Tempo di lettura: 3 minutiIn Italia ci sono stati più morti per incidenti stradali rispetto all’anno precedente (+2,9%). A dirlo sono i dati del 2017 appena svelati dall’Istat. Nonostante un lieve calo di sinistri e feriti (rispettivamente -0,5 e -1%) c’è un forte incremento di vittime fra i motociclisti e pedoni (+11.9% e +5,3%). Insomma, nessuna buona notizia, neanche sul fronte economico, visto che i costi sociali ammontano a 19,3 miliardi di euro l’anno, l’1,1% del Pil.
I numeri
3.378 lenzuoli bianchi sono stati stesi sull’asfalto nel 2017 contro i 3.283 del 2016. I sinistri sono stati 174.933 rispetto ai 175.791 dello scorso anno, quindi con una piccola riduzione. Stesso discorso per i feriti (246.750 erano 249.175 nel 2016: -1%), stabili i feriti gravi (oltre 17.000: 5 ogni vittima, 68% uomini, 32% donne). Scende così da 5,3 a 5,1 il rapporto feriti gravi/decessi.
Gli anziani (75-79 anni) sono le prime vittime della strada e rappresentano il 7,8% del totale. Il vero allarme però è per i motociclisti (+11.9% di morti) e pedoni (+5,3%), anche se diminuiscono le vittime fra ciclomotoristi (-20,7%, ma solo perché il mercato di cinquantini di fatto non esiste più) e ciclisti (-7,6%).
“Rispetto allo scorso anno registriamo, purtroppo, un aumento delle vittime sulle nostre strade – ha dichiarato Angelo Sticchi Damiani, presidente di ACI (Automobile Club d’Italia) – dopo la flessione del 2016, forse complice anche il positivo contesto economico associato alla crescita delle prime iscrizioni e delle percorrenze. La rete viaria nazionale è davvero vasta, in molti casi obsoleta, non aggiornata nei sistemi di sicurezza passiva quali guard-rail, asfalto e aree di sosta. Mi auguro che a breve venga avviato un piano strategico di riordino dell’intero sistema infrastrutturale, nelle città così come per le grandi arterie. Un contributo fondamentale per la sicurezza – conclude Sticchi – potrebbe essere fornito dagli ADAS, tanto che l’ACI auspica da tempo la loro obbligatorietà su tutti i nuovi modelli”.
Dove?
Aumentano i morti su autostrade ed extraurbane, diminuiscono nei grandi Comuni. Nel 2017 è calato il numero di incidenti su alcune arterie (130.461; -0,5% su strade urbane; 35.077, -0,7% su quelle extraurbane), mentre è salito in autostrada, (9.395; +0,4%), allo stesso modo sono diminuiti anche i feriti in città e sulle strade extraurbane (174.612 e 56.294 rispetto a 176.423 e 56.962 del 2016, pari a -1%, e -1,2%). Crescono, invece, (+8,0%) i morti su autostrade (incluse tangenziali e raccordi) e strade extraurbane (+4,5%), mentre diminuiscono (-5,8%) quelli all’interno dei centri abitati dei grandi Comuni.
Perchè
Distrazione, mancato rispetto della precedenza o del semaforo, velocità troppo elevata sono le prime tre cause di incidente (il 40,8% del totale). Tra le altre cause più rilevanti: distanza di sicurezza (21.463), manovra irregolare (15.932), comportamento scorretto del pedone (7.204): rispettivamente il 9,6%, il 7,1% e il 3,2% del totale.
Sulle strade urbane la prima causa è il mancato rispetto di precedenza o semafori (17,1%), seguito dalla guida distratta (14,6%); su quelle extraurbane la guida distratta o andamento indeciso (20,1%), velocità troppo elevata e mancata distanza di sicurezza (14,6% per entrambi).
Violazioni principali: velocità, segnaletica e cinture di sicurezza/seggiolini.
Anche nel 2017, le maggiori violazioni al Codice della Strada sanzionate dalle Forze dell’Ordine, restano: al primo posto il superamento dei limiti di velocità (2.843.552, +6,9%), seguita dall’inosservanza del rispetto della segnaletica (391.369, +7,8%), dal mancato uso delle cinture di sicurezza e dei sistemi di ritenuta dei bambini (202.993, +3,4%) e ai ciclisti per comportamenti errati (+3,8%). Segno meno per le sanzioni sul mancato uso di lenti o l’uso improprio di telefoni cellulari o cuffie (145.815, -8,0%) e quelle elevate ai pedoni (3.191, -12,1%).
Quando
È agosto il mese più pericoloso. I mesi estivi contano il maggior numero di incidenti e vittime. Agosto ha il maggior numero di incidenti gravi in tutti gli ambiti stradali (2,3 morti ogni 100 incidenti), maggio, giugno e luglio quelli con più incidenti nel complesso, sulle strade urbane maggio e giugno (12.359 e 12.505), 4.383 e 4.633 incidenti a giugno e luglio su quelle extraurbane. Febbraio è il mese con il minor numero di incidenti (11.493) e morti (199). Di notte (tra le 22 e le 6 del mattino) si registrano il 10,5% degli incidenti e il 20,2% dei morti. Dal tramonto all’alba, invece, accadono circa il 27% degli incidenti.
In ripresa la mobilità: lo scorso anno le prime iscrizioni di veicoli sono aumentate del 7% rispetto al 2016, mentre il parco veicolare dell’1,7%. Cresciute anche le percorrenze autostradali: +2,2%, con oltre 84 miliardi di km percorsi.
La vita dopo un ictus. Dalla guida ai voli aerei
News PresaL’ictus cerebrale in Italia è la terza causa di morte e la prima causa di disabilità. Avviene per una chiusura o una rottura improvvisa di un vaso cerebrale che provoca un danno alle cellule cerebrali, dovuto all’ischemia (ovvero alla mancanza di ossigeno e nutrimenti portati dal sangue) o all’emorragia cerebrale. Simona Marcheselli, Responsabile di Neurologia d’Urgenza e Stroke Unit in Humanitas spiega: “Riconoscere i segni dell’ictus cerebrale in maniera tempestiva è fondamentale. Se la terapia viene somministrata entro 4 ore e mezza dall’esordio dei sintomi, è più probabile contenere i danni legati alla patologia e ridurre l’eventuale disabilità a essa collegata”. I risultati delle cure e quindi la capacità di rimettersi alla guida o di compiere le normali azioni quotidiane dopo l’ictus dipendono dalle condizioni del paziente, dalla tempestività del trattamento medico, dall’assistenza e la riabilitazione.
La vita quotidiana dopo un ictus: lo sport, i viaggi, la guida
Non ci sono particolari limitazioni nello sport, soprattutto se l’ictus ha avuto lievi conseguenze. Tuttavia l’esercizio fisico provoca un aumento pressorio e della funzione cardiaca, quindi è consigliabile consultare il medico per scegliere la pratica più adatta, la frequenza e l’intensità più giusta. In generale l’attività più indicata è quella di tipo aerobico da praticare per circa 30 minuti al giorno per almeno 4-5 volte la settimana (per esempio, la camminata a passo veloce).
Anche per quanto riguarda i voli aerei è necessario parlare con il medico, per verificare le condizioni cardiache, pressorie e circolatorie. Ad alta quota infatti, la pressione sanguigna tende ad alzarsi, la concentrazione del globuli rossi aumenta sulle lunghe distanze e sempre nei viaggi lunghi si ha una stasi di sangue nelle vene delle gambe. Per quanto riguarda la guida: ci si può rimettere al volante, ma è bene aspettare almeno tre mesi dall’ictus.
Aids. Rischio di una nuova pandemia. Il punto ad Amsterdam
Economia sanitariaServirebbero almeno 7 miliardi di euro per tenere a bada il virus , ma al momento non ci sono. A lanciare l’allarme sono gli esperti riuniti ad Amsterdam per la conferenza internazionale: la lotta all’Aids è una priorità di tutti i paesi, ma mancano i soldi e questo potrebbe far ricominciare l’epidemia.
In tutto il mondo oggi si contano 36,9 milioni di persone sieropositive, le quali grazie alle terapie antivirali possono tenere a bada l’Aids. Nel 2016, il numero di decessi è sceso per la prima volta sotto il milione di persone, attestandosi a 990 mila morti, i quali sono ancora diminuiti nel 2017 quando il virus ha falciato 940 mila vite. Anche l’agenzia delle Nazioni Unite contro il virus e la malattia, Unaids, mette in guardia sul fatto che mancano i finanziamenti per ridurre la minaccia di una nuova pandemia entro il 2030.
I giganti del farmaceutico tagliano i fondi alla ricerca per i nuovi farmaci – denunciano gli esperti – poiché questi sarebbero destinati soprattutto a Paesi dall’economia fragile e dunque non in grado di acquistarli per i loro malati. Inoltre si teme una forte diminuzione delle sovvenzioni americane che da sempre sono state le più cospicue. Le organizzazioni umanitarie e i ricercatori del settore paventano infatti i tagli promessi dall’amministrazione Trump nella lotto all’Aids, non ancora approvati dal Congresso di Washington. Ndulu Kilonzo, del Consiglio keniano sul controllo dell’Aids, sostiene che senza grossi investimenti non si riuscirà neanche ad avvicinarsi agli obiettivi fissati dalla comunità internazionale per il 2030.
«Siamo lontanissimo dal raggiungimento del traguardo, non solo per quanto riguarda l’eliminazione del virus, ma anche per ciò che riguarda la sua prevenzione». Sono fortemente diminuiti anche i fondi per la distribuzione di preservativi in Africa, uno dei mezzi più efficaci per stroncare la diffusione della malattia.
22nd International AIDS Conference (AIDS 2018) Amsterdam, Netherlands. Copyright: Matthijs
22nd International AIDS Conference (AIDS 2018) Amsterdam, Netherlands Copyright: Marcus Rose/IAS
Legionella, è allarme nel milanese
News PresaA Bresso, nel milanese, c’è ormai un vero e proprio allarme sanitario a causa di un batterio killer. Dopo la morte di due anziani, un uomo e una donna di 94 anni deceduti tra domenica e lunedì, un’altra donna è deceduta oggi per le complicanze sopraggiunte dopo aver contratto la legionella. L’anziana aveva 84 anni ed era ricoverata all’ospedale Bassini di Cinisello Balsamo (Milano), dove sono avvenuti gli altri due decessi.
Situazione critica
A confermare (come riportato dalle agenzia di stampa) la situazione «complicata» e «critica» è stato l’assessore regionale al Welfare Giulio Gallera che ha spiegato che è stata attivata una task-force. «C’è una situazione critica, un’epidemia di legionella, 17 persone colpite e due morti» ha detto Gallera a margine del tavolo sulla sicurezza negli ospedali al Pirelli. «Abbiamo avviato da subito una task force» ha sottolineato l’assessore, ricordando alcune importanti precauzioni per evitare il contagio: «Pulire i filtri dei rubinetti, lasciare scorrere l’acqua e aprire le finestre quando si fa una doccia calda e pulire molto bene i bacini d’acqua stagnante, perché la legionella non si trasmette bevendo l’acqua o con il contatto personale, ma per inalazione».
Come avviene il contagio
la legionella si chiama così perché il nome si lega ad un raduno di ex combattenti della guerra in Vietnam (appartenenti all’American Legion) tenutosi nel luglio del 1976 presso l’albergo Bellevue-Stratford di Philadelfia (USA). Durante questo incontro su circa 4.000 partecipanti, ben 221 furono colpiti da polmonite acuta e 29 non riuscirono a sopravvivere. Tra le varie ipotesi, si pensò anche ad un attacco biologico da parte dei Russi. Solo dopo si scoprì che la causa di quei decessi era semplicemente batterica.
Nel gennaio del 1977, il CDC di Atlanta scoprì che la malattia era stata causata da un “nuovo” batterio.
Batteri in precedenza sconosciuti, che si erano sviluppati nell’impianto di condizionamento. Il contagio avviene infatti inalando acqua contaminata sotto forma di “aerosol” generati da rubinetti, docce ed impianti di umidificazione. Le persone possono essere esposte a queste fonti in casa, nel luogo di lavoro o in altri posti pubblici (quali ad esempio gli ospedali o gli alberghi). I sintomi più frequenti della malattia dei legionari sono: polmonite, febbre, raffreddore, tosse, mal di testa, dolori muscolari, astenia, perdita d’appetito, occasionalmente diarrea e disturbi renali.
Autismo, correlazione con l’ipertensione in gravidanza
Ricerca innovazioneIl rischio per un bebè di ammalarsi di autismo è legato anche a una complicanza della gestazione, la preclampsia o pressione alta in gravidanza. Lo rivela una ricerca pubblicata sulla rivista Jama Psychiatry; mentre un altro studio apparso su JAMA collega l’autismo al diabete materno, anche a quello di tipo 1 (insulino-dipendente).
Gli studi
Il primo studio, di Ali Khashan, della University College Cork in Irlanda, è una meta-analisi di decine di studi già pubblicati su pressione alta in gravidanza e disturbi dello sviluppo nel nascituro (da autismo ad iperattività e deficit di attenzione). La revisione di una vasta mole di dati porta a concludere che soffrire di pressione alta durante la gestazione si associa a un aumento di rischio di autismo per il bebè del 35%.
Nell’altro studio su JAMA, condotto da Anny Xiang del Kaiser Permanente hospitals in California, sono stati analizzati 419.425 bambini nati tra 1995 e 2012. Di questi, 621 bambini sono nati da donne con diabete insulino-dipendente o di tipo 1. I ricercatori stimano che i figli di donne con diabete di tipo 1 hanno più del doppio del rischio di ammalarsi di autismo rispetto agli altri bimbi. Invece il diabete di tipo 2 nella mamma aumenta il rischio autismo del bebè del 45%, il diabete gestazionale prima della 27/a settimana di gravidanza lo aumenta del 30%.
Bufale del web
Sull’autismo, e sulla presunta correlazione (mai dimostrata) con alcuni vaccini, sono nate negli anni vere e proprie battaglie di genitori No Vax. Spesso con post su Facebook nei quali si citavano dati del tutto sconclusionati e si urlava al complotto di stato. Il consiglio, quando si parla di temi così delicati, è quello di verificare sempre le fonti e di fidarsi solo di voci autorevoli. La bufala, non bisogna dimenticarlo, è sempre dietro l’angolo.
Meno ore al lavoro, ma senza social network. L’azienda: “dipendenti più felici”
News PresaTrenta ore di lavoro a settimana, anziché quaranta, ma con lo stesso stipendio. L’unica condizione è che i dipendenti devono restare totalmente disconnessi durante tutta la permanenza sul luogo di lavoro. In atre parole: niente telefono e niente social network. Proibito inviare mail personali o messaggi su WhatsApp. La pausa pranzo? Non esiste, sacrificata insieme a facebook in nome del tempo libero. È questa la ricetta di un’azienda in Baviera, dove c’è una quasi piena occupazione, in nome della massima produttività. L’azienda è la Jobroller di Straubing che dà lavoro a dieci persone ed è paradossalmente una piattaforma online per trovare un impiego. Sono previste sei ore filate di lavoro anziché otto, con due turni a scelta: arrivare alle 8 del mattino e tornare a casa alle 14, oppure dalle 11 alle 17. Questo sistema è in vigore dallo scorso ottobre, l’obiettivo è migliorare la qualità della vita dei dipendenti. Il patron di Jobroller, Guenter Dillig concede più tempo libero, in cambio di una concentrazione assoluta che si traduce anche in una maggiore produttività. La flessibilità degli orari è un tema molto sentito, in Germania, così come in Austria, dove dal primo settembre dell’anno scorso è stato fissato un tetto massimo di 60 ore a settimana.
È proprio la digitalizzazione del mondo del lavoro ad aver portato al massimo la flessibilità, con pro e contro: sindacati e associazioni imprenditoriali cercano di venirne a capo tra lavoro in remoto, homeworking, il fatto di essere raggiungibili 24 ore al giorno e orari che si allargano e restringono in modo non sempre controllabile. Non sono pochi i temi da affrontare e il pericolo di stress è dietro l’angolo.
Secondo un sondaggio di YouGov in Germania, il 53% degli interpellati vede con favore una riduzione del proprio orario di lavoro, anche a costo di rimetterci qualche soldo dello stipendio. L’Istituto per le ricerche sul mercato del lavoro (IAB) di Norimberga, afferma che in Germania il 50% degli uomini e il 40% delle donne vedrebbe bene una riduzione di 2,5 ore di lavoro: “un trend molto evidente”, scrive l’istituto.
Guenter Dillig non ha dubbi sul fatto che si tratti di un modello sostenibile economicamente. “Il tempo libero nella vita è il bene supremo – dice interpellato dalla Welt – Se i miei dipendenti si divertono di più, sul lavoro portano anche maggiori risultati”.
Meno incidenti, ma più morti sulle strade. Agosto mese nero
PrevenzioneIn Italia ci sono stati più morti per incidenti stradali rispetto all’anno precedente (+2,9%). A dirlo sono i dati del 2017 appena svelati dall’Istat. Nonostante un lieve calo di sinistri e feriti (rispettivamente -0,5 e -1%) c’è un forte incremento di vittime fra i motociclisti e pedoni (+11.9% e +5,3%). Insomma, nessuna buona notizia, neanche sul fronte economico, visto che i costi sociali ammontano a 19,3 miliardi di euro l’anno, l’1,1% del Pil.
I numeri
3.378 lenzuoli bianchi sono stati stesi sull’asfalto nel 2017 contro i 3.283 del 2016. I sinistri sono stati 174.933 rispetto ai 175.791 dello scorso anno, quindi con una piccola riduzione. Stesso discorso per i feriti (246.750 erano 249.175 nel 2016: -1%), stabili i feriti gravi (oltre 17.000: 5 ogni vittima, 68% uomini, 32% donne). Scende così da 5,3 a 5,1 il rapporto feriti gravi/decessi.
Gli anziani (75-79 anni) sono le prime vittime della strada e rappresentano il 7,8% del totale. Il vero allarme però è per i motociclisti (+11.9% di morti) e pedoni (+5,3%), anche se diminuiscono le vittime fra ciclomotoristi (-20,7%, ma solo perché il mercato di cinquantini di fatto non esiste più) e ciclisti (-7,6%).
“Rispetto allo scorso anno registriamo, purtroppo, un aumento delle vittime sulle nostre strade – ha dichiarato Angelo Sticchi Damiani, presidente di ACI (Automobile Club d’Italia) – dopo la flessione del 2016, forse complice anche il positivo contesto economico associato alla crescita delle prime iscrizioni e delle percorrenze. La rete viaria nazionale è davvero vasta, in molti casi obsoleta, non aggiornata nei sistemi di sicurezza passiva quali guard-rail, asfalto e aree di sosta. Mi auguro che a breve venga avviato un piano strategico di riordino dell’intero sistema infrastrutturale, nelle città così come per le grandi arterie. Un contributo fondamentale per la sicurezza – conclude Sticchi – potrebbe essere fornito dagli ADAS, tanto che l’ACI auspica da tempo la loro obbligatorietà su tutti i nuovi modelli”.
Dove?
Aumentano i morti su autostrade ed extraurbane, diminuiscono nei grandi Comuni. Nel 2017 è calato il numero di incidenti su alcune arterie (130.461; -0,5% su strade urbane; 35.077, -0,7% su quelle extraurbane), mentre è salito in autostrada, (9.395; +0,4%), allo stesso modo sono diminuiti anche i feriti in città e sulle strade extraurbane (174.612 e 56.294 rispetto a 176.423 e 56.962 del 2016, pari a -1%, e -1,2%). Crescono, invece, (+8,0%) i morti su autostrade (incluse tangenziali e raccordi) e strade extraurbane (+4,5%), mentre diminuiscono (-5,8%) quelli all’interno dei centri abitati dei grandi Comuni.
Perchè
Distrazione, mancato rispetto della precedenza o del semaforo, velocità troppo elevata sono le prime tre cause di incidente (il 40,8% del totale). Tra le altre cause più rilevanti: distanza di sicurezza (21.463), manovra irregolare (15.932), comportamento scorretto del pedone (7.204): rispettivamente il 9,6%, il 7,1% e il 3,2% del totale.
Sulle strade urbane la prima causa è il mancato rispetto di precedenza o semafori (17,1%), seguito dalla guida distratta (14,6%); su quelle extraurbane la guida distratta o andamento indeciso (20,1%), velocità troppo elevata e mancata distanza di sicurezza (14,6% per entrambi).
Violazioni principali: velocità, segnaletica e cinture di sicurezza/seggiolini.
Anche nel 2017, le maggiori violazioni al Codice della Strada sanzionate dalle Forze dell’Ordine, restano: al primo posto il superamento dei limiti di velocità (2.843.552, +6,9%), seguita dall’inosservanza del rispetto della segnaletica (391.369, +7,8%), dal mancato uso delle cinture di sicurezza e dei sistemi di ritenuta dei bambini (202.993, +3,4%) e ai ciclisti per comportamenti errati (+3,8%). Segno meno per le sanzioni sul mancato uso di lenti o l’uso improprio di telefoni cellulari o cuffie (145.815, -8,0%) e quelle elevate ai pedoni (3.191, -12,1%).
Quando
È agosto il mese più pericoloso. I mesi estivi contano il maggior numero di incidenti e vittime. Agosto ha il maggior numero di incidenti gravi in tutti gli ambiti stradali (2,3 morti ogni 100 incidenti), maggio, giugno e luglio quelli con più incidenti nel complesso, sulle strade urbane maggio e giugno (12.359 e 12.505), 4.383 e 4.633 incidenti a giugno e luglio su quelle extraurbane. Febbraio è il mese con il minor numero di incidenti (11.493) e morti (199). Di notte (tra le 22 e le 6 del mattino) si registrano il 10,5% degli incidenti e il 20,2% dei morti. Dal tramonto all’alba, invece, accadono circa il 27% degli incidenti.
In ripresa la mobilità: lo scorso anno le prime iscrizioni di veicoli sono aumentate del 7% rispetto al 2016, mentre il parco veicolare dell’1,7%. Cresciute anche le percorrenze autostradali: +2,2%, con oltre 84 miliardi di km percorsi.
2018 quarto anno più bollente. Fa sempre più caldo
News PresaIl 2018 si classifica ad oggi al quarto posto tra gli anni più bollenti del pianeta, con una temperatura media sulla superficie della terra e degli oceani, addirittura superiore di 0,77 gradi rispetto alla media del ventesimo secolo. I dati arrivano dalla banca dati Noaa, il National Climatic Data Centre che rileva i dati dal 1880.
Numeri che confermano il cambiamento climatico in atto, anche in Italia, dove il primo semestre 2018 è stato il terzo più caldo dal 1800 secondo Isac Cnr che ha rilevato una temperatura superiore di 1,40 gradi rispetto alla media storica. Già il 2017 si era classificato al sesto posto tra gli anni piu’ caldi da 218 anni, con una temperatura che era risultata di 1,16 gradi superiore alla media del periodo di riferimento.
Ma il 2018 è stato segnato in Italia anche – sottolinea la Coldiretti – da intense precipitazioni con nubifragi, trombe d’aria, bombe d’acqua e grandinate che hanno colpito a macchia di leopardo la Penisola durante il semestre. L’estate è infatti iniziata – precisa la Coldiretti – con la caduta del 124% di pioggia in più a giugno dopo che la primavera ha fatto segnare una anomalia del +21% rispetto alla media storica, secondo elaborazioni Coldiretti su dati Isac Cnr. Sono gli effetti – sottolinea la Coldiretti – dei cambiamenti climatici in atto che si manifestano con la più elevata frequenza di eventi estremi con sfasamenti stagionali, precipitazioni brevi ed intense ed il rapido passaggio dal sole al maltempo. Uno sconvolgimento che impatta duramente sull’attività agricola. Dall’inizio dell’anno – conclude la Coldiretti – sono oltre mezzo miliardo i danni provocati dal maltempo all’agricoltura con coltivazioni distrutte, alberi abbattuti e aziende allagate, ma anche corsi d’acqua esondati, frane e smottamenti che fanno salire ad oltre mezzo miliardo il conto dei danni provocato all’agricoltura italiana dall’inizio dell’anno.
Onu vuole tassare olio d’oliva e Parmigiano. Equiparati a cibi dannosi
News PresaL’annuncio dell`Onu di voler tassare olio d’oliva, Parmigiano reggiano, Grana, prosciutto e persino il vino, equiparandoli a cibi dannosi per la salute e scoraggiandone il consumo, colpisce oltre un prodotto agroalimentare Made in Italy esportato su tre. E gli effetti ricadono non solo sull’economia del Paese, ma anche sulla salute dei cittadini. A stimarlo è la Coldiretti. Se da una parte l’Organizzazione delle Nazioni Unite riconosce il valore della Dieta Mediterranea come la migliore, tanto da essere stata dichiarata Patrimonio dell’Umanità, dall’altra porta avanti politiche che non incentivano gran parte degli alimenti che ne fanno parte.
“Sulla scorta dei sistemi di etichetta a semaforo – spiega la Coldiretti – adottati in Gran Bretagna e Francia, l’Onu, nella terza riunione sulle malattie non trasmissibili il 27 settembre, si prepara a penalizzare i prodotti che contengono zuccheri, grassi e sale, equiparandoli di fatto alle sigarette con l’inserimento di immagini choc sulle confezioni per scoraggiarne il consumo, mentre darebbe il via libera a tutti i prodotti dietetici e poveri di zuccheri delle multinazionali, come ad esempio le bibite gassate ricche di aspartame. Una posizione priva di solide basi scientifiche – sottolinea la Coldiretti – che va contro gli stessi principi della dieta mediterranea fondata principalmente su pane, pasta, frutta, verdura, carne, olio extravergine e il tradizionale bicchiere di vino consumati a tavola in pasti regolari che ha consentito agli italiani di conquistare valori record nella longevità a livello mondiale, con una speranza di vita di 82,8 anni (85 per le donne e 80,6 per gli uomini). In questo modo – ricorda Coldiretti – si mette in pericolo non solo la salute dei cittadini italiani ed europei, ma anche un sistema produttivo di qualità che si è affermato pure grazie ai riconoscimenti dell’Unione Europea. In gioco per l’Italia – precisato Coldiretti – c’è la leadership in Europa nelle produzioni di qualità con 293 riconoscimenti di prodotti a denominazione (Dop/Igp)”.
“Alle nazioni Unite sotto il pressing di poche multinazionali si cerca di affermare un modello alimentare fuorviante, discriminatorio e incompleto che finisce per escludere paradossalmente dalla dieta alimenti sani e naturali che da secoli sono presenti sulle nostre tavole, per favorire prodotti artificiali di cui in alcuni casi non è nota neanche la ricetta” accusa il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel denunciare che “le distorsioni provocate dal sistema di informazione visiva, adottato con formule diverse in Gran Bretagna e Francia, è solo il punto di partenza dell’iniziativa dell’Onu che sta addirittura teorizzando appositi sistemi di tassazione per colpire i prodotti della dieta mediterranea, garanzia di benessere e longevità”.
Biosimilari, l’Emilia Romagna fa scuola
FarmaceuticaIn tempi di “stretta al portafogli” riuscire a generare risparmio (tanto più in sanità) è quasi un miracolo. Non meraviglia dunque che il tema di questi giorni sia quello dell’impiego di farmaci biosimilari, associati soprattutto al “caso Emilia Romagna”. Andiamo con ordine. La notizia che sta facendo drizzare le antenne a tutti gli addetti ai lavoro e ai cosiddetti “decision maker” è che tra le regioni d’Italia l’Emilia-Romagna ha uno dei tassi più alti di impiego dei farmaci biosimilari, con un risparmio di oltre 10 milioni di euro nel solo 2017.
Economie di scala
Un dato destinato ad ampliarsi ulteriormente grazie all’arrivo di farmaci biosimilari di nuova generazione che offriranno più opportunità di cura, specie nel settore oncoematologico e nelle malattie su base autoimmune, soprattutto per le importanti economie che saranno in grado di generare. E’ quanto emerge dopo la giornata di confronto a Bologna sui farmaci biosimilari, organizzata dalla rivista di politica economica e sanitaria ‘Italian Health Policy Brief’ (Ihpb).
Sicurezza ed efficacia
Si tratta di medicinali simili per qualità, efficacia e sicurezza ai prodotti biologici originatori di riferimento per i quali è scaduta la copertura brevettuale, puntando quindi a salvaguardarne anche il processo produttivo a differenza del farmaco generico, ma che come quest’ultimo originano risparmio per pazienti e servizio sanitario. Uno studio promosso dall’Italian Biosimilar Group e realizzato in collaborazione con IQVIA ha ipotizzato che, a livello nazionale – sottolinea Ihpb – nel periodo 2017-2022, il risparmio complessivo della spesa sanitaria potrebbe assestarsi intorno ai 450 milioni di euro a seguito di una riduzione dei prezzi prevista intorno al 30%, considerando solo i prodotti di più largo impiego.
Genomica, altro passo avanti per il suo inserimento nel SSN
Ricerca innovazioneL’11 luglio scorso si è insediato, nella Direzione generale della prevenzione sanitaria, il Coordinamento Inter-Istituzionale che ha il compito di attuare il “Piano per l’innovazione del sistema sanitario basata sulle scienze omiche“, approvato con Intesa Stato Regioni del 26 ottobre 2017. Si tratta di un punto di svolta nella pianificazione che riguarda l’utilizzo della genomica (scienze omiche in generale) nel sistema sanitario nazionale.
Dopo il sequenziamento del genoma umano, la genetica molecolare e l’analisi genomica hanno acquisito un ruolo cruciale per il progresso della medicina e dell’assistenza sanitaria. Il progresso in genomica ha raggiunto risultati importanti per la salute pubblica. Oggi è in grado di differenziare individui e gruppi con maggiori probabilità di sviluppare determinate condizioni patologiche.
Le iniziative di pianificazione sulla genomica si sono sviluppate a partire dal Piano nazionale della prevenzione 2010-2012 che ha identificato la “medicina predittiva” come una delle macroaree di intervento, fornendo indicazioni per realizzare un nuovo approccio alla prevenzione attraverso l’utilizzo etico ed efficace dei test genetici in prevenzione. Inoltre nell’Intesa del 29 aprile 2010 è stata identificata, tra le azioni da realizzare, la predisposizione di un Protocollo di utilizzo della Public health genomics predisposto dal Ministero della salute e rispetto al quale è stata sancita l’intesa del 13 marzo 2013 su “Linee di indirizzo sulla genomica in sanità pubblica“.
Sul sito del Ministero è disponibile anche una pagina di approfondimento sul Piano per l’innovazione del sistema sanitario basata sulle scienze omiche.