Tempo di lettura: 2 minutiSi chiama depression nap (riposino da depressione) ed è un periodo di tempo in cui ci si appisola per evitare le emozioni non gradite e i sintomi associati alla depressione. Il termine nasce in rete e sui social network ed è una tendenza che ottiene sempre più consensi tra gli utenti, secondo Michelle Drerup, referente per la medicina del sonno presso la Cleveland Clinic.
Se in apparenza sembra un modo di affrontare la malattia, secondo gli esperti, chi si affida a dormite lunghe e frequenti probabilmente sta celando un problema molto più grande. Un riposino di tanto in tanto fa bene, ma i depression nap potrebbero aumentare il disagio, al contrario di ciò che lascerebbe pensare la loro popolarità.
Secondo Adrian Soehner, assistente di psichiatria all’Università di Pittsburgh, la natura effimera delle soluzioni “auto-prescritte” da social network rende problematica la terapia. Qualunque cosa si cerchi di evitare, sarà ancora lì al risveglio.
“Sarebbe fantastico combattere la depressione con il sonno, ma sappiamo tutti che non è possibile”, ha spiegato Soehner intervistata dalla giornalista americana Lauren Rearick, in un articolo uscito su su HufPost Usa. “Schiacciare un pisolino ogni tanto non è preoccupante quando il sonno è salutare e si è mentalmente stabili, ma nei casi di depressione è preferibile tenerli sotto controllo”. La dottoressa ha spiegato che le persone possono affidarsi al sonno quando sono annoiate o vogliono evitare attività sgradite. Altre, compreso chi è affetto da depressione, possono ricorrere ai pisolini per evitare emozioni o pensieri negativi; ma quando questo approccio interferisce con il sonno regolare, o si verifica per diverse ore al giorno, andrebbe riesaminato.
In altre parole: le lunghe dormite possono alterare i ritmi del sonno nel loro complesso e il sonno irregolare può aggravare la depressione, spiega Soehner. “Mentre la classica pennichella dovrebbe essere rigenerante, i depression nap possono rivelarsi un modo poco sano di gestire le emozioni, diventando un meccanismo di difesa ed elusione“, spiega Drerup. “Chi ne abusa può sentirsi in colpa al risveglio e ancora più sopraffatto, rendendosi conto che ci sono le stesse cose da fare ma meno tempo a disposizione. È molto importante riuscire a tollerare le emozioni e mettere a punto tattiche più sane per combattere la depressione”. Drerup consiglia di tenere un diario del sonno. Raccomanda anche di fare solo brevi pisolini energizzanti di 15/30 minuti.
Soenher spiega che quando si soffre di depressione è più facile sentirsi affaticati, ma in quei casi, invece di affidarsi alle dormite, bisignerebbe tenersi impegnati. Consiglia di dedicarsi a un gioco divertente sul telefono, fare una breve passeggiata o uscire soltanto per vedere il sole. Drerup raccomanda inoltre di trovare un gruppo di supporto, fare esercizio, osservare cose che fanno stare bene, trascorrere del tempo con un animale domestico o esprimersi attraverso l’arte, la musica o la scrittura. Infine , quando alcuni sintomi della depressione, come il sonno o l’affaticamento eccessivi, interferiscono con la propria vita quotidiana, è importantissimo parlare con un professionista.
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Salute e bufale in rete: come riconoscerle
News Presa, Prevenzione, Ricerca innovazioneOltre il 50% degli italiani cerca informazioni relative alla salute sul web. Il fenomeno del “Social Health”, sta crescendo esponenzialmente anche in Italia e offre grandi opportunità per favorire la conoscenza su temi legati alla prevenzione, agli stili di vita e al benessere, portando con sé però, anche molti rischi. Per difendersi dalle “bufale” on line, ecco alcune regole create da ASSOSALUTE (Associazione nazionale farmaci di automedicazione), per aiutare gli utenti della rete a difendersi dalle bufale on line:
Olio di palma, un rischio per la salute umana?
Alimentazione, News BreviAlcune sostanze presenti nell’olio di palma, ma anche in altri oli vegetali e nelle margarine, rappresentano un potenziale rischio per la salute dei consumatori. Queste sostanze sono i contaminanti da processo a base di glicerolo (un composto chimico componente dei grassi) che si formano durante la lavorazione degli alimenti, in particolare quando gli oli vegetali vengono raffinati ad alte temperature (circa 200° C). A dirlo e niente di meno che l’Efsa, l’Autorità europea per la Sicurezza alimentare.
Gli esperti hanno esaminato le informazioni sulla tossicità del glicidolo, composto precursore dei glicidil esteri degli acidi grassi, per valutarne il rischio, ipotizzando una conversione completa degli esteri in glicidolo dopo l’ingestione. Pare ci siano evidenze sufficienti per affermare che il glicidolo sia cancerogeno. Tuttavia, i livelli di glicidil esteri degli acidi grassi negli oli e grassi di palma si sono dimezzati tra il 2010 e il 2015, grazie alle misure volontarie adottate dai produttori. Ciò ha contribuito a un calo importante dell’esposizione dei consumatori a dette sostanze.
I livelli delle altre due sostanze valutate sono rimasti invece in gran parte invariati negli ultimi 5 anni. L’esposizione a una di queste (3-monocloropropandiolo) costituisce un potenziale rischio per la salute dal momento che le dosi rilevate superano la soglia di sicurezza.
L’olio di palma, l’olio più usato al mondo, è un olio vegetale naturale, estratto per spremitura dalla polpa dei frutti della palma da olio. I frutti della palma vengono sterilizzati tramite vapore, denocciolati, pressati e filtrati, senza uso di solventi: così si ottiene l’olio di palma grezzo, di colore rosso scuro, che viene poi sottoposto a un processo di raffinazione che rende più stabile il prodotto. Le linee guida raccomandano di mantenere un apporto di grassi al massimo del 30% dell’energia giornaliera, di cui 10% da grassi saturi. La maggior parte dei grassi saturi che assumiamo deriva da alimenti di origine animale consumati in quantitativi maggiori rispetto all’olio di palma, che è costituito per metà da acidi grassi saturi (49%)
Nel documento dell’Efsa non ci sono evidenze che l’olio di palma sia propriamente cancerogeno, non essendoci ancora dati tossicologici sufficienti. Inoltre, gli stessi tipi di contaminanti sono presenti non solo nell’olio di palma, ma anche in altri alimenti dopo i processi di raffinazione, e ciò li rende potenzialmente pericolosi per la salute.
Diabete, niente più punture sui polpastrelli Ora la glicemia si controlla con un sensore
Alimentazione, Ricerca innovazioneCon una forzatura adatta a rendere l’idea della gravità del problema, gli esperti la chiamano “epidemia di diabete”. E’ chiaro che il termine “epidemia” fa pensare subito ad una malattia infettiva, e il diabete non rientra tra queste, ma ormai sono così tate le persone colpite che il paragone calza.
Ben 10 casi ogni 100mila abitanti, i più colpiti sono i bambini
I numeri parlano chiaro, ben 10 casi ogni 100mila abitanti con un aumento costante anche tra i bambini. Le conseguenze sono spaventose, perché il diabete è una malattia che può condizionare molto la vita e della quale non sempre ci si accorge in maniera precoce.
Una delle novità più interessanti nel controllo del diabete è legata all’arrivo su mercato di sensori con i quali misurare la glicemia, apparecchi che permettono di dire addio alle punture quotidiane sui polpastrelli. A chi non ha mai affrontato il problema questa può sembrare una banalità, ma non è così. Basti pensare che per controllare il livello di glucosio e tenere sotto controllo la glicemia servono dai 4 ai 6 controlli al giorno. Piccole punture per le quali c’è bisogno di un minimo di privacy e che con l’andar del tempo possono anche determinare una perdita di sensibilità ai polpastrelli. Al di là delle marche, ciascuno sceglierà il prodotto che preferisce, è interessante sottolineare come alcuni di questi apparecchi siano capaci di misurare la glicemia in “real time” comunicando il dato al microinfusore o al ricevitore con la possibilità di impostare allarmi per le ipo e le iperglicemie.
La novità
L’ultimo nuovo sistema di monitoraggio è stato recentemente approvato dalle autorità europee ed è indicato anche per i bambini e dai 4 ai 17 anni. La lettura del livello di glucosio viene effettuata grazie ad un sensore che viene posizionato sulla parte posteriore del braccio ed elimina la necessità delle punture. Il sensore resta sul corpo fino a 14 giorni. Per moltissimi genitori e per altrettanti bambini questa è la fine di un incubo, o quantomeno uno spiraglio di luce alla fine del tunnel.
Cure contro il cancro, i primi passi dell’Alleanza
News PresaCure anticancro uguali per tutti. Fondi destinati alla ricerca erogati in egual misura al Sud come al Nord. Il binomio rete della assistenza e rete della ricerca è il principio su cui si basa AMORe, acronimo di Alleanza Mediterranea Oncologica in Rete, nata per volontà dei tre principali Istituti oncologici del Sud Italia: il Pascale di Napoli, il Giovanni Paolo II di Bari e il Crob di Rionero in Vulture. Il comitato si è riunito oggi per la terza volta all’Istituto oncologico di Napoli. Dopo la sigla dell’accordo, il 29 novembre scorso a Bari e il primo incontro ricognitivo, a Rionero, oggi si è entrati nel vivo. L’Alleanza getta le basi per una virtuosa competizione con le regioni del nord basata su un fondamentale principio: dove si fa ricerca si fa migliore assistenza.
Cure di qualità per tutti
«Il sistema sanitario nazionale rappresenta una eccellenza del nostro Paese – dice il direttore generale del Pascale, Attilio Bianchi – ma è anche vero che in molti settori esistono delle diseguaglianze in termini di efficacia e di risultati che non possono più essere considerate accettabili. I dati epidemiologici indicano che nel settore oncologico la mortalità per tumore è maggiore nelle regioni del Mezzogiorno pur in presenza di numerose eccellenze in termini di operatori e strutture sanitarie. Un analogo gap esiste in termini di investimenti per la ricerca che sono spesso orientati in prevalenza nelle grandi istituzioni del nord dove sono operanti infrastrutture organizzativamente più efficienti. In questa fase iniziale AMORe ha avviato una ricognizione delle iniziative assistenziali e di ricerca che possono essere messe in rete al fine di aumentare il valore e la potenza delle comuni infrastrutture».
Primi passi
Come prima iniziativa questa mattina è stata costituita l’Area Vasta Oncologica inter-regionale, insieme alla creazione di un unico comitato etico e verranno adottate le procedure peculiari di valutazione delle prestazioni. Primo passo per tracciare la rotta di un nuovo modello di sanità in grado di coniugare i canoni di buona amministrazione con i bisogni assistenziali in continua evoluzione. Nove i punti dell’intesa: creare una Rete interregionale di Istituti oncologici che, attraverso una collaborazione sistematica, il confronto e lo scambio di competenze ed expertise, assicuri il costante miglioramento della qualità, dell’appropriatezza e dell’efficacia delle cure e dei servizi erogati; avviare un percorso per la costituzione di una Fondazione; definire una piattaforma tecnologica comune per raccogliere in maniera omogenea dati clinici e gestionali a sostegno della ricerca e della costruzione di un sistema comune di indicatori da utilizzare per la valutazione dell’efficienza; realizzare progetti di formazione e ricerca preclinica o clinica in vari settori correlati all’oncologia. Ancora: promuovere modelli organizzativi innovativi incentrati sull’etica clinica, la clinical governance, la condivisione delle policy, l’appropriatezza e l’economicità delle risorse; condividere i principi ispiratori dei Pdta (Percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali); sviluppare attività comuni nell’ambito della ricerca sanitaria e biomedica; realizzare progetti estero-finanziati, a valere in particolare su Fondi comunitari; intraprendere un percorso sinergico per l’accreditamento a Comprehensive Cancer Center per ciascuna delle parti.
Arriva il dottor internet: sempre più diagnosi sul web
Prevenzione, Psicologia, Ricerca innovazioneMedicina 2.0
Siti, chat, blog e “video-sharing”: lo specialista 2.0 riceve a tutte le ore. Ogni qual volta si desideri lui è lì pronto a dare risposte. Su qualsiasi argomento che riguardi la salute: dai tumori alla claustrofobia, alle diete per contrastare il colesterolo sino alle malattie più rare. I dati del Censis parlano chiaro: quattro italiani su dieci (il 42 per cento) cercano informazioni online sulla salute. L’ultimo rapporto sulla situazione sociale del Paese dice che il 58 per cento dei casi si affida al web per capire meglio le indicazioni del proprio medico. Il 55 per cento verifica su internet la diagnosi e le indicazioni dopo una visita. In altri casi si discute con il medico dei risultati delle proprie ricerche su internet (il 37 per cento). Infine c’è anche chi contesta l’esattezza di diagnosi e terapie in base a quanto ha appreso dal web (il 20 per cento). Insomma, la rete ha trasformato il rapporto tra paziente e medico. Complice la crisi economica e le liste d’attesa infinite, accade che si intraprendano terapie in totale autonomia sulla base di informazioni reperite online: nel 19 per cento dei casi si ricorre alla cosiddetta “medicina fai da te”. Molti studiosi, però, avvertono: è una pratica pericolosa. Tra gli altri Pietro Refolo – giovane ricercatore dell’Istituto di Bioetica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma – sostiene la necessità di implementare i sistemi di controllo delle informazioni e di accreditamento dei siti dedicati alla salute: «sebbene – spiega Refolo – la Rete svolga una formidabile opera di “democratizzazione” del sapere medico, offrendo a ciascuno un’“equa” possibilità di accesso, per altro verso, comporta una serie di rischi, legati alla “cattiva informazione”. Internet non è infatti in grado di garantire l’attendibilità delle informazioni, non pochi studi internazionali di revisione dei contenuti di siti internet dedicati alla salute ne hanno dimostrato la parziale, se non totale, inaffidabilità». C’è poi un lato bello di internet: quello che aiuta i malati a uscire dalla solitudine. In Italia stanno cominciando a prendere piede, ma negli Stati Uniti i social network (evoluzione dei forum) dedicati ai pazienti sono già una realtà consolidata: uno dei più famosi è PatientsLikeMe.com che raccoglie quasi 100 mila utenti. Sul web si formano gruppi di malati che si supportano a vicenda vivendo a migliaia di chilometri di distanza. Attraverso i blog i pazienti si costruiscono delle identità sociali e il sentirsi protagonisti li aiuta a uscire meglio dalla malattia; con la telemedicina i chirurghi operano a distanza; l’e-Care consente ai professionisti sanitari di consultarsi in tempo reale; le app permettono di auto-quantificare la propria forma psico-fisica in modo istantaneo; i nuovi sistemi informatici modificano la governance sanitaria e rivoluzionano la burocrazia. La pratica dell’e-health sta prendendo piede anche in Italia. Oggi cresce l’utilizzo della prenotazione via web delle visite, utilizzata attualmente dal 13 per cento dei cittadini e secondo i numeri raccolti dall’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità del Politecnico di Milano si tratta di un risparmio annuo pari a 4,9 miliardi di euro che rimangono nelle tasche dei cittadini. ll 74 per cento dei medici, quindi, ritiene internet uno strumento necessario per la propria professione: molti di loro offrono diagnosi gratuite o comunque mediate dal computer. Seduti alla propria scrivania, armati solo di computer, i “pazienti-utenti” si ritrovano davanti a sé un medico virtuale. Il quale, dopo aver letto o ascoltato i sintomi del malessere, elaborerà diagnosi e consigli post dopo post. Insomma gli strumenti digitali hanno potenzialità infinite, ma bisogna sfruttarle nel modo giusto. Il moltiplicarsi di informazioni senza confini su patologie le più disparate, ad esempio, diventa l’eden per gli ipocondriaci. Una percentuale di italiani sempre più alta cerca informazioni in modo compulsivo e si convince di avere qualche patologia: così un’emicrania si trasforma in un tumore, il male al braccio in un infarto. Effetto finale, i “cybercondriaci” rappresentano una spesa notevole sulle spalle dello stato. Intanto Google ha già messo a punto una nuova funzione per potenziare le ricerche in tema di salute. Sarà direttamente il motore di ricerca a fornire risposte. Google mostrerà, infatti, i sintomi tipici della malattia ricercata, le sue caratteristiche e i possibili trattamenti, fornendo in alcuni casi illustrazioni di alta qualità. Dopo essersi accorti che una ricerca su venti di quelle effettuate è per cercare informazioni mediche. A Mountain View hanno pensato di includere (partendo dagli Usa) le informazioni relative alla salute nel loro Knowledge Graph, lo strumento che dal 2012 ha reso più “intelligenti” i risultati delle nostre ricerche combinandoli con i dati correlati alle parole cercate (mostrandoli nel pannello al lato a fianco dei classici risultati). Il servizio si pone come mezzo di informazione ed è solo un punto di inizio per conoscere di più in merito al proprio stato di salute , magari in modo più accurato: la ricerca e l’interpretazione di informazioni sulla salute nel web rimane un argomento a dir poco delicato.
Muore a 19 anni, i suoi organi salveranno altre vite
News PresaA soli 19 anni Martina è stata stroncata da un aneurisma cerebrale. La sua è una storia commuovente e di grande altruismo, che purtroppo non ha avuto un lieto fine ma che, una volta tanto, mette in luce quanta dedizione e professionalità vi sia nella sanità pubblica campana.
Il ricordo di zio Francesco
Il racconto degli ultimi giorni di vita di Martina è quello commosso dello zio, Francesco, affidato al consigliere regionale Borrelli proprio per ringraziare quei medici che sino alla fine si sono presi cura della ragazza e dei suoi familiari. Martina è stata colpita dall’aneurisma il 31 dicembre del 2017, in un solo istante quella che doveva essere una festa si è trasformata nel peggiore degli incubi. Immediata la corsa al pronto soccorso del Cardarelli di Napoli, dove la ragazza è arrivata già in condizioni molto gravi.
Codice rosso
«Martina è stata da subito soccorsa nel migliore dei modi possibili – scrive Borrelli, riportando le parole di zio Francesco – , sia dal punto di vista umano che professionale». Per cercare di salvare la giovane studentessa di ingegneria biomedica, classificata in codice rosso, il professor Pasquale Caiazzo è stato richiamato in servizio. Il primario, in quel momento in vacanza a Sorrento, è tornato immediatamente a Napoli e ha operato Martina. L’operazione è stata un successo, tutto è andato nel migliore dei modi, ma non è bastato. Le condizioni di Martina soni rimaste disperate. Per 12 giorni la ragazza ha lottato tra la vita e la morte, ma alla fine il suo giovane corpo non ha retto. Roberta e Raimondo, la mamma e il papà di Martina, hanno scelto di raccontare questa storia, nonostante il grande dolore, per trasmettere l’umanità e la professionalità che hanno ricevuto al Cardarelli, non solo del professor Pasquale Caiazzo e del dottor Elio Bonagura, responsabile anestesista del reparto di rianimazione. Ma di tutti: medici, anestesisti, infermieri e operatori socio sanitari. Quelli che il direttore generale Ciro Verdoliva chiama da sempre i “cardarelliani”.
L’ultimo dono
La famiglia, anche per rendere onore a una ragazza che è sempre stata gioviale e pronta ad aiutare il prossimo, ha deciso di donare gli organi che ora permettono ad altre persone di vivere o di riavere una qualità della vita degna di questo nome. «Così come si denuncia quel che non va – dice Francesco Borrelli – nella sanità campana, è giusto anche evidenziare quanto di buono si fa, soprattutto quando a farlo sono persone che, pur se colpite così duramente dalla vita, apprezzano quanto è stato fatto per assistere Martina».
Depression Nap, cosa sono e perché sono così pericolosi
PsicologiaSi chiama depression nap (riposino da depressione) ed è un periodo di tempo in cui ci si appisola per evitare le emozioni non gradite e i sintomi associati alla depressione. Il termine nasce in rete e sui social network ed è una tendenza che ottiene sempre più consensi tra gli utenti, secondo Michelle Drerup, referente per la medicina del sonno presso la Cleveland Clinic.
Se in apparenza sembra un modo di affrontare la malattia, secondo gli esperti, chi si affida a dormite lunghe e frequenti probabilmente sta celando un problema molto più grande. Un riposino di tanto in tanto fa bene, ma i depression nap potrebbero aumentare il disagio, al contrario di ciò che lascerebbe pensare la loro popolarità.
Secondo Adrian Soehner, assistente di psichiatria all’Università di Pittsburgh, la natura effimera delle soluzioni “auto-prescritte” da social network rende problematica la terapia. Qualunque cosa si cerchi di evitare, sarà ancora lì al risveglio.
“Sarebbe fantastico combattere la depressione con il sonno, ma sappiamo tutti che non è possibile”, ha spiegato Soehner intervistata dalla giornalista americana Lauren Rearick, in un articolo uscito su su HufPost Usa. “Schiacciare un pisolino ogni tanto non è preoccupante quando il sonno è salutare e si è mentalmente stabili, ma nei casi di depressione è preferibile tenerli sotto controllo”. La dottoressa ha spiegato che le persone possono affidarsi al sonno quando sono annoiate o vogliono evitare attività sgradite. Altre, compreso chi è affetto da depressione, possono ricorrere ai pisolini per evitare emozioni o pensieri negativi; ma quando questo approccio interferisce con il sonno regolare, o si verifica per diverse ore al giorno, andrebbe riesaminato.
In altre parole: le lunghe dormite possono alterare i ritmi del sonno nel loro complesso e il sonno irregolare può aggravare la depressione, spiega Soehner. “Mentre la classica pennichella dovrebbe essere rigenerante, i depression nap possono rivelarsi un modo poco sano di gestire le emozioni, diventando un meccanismo di difesa ed elusione“, spiega Drerup. “Chi ne abusa può sentirsi in colpa al risveglio e ancora più sopraffatto, rendendosi conto che ci sono le stesse cose da fare ma meno tempo a disposizione. È molto importante riuscire a tollerare le emozioni e mettere a punto tattiche più sane per combattere la depressione”. Drerup consiglia di tenere un diario del sonno. Raccomanda anche di fare solo brevi pisolini energizzanti di 15/30 minuti.
Soenher spiega che quando si soffre di depressione è più facile sentirsi affaticati, ma in quei casi, invece di affidarsi alle dormite, bisignerebbe tenersi impegnati. Consiglia di dedicarsi a un gioco divertente sul telefono, fare una breve passeggiata o uscire soltanto per vedere il sole. Drerup raccomanda inoltre di trovare un gruppo di supporto, fare esercizio, osservare cose che fanno stare bene, trascorrere del tempo con un animale domestico o esprimersi attraverso l’arte, la musica o la scrittura. Infine , quando alcuni sintomi della depressione, come il sonno o l’affaticamento eccessivi, interferiscono con la propria vita quotidiana, è importantissimo parlare con un professionista.
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Vaccini, ora i centri delle Asl sono in crisi
News PresaCon l’introduzione dell’obbligo vaccinale per l’iscrizione alla scuola il numero dei genitori “adempienti” si è moltiplicato a dismisura. Il paradosso è che ora i centri vaccinali «sono in crisi». A dirlo è il past president della Società italiana di igiene, Carlo Signorelli. Il perché è legato alla scadenza del 10 marzo, ultima data utile per la presentazione alle scuole della certificazione di avvenuta immunizzazione. Anzi, per Signorelli le cause sono tre: «L’ultimo Piano vaccinale che prevede nuove vaccinazioni consigliate, la legge sull’obbligo vaccinale a scuola e i recuperi dei bimbi non ancora immunizzati. I centri sono sotto pressione e – ha detto – spesso manca personale».
Scadenze
Un po’ di tempo in più c’è per iscritti 2018-19, certificati a luglio. Per il prossimo anno scolastico 2018-19, per il quale partono oggi le iscrizioni online, ci sarà più tempo per effettuare le vaccinazioni obbligatorie previste dalla legge: per l’iscrizione ad asili e scuola elementare la procedura resta la stessa. Sarà infatti possibile presentare un’autocertificazione sulle avvenute vaccinazioni o copia della prenotazione dell’appuntamento presso l’Asl, ma ci sarà tempo fino al 10 luglio 2018 per presentare la certificazione definitiva che provi l’avvenuta vaccinazione. La scadenza è prevista dalla legge e dalla circolare del ministero dello Salute dello scorso 16 agosto. Più tempo dunque per adempiere all’obbligo vaccinale.
Il 10 luglio
Inoltre, se per la data di scadenza (10 luglio) sarà stata già attuata la norma legislativa introdotta dal recente Dl fiscale, che permette lo scambio di dati su supporto informativo tra le scuole e le Asl (e che anticipa quanto previsto dal decreto vaccini per l’anno scolastico 2019/2020), non vi sarà alcun bisogno per il genitore di presentare documentazione cartacea.
I dubbi dei genitori
Resta, al di là delle scadenze, un numero enorme di genitori che hanno più di un dubbio sull’obbligo vaccinale. Le ragioni di questo dissenso sono il più delle volte nelle notizie, o pseudo notizie, che girano sul web rispetto alla correlazione di questi vaccini con forme di autismo. E’ bene ricordare che sui vaccini la comunità medica è compatta, al di là di qualsiasi dubbio. E non esiste alcuna prova che vi sia una correlazione tra l’autismo e i vaccini.
“Curava” i tumori con il bicarbonato, condannato a 5 anni
News PresaAi suoi “clienti” diceva di poter curare il cancro con una soluzione a base di bicarbonato, ora il medico radiato dall’ordine professionale è stato condannato a 5 anni e 6 mesi per l’accusa di omicidio colposo ed esercizio abusivo della professione. Lo ha deciso il giudice monocratico di Roma che per l’accusa di omicidio colposo ha condannato a due anni di reclusione anche Roberto Gandini, radiologo e collaboratore di Simoncini. I due erano accusati di avere sottoposto sei anni fa in una clinica di Tirana Luca Olivotto, di 27 anni di Catania e affetto da un tumore al cervello, ad una cura medica antitumorale a base di bicarbonato di sodio. Olivotto nel 2012 si recò in Albania, dove Simoncini lavorava, per sottoporsi alla cura, ma dopo due giorni di somministrazione endoarteriosa Olivotto morì dopo una gravissima alcalosi metabolica.
Bufale mediche
L’idea che il bicarbonato possa curare i tumori, per cui un medico romano è stato condannato a cinque anni di carcere, nasce da una scoperta vera, il cosiddetto «effetto Warburg», ma tutti i test scientifici su questa possibilità hanno escluso che la sostanza possa dare benefici. Lo ricorda l’Airc, l’associazione italiana per la Ricerca sul Cancro, sul proprio sito. Otto Heinrich Warburg, vincitore nel 1931 del premio Nobel per la medicina, scoprì che i tumori inducono un aumento della produzione di energia negli organi che colpiscono, che ha l’effetto di lasciare delle sostanze acide come scorie. L’ambiente acido inoltre è favorevole alla proliferazione dei tumori. Da qui l’idea che una sostanza basica come il bicarbonato potesse curare il cancro.
Sperimentazioni fallite
«I primi esperimenti col bicarbonato, condotti già negli anni Cinquanta, hanno smentito l’utilità di questa ipotesi terapeutica – spiega però l’Airc -, in primo luogo perché assumere bicarbonato per bocca non rende meno acido l’ambiente intorno al tumore e, in secondo luogo, perché i dosaggi necessari a modificare in modo sostanziale il pH dei tessuti sono talmente elevati da creare danni agli organi sani». Alcune sperimentazioni, aggiunge il sito, sono in corso per vedere se, in determinate condizioni, il bicarbonato può potenziare l’effetto di alcuni farmaci per il tumore al seno. Il bicarbonato non è l’unica sostanza strana che viene spacciata per antitumorale da teorie pseudoscientifiche. Si va dalla graviola, una pianta che cresce nella foresta pluviale tropicale, all’aloe, alla ‘terapia Gerson’, che prevede una dieta vegana e clisteri di caffè, fino ad arrivare al vischio. Non ha basi scientifiche neppure il cosiddetto metodo Hamer, il cui presupposto è che il tumore sia il frutto di un conflitto psichico e che rinnega totalmente l’uso dei farmaci.
Bambini italiani, una salute da record
News PresaNegli ultimi 50 anni è l’Italia, insieme alla Spagna, il paese del mondo occidentale dove la salute di bambini e adolescenti è migliorata di più, con la maggiore diminuzione della mortalità. Lo afferma uno studio della Johns Hopkins University pubblicato dalla rivista Health Affairs, che invece vede negli Usa il paese meno favorevole per giovani.
Il club dei virtuosi
I ricercatori hanno analizzato i dati di mortalità infantile e fino a 19 anni di 20 paesi occidentali con economie simili tra il 1961 e il 2010. In Italia il numero di morti sotto l’anno di età è diminuito in media del 5,6% l’anno nel periodo considerato, un valore inferiore solo a quello spagnolo (5,7%), che ci ha portato nel ristretto club dei paesi con meno di tre bimbi morti ogni mille nati vivi. Tra 1 e 19 anni il miglioramento è stato del 3,4%, un dato inferiore solo a quello del Giappone che è 3,5%.
Usa in affanno
A uscire invece molto male dallo studio sono proprio gli Usa, che invece hanno messo a segno un miglioramento solo del 3,1% sotto l’anno e del 2% per i più grandi. Se oltreoceano ci fossero stati i tassi degli altri paesi, sottolineano gli autori, si sarebbero avuti 600mila morti in meno. «Tra le cause principali di mortalità infantile ci sono la nascita prematura e la morte in culla – aggiungono gli studiosi -. I bambini negli Usa hanno tre volte la probabilità di morire per la prima causa rispetto agli altri, e due volte per la seconda».