Tempo di lettura: 2 minutiIl 95 % delle produzioni alimentari deriva dal suolo e attualmente un terzo di esso risulta da moderatamente a molto degradato. Questo ha delle ripercussioni sulla salute. Se si aggiunge che per la formazione di 1 cm di suolo possono essere necessari anche 1000 anni, si comprende perché la Fao abbia creato la Global Soil Partnership (GSP), nel cui ambito è stata realizzata la Carta Mondiale del Carbonio Organico del suolo, presentata lo scorso dicembre. Anche l’Italia, come gli altri Paesi della GSP, ha elaborato la sua Carta nazionale, grazie al lavoro di un network volontario di Istituzioni coordinato dal CREA, con il suo Centro di Ricerca Agricoltura e Ambiente. Proprio oggi, a Roma, presso la sede centrale del CREA, si tiene un seminario per condividere ed illustrare la Carta Italiana Del Carbonio Organico, uno strumento di lavoro fondamentale per la conservazione del suolo.
“Poiché la fertilità – afferma Anna Benedetti, ricercatore CREA del National Focal Point italiano GSP – è influenzata dal quantitativo di sostanza organica presente e dalla sua biodiversità, il nostro Paese sotto questo aspetto è a rischio. Mediamente, infatti, si stima che la sostanza organica contenuta nei suoli destinati all’agricoltura si aggiri intorno all’1,5%, del quale, però, se ne perde potenzialmente ogni anno, se non debitamente reintegrata, oltre l’1%. In tal senso, poter disporre di una carta del carbonio organico del suolo è fondamentale per la pianificazione territoriale e per orientare i decisori politici verso una gestione sostenibile dell’agricoltura e del territorio”.
La carta, così come tutte le conoscenze sullo stato dei suoli in Italia, rappresenta inoltre una base importantissima in vista della PAC post-2020, sia per programmare in modo strategico gli interventi sul territorio sia per misurare opportunamente gli effetti delle pratiche mirate messe in campo dagli agricoltori. E non è un caso se la conservazione del suolo è diventata una priorità strategica dei PSR, perseguita grazie alla Misura 10 (Pagamenti agro-climatico-ambientali) che promuove la diffusione di buone prassi come l’agricoltura conservativa (rispettosa del suolo) e il No-tillage (semina su sodo senza alcuna lavorazione del suolo). Nel contesto UE, l’Italia è il Paese che ha maggiormente puntato su questo genere di sostegno.
Secondo i dati evidenziati dalla Carta, occorrono interventi urgenti per salvaguardare la salute dei suoli e dell’agricoltura italiana, soprattutto al Sud: recupero sostanza organica in aree di agricoltura intensiva e monosuccessione, contrasto all’erosione in aree appenniniche e acclivi, contrasto alla desertificazione e più in generale al degrado del suolo.
“Il suolo è una imprescindibile matrice identificativa del nostro made in Italy agroalimentare – ha affermato il presidente CREA Salvatore Parlato, aprendo i lavori del seminario – e proprio per questo sarà uno dei 4 obiettivi strategici del nostro prossimo piano triennale di ricerca. Inoltre, stiamo pensando di avviare l’elaborazione di una mappa digitale che analizzi e documenti la qualità dei suoli italiani per poterla preservare al meglio”.
promuoviamo salute
Cefalee, dalla natura nuovi rimedi
Ricerca innovazioneLa cefalea, per chi ne soffre davvero, è uno dei disturbi più invalidanti che possano esistere. Secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità, questo disturbo del sistema nervoso centrale è estremamente diffuso, e questo fa sì che una gran parte della popolazione abbia gravi problemi di salute e disabilità. Per quanti soffrono di cefalee, la notizia è che i ricercatori del Consiglio nazionale delle ricerche – Istituto per i sistemi agricoli e forestali del Mediterraneo (Isafom-Cnr) e Istituto di scienze neurologiche (Isn-Cnr) – si sono interessati all’argomento con uno studio sui rimedi vegetali usati dalla medicina popolare italiana tra il XIX ed il XX secolo. I risultato di questo studio sono stati tali da far meritare alla ricerca la pubblicazione sul Journal of Ethnopharmacology.
Piante come farmaci
«Alla luce delle attuali conoscenze farmacologiche, circa il 79% delle piante utilizzate nel passato presenta metaboliti secondari (composti organici che non hanno una funzione diretta sulla crescita e lo sviluppo delle piante) con azione anti-infiammatoria e analgesica e comunque in grado di contrastare i meccanismi ritenuti alla base delle principali forme di cefalee», spiega Giuseppe Tagarelli dell’Istituto per i sistemi agricoli e forestali del Mediterraneo (Isafom-Cnr). «Componenti organici quali flavonoidi, terpenoidi, fenilpropanoidi sembrano poter bloccare, in vivo, i mediatori chimici coinvolti nell’insorgenza delle cefalee. Ad esempio, i diterpeni estratti dal girasole, dal sambuco e dall’artemisia agiscono sulle cavie come i FANS, i farmaci antiinfiammatori non steroidei che solitamente si assumono contro le cefalee, oltre che per ridurre lo stato infiammatorio in patologie articolari, reumatologiche e muscolo-scheletriche. Questi metaboliti secondari sono infatti in grado di bloccare la produzione degli enzimi che favoriscono la biosintesi delle prostaglandine, mediatori dell’infiammazione».
Antichi saperi
Lo studio ha rivelato anche altro. “È stato evidenziato che circa il 42% delle piante utilizzate dalla medicina popolare italiana per la cura della cefalea era già in uso nel periodo tra il V secolo a.C. e il II d.C., come testimoniano Ippocrate, Plinio il Vecchio, Dioscoride, Galeno e Sereno Sammonico. Lo studio testimonia, dunque, uno straordinario trasferimento di conoscenze empiriche, per circa 2.000 anni”, aggiunge il ricercatore. Un significativo bagaglio di sapere per lo sviluppo di nuovi farmaci. Youyou Tu, Premio Nobel per la Medicina nel 2015, ha “riscoperto” l’artemisina, estratta dall’Artemisia annua, pianta storicamente usata dalla medicina tradizionale cinese per la cura della malaria e oggi considerata la molecola più efficace per guarire da tale parassitosi.
Insetti a tavola? Da quest’anno è possibile
AlimentazioneIn alcuni Paesi UE già si trovano in commercio da tempo. Si tratta di biscotti, burger, snack, ecc. a base di farine di camole e di grilli, ma anche insetti interi liofilizzati.
Con l’applicazione del Regolamento (UE) 2015/2283 sui nuovi alimenti (cosiddetti novel food), entrato in vigore l’1 gennaio 2018, in molti si aspettavano di trovare anche in Italia al ristorante o al supermercato nuove proposte a base d’insetti.
In realtà così non è stato, perché l’allevamento e il commercio degli insetti richiede autorizzazioni dai tempi lunghi.
A gennaio 2018, infatti, il Ministero della Salute ha diffuso una nota attraverso la quale rende noto che in Italia non è stata ammessa nessuna commercializzazione di insetti e dei loro derivati ad uso alimentare. Per un loro impiego alimentare è necessaria un’autorizzazione UE al fine di accertarne la sicurezza alle quantità di assunzione inserite. Insetti e derivati si configurano tutti come novel food e al momento nessuna specie (o suo derivato) è autorizzata per tale impiego.
La stessa nota ministeriale spiega che alcuni Stati membri hanno ammesso a livello nazionale la commercializzazione di qualche specie di insetto in un regime di “tolleranza”…”.
nel nostro Paese, insomma, vedremo i primi insetti “sulle tavole” verso la fine del 2018 e se dovessero avere successo potrebbero diventare dei veri e propri alimenti di largo consumo. Gli insetti, infatti, influirebbero positivamente sull’impatto ambientale. Per quanto riguarda gli aspetti nutrizionali: hanno un elevato contenuto di proteine e di grassi insaturi come gli Omega3, ma anche di alcuni sali minerali e di vitamina B12.
promuoviamo salute
Suolo e salute. Crea: servono interventi urgenti, soprattutto al Sud
AlimentazioneIl 95 % delle produzioni alimentari deriva dal suolo e attualmente un terzo di esso risulta da moderatamente a molto degradato. Questo ha delle ripercussioni sulla salute. Se si aggiunge che per la formazione di 1 cm di suolo possono essere necessari anche 1000 anni, si comprende perché la Fao abbia creato la Global Soil Partnership (GSP), nel cui ambito è stata realizzata la Carta Mondiale del Carbonio Organico del suolo, presentata lo scorso dicembre. Anche l’Italia, come gli altri Paesi della GSP, ha elaborato la sua Carta nazionale, grazie al lavoro di un network volontario di Istituzioni coordinato dal CREA, con il suo Centro di Ricerca Agricoltura e Ambiente. Proprio oggi, a Roma, presso la sede centrale del CREA, si tiene un seminario per condividere ed illustrare la Carta Italiana Del Carbonio Organico, uno strumento di lavoro fondamentale per la conservazione del suolo.
“Poiché la fertilità – afferma Anna Benedetti, ricercatore CREA del National Focal Point italiano GSP – è influenzata dal quantitativo di sostanza organica presente e dalla sua biodiversità, il nostro Paese sotto questo aspetto è a rischio. Mediamente, infatti, si stima che la sostanza organica contenuta nei suoli destinati all’agricoltura si aggiri intorno all’1,5%, del quale, però, se ne perde potenzialmente ogni anno, se non debitamente reintegrata, oltre l’1%. In tal senso, poter disporre di una carta del carbonio organico del suolo è fondamentale per la pianificazione territoriale e per orientare i decisori politici verso una gestione sostenibile dell’agricoltura e del territorio”.
La carta, così come tutte le conoscenze sullo stato dei suoli in Italia, rappresenta inoltre una base importantissima in vista della PAC post-2020, sia per programmare in modo strategico gli interventi sul territorio sia per misurare opportunamente gli effetti delle pratiche mirate messe in campo dagli agricoltori. E non è un caso se la conservazione del suolo è diventata una priorità strategica dei PSR, perseguita grazie alla Misura 10 (Pagamenti agro-climatico-ambientali) che promuove la diffusione di buone prassi come l’agricoltura conservativa (rispettosa del suolo) e il No-tillage (semina su sodo senza alcuna lavorazione del suolo). Nel contesto UE, l’Italia è il Paese che ha maggiormente puntato su questo genere di sostegno.
Secondo i dati evidenziati dalla Carta, occorrono interventi urgenti per salvaguardare la salute dei suoli e dell’agricoltura italiana, soprattutto al Sud: recupero sostanza organica in aree di agricoltura intensiva e monosuccessione, contrasto all’erosione in aree appenniniche e acclivi, contrasto alla desertificazione e più in generale al degrado del suolo.
“Il suolo è una imprescindibile matrice identificativa del nostro made in Italy agroalimentare – ha affermato il presidente CREA Salvatore Parlato, aprendo i lavori del seminario – e proprio per questo sarà uno dei 4 obiettivi strategici del nostro prossimo piano triennale di ricerca. Inoltre, stiamo pensando di avviare l’elaborazione di una mappa digitale che analizzi e documenti la qualità dei suoli italiani per poterla preservare al meglio”.
promuoviamo salute
Intelligenza artificiale previene l’infarto guardandoti negli occhi
Prevenzione, Ricerca innovazioneSi tratta di un software che riesce a ricavare le informazioni di un paziente attraverso la scansione della retina. È stato sviluppato da Verily, società controllata da Big G. L’ intelligenza artificiale addestrata dagli scienziati di Google è in grado di predire il rischio di disturbi cardiovascolari, ricavando informazioni quali età, pressione sanguigna, genere e se sia fumatore o meno. Elaborando questi fattori i ricercatori possono scoprire se un paziente corre il rischio di avere un infarto.
Lo studio dimostra che l’apprendimento dell’ intelligenza artificiale, applicato a un’immagine del fundus retinico (la parte più interna dell’occhio), può prevedere e identificare il rischio. Tuttavia, ancora non offre sostanziali miglioramenti negli esami che già vengono svolti di routine, ma dimostra delle grandi potenzialità di miglioramento per il futuro.
Con la ricerca di Verily, appena pubblicata sulla rivista Nature, Google rafforza la sua presenza nel settore dell’industria sanitaria, con un importante passo avanti nell’integrazione tra medicina e intelligenze artificiali. L’uso del machine learning per lo screening di prevenzione, come già dimostrato nel caso della retinopatia diabetica, suggerisce una nuova frontiera nel settore sanitario.
“Le malattie cardiovascolari sono la principale causa di morte a livello globale – si legge in un post pubblicato da Verily – e un importante numero di ricerche ci aiuta a capire che cosa può causarle: tutti i comportamenti quotidiani, tra cui esercizio fisico e dieta in combinazione con fattori genetici, età, etnia e sesso biologico”.
L’addestramento dell’ intelligenza artificiale è avvenuto tramite l’analisi delle retine e dei dati medici di oltre 280 mila pazienti provenienti dagli Stati Uniti e dal Regno Unito. Il software è stato così programmato per cercare autonomamente elementi in grado di suggerire la presenza di condizioni favorevoli al verificarsi di pericoli per la salute.
promuoviamo salute
Limoni per far riconoscere alle donne i primi segni del cancro al seno
PrevenzioneCome si individuano i sintomi del tumore al seno? Una designer americana ha trovato un modo immediato per spiegarlo alle donne, grazie a limoni.
I dati Istat dicono che in Italia il tumore della mammella è la neoplasia femminile più frequente e rappresenta la prima causa di morte, con 12,2 mila decessi, come riferisce anche il ministero della Salute.
Negli ultimi decenni le
diagnosi sono aumentate (circa 50mila nuovi casi), ma con un’alta riduzione della mortalità (circa l’1.3 per cento in meno annuo).
Con la diagnosi precoce, infatti, oggi vengono identificati un maggior numero di tumori già ai primi stadi di sviluppo, consentendo un trattamento tempestivo e meno invasivo.
Per quanto riguarda la prevenzione, nel biennio 2012-2013 si è passati da 5,1 a circa 5,3 milioni di donne italiane che hanno effettuato una mammografia.
Nel 2015 questo numero è cresciuto di un ulteriore 14 per cento.
Il tumore al seno colpisce in maniera pressoché trasversale, donne di tutte le età, al Nord più che al Sud. Nel corso della vita, una donna su otto corre il concreto rischio di essere colpita da questa malattia.
Corrine Beaumont è una giovane designer americana che dal 2003 porta avanti Know Your Lemons, una campagna di sensibilizzazione sui social network per l’autodiagnosi e per liberare il cancro dal tabù della malattia.
“Alcune pazienti non vogliono parlare del proprio seno e nemmeno guardarlo” ha commentato Corinne in un’intervista alla BBC.
LA designer ha perso entrambe le nonne per cancro al seno a 40 e 62 anni.
I limoni sono diventati la rappresentazione dei seni per mostrare quali sintomi del cancro alla mammella possono apparire ed essere riconosciuti.
“Spesso le donne usate in questo tipo di campagne non sembrano donne ordinarie – ha spiegato Beaumont – ma tutte invece possono comprendere queste immagini”.
pruomuoviamo salute
Dipendenza da gioco, le cause sono anche genetiche
Ricerca innovazioneTra poker, gratta e vinci e sale da gioco, il problema della dipendenza patologica al gioco d’azzardo sta diventando estremamente serio. Alcuni ricercatori del Cnr di Catanzaro, in collaborazione con l’Università della Calabria, si sono posti una semplice domanda: è possibile prevedere se una persona tenderà a sviluppare una soggezione patologica al gioco d’azzardo? Benché la domanda sia semplice, non lo è affatto la risposta. Tuttavia lo studio condotto rivela una verità scioccante. Esistono dei tratti della personalità del «gambler (giocatore, ndr) patologico», scoperti grazie a tecniche avanzate di intelligenza artificiale. Una ricerca straordinaria, insomma, che non ha caso ha meritato la pubblicazione sulla rivista Journal of Neuroscience Methods.
Dipendenze multifattoriali
Oggi è noto che la causa di queste dipendenze è multifattoriale (vale a dire genetica, neurobiologica e comportamentale) e fa si che la persona diventi “vulnerabile”. Questa debolezza è amplificata da fattori psicosociali come povertà o traumi biografici. Oltre a disfunzioni cerebrali e genetiche, i gambler patologici hanno anche un profilo di personalità disfunzionale, sono cioè più vulnerabili alle situazioni sociali che invitano al gioco, e questo aspetto non è mai studiato finora con metodi di intelligenza artificiale. Chi è vittima del gioco d’azzardo patologico perde, oltre a ingenti quantità di denaro, la capacità di controllo delle proprie azioni e la fiducia dei propri cari, con la percezione di essere entrato in un tunnel senza via di scampo. Le neuroscienze sono impegnate da decenni nello studio di questo disturbo che devasta la vita di moltissime famiglie italiane.
Analisi sul campo
Per indagare l’aspetto poco conosciuto il gruppo di ricerca dell’Ibfm-Cnr ha coinvolto alcune strutture di riabilitazione psichiatrica a Milano e a Catanzaro, allo scopo di valutare i giocatori patologici in cura. «Abbiamo utilizzato algoritmi di intelligenza artificiale per capire se esiste nei giocatori d’azzardo patologici uno specifico costrutto di personalità», spiega Danilo Lofaro, ricercatore presso l’Università della Calabria e coautore del lavoro. «Sono stati inseriti nel calcolatore 6.000 dati relativi a 160 soggetti che non hanno mai giocato a slot machine o giochi d’azzardo e a 40 pazienti con gambling, ognuno dei quali era analizzato a seconda delle 30 caratteristiche alla base della personalità umana. Nella seconda fase dell’esperimento la macchina, dopo aver processato i dati, ha identificato la miglior combinazione che permette di separare i sani dai malati. Il risultato che consente di classificare otto gamblers su dieci è quello costituito dai seguenti sotto-tratti: bassa apertura mentale; bassa coscienziosità; bassa fiducia negli altri; ricerca di emozioni positive; elevato tratto depressivo e impulsivo. Una persona con queste caratteristiche rischia la vulnerabilità verso questa patologia psichiatrica».
I marcatori della dipendenza
Alta impulsività e depressione erano caratteristiche del gambler seriale già note agli psicologi. L’avanzamento apportato dai modelli utilizzati è la conoscenza dell’esatta struttura multidimensionale del profilo di base di un giocatore. Un po’ come dire che la malattia è legata all’alterazione di uno o più geni. La personalità è un marcatore oggettivo della funzionalità cerebrale, la cui attendibilità predittiva vale per i disturbi psichiatrici ma anche per malattie neurologiche come Parkinson e Alzheimer. Ad esempio, a parità di performance cognitive, l’estroverso pensa e usa aree cerebrali diverse dall’introverso, così come l’ansioso o impulsivo rispetto alla persona emotivamente stabile. Lo scopo di queste ricerche è creare strumenti sempre più sensibili per riconoscere un disturbo prima che si manifesti in tutta la sua gravità. Questo permetterebbe di salvare molte persone, e relative famiglie, dal baratro.
Del Cnr i ricercatori più citati al mondo
News PresaMarco Conti, Vincenzo Di Marzo e Serena Sanna sono stati nominati «2017 Highly Cited Researchers», quindi tra i citati al mondo nel loro campo specifico. Marco Conti, dell’Istituto di informatica e telematica (Iit-Cnr) e membro del Consiglio Scientifico del Cnr per l’area Ict, ha raggiunto questo incredibile risultato per la categoria «Computer Science» e, va detto, è l’unico informatico italiano presente in questa classifica. Vincenzo Di Marzo dell’Istituto di chimica biomolecolare (Icb-Cnr) è presente per la categoria «Pharmacology & Toxicology», mentre Serena Sanna, dell’Istituto di ricerca genetica e biomedica (Irgb-Cnr) di Cagliari, figura per la categoria «Molecular Biology & Genetics». Per numero di ricercatori italiani inseriti nella classifica, il Consiglio nazionale delle ricerche è primo tra gli Enti pubblici di ricerca e secondo in assoluto, assieme alle Università di Pavia e di Torino, dopo quella di Bologna. Un primato incredibile, ancor più se si considera che i tre ricercatori del Cnr sono presenti in categorie distinte, a dimostrazione della vocazione multidisciplinare dell’Ente.
Tra i primi al mondo
«Un risultato italiano di prestigio internazionale che premia la ricerca pubblica e il lavoro delle nostre ricercatrici e ricercatori del Cnr in Italia e nel mondo», dice il presidente del Cnr Massimo Inguscio. «A proposito di buona ricerca italiana e del contributo del Cnr, recentemente a fine novembre scorso l’European Reasearch Council (ERC) ha annunciato l’assegnazione dei Consolidator Grants a 329 ricercatori di tutta Europa con un finanziamento di 360 milioni di euro complessivi per sostenere i migliori progetti di ricerca “di frontiera” proposti da ricercatori con un curriculum scientifico molto promettente con almeno 7-12 anni di esperienza con borse di studio di circa 2 milioni di euro ciascuna. Grazie al talento, alla preparazione e alla tenacia dei ricercatori italiani il nostro paese si è classificato al secondo posto su 39 nazioni, davanti a Inghilterra e Francia: il giovane fisico del Cnr Alessandro Molli, con il suo lavoro e l’ERC conquistato, ha portato il Cnr a un totale di 44 ERC finanziati, confermando il primo posto in Italia tra enti pubblici di ricerca e università».
Innovazione per le imprese
La rivista Nature, considerata dalla Comunità scientifica internazionale quella di maggiore importanza e prestigio, che fornisce, anno per anno, informazioni comparative sulla performance delle Istituzioni di ricerca sparse nel mondo ha valutato e classificato il Consiglio nazionale delle ricerche nella top-200 delle migliori Istituzioni mondiali di ricerca, unica realtà italiana che è riuscita a conquistare una posizione di rilievo in questa classifica che valuta l’impatto della ricerca scientifica sulla capacità di produrre innovazione tecnologica, accanto a istituzioni scientifiche di fama mondiale come il Max Planck in Germania o il Massachusetts Institute of Technology negli Stati Uniti. Questi riconoscimenti internazionali dimostrano come l’Ente sia capace di generare conoscenza scientifica che, in molti casi, si traduce in nuovi prodotti con un alto contenuto di innovazione tecnologica. Sarebbe cruciale fare in modo che ad utilizzare e valorizzare questi risultati fossero, prima di tutto, le imprese innovative presenti su tutti il territorio, da Nord a Sud, del nostro meraviglioso e bellissimo Paese. La ricerca di base assieme all’avanzamento della conoscenza scientifica producono sapere e benefici economici e sociali per i cittadini e sono una priorità per orientare le scelte della politica, dei parlamenti e dei governi in tema di finanziamento e investimenti nella ricerca.
Malattie neurologiche, arrivano i bisturi a raggi X
Ricerca innovazioneBisturi laser che permettono di intervenire con una precisione inimmaginabile. La ricerca, che sta portando la fantascienza nel campo della chirurgia applicata, è il frutto del lavoro del laboratorio di neurofarmacologia dell’I.R.C.C.S. Neuromed, in collaborazione con il dottor Pantaleo Romanelli (Brain Radiosurgery, Cyberknife Center, Centro Diagnostico Italiano – Milano) e il dottor Alberto Bravin (European Sychrotron Radiation Facility, Grenoble – Francia). Questi raggi di energia sono una delle frontiere più avanzate contro malattie gravi come i tumori e alcune malattie neurologiche.
Accelerazione magnetica
Il punto centrale di queste ricerche è il sincrotrone, una struttura in cui gli elettroni vengono accelerati quasi alla velocità della luce. Per costringerli a girare all’interno di un anello sono necessari campi magnetici potentissimi che li deviano. E proprio questa deviazione produce raggi X, che possono essere modulati fino a formare fasci sottilissimi dotati di elevata energia. L’idea è di usare questi fasci di raggi X per effettuare veri e propri interventi chirurgici di altissima precisione. In due lavori scientifici appena pubblicati sulla rivista Scientific Reports, con il contributo dei ricercatori Neuromed, viene studiata la sicurezza di questi sottilissimi raggi X in animali sani irradiati nella corteccia cerebrale e nell’ippocampo, la principale area cerebrale dalla quale originano le forme di epilessia refrattarie ai trattamenti farmacologici. I raggi X, effettuando una serie di microincisioni nel cervello, come un pettine, potrebbero potenzialmente eliminare le scariche convulsive, controllando queste forme di epilessia.
Gli ostacoli da abbattere
Il principale problema sono gli eventuali danni alle strutture nervose, e proprio i due lavori pubblicati hanno dimostrato, grazie anche alle analisi condotte nel Neuromed, che non vi sono effetti negativi sul normale funzionamento del sistema nervoso centrale. «Siamo ancora lontani dall’applicazione di queste radiazioni sull’uomo. Non solo serviranno ulteriori studi per confermare la loro sicurezza ed efficacia, ma bisogna ricordare che il sincrotrone di Grenoble ha una circonferenza di centinaia di metri. Sarà necessario progettare e realizzare generatori capaci di emettere raggi X della stessa energia e spessore, ma compatti, ed installabili in strutture ospedaliere».
Il pomodoro “bronzeo” che fa miracoli per l’intestino
AlimentazioneUna volta si diceva «una mela al giorno…», oggi più che mai quel proverbio ha preso validità scientifica. Frutta e verdura sono infatti alimenti ricchi di “polifenoli” elementi che, combinati nelle giuste misure, danno luogo ad una vera e propria strategia per la cura dei sintomi legati alle infiammazioni croniche intestinali. Come al solito a darci la misura del problema sono i dati: più di 2.2 milioni di europei e 1.5 milioni di americani soffrono di infiammazioni croniche intestinali. Malattie per le quali, purtroppo, non esiste cura. Eppure da una ricerca dell’Istituto di scienze delle produzioni alimentari del Consiglio nazionale delle ricerche Ispa-Cnr (unità di Lecce), in collaborazione con Cathie Martin ed Eugenio Butelli del John Innes Centre, Norwich e con Marcello Chieppa dell’Irccs «S. De Bellis» di Castellana Grotte (Ba), arriva una nuova speranza. Una giusta combinazione di polifenoli può attenuare i sintomi dell’infiammazione intestinale. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Frontiers in Nutrition.
Ingegneria metabolica
«Per ottenere la giusta combinazione e le giuste quantità attraverso la dieta dovremmo assumerne una varietà e quantità elevatissime», spiega Angelo Santino dell’Ispa-Cnr coordinatore dello studio. «Nei nostri laboratori siamo riusciti ad ottenere, attraverso un approccio di ingegneria metabolica, un pomodoro, che abbiamo chiamato bronzeo per il colore metallico e bronzato della loro buccia, che contengono una combinazione unica di polifenoli. Si tratta, in particolare di flavonoli, antocianine e stilbenoidi la cui azione sinergica è stata valutata in topi affetti da infiammazione cronica intestinale».
Risultati eccezionali
I risultati ottenuti dalle prove in vivo, dimostrano chiaramente che questa combinazione di polifenoli è in grado di migliorare i sintomi dell’infiammazione intestinale. Aurelia Scarano dell’Ispa-Cnr spiega che «tra gli effetti benefici riscontrati, abbiamo osservato un miglioramento nella composizione del microbiota, con arricchimento in batteri lattici positivi e una riduzione sia nel contenuto di sangue nelle feci sia nella secrezione di fattori infiammatori». Gli effetti benefici di un singolo pomodoro bronzeo sulle infiammazioni intestinali siano paragonabili a quelli di 5 chili di uva rossa, notoriamente ricca in polifenoli. Oggi l’ingegneria metabolica è una risorsa importante per la salute, consentirà di ottenere in futuro alimenti funzionali arricchiti in specifici elementi fitochimici e dall’elevato potere nutrizionale che potranno essere utilizzati per la prevenzione e come adiuvanti nella terapia di importanti patologie croniche umane.
Lo sport durante lo sviluppo rende le ossa più forti
Bambini, News Presa, Prevenzione, SportI bambini devono correre e muoversi sempre, a maggior ragione in un momento cruciale come quello dello sviluppo. Infatti, l’inattività fa male ai ragazzi, perché indebolisce le ossa, lo sport invece le rende più robuste. Lo ha dimostrato una ricerca guidata dalla University of British Columbia, pubblicata sulla rivista Journal of Bone and Mineral Research. Gli studiosi hanno preso in esame 309 ragazzi, misurandone il livello di attività fisica e la forza delle ossa. In particolare il periodo preso come riferimento è stato una ‘finestra’ di quattro anni, che va dai 10 ai 14 anni per le ragazze e dai 12 ai 16 per i ragazzi, vitale perché si forma il 36 per cento dello scheletro umano e le ossa sono particolarmente reattive all’attività fisica.
Il livello di attività fisica o sedentarietà è stato misurato con l’ausilio di un accelerometro, mentre con immagini ai raggi X in 3D ad alta risoluzione si è comparato chi faceva circa un’ora al giorno di attività fisica e chi invece meno di 30 minuti. “Dai risultati – come spiega Leigh Gabel, autore principale dello studio – è emerso che gli adolescenti che erano meno attivi avevano un’ossatura più debole, e la forza delle ossa è fondamentale per prevenire le fratture”. Lo sport da piccoli, insomma, è un fattore determinate per la salute, anche quella delle ossa (le rende forti e resistenti).