prime pagine dei giornali. Per rendersi conto del meccanismo quotidiano basta andare sul sito del ministero della Salute che riporta gli interventi avvenuti nel nostro Paese.
Nel 2017 sono più di cinquanta i casi segnalati. Ci si può fare un’idea di cosa succeda quando qualche prodotto non rispetta le condizioni di sicurezza alimentare, con tanto di nomi delle aziende coinvolte.
Tra i casi riportati ci sono quelli che riguardano il rischio chimico. È stata ritirata della carne suina per presenza di antibiotici sulfamidici. In un filone di tonno congelato sottovuoto è stata trovata istamina oltre il limite previsto. In un trancio di pesce spada, mercurio troppo elevato. L’alimento più a rischio è il pesce, ma non è fuori pericolo neanche la farina integrale di mais, che può avere un elevato contenuto di micotossine.
Il rischio microbiologico, invece, riguarda la presenza di salmonella, accertata in una salsiccia sarda, carne avicola; la pericolosa Listeria era invece in un formaggio francese, in una torta di ricotta e pera e (solo un sospetto) in un Taleggio Dop. Una crostatina senza glutine è stata contaminata da miceti; presunta presenza di muffa è stata segnalata in un pane a fette bio, le fumonisine (micotossine) in farina di mais.
Varia di molto, invece, la categoria incidentale che riguarda il rischio fisico ovvero la presenza di corpi estranei nell’alimento. In una confezione di maxiburger di carne Angus è stato trovato un corpo metallico di 0,5 centimetri.
Infine, il rischio di presenza di allergeni ha riguardato tracce di soia in farina di grano tenero, in un mix a base di farine, presenza di glutine oltre i limiti di legge in una polenta istantanea.
Il rischio migrazione di ingredienti, destinati a venire a contato con gli alimenti, ha interessato una confezione di sei coltelli con lama dentata prodotti in Cina, a causa del cromo. Un fustino in acciaio invece è stato ritirato per rischio migrazione di manganese.
Il un’intervista a De-gustare, il biologo, esperto di sicurezza alimentare Luciano Oscar Atzori, spiega a cosa si va incontro mangiando del cibo contaminato.
Per quanto riguarda il rischio microbiologico, «la Lysteria – spiega – è un batterio molto pericoloso, soprattutto per le donne in gravidanza. Può determinare una forma particolare di meningite e può essere anche letale. Riesce anche a moltiplicarsi a temperature di frigorifero (+4°C), che rallentano la moltiplicazione microbica, ma non la bloccano, il che lo rende particolarmente insidioso. In genere si annida in latticini e formaggi non stagionati».
«Le micotossine – continua Atzori– raramente si riesce a bloccarle nella materia prima, per esempio il mais, per cui si ritrovano poi nella catena alimentare, dal latte, ai biscotti, alla pasta. Spesso sono termoresistenti e i processi di bonifica attraverso la temperatura lungo la catena di produzione sono generalmente troppo rapidi per abbatterle. I vegani e vegetariani, che abitualmente pensano di essere fuori da alcune dinamiche di rischio, sbagliano. Idem per chi consuma un prodotto bio, che può essere anch’esso soggetto a contaminazione».
«In merito poi alla presenza di tracce di antibiotici negli alimenti – prosegue il biologo – la questione è misconosciuta. Tra un pollo di allevamento trattato con antibiotici, che presenta tracce perché non sono stati rispettati i tempi di sospensione, per esempio, e un secondo pollo che deriva da allevamento che ne fa uso massiccio, ma rispetta perfettamente i tempi di sospensione così da non lasciare residui, quest’ultimo è più pericoloso. L’antibiotico resistenza è dovuta all’utilizzo intensivo e continuato di antibiotici, che generano all’interno dell’animale microrganismi resistenti a seguito di spontanee mutazioni. E questi rischiano di entrare nella catena alimentare, allorché si mangia carne poco cotta».
«La migrazione di metalli è un altro problema serio – spiega Atzori nell’intervista- non si possono controllare tutti i materiali utilizzati che vengono a contatto con gli alimenti (imballaggi primari, attrezzi e utensili). Il cromo esavalente è altamente tossico per l’uomo, è un veleno che può causare problemi renali. Entro il 31 dicembre 2018 in Italia entrerà in vigore una normativa più restrittiva che prevede il cambiamento di un allegato delle acque potabili per questo metallo. A significare quanto sia grave il rischio di accumulo. La migrazione di pericolosi metalli può avvenire attraverso differenti macchinari (affettatrici, macchine per fare il caffè, grattugia formaggi). Un altro metallo pericoloso è l’alluminio, che si ritiene un co-fattore per lo sviluppo dell’Alzheimer. Viene utilizzato nella potabilizzazione delle acque: è probabile che si trovi anche lì, anche se non dovrebbe esserci in quanto ci sono limiti severissimi».
I casi che riguardano i primi sei mesi del 2017, riportati sul sito del Ministero, sono circa una cinquantina. Per Atzori, si tratta probabilmente di dati sottostimati. «Per quanto riguarda il tema generale della sicurezza alimentare – sottolinea Atzori – tempo fa ho evidenziato una falla nella normativa italiana nel sistema del Rasff. Finché sono gli organi di controllo a evidenziare il problema (di natura chimica, microbiologica eccetera) scatta subito il richiamo o il ritiro dei prodotti. C’è però il caso che sia l’azienda ad accorgersi di qualche anomalia, per esempio una contaminazione. La stessa deve allora ritirarlo (quando non è ancora arrivato al consumatore, ndr) o richiamarlo (se è già stato messo in circolo, ndr). La legge prevede che debba denunciare questo fatto con probabile conseguente sanzione amministrativa e/o penale. L’esito è che la maggior parte delle aziende interviene, ma non si autodenuncia».
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Tra alimentazione e sport, arriva l’atelier della salute
AlimentazioneSi chiama atelier della salute ed è l’evento che la Scuola di Medicina e Chirurgia e dall’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II ha scelto di dedicare alle esperienze, ai percorsi, alle soluzioni, per vivere… meglio. Due le giornate in programma, venerdì 22 e sabato 23 settembre, nel cuore del Policlinico federiciano. Riflettori puntati su alimentazione, attività fisica, benessere psicologico e pratiche di prevenzione. Workshop interattivi, stand esperienziali, show-cooking, visite mediche specia-listiche gratuite, area benessere, high-tech e health innovation per una due giorni all’insegna della salute.
Stili di vita
Scuola e Azienda ospedaliera apriranno le porte della cittadella universitaria e scenderanno in campo con proposte utili e riproducibili che intendono favorire l’adozione di stili di vita sani e sostenibili. In altre parole, la salute a 360gradi, con un’attenzione particolare su alimentazione, attività fisica, movimento, aspetti psicologici e pratiche di prevenzione. L’obiettivo è contribuire a ridurre gli ostacoli all’adozione di sani stili di vita attraverso un approccio cooperativo. Non bastano regole e divieti, è necessario sperimentare insieme nuove soluzioni.
I workshop
Nella due giorni della Federico II si cercherà di svelare i falsi miti che spesso inducono a comportamenti inopportuni e qualche volta anche pericolosi per la salute, si parlerà di attività fisica e benessere psicologico. Novità assoluta i percorsi esperienziali, articolati in circa trenta stand, collocati nel piazzale antistante l’Aula Magna. E’ qui che tutti i partecipanti potranno confrontarsi con i gruppi scientifici multidisciplinari di Scuola e Azienda, sperimentando proposte salutari da poter replicare nella routine di tutti i giorni. Nell’aula grande nord, saranno previste delle sessioni dedicate alle good practice della Regione Campania in Europa, nell’ambito dell’health-innovation. La manifestazione è aperta a tutti e ad ingresso libero. In particolare è rivolta ai cittadini campani, alle famiglie, agli over 65, agli studenti, ai dottorandi, ai medici in formazione, ai docenti e ai professionisti della Scuola e della Azienda.
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Quante emozioni umane esistono? Un nuovo studio ne ha individuate 27
Psicologia, Ricerca innovazioneUn nuovo studio sostiene che le emozioni umane siano molte di più di quante riconosciute finora dagli psicologi. Erano gli anni Settanta quando per la prima volta i ricercatori Paul Ekman e Wallace V. Friesen dimostrarono che le stesse espressioni facciali venivano prodotte spontaneamente da persone provenienti da culture molto diverse. Le emozioni “primarie” o “universali” erano sei: felicità, paura, rabbia, disgusto, tristezza e sorpresa. Vennero confermate da studi e ricercatori in tutto il mondo con metodologie diverse.
Ricerche successive, come quella pubblicata da Robert Plutchik nel 2001, si limitarono ad aggiungerne giusto due altre (il disprezzo, l’accettazione). Tuttavia, il numero delle emozioni umane riconoscibili dal volto era rimasto invariato.
Oggi arriva la svolta. Una ricerca pubblicata a settembre 2017 sulla rivista scientifica statunitense Proceedings of the National Academy of Sciences sostiene che sia possibile identificare 27 diverse emozioni dell’essere umano e che queste siano connesse tra loro.
Lo studio è stato condotto dal professor Dacher Keltner, docente di psicologia presso la University of California di Berkeley ed esperto di scienze delle emozioni, insieme ad Alan S. Cowen, dottorando in neuroscienze.
Le emozioni umane individuate dagli studiosi sono: ammirazione, adorazione, apprezzamento estetico, sorpresa, ansia, timore, imbarazzo, noia, calma, confusione, desiderio, disgusto, dolore empatico, incanto, invidia, eccitazione, paura, orrore, interesse, felicità, nostalgia, amore, tristezza, soddisfazione, desiderio sessuale, empatia ed esultanza. Ne hanno creato una mappa interattiva disponibile.
Durante lo studio, i due autori hanno esaminato le risposte di oltre 800 uomini e donne, ai quali erano stati sottoposti oltre 2mila video, con lo scopo di evocare emozioni. I temi dei 2.185 videoclip includevano immagini di neonati, matrimoni e proposte di matrimonio, morti e sofferenze, ragni e serpenti, malattie fisiche, atti sessuali, disastri naturali, immagini della natura e filmati imbarazzanti.
I risultati mostrano che i partecipanti hanno condiviso le stesse risposte emotive o simili in corrispondenza di ciascuno dei video, consentendo ai ricercatori di identificare 27 categorie distinte di emozioni.
I ricercatori hanno poi assegnato le risposte emotive a ciascun video in una mappa delle emozioni umane. Sulla mappa, ognuna delle 27 distinte categorie di emozioni corrisponde a una particolare lettera e a un particolare colore. Questo permette di capire come le emozioni siano connesse tra loro.
Inoltre, è possibile cliccare sui video e vedere come i partecipanti hanno risposto in percentuale.
“Abbiamo scoperto 27 dimensioni distinte, e non sei come si pensava, erano necessarie per rappresentare il modo in cui centinaia di persone hanno riferito in maniera affidabile come si sentivano in risposta a ciascun video”, ha detto il professor Keltner. Al contrario di quanto gli scienziati hanno ritenuto finora, ogni stato emotivo presenta infinite sfumature. “Ci sono diverse variazioni nelle emozioni tra, diciamo, timore e tranquillità, orrore e tristezza, divertimento e adorazione”, ha spiegato Keltner.
“Abbiamo cercato di far luce sulla piena gamma di emozioni che colorano il nostro mondo interiore”, ha detto Cowen. “Non abbiamo gruppi finiti di emozioni sulla mappa perché tutto è interconnesso. Le esperienze emozionali sono molto più ricche e più sfumate di quanto precedentemente pensato”.
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Assistenza psicologica domiciliare. La storia di M. supportata in fine vita
PsicologiaL’ assistenza domiciliare in Italia è gestita dal Sistema Sanitario Nazionale, attraverso una rete che collega A.S.L. e i Comuni dell’Ambito Territoriale. Al centro c’è la persona: i percorsi assistenziali sono personalizzati e rispondono al bisogno emergente e allo stato sociale del paziente. Sono rivolti a persone affette da malattie croniche degenerative e altre patologie che gli impediscono di curarsi presso i centri di riabilitazione. L’ assistenza domiciliare in Campania è da sempre al centro di numerosi dibattiti. Investire su di essa porterebbe notevoli vantaggi: da un lato un risparmio economico (da non sottovalutare in una regione come la Campania che da anni ha problemi con i budget di cura) e dall’altro in termini di qualità della vita del paziente e della sua famiglia e/o dai caregivers. Infatti, i pazienti che ricevono cure domiciliari rispondano meglio alle terapie e si sentono più sereni. Tuttavia risulta spesso faticoso accedere all’assistenza psicologica pubblica domiciliare. Lo conferma la storia di una famiglia che non è riuscita a contare sull’assistenza psicologica domiciliare per la propria figlia e si è rivolta a me per riceverne. La ragazza ventiseienne era affetta da una rara malattia genetica che l’aveva costretta ormai sulla sedia a rotelle e le aveva tolto ogni autonomia, come vestirsi o mangiare da sola. Aveva bisogno di essere sostenuta psicologicamente in un momento di grande fragilità: il fine vita. La questione, in questo caso clinico, ruotava intorno al diritto o meno di ricevere informazioni veritiere rispetto al proprio stato di salute e al rispetto della volontà di non voler sentire ciò che già, in fondo, si sapeva. In buona sostanza di trattava di sostenere psicologicamente una persona nella fase terminale della propria vita ed, ovviamente, estendere parte del trattamento ai suoi familiari, senza esplicitare e parlare apertamente di morte ma lavorando in maniera indiretta. In generale, la malattia va gestita rispettando la psicologia del paziente. E’ un attacco alla propria integrità, all’immagine, alla padronanza del proprio corpo e non colpisce solo quest’ultimo ma anche la psiche e le relazioni sociali e familiari. Questo caso pone l’accento su questioni, tra le altre, di natura etica, dove non si sa cosa sia giusto fare e quale diritto far prevalere. Se affrontassimo la questione da un punto di vista giuridico, non avremmo dubbi: il paziente ha sempre diritto di conoscere la verità. La Convenzione sui diritti dell’uomo (1996) afferma all’art. 10: “Ogni persona ha il diritto di conoscere ogni informazione raccolta sulla propria salute. Tuttavia, la volontà di una persona di non essere informata deve essere rispettata”.
Il sostegno ricevuto ha fatto sì che quando questo triste momento è arrivato, ogni componente della famiglia di M. ha reagito all’evento in maniera consapevole. Sopravvivere ad una perdita, soprattutto di un figlio, è un dolore profondissimo dal quale si può riemergere con un grande lavoro su sé stessi, cercando di mettere in atto una elaborazione del lutto, rispettando dei tempi affinché questo possa avvenire nella maniera più naturale e congeniale alla persona che deve affrontare questa vicenda dannosa. Il rischio più grande è quello di trovarsi incastrato nella “sindrome del sopravvissuto” senza poter mai darsi pace rispetto ad un evento totalmente subito dalla famiglia.
Poter garantire questo tipo di prestazioni sanitarie sarebbe auspicabile soprattutto in un territorio come quello campano anche e soprattutto visto l’incremento della domanda. Sempre più spesso, infatti, gli psicologi stanno ricevendo richieste di terapie domiciliari.
Di Marina Scappaticci
Psicologa Psicoterapeuta Sistemico- Relazionale
Socio ordinario S.I.P.P.R. (Società Italiana Psicologia e Psicoterapia Relazionale)
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Sesso, gli italiani lo fanno strano?
Prevenzionedi Emanuela Di Napoli Pignatelli
In occasione della quarta settimana del Benessere Sessuale, che si terrà un tutta Italia dal 25 al 29 settembre, la dottoressa Roberta Rossi (presidentessa della Società Italiana di Sessuologia Scientifica) ha deciso di rendere noti e discutere i risultati ottenuti durante l’arco dell’anno ad un sondaggio che andava ad indagare il vissuto sessuale dei partecipanti.
Dottoressa Rossi, cosa si intende per benessere sessuale?
«Significa attuare comportamenti che preservino la nostra salute sia fisica che psicologica, fare prevenzione per le malattie sessualmente trasmissibili (Mst), prevenire le gravidanze indesiderate, avere cura di se e del proprio corpo, ma sopratutto avere rispetto e consapevolezza di se del partner, significa stare bene con se stessi per esprimersi al meglio nella sfera sessuale».
Promuove importanti campagne informative nelle scuole, per quale motivo?
«Trovo sia molto importante educare i giovani a questa consapevolezza. I ragazzi scoprono la sessualità su internet, attraverso siti che anche se molto noti e di appeal, in realtà hanno pochissime basi scientifiche, hanno modelli totalmente discordanti dalla realtà che creano insicurezza nelle giovani menti non educate.
Roberta Rossi, Presidentessa della Società Italiana di Sessuologia Scientifica
Possiamo tranquillamente affermare che pur sembrando evolute le nuove generazioni sono ferme ad una conoscenza della sessualità che avevamo 25 anni fa. Questa sessualità mal vissuta ed oltremodo frettolosa, porterà danni difficilmente reversibili in quello che sarà l’adulto di domani. Scoprire il sesso in modo veloce, molto spesso senza coinvolgimento ed, alcune volte senza neanche il piacere legato ad una emozione, porterà i futuri adulti alla percezione di avere perso qualcosa».
Il 45% degli intervistati ha accusato un calo del desiderio relativamente al partner, come lo spiega?
«Il calo che non deve essere interpretato tout court come calo del desiderio, ma più semplicemente come mancanza di desiderio di confronto con un partner reale, che a differenza della pornografia, ti richiede invece presenza e comunicazione, rifugiarsi nella pornografia che rende passivi e spettatori di qualcosa in cui non siamo veramente coinvolti… un pò come interagire attraverso i social utilizzando un pc che sembra snaturare quelli che invece erano i rapporti interpersonali. Esempio di questo sono i molti giovani che oggi hanno tra i 25 ed i 27 anni che tendono ad uscire sempre meno ed avere i loro rapporti con il mondo esclusivamente attraverso il computer, o ancora comportamenti sessuali estremi in cui si ricerca una emozione che non si riesce a trovare nella vita di tutti i giorni, crescono il numero di persone che partecipano a feste all’interno delle quali si ha libero accesso a droghe e alcol, condite da bondage e scambismo, feste assolutamente sado-maso il cui numero di partecipanti è salito in modo esponenziale negli ultimi 3 anni».
Gran parte degli intervistati dichiara di praticare sesso anche in mancanza di un vero desiderio, come spiega questo fenomeno?
«In Italia siamo più arretrati rispetto ad altre Nazioni, in cui confessare di non aver voglia del partner non sembra un rifiuto del rapporto. Non esiste una frequenza ideale di rapporti. All’interno di ogni coppia rispettando i desideri e le aspettative di entrambi, i partner devono trovarsi i ritmi giusti, l’importante è che i componenti della coppia si sentano soddisfatti del rapporto, confessare semplicemente che una sera siamo stanchi non significa dire che non siamo più innamorati e vogliamo lasciarci. Il sesso è la conferma dell’amore, il malessere nasce dalla discrepanza e dalla mancanza di sicurezza. La cosa più importante è quindi il massimo rispetto e un dialogo serio che non metta in dubbio l’amore, venirsi incontro assecondano i desideri del partner, ma esigendo che vengano ascoltati anche i propri».
Allarme tatuaggi, possono nascondere problemi seri
PrevenzioneChe siano frasi o disegni, i tatuaggi sono orma una moda che ha conquistato tutti. Per alcuni addirittura è un modo di esprimersi, di dire al mondo «hey, sono così». Quello che in pochi si chiedono al momento della decisione di fare un tatuaggio è: «Farà male alla salute?». E invece la domanda non sarebbe del tutto superflua. Certo, diciamolo subito, non si può parlare di una tecnica pericolosa. Tuttavia, è bene sapere che i tatuatori iniettano nella pelle sostanze estranee al nostro corpo, sostanze che in altre circostanze guarderemmo con diffidenza. «I coloranti, tra cui il blu cobalto, il rosso, il giallo- spiega la dermatologa della Federico II Gabriella Fabbrocini – contengono la parafenildiamina, (che si trova all’ interno del marrone), nonché tracce di metalli come zinco, nichel, ferro. Tutto questo potrebbe indurre una reazione infiammatoria. Farsi un tatuaggio significa anche esporsi ad un maggior rischio, soprattutto nel tempo di pruriti, eczemi, allergie al nichel, soprattutto per chi ne soffre già o per chi è portatore di eczema atopico e quindi presenta un rischio elevato di xerosi marcata e desquamazione in alcune aree (interno braccia, zona intorno agli occhi e cavi poplitei).
Nascondere i nei
Un recente studio parla dell’alta prevalenza di linfonodi ingrossati in un gruppo di soggetti che avevano praticato grandi tatuaggi e ipotizza quindi una stimolazione sull’immunità da parte di questi antigeni (coloranti e simili) che possono indurre una persistente reazione infiammatoria. Ma al di là di questo c’è anche un problema pratico, quando si ha tatuaggi su di una parte che va oltre il 30 il 40 % del proprio corpo, il dermatologo ha grandi difficoltà a portare a termine una scrupolosa osservazione. «Molto pericoloso – aggiunge la Fabbrocini – praticare un tatuaggio all’altezza di un nevo giunzionale melanocitico (frequentissimi nei giovanissimi), perché non se ne apprezzeranno più le sue modificazioni se non quando è troppo tardi. Senza parlare poi, del rischio di granulomi li dove è stato iniettato l’inchiostro e la difficoltà alla rimozione quando queste opere d’arte (perché è innegabile che certe volte ci sia una qualità del disegno non elevatissima) vogliono essere rimosse».
Cicatrici e inestetismi
Il più delle volte per rimuovere un tatuaggio venuto a noia ci si deve accontentare di convivere con una cicatrice non esattamente gradevole, nonostante esistano laser ad alessandrite che promettono miracoli per tatuaggi estesi. Su alcuni colori i risultati sono praticamente nulli. Ma perché l’esigenza di rappresentare qualcosa sul proprio corpo in maniera così permanente? Molti psicologi la interpretano come una non accettazione di sé stessi o come una difficoltà di comunicazione verbale, malattia del nostro secolo. Forse incentivare le giuste campagne conoscitive sulla problematiche all’interno delle scuole attraverso materiale informativo potrebbe essere utile ai dermatologi per stabilire un primo contatto con gli adolescenti che spesso, pur chattando tutta la giornata, hanno difficoltà relazionali. Ma questa è un’altra questione.
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Interventi al cuore, il Cardarelli tra le strutture al top
News PresaChiaramente nessuno vorrebbe mai dover fare i conti con una malattia cardiaca, ma è una buona notizia che (nel malaugurato caso di un problema) in Campania ci siano due delle migliori unità cardiochirurgiche d’Italia. A dirlo è il portale «Dove e come mi curo», che si occupa di public reporting delle strutture sanitarie italiane. Il sito ha realizzato un’indagine, alla ricerca dei migliori ospedali per volume di interventi di angioplastica coronarica, bypass aortocoronarico, aneurisma dell’aorta addominale non rotto e di ricoveri per infarto al miocardio. E tra i primi tre spuntano il Cardarelli (unità diretta da Ciro Mauro) e il Ruggi di Salerno. Non si deve dimenticare che la scelta del giusto ospedale, nel caso di un problema, può rivelarsi determinante e (stando ai dati del portale) in Italia solo 1 ospedale su 2 rispetta gli standard ministeriali per quanto riguarda i volumi di ricoveri per infarto al miocardio (100 casi l’anno) e di interventi di angioplastica coronarica (250 casi l’anno).
La classifica
Dall’indagine di «Dove e come mi curo» emergono per l’infarto miocardico almeno 5 strutture (che effettuano un maggior numero di ricoveri) Ospedale di Parma (n° ricoveri 1010), Arcispedale Sant’Anna, Cona (FE) (n° ricoveri 851), Azienda ospedaliera Cardarelli di Napoli, (n° ricoveri 834), Azienda ospedaliero universitaria Ospedali Riuniti di Trieste – Cattinara – Maggiore, Trieste (n° ricoveri 817) e Policlinico Sant’Orsola-Malpighi di Bologna (n° ricoveri 813)
Come confrontare
Basta andare all’indirizzo doveecomemicuro.it, inserire nel «cerca» la parola chiave prescelta (ad esempio cuore) e selezionare la voce che interessa (ad esempio “cuore – angioplastica coronarica con Ptca”). In cima alla pagina dei risultati compariranno i centri più performanti per questo tipo di intervento. Il semaforo verde indica il rispetto della soglia ministeriale mentre una barra di scorrimento mostra il posizionamento delle singole strutture nel panorama nazionale. La valutazione viene fatta considerando indicatori istituzionali di qualità come, appunto, i volumi di attività (dati validati e diffusi dal Pne – Programma Nazionale Esiti gestito dall’Agenas).
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