Tempo di lettura: 3 minutiLa recente cronaca ha sempre più frequentemente portato l’opinione pubblica a confrontarsi con dinamiche di eventi la cui complessità richiede la mobilitazione di risorse che possono eccedere le capacità di gestione degli abituali ambiti di quotidianità. Il termine stress è oramai entrato nel vocabolario di riferimento di chiunque si occupi, a vario titolo, di salute e benessere, con il conseguente sviluppo di procedure di riconoscimento ed intervento che agiscono sui fattori costituenti la complementarietà di cause che si pongono come antecedenti di manifestazioni più o meno “sintomatiche” di un contesto stressogeno. Tra queste, ad esempio, rientrano le procedure connesse alla valutazione e all’intervento sul cosiddetto “stress lavoro correlato”, ormai normate in modo più che dettagliato. Tuttavia, vi sono una serie di fenomeni, statisticamente meno frequenti e che potremmo definire ad incidenza episodica, in cui la variabile stress assume una connotazione qualitativamente differente e che necessitano, di conseguenza, di procedure differenziate di intervento.
Lo stress traumatico
In condizioni di emergenza, ad esempio, questa variabile può assumere, per caratteristiche strutturali, una valenza traumatica, andando ad ampliare quel vocabolario appena citato di un altro termine, anch’esso oggi di uso “mediatico”, lo “stress traumatico”. Possiamo già, dunque, differenziare, non solo su un piano dimensionale, due tipologie di fenomeni: lo stress, come reazione fisiologicamente connessa ad aspetti routinari; lo stress traumatico, come espressione dell’impatto di un particolare evento su quel sistema biopsicosociale, più ampio della persona in sé, che è l’essere umano. Lo stress è una reazione complessa, aspecifica, dell’organismo in risposta ad eventi di diverso tipo. Svolge una fondamentale funzione protettiva, in quanto, normalmente, è tramite tale risposta che l’organismo tende a “fronteggiare” il proprio ambiente di riferimento ed in seguito a ripristinare l’equilibrio che la necessaria interazione con quest’ultimo porta a modificare. Al contrario, quando parliamo di “trauma” facciamo generalmente riferimento all’esposizione improvvisa, brutale e spesso insolita (rispetto alla quotidianità dell’individuo) ad un evento che mette in pericolo la vita o che minaccia l’integrità psicofisica della persona esposta.
Categorie
Nella letteratura scientifica di riferimento, questo tipo di eventi rientrano prevalentemente in quattro categorie: disastri (che possono essere naturali o causati da azione umana), violenza (azioni di guerra, violenze fisiche/sessuali, combattimenti, tortura etc.), incidenti gravi e improvvisa morte di un parente o un amico stretto. La carica traumatica che le caratteristiche di un evento possono esprimere non necessariamente da seguito a problematiche a breve/lungo termine (la relazione è data da una molteplicità di fattori tra cui, e non solo: il tipo di evento, le risorse di cui dispone l’individuo, quelle inerenti al contesto prossimale e sociale dello stesso) . Nella maggior parte dei casi, le persone tendono a ripristinare l’equilibrio naturalmente e tramite la quotidiana interazione con il proprio sistema di riferimento. Ciò è più semplice in contesti in cui l’ “appartenenza” è più solida, permettendo alle dinamiche relazionali che si attivano nel gruppo di appartenenza di agire come fattori protettivi. Tuttavia, senza entrare nelle specifiche dei criteri diagnostici di riferimento, è importante porre l’accento su come l’esposizione a un evento a valenza traumatica comporti nell’essere umano reazioni differenziate ma che nella prevalenza dei casi rientrano in manifestazioni di tipo intrusivo, di evitamento e di iperattivazione (in particolare: memorie intrusive e involontarie ricorrenti, incubi relativi all’evento, reazioni dissociative; evitamento di persone, luoghi, immagini, pensieri connessi; insonnia, palpitazioni, ipervigilanza, problemi di concentrazione etc.). Queste manifestazioni, a seconda dell’intensità e del grado di compromissione del livello di funzionamento dell’individuo, sono spesso transitorie e non segno di condizioni psicopatologiche in atto. Se le stesse, al contrario, incidono significativamente sulla quotidianità dell’individuo, rientrano tra i segnali di presenza di una condizione verso cui è bene porre attenzione specialistica. In tal senso, l’Organizzazione Mondiale della Sanità sottolinea come la presenza delle tre aree sintomatologiche prima citate (sintomi intrusivi, sintomi di evitamento, sintomi di iperattivazione) suggerisca, in particolare se presente da almeno un mese dall’evento “scatenante”, l’opportunità di un assessment più approfondito. Gli strumenti per “affrontare il trauma” sono oggi oggetto privilegiato di ricerca clinico – scientifica e riescono ad offrire alla comunità un aiuto concreto tramite cui attraversare condizioni che, dai primi segnali sub clinici, possono evolvere in qualcosa di più complesso e con costi importanti, in termini di “funzionalità” socio-relazionale, nella più ampia economia della vita delle persone coinvolte.
di Ernesto Taraschi (psichiatra e psicoterapeuta sistemico – relazionale)
e Paolo Trabucco Aurilio (psicologo militare)
Aumentano bimbi dimenticati in auto. Esperti indagano le ragioni
Bambinibimbi dimenticati in auto
I minori deceduti dopo essere stati lasciati in auto sono aumentati esponenzialmente, oltre 600 vittime dal 1998 a oggi, il 90% sotto i 3 anni d’età. Molti esperti hanno cercato negli anni di trovare le ragioni dietro alla fatale dimenticanza. Mancanza di sonno, stanchezza, stress o variazioni nella routine quotidiana possono influire sul comportamento anche del più premuroso e attento dei genitori. Le vittime hanno quasi sempre meno di 4 anni, la morte sopraggiunge per ipertermia: un brusco aumento della temperatura corporea che causa disidratazione e, nei casi più estremi come quello di Arezzo (giugno 2017), arresto cardiocircolatorio.
Nel 2010, Gene Weingarten, giornalista del Washington Post, ha vinto un Pulitzer per aver analizzato il fenomeno dell’aumento dei bambini morti per ipertermia in un lungo articolo. Si tratta di 600 morti dal 1998 a oggi, il 90% sotto i 3 anni d’età. La temperatura, in questa fascia d’età, sale infatti da 3 a 5 volte più velocemente rispetto a quella di un adulto proprio per la ridotta corporatura e la minore percentuale di acqua nell’organismo (disidratazione e ipertermia possono sopraggiungere nel giro di 20 minuti). In un’auto parcheggiata sotto il sole, la temperatura può salire tra i 10 e i 15 gradi ogni quarto d’ora, arrivando a 50 gradi contro i 25 esterni. Il 20 gennaio se ne discuterà a Firenze dalle ore 10.00 alle ore 19.00 al Cinema della Compagnia, Via Cavour 50/R. Il tema del convegno è: “Dimenticare” il bambino in auto. L’assenza che può uccidere. Riflessioni culturali e psicopatologiche sui drammatici, ripetuti e apparentemente incomprensibili fatti di cronaca. È un occasione rivolta a chiunque sia interessato a comprendere i tragici fatti di cronaca di bambini lasciati in auto sotto il sole, però curandone la morte per ipertermia. Il convegno è organizzato dalla rivista di psichiatria e psicoterapia “Il sogno della farfalla”.
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Il cibo è un amico, non un nemico. Mangiare di più (ma meglio), spiega Nessa Sphere
AlimentazioneC’è la tendenza diffusa da anni di essere costantemente a dieta. Questo non solo rallenta il metabolismo, ma è anche responsabile dell’aumento dei disturbi alimentari.
Tuttavia, anche quando si tratta di dimagrire, non esistono solo diete drastiche e rinunce. Il monito arriva dal profilo di Nessa Sphere, sul social tra i più famosi al mondo, dove modelle e persone comuni sfoggiano fisici magrissimi, con l’aiuto di filtri ed effetti e vengono poi prese come esempio da ragazzine adolescenti. “Il cibo è tuo amico, non un tuo nemico” è uno degli slogan usato da Nessa, esperta di fitness e star di Instagram tedesca. Ai suoi followers spiega: “per dimagrire non serve nutrirsi solo di scodelle d’insalata e pollo arrosto”, il problema di molte persone non è il mangiare troppo, ma il non consumare le calorie che assumono. Un’alimentazione irregolare, dovuta ai ritmi di vita contemporanei, peggiora poi la situazione. Ma guai a diminuire drasticamente la quantità di cibo di cui ci si nutre ogni giorno. Nessa ha anche postato sul suo profilo Instagram alcune foto in cui mostra com’è cambiato il suo corpo da quando ha iniziato a mangiare meglio, ma attenzione, non a mangiare di meno. Assumere 2.000 – 2.200 calorie al giorno, spiega, l’ha aiutata a vivere meglio, ritrovando una giusta forma fisica.
“Una corretta nutrizione è fondamentale per il proprio benessere”, ha scritto nel post. Alimentazione corretta, però, non vuol dire mangiare poco o nutrirsi solo di alimenti considerati ‘salutari’, escludendo tutti gli altri. “Una delle ragioni principali per cui le persone non riescono ad ottenere la forma fisica sperata è semplicemente il fatto che non mangiano abbastanza”, continua. Inoltre non basta mangiare a dismisura per dimagrire, l’alimentazione deve essere accompagnata dall’attività fisica. “Quando le persone iniziano a fare fitness – continua – aggiungono alle loro giornate molta attività aerobica che le aiuta, senza dubbio, a bruciare le calorie molto più in fretta”. Il corpo, spiega l’esperta, è una macchina intelligente che rallenta quando non si mangia abbastanza (il metabolismo si impigrisce e il processo che porta a bruciare i grassi si ferma). Per riattivarlo serve ricominciare a mangiare bene e vincere la pigrizia quando è il momento di andare in palestra o a correre al parco.
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Cocaina nella ristorazione. Le rivelazioni del noto chef
Nuove tendenzeL’uso della cocaina sarebbe sempre più diffuso nell’industria della ristorazione. La notizia è trapelata dalle più famose cucine britanniche e a parlare è proprio uno dei più noti cuochi: Gordon Ramsay. Lo chef ha spiegato al Guardian che la sostanza stupefacente è ormai “il piccolo sporco segreto” in cucina. Ramsay che possiede ben 31 ristoranti sparsi in tutto il mondo, racconta di aver fatto dei test in ognuno di essi per verificare se vi fossero tracce di cocaina e tutti, tranne uno, sono risultati positivi. Sono tanti gli episodi riportati dallo chef: un suo cliente, a una cena di beneficenza, gli avrebbe chiesto di spargere della cocaina su un sufflè. Quando il dessert è arrivato in tavola «una coppia è venuta da me e mi ha detto: guarda, tutti al tavolo sono felici che sei qui, ma potresti fare un soufflé spargendoci sopra zucchero a velo mischiato con la coca?».
Insomma, secondo le testimonianze che stanno emergendo di recente, l’uso di droghe in questo ambito sarebbe ormai fuori controllo. “La cocaina è ovunque”, ha detto il cuoco, da tempo in prima linea per fare emergere il problema della droga, che nel 2003 gli ha portato via uno dei suoi migliori collaboratori, David Dempsey, morto dopo aver fatto uso di cocaina. Inoltre, Ramsay ha anche un fratello tossicodipendente da molti anni.
Per far luce sul fenomeno lo chef ha realizzato un documentario per Itv, Gordon Ramsay on Cocaine, in cui indaga e racconta l’uso di droghe nei ristoranti. In un’intervista a Radio Times ha detto che l’idea è nata a Natale dell’anno scorso, quando un cliente si è alzato da tavola prima che arrivassero i secondi ed è andato in bagno con il proprio piatto per sniffare della cocaina, per poi tornare in sala e chiedere a un cameriere di portargli un piatto pulito.
Per girare il documentario, andato in onda in due puntate a fine ottobre scorso, Ramsay è stato anche in Colombia, uno dei paesi maggiori produttori della sostanza, per visitare alcuni laboratori nella giungla. Secondo le ricerche più recenti, nel Regno Unito si consumano ogni anno 30 tonnellate di droga, con un aumento del 400 per cento negli ultimi 20 anni. L’ottanta per cento di questa arriva dalla Colombia. C’è da chiedersi se e quanto il fenomeno sia diffuso anche nella ristorazione del resto dell’Europa.
promuoviamo salute
Dalla Cina una speranza contro la paralisi
Ricerca innovazioneSperanza contro la paralisi
E’ proprio il caso di dire che in ambito medico-scientifico “qualcosa di muove”, qualcosa che in futuro potrebbe dare nuove speranze contro la paralisi. Dalla Cina arriva infatti una notizia curiosa e molto affascinante, una notizia che accende la speranza per milioni di persone nel mondo costrette su una sedia a rotelle. Alcuni scienziati cinesi hanno ridato a pazienti con un braccio parzialmente colpito da paralisi la possibilità di muoverlo e usare la mano, prima incapace di compiere qualunque azione, per esempio per allacciarsi le scarpe o usare lo smartphone.
Intervento avveniristico
L’eccezionale intervento chirurgico consiste nel tagliare il nervo danneggiato e “allacciare” un nervo sano (sempre presente in quella zona del corpo del paziente) alle terminazioni nervose dell’arto paralizzato. Si tratta di una sorta di “ponte” realizzato utilizzando nervi che non hanno subito alcun trauma, capace a quanto pare di risolvere parzialmente la paralisi. La sperimentazione è stata resa nota sul New England Journal of Medicine ed è stata portata a termien da Wen-Dong Xu dell’ospedale Huashan di Shanghai, un esperto del settore. I medici hanno coinvolto 36 pazienti reduci da ictus o lesioni cerebrali di altra origine, tutti con un braccio semiparalizzato e inutilizzabile per via di spasmi incontrollati dovuti a attività involontaria del nervo danneggiato che collega il braccio al cervello.
I risultati
Gli esperti hanno reciso il nervo danneggiato di 18 dei 36 pazienti. Gli altri 18, invece, hanno solo seguito un normale programma di riabilitazione. Poi gli esperti hanno collegato un nervo sano (normalmente presente nella regione cervicale della colonna vertebrale) al braccio dei 18 pazienti operati. Nell’arco di un anno di osservazione i 18 pazienti trattati chirurgicamente hanno riguadagnato possibilità di movimento e utilizzo dell’arto paralizzato.
Dubbi dagli Usa
Secondo scienziati Usa che hanno scritto un commento al lavoro sul New England, bisogna capire quale sia la vera origine dei miglioramenti della motilità del braccio dei pazienti operati. Secondo gli esperti, infatti, l’efficacia del trattamento chirurgico potrebbe dipendere semplicemente dal fatto che il nervo danneggiato viene reciso, mettendo fine dunque agli spasmi e ai movimenti incontrollati dell’arto stesso; mentre resta da chiarire se vi sia un reale effetto dalla connessione del nervo sano all’arto. Si tratta insomma di un campo ancora molto controverso e la sperimentazione di questa nuova tecnica avrà bisogno di grandi conferme prima di fare scuola. Resta però una piccola speranza in più per quanti sperano di poter recuperare la mobilità perduta.
Influenza, rischio alto in vista del capodanno
News Presa«Attenti, l’influenza di stagione deve ancora farsi sentire». Per quanto credevano di “aver già dato”, l’allarme dei medici di famiglia della Fimmg Napoli suona come un monito. E in effetti, per i camici bianchi i giorni che verranno saranno quelli ai quali stare più attenti. Ma andiamo con ordine. «Con questa nuova perturbazione, e con il relativo calo delle temperature- dicono Corrado Calamaro e Luigi Sparano della Fimmg Napoli – il rischio di contrarre l’influenza è alto. Il problema è che sono in molti a credere che il virus influenzale abbia già fatto il proprio corso nei giorni che hanno preceduto il Natale. «Diversi pazienti – spiegano Luigi Sparano e Corrado Calamaro (rispettivamente Segretario Provinciale e Segretario Amministrativo) – sono stati colpiti da leggere tracheiti e banali raffreddori. In molti credono di essere passati indenni attraverso il picco influenzale, che in vece non ha neanche iniziato a colpire». Situazione che comporta, spiegano i medici di famiglia, almeno due importanti rischi. «Chi non si è ancora sottoposto alla vaccinazione, si rifiuta di farla. L’idea di aver “risolto il problema” per quest’anno induce molti pazienti, spesso soggetti a rischio, a ritenere inutile il vaccino. Si tratta di un comportamento ad alto rischio. In secondo luogo, ed è un altro grave errore, si sottovalutano i sintomi di un nuovo malanno seguendo la falsa convinzione di aver sviluppato ormai gli anticorpi necessari».
Ospedali sotto pressione
La preoccupazione dei medici di famiglia va crescendo anche perché tutto fa credere che proprio durante le festività, giorni nei quali l’assistenza ospedaliera è sempre messa a dura prova, il numero dei ricoveri possa salire esponenzialmente. «Il rischio è che i pronto soccorso si riempiano (anche di accessi impropri) e di conseguenza vadano ad ingolfare i reparti. «Il consiglio – concludono Calamaro e Sparano – è quello di rivolgersi al proprio medico di famiglia o alla guardia medica, ed evitare di correre in massa ai pronto soccorso se non per casi che si mostrano gravi».
Meglio consultare il medico
Non si tratta solo di una precauzione volta ad evitare di assorbire tutte le risorse del sistema su casi che in realtà andrebbero curati a casa, il rischio è anche quello che oltre al danno si aggiunga la beffa. Da sempre i medici di famiglia ricordano ai cittadini che un paziente con il sistema immunitario provato o debole ha più probabilità di contrarre un’infezione o per l’appunto l’ influenza restando a lungo in un ambiente ospedaliero. E’ evidente quindi che, se possibile, è bene restare a casa. Sarà proprio il medico di famiglia a dare indicazione contraria se necessario.
Stress, dalla quotidianità alla valenza traumatica
PsicologiaLa recente cronaca ha sempre più frequentemente portato l’opinione pubblica a confrontarsi con dinamiche di eventi la cui complessità richiede la mobilitazione di risorse che possono eccedere le capacità di gestione degli abituali ambiti di quotidianità. Il termine stress è oramai entrato nel vocabolario di riferimento di chiunque si occupi, a vario titolo, di salute e benessere, con il conseguente sviluppo di procedure di riconoscimento ed intervento che agiscono sui fattori costituenti la complementarietà di cause che si pongono come antecedenti di manifestazioni più o meno “sintomatiche” di un contesto stressogeno. Tra queste, ad esempio, rientrano le procedure connesse alla valutazione e all’intervento sul cosiddetto “stress lavoro correlato”, ormai normate in modo più che dettagliato. Tuttavia, vi sono una serie di fenomeni, statisticamente meno frequenti e che potremmo definire ad incidenza episodica, in cui la variabile stress assume una connotazione qualitativamente differente e che necessitano, di conseguenza, di procedure differenziate di intervento.
Lo stress traumatico
In condizioni di emergenza, ad esempio, questa variabile può assumere, per caratteristiche strutturali, una valenza traumatica, andando ad ampliare quel vocabolario appena citato di un altro termine, anch’esso oggi di uso “mediatico”, lo “stress traumatico”. Possiamo già, dunque, differenziare, non solo su un piano dimensionale, due tipologie di fenomeni: lo stress, come reazione fisiologicamente connessa ad aspetti routinari; lo stress traumatico, come espressione dell’impatto di un particolare evento su quel sistema biopsicosociale, più ampio della persona in sé, che è l’essere umano. Lo stress è una reazione complessa, aspecifica, dell’organismo in risposta ad eventi di diverso tipo. Svolge una fondamentale funzione protettiva, in quanto, normalmente, è tramite tale risposta che l’organismo tende a “fronteggiare” il proprio ambiente di riferimento ed in seguito a ripristinare l’equilibrio che la necessaria interazione con quest’ultimo porta a modificare. Al contrario, quando parliamo di “trauma” facciamo generalmente riferimento all’esposizione improvvisa, brutale e spesso insolita (rispetto alla quotidianità dell’individuo) ad un evento che mette in pericolo la vita o che minaccia l’integrità psicofisica della persona esposta.
Categorie
Nella letteratura scientifica di riferimento, questo tipo di eventi rientrano prevalentemente in quattro categorie: disastri (che possono essere naturali o causati da azione umana), violenza (azioni di guerra, violenze fisiche/sessuali, combattimenti, tortura etc.), incidenti gravi e improvvisa morte di un parente o un amico stretto. La carica traumatica che le caratteristiche di un evento possono esprimere non necessariamente da seguito a problematiche a breve/lungo termine (la relazione è data da una molteplicità di fattori tra cui, e non solo: il tipo di evento, le risorse di cui dispone l’individuo, quelle inerenti al contesto prossimale e sociale dello stesso) . Nella maggior parte dei casi, le persone tendono a ripristinare l’equilibrio naturalmente e tramite la quotidiana interazione con il proprio sistema di riferimento. Ciò è più semplice in contesti in cui l’ “appartenenza” è più solida, permettendo alle dinamiche relazionali che si attivano nel gruppo di appartenenza di agire come fattori protettivi. Tuttavia, senza entrare nelle specifiche dei criteri diagnostici di riferimento, è importante porre l’accento su come l’esposizione a un evento a valenza traumatica comporti nell’essere umano reazioni differenziate ma che nella prevalenza dei casi rientrano in manifestazioni di tipo intrusivo, di evitamento e di iperattivazione (in particolare: memorie intrusive e involontarie ricorrenti, incubi relativi all’evento, reazioni dissociative; evitamento di persone, luoghi, immagini, pensieri connessi; insonnia, palpitazioni, ipervigilanza, problemi di concentrazione etc.). Queste manifestazioni, a seconda dell’intensità e del grado di compromissione del livello di funzionamento dell’individuo, sono spesso transitorie e non segno di condizioni psicopatologiche in atto. Se le stesse, al contrario, incidono significativamente sulla quotidianità dell’individuo, rientrano tra i segnali di presenza di una condizione verso cui è bene porre attenzione specialistica. In tal senso, l’Organizzazione Mondiale della Sanità sottolinea come la presenza delle tre aree sintomatologiche prima citate (sintomi intrusivi, sintomi di evitamento, sintomi di iperattivazione) suggerisca, in particolare se presente da almeno un mese dall’evento “scatenante”, l’opportunità di un assessment più approfondito. Gli strumenti per “affrontare il trauma” sono oggi oggetto privilegiato di ricerca clinico – scientifica e riescono ad offrire alla comunità un aiuto concreto tramite cui attraversare condizioni che, dai primi segnali sub clinici, possono evolvere in qualcosa di più complesso e con costi importanti, in termini di “funzionalità” socio-relazionale, nella più ampia economia della vita delle persone coinvolte.
di Ernesto Taraschi (psichiatra e psicoterapeuta sistemico – relazionale)
e Paolo Trabucco Aurilio (psicologo militare)
Con molta cura: l’esercizio quotidiano dell’amore: il libro di Cesari nato da Fb
News PresaPer mesi ha tenuto inchiodati allo schermo dei telefoni e dei computer migliaia di persone a tutte le ore del giorno. Si stringevano tutte attorno a un uomo e la sua pagina Facebook, dalla quale spargeva parole meravigliose sulla bellezza della vita umana, di cui ne sapeva apprezzare il valore soprattutto ora che lottava contro la malattia. Severino Cesari, assieme a Paolo Repetti, è stato il padre della riuscita collana di Einaudi ‘Stile Libero’ e uno dei più importanti editori italiani degli ultimi decenni. Dalla sua mente fioriva la letteratura su carta, finché un giorno ha deciso di aprire un profilo sul social più diffuso al mondo. È successo nel 2014 negli anni successivi a un trapianto di rene e alla lotta contro un cancro “subdolo e geniale” e poco prima di vedersela con un secondo tumore e varie ischemie.
«Io sono nient’altro che la cura che faccio. E non sono solo nel farla. La cura presuppone l’esercizio dell’amore. Non c’è altra vita che questa, questa vita meravigliosa che permette altra vita. In una ghirlanda magica, un rimandarsi continuo». Un animo forte e combattivo che non perde mai di vista l’amore per gli altri e per se stessi. Fu sua moglie Emanuela a spingerlo: «mi disse: tu hai bisogno di aprirti, non di chiuderti, Facebook può essere l’occasione. (….) La guardai con commiserazione, come chi è abituata a vedere il lato più semplice delle cose. Il giorno dopo, cautamente, ero al computer, a scrivere». Da qui nasce un libro e la letteratura di Cesari ritorna su carta:
“Con molta cura” mette in fila i post più luminosi apparsi sul profilo. Severino Cesari è morto il 25 ottobre e i commenti di scrittori e intellettuali che a loro volta lasciavano scie di luce, con la loro arte di tramutare la profondità degli animi in parole, sono ancora visibili su Fb. Il libro invece promette una lettura priva di distrazioni, di like e di faccine.
Tanti personaggi surreali animano il racconto della sua vita reale. C’è il farmacista Sebastiano, i medici di Quantico, l’ospedale dove viene curato e troneggia il pino Achille, le scaglie della luna dell’Esquilino, il rene trapiantato Emilio, i Pulitori Selvaggi delle Strade nelle notti senza pace. Sono proprio le parole a fornire l’ancora di salvezza e l’osservazione ‘religiosa’ delle cose minute fornisce a Severino le “fonti inaspettate della gioia”, dall’infermiera Miss Universo che deve fargli la puntura e cerca le vene distrutte dagli aghi al cappuccino di riso del Micky Bar alle mazzancolle al mercato del pesce.
«L’esercizio quotidiano dell’amore, questo infine auguro a tutti. Non c’è altro, credete».
«Se non avete sottomano l’opportunità di una cura da fare – scherzo, ma fino a un certo punto! – potete però sempre prendervi cura. Prendervi cura di voi stessi, e di quelli cui volete bene. E magari anche degli altri. Non c’è davvero altro, credete. Questo è davvero importante, penso allora: non è vita minore questa mia che adesso mi è data, è vita e capacità e voglia di sorridere alla vita».
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Yoga contro ira e violenza. L’esperta spiega principio alla base della pratica
News PresaSi stima che in Italia più di 1,2 milioni di persone pratichino regolarmente Yoga. Dal 2015, in concomitanza con il solstizio d’estate (21 giugno), si celebra in più di 170 paesi la Giornata internazionale dello Yoga, istituita dall’ONU su richiesta del primo ministro indiano Narendra Modi. La giornata ha lo scopo di promuovere la non violenza e avvicinare le nazioni allo yoga, facendo conoscere i benefici per la salute fisica e mentale (tra cui la gestione della rabbia, dello stress e della depressione o contro i problemi di postura). L’esperta Valentina Limetti, introduce uno dei temi principali alla base della pratica, quello della non violenza, partendo dal racconto di un episodio di aggressione tra giovani osservato in prima persona.
«C’è aria di Natale in Italia, e non vedevo l’ora di vivere questa atmosfera nei miei ultimi giorni in India, dove questa festività non è parte della tradizione religiosa e della cultura popolare.
Esco nelle vie del centro della mia città natale, incontro amici che non vedevo da mesi e mi nutro di abbracci, chiacchiere e risate. All’improvviso però qualche energia compressa da tempo sfocia in modo fulmineo in un moto di violenza, una rissa tra giovani, volendo semplificare, che crea un panico generale. Una tristezza profonda mi avvolge e mi spinge a tornare a casa ed oggi a condividere un principio cardine dello yoga.
Ahimsa è il primo passo per la liberazione che si ottiene con la pratica dello Yoga.
Questo termine sanscrito è presente al primo posto tra gli Yama, che potremmo definire come norme di comportamento corretto – da seguire – riportate negli “Yoga Sutras” (aforismi sullo yoga) del saggio Patanjali.
La parola sanscrita Himsa significa Violenza, pertanto la A privativa dà al termine il significato di NON VIOLENZA.
Ogni essere umano è per natura violento, in modo e grado diverso.
La violenza non è solo quella fisica, ma si esprime nei pensieri, nei sogni, nelle parole dette e non e nelle azioni intraprese nei confronti di noi stessi e verso il prossimo, nella scelta delle sostanze che ingeriamo, siano esse aria, cibo, bevande e chi più ne ha meno ne metta. Il primo passo dunque per avere esperienza di non violenza è accettare questa caratteristica innata e trascendere, scegliendo in ogni istante di non essere violento; questo è il percorso dello Yogi.
Sii consapevole che un pensiero può uccidere così come una azione, ed il primo a morire potresti essere te stesso, che dopo aver dato sfogo a tale pensiero, parola o azione potresti accusarne il vuoto insostenibile che ne rimane.
La violenza è frutto di ignoranza (errata conoscenza) e rabbia, entrambe originate da paura di ciò che non si conosce e soprattutto della perdita di ciò che si conosce. Liberarsi di questa paura è dunque il primo passo per fare esperienza di non violenza, nonché primo importante tassello per la conquista della gioia, quella indescrivibile, estatica e distaccata dalla materia.
Per Natale, dunque, se avete un pensiero positivo, comunicatelo adesso, in questo preciso momento; se il vostro pensiero è negativo tramutatelo subito in un positivo verso voi stessi, poiché la violenza e il violento sono in ultimo la stessa cosa e in definitiva chi ne porta la cicatrice potresti essere te stesso. Pertanto LIBERATENE E SORRIDI!
Questo è il mio augurio per un radioso Natale!».
Dott.ssa Valentina Limetti
Valentina Limetti, biologa nutrizionista ed ex ballerina ha abbracciato il mondo dello yoga 9 anni fa, durante l’intenso periodo di studi universitari, in cerca di tecniche per la gestione dello stress e lo sviluppo di equilibrio e consapevolezza. L’amore riconosciuto immediatamente per la disciplina dello yoga l’ha condotta negli anni in Europa ed in India, dove ha ricevuto dal Guru Paramananda Maharajji il nome spirituale Shree, che rimanda a Lakshmi, Dea dell’abbondanza, luce e fertilità.
A Rishikesh, riconosciuta patria dello yoga, ha poi conseguito i diplomi di primo e secondo livello per l’insegnamento della pratica di Sattva Yoga, nell’omonima accademia, di cui ne diffonde la tecnica, abbinandola a principi e sequenze proprie di altri metodi come l’Hatha, Vinyasa e Ananda Yoga.
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Una goccia di sangue per diagnosticare la Malattia di Pompe
Ricerca innovazionePiù di 50mila bambini sottoposti a screening neonatale in soli due anni per individuare una malattia per la quale una diagnosi precoce fa la differenza tra la vita e la morte. La malattia in questione è la Malattia di Pompe (patologia genetica rara, dovuta all’alterazione dell’enzima alfa-glucosidasi), l’esperienza è quella messa in campo dall’Unità Operativa Complessa di Malattie Metaboliche Ereditarie del Dipartimento assistenziale integrato di Pediatria dell’Azienda ospedaliera di Padova. A capo del progetto il direttore del dipartimento, il dottor Alberto Burlina. «Qui a Padova spiega abbiamo realizzati e stiamo portando avanti uno studio che, per adesione, non ha eguali in Italia e in Europa. Da una semplice goccia di sangue possiamo stabilire con assoluta certezza se il neonato sia affetto o meno dalla Malattia di Pompe. Inoltre, sulla base dell’attività enzimatica, sappiamo anche quale sia la forma della malattia». Semplificando un discorso molto complesso, questo significa salvare delle vite.
L’importanza degli screening
La Malattia di Pompe, se non trattata per tempo, è una malattia che conduce alla morte. «Avviare una terapia prima che si manifestino sintomi aggiunge Burlina significa offrire una chance di vita ai bambini colpiti. E, lo devo dire, da quando abbiamo iniziato con questa attività di screening abbiamo rilevato un numero di casi impressionante, ben più di quanti avremmo pensato di poterne trovare». Lo screening sulla Malattia di Pompe è parte di un più ampio lavoro che a Padova coinvolge i neonati del Veneto, del Friuli Venezia Giulia e del Trentino e che riguarda un novero ampio di malattie metaboliche ereditarie. E proprio la Malattia di Pompe è tra quelle patologie lisosomiali sulle quali si riesce a fare una diagnosi precoce. I risultati ottenuti a Padova sono stati recentemente pubblicati sull’autorevole rivista scientifica “Journal of inherited metabolic diseases” a prova dell’importanza di questo nuovo mezzo di prevenzione di malattia genetica.
La malattia
La Malattia di Pompe è una malattia genetica rara, dovuta all’alterazione dell’enzima alfa-glucosidasi la cui mancanza nell’organismo è spesso quasi totale e non consente un normale utilizzo di glicogeno e glucosio, specie a livello della massa muscolare. Dal 2006 esiste una terapia che, seppur non risolutiva, produce un miglioramento delle condizioni cliniche del paziente e una successiva stabilizzazione della patologia. Oggi si possono ottenere buoni risultati, specie se comparati con quanto avveniva 10 o 15 anni fa. A fare la differenza è la celerità con la quale si riesce a diagnosticare la malattia e a intervenire.
Dove si respira l’ aria peggiore in Italia?
News PresaNell’ aria che respiriamo si nasconde un nemico invisibile: l’inquinamento. Secondo l’Agenzia Europea per l’Ambiente e l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) l’ aria del nord Italia (precisamente della Pianura Padana) è tra le più inquinate d’Europa, spesso a causa delle polveri sottili (molto superiori ai 50 microgrammi per metro cubo) e i gas di scarico dei mezzi di trasporto.
Un tipo di inquinamento che d’inverno mantiene soglie altissime per giorni, provocando, specialmente in Lombardia, un maggior rischio di malattie cardiocircolatorie e respiratorie e incidendo sul maggior rischio di mortalità. In altre parole nel nord Italia, a causa dell’inquinamento atmosferico, si ha una minore longevità rispetto al resto del Paese quantificata in circa 14 mesi in meno di vita cioè poco più di un anno. Chi vive al Centro (es. a Roma) ha una riduzione di longevità da inquinamento di circa 6,6 mesi e di 5,7 mesi chi vive nel Sud.
I valori variano a seconda dell’area in cui si vive (es. città o campagna) e allo stile di vita.
Secondo l‘Agenzia Europea per l’Ambiente (AEA) nel 2012 in Italia si sono avuti circa 84mila decessi riconducibili allo smog. I bambini che vivono nell’area milanese, rispetto ai loro coetanei del resto d’Italia, sono maggiormente colpiti da patologie respiratorie.
Misure come il blocco del traffico o l’alternanza di circolazione dei mezzi, spesso non sono sufficienti. In questo periodo è molto critica la situazione di Torino che registra nel 2017, ancora non terminato, circa 70 giorni di sforamento dei PM10.
Le polveri sottili possono provocare: disturbi nella crescita dei bambini (lo smog può agire da Interferente Endocrino) ma anche dello sviluppo cognitivo e riduzione della memoria, può essere una concausa della demenza degli anziani, può provocare arrossamento e secchezza della pelle (soprattutto delle parti più esposte cioè il viso e le mani), può aumentare il rischio di infertilità maschile, può favorire l’insorgenza di emicranie, ecc.
Il Dr. Luciano O. Atzori
Biologo – Esperto in Sicurezza degli Alimenti e in Tutela della Salute, sul portale Alimenti e Sicurezza, oltre a elencare i rischi, dà alcuni consigli per ridurre gli effetti dell’inquinamento atmosferico attraverso 10 piccoli accorgimenti:
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